Il bilancio del summit dell’ASEAN

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Ingresso di Timor-Leste, cooperazione commerciale e tecnologica, accordo tra Thailandia e Cambogia: come è andato il vertice di Kuala Lumpur

By Tommaso Magrini

Il 47° Summit dell’ASEAN, svoltosi a Kuala Lumpur dal 26 al 28 ottobre 2025, si è concluso con un bilancio che riflette la complessità del momento geopolitico e sociale del Sud-Est asiatico. Guidato dalla presidenza malese, l’incontro ha posto al centro il tema “Inclusivity and Sustainability”, un motto che ben sintetizza le ambizioni e le contraddizioni del blocco: da un lato la volontà di ampliare la partecipazione regionale e di rafforzare la cooperazione economica, dall’altro la necessità di affrontare le sfide legate alla sostenibilità, alla stabilità politica e alla gestione dei rapporti con le grandi potenze.

Tra i risultati più significativi emersi a Kuala Lumpur figura l’adesione ufficiale di Timor-Leste come undicesimo membro dell’ASEAN. Dopo anni di attesa e un lungo processo di valutazione, l’ingresso di Dili rappresenta un passo storico: per la prima volta dal 1999 il blocco si espande, includendo un paese giovane e ancora fragile, ma simbolicamente importante. La decisione è stata accolta con favore da tutti i leader presenti, che hanno sottolineato l’importanza dell’inclusività come principio fondante dell’associazione. Tuttavia, diversi osservatori hanno messo in guardia sul fatto che l’integrazione effettiva di Timor-Leste richiederà tempo, risorse e una chiara strategia di sostegno, per evitare che la nuova adesione resti un gesto più politico che operativo.

Sul piano economico, il summit ha evidenziato una forte attenzione verso la cooperazione commerciale e tecnologica, in particolare con la Cina. A margine dell’incontro è stato firmato l’aggiornamento dell’accordo di libero scambio Cina-ASEAN (versione 3.0), che introduce nuove aree di collaborazione come la digital economy, la green economy e il settore farmaceutico. Si tratta di un segnale importante della volontà dell’ASEAN di rinnovare la propria strategia di crescita, puntando su transizione verde, innovazione e infrastrutture sostenibili. Parallelamente, sono stati rilanciati i progetti legati alla Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), l’enorme accordo commerciale che coinvolge anche Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. Tutti questi elementi confermano l’obiettivo di consolidare l’ASEAN come un polo dinamico nel commercio globale e un attore capace di attrarre investimenti strategici, senza rinunciare alla propria autonomia.

L’altro grande capitolo del vertice ha riguardato la diplomazia e la sicurezza regionale. La questione del Myanmar è rimasta al centro dell’attenzione: i leader hanno approvato un documento di revisione del cosiddetto Five-Point Consensus, riaffermando l’impegno per una soluzione pacifica della crisi, la protezione dei civili e la ripresa del dialogo politico. Tuttavia, dietro la facciata unitaria, persistono divisioni sulla reale capacità dell’ASEAN di influenzare la giunta militare e di ottenere risultati concreti. L’organizzazione continua a trovarsi in una posizione difficile, stretta tra il principio di non interferenza negli affari interni e la crescente pressione internazionale per un ruolo più incisivo.

Sul fronte delle relazioni bilaterali, la presidenza malese ha annunciato la firma del Kuala Lumpur Accord tra Thailandia e Cambogia, un’intesa che mira a disinnescare le tensioni di confine e a favorire la creazione di una missione di osservatori regionali. È un passo che rafforza l’immagine dell’ASEAN come piattaforma di mediazione e dialogo, anche se resta da verificare la reale attuazione delle misure previste. In più, la discussione sul concetto di ASEAN Centrality – cioè il ruolo del blocco come attore autonomo nell’Indo-Pacifico – ha attraversato tutto il summit. I leader hanno insistito sull’importanza di mantenere una posizione di equilibrio tra le grandi potenze, evitando di schierarsi apertamente né con gli Stati Uniti né con la Cina, ma cercando di affermare una visione asiatica della sicurezza e dello sviluppo.

In questo senso, uno degli aspetti più positivi emersi dal summit è la rinnovata capacità dell’ASEAN di dialogare con tutti. Kuala Lumpur ha ospitato, nel corso dei tre giorni, una fitta rete di incontri bilaterali e multilaterali con partner come Stati Uniti, Cina, Giappone, Corea del Sud, India, Australia, Unione Europea e Regno Unito. La presidenza malese ha saputo mantenere un equilibrio diplomatico che pochi altri fori regionali riescono a garantire: da un lato ha valorizzato il legame storico con Pechino, dall’altro ha accolto con apertura le istanze occidentali su sicurezza marittima, sostenibilità e diritti umani. Questo approccio pragmatico e multilaterale conferma la vocazione dell’ASEAN a fungere da ponte tra Oriente e Occidente, da piattaforma di dialogo capace di ridurre tensioni e favorire convergenze. In un momento in cui la competizione strategica tra grandi potenze si fa sempre più accesa, la capacità del blocco di mantenere relazioni costruttive con tutti gli attori rappresenta un patrimonio prezioso e, forse, uno dei suoi principali punti di forza.

Nonostante gli elementi di progresso, il vertice ha anche messo in luce le fragilità interne dell’ASEAN. Le differenze tra i paesi membri in termini di sviluppo economico, governance e capacità amministrativa restano profonde. La stessa adesione di Timor-Leste, se da un lato arricchisce la legittimità politica del blocco, dall’altro accentua le disparità, poiché il piccolo Stato necessita di un ampio supporto tecnico e finanziario per allinearsi agli standard regionali. Inoltre, la credibilità dell’ASEAN sulla crisi del Myanmar rimane messa in discussione: la revisione del Five-Point Consensus è apparsa più come una riaffermazione di principio che come un vero cambio di passo.

In prospettiva, il summit di Kuala Lumpur delinea un’organizzazione che vuole rinnovarsi, ma che è ancora alla ricerca di un equilibrio tra ambizioni e realtà. L’ASEAN del 2025 si presenta come un blocco che tenta di coniugare sviluppo sostenibile, apertura economica e stabilità politica, ma che deve affrontare tensioni interne, sfide istituzionali e una competizione geopolitica sempre più intensa nell’Indo-Pacifico. La presidenza malese, che ha guidato con equilibrio un summit logisticamente impeccabile e diplomaticamente solido, lascia in eredità ai prossimi vertici un’agenda ambiziosa: rendere l’ASEAN non solo più inclusiva, ma anche più incisiva e credibile sul piano internazionale.

Nel complesso, il bilancio del summit del 26-28 ottobre 2025 è quello di un’ASEAN in transizione, consapevole della propria centralità ma chiamata a dimostrarla con fatti concreti. Inclusività, sostenibilità e autonomia strategica restano le parole d’ordine, ma la loro realizzazione dipenderà dalla capacità dei leader regionali di tradurre gli accordi di Kuala Lumpur in azioni coordinate e durature. Se saprà mantenere la sua tradizionale arte del dialogo, l’ASEAN potrà continuare a rappresentare una rara voce di equilibrio e cooperazione in un mondo sempre più polarizzato.

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