Il Laos assume la presidenza ASEAN

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Vientiane guida il blocco dei Paesi del Sud-Est asiatico per il 2024. Il governo laotiano punta su connettività e resilienza ed è chiamato ad alcune sfide interne ed esterne importanti, a partire dalla questione Myanmar

Il Laos si sta preparando a guidare l’ASEAN nel 2024, succedendo all’Indonesia nella presidenza di turno dell’organizzazione. Il Paese, che si chiama ufficialmente Repubblica Popolare Democratica del Laos, è uno Stato socialista a partito unico dal 1975, anno in cui il Pathet Lao prende il potere grazie al supporto determinante del Vietnam comunista. I rivoluzionari Lao avevano profondi legami militari, culturali e anche personali con i loro compagni vietnamiti, dato che erano stati tutti membri dello stesso movimento durante la lotta contro il dominio coloniale francese. I due Paesi, insieme alla Cambogia, erano parte dell’Indocina francese, il cui centro amministrativo e culturale era Hanoi. Dopo la comune lotta per l’indipendenza prima e contro le forze anticomuniste poi, i comunisti lao e vietnamiti hanno mantenuto un legame profondo. Con una differenza: Vientiane ha rapporti strettissimi (e moltissimi debiti) con Pechino; a differenza di Hanoi, che talvolta guarda con preoccupazione alle mosse cinesi. L’influenza cinese sul Laos potrebbe secondo i più pessimisti indebolire la capacità del Paese di guidare l’ASEAN, in particolare sui dossier delicati dove la maggioranza dell’organizzazione ha posizioni opposte a quelle di Pechino, come le dispute sul Mar Cinese Meridionale.

I rapporti con il Tatmadaw, le forze armate birmane, di nuovo al potere a Yangon, da un lato, e con il governo democratico in esilio, dall’altro, sono il tema più delicato e importante al momento per l’ASEAN. Sulla carta, l’organizzazione e i golpisti hanno trovato un compromesso, noto anche come Five-Point Consensus, che prevederebbe l’immediata cessazione delle violenze nel Paese, l’avvio di un dialogo tra le parti in lotta facilitato da un inviato speciale ASEAN e assistenza umanitaria dagli altri Paesi del blocco. In concreto però, l’accordo è considerato un fallimento da autorevoli ONG come Human Rights Watch, dato che il Tatmadaw continua a reprimere violentemente l’opposizione e a condurre le operazioni di pulizia etnica contro le minoranze del Paese. La posizione collettiva dell’organizzazione è stata ulteriormente minata dalla Thailandia. Bangkok ha avviato un dialogo parallelo con i militari birmani, soprannominato Track 1.5, a cui la maggioranza dei Paesi ASEAN non partecipa, con l’eccezione di Laos, Vietnam e Cambogia. Una mossa che ha irritato la Presidenza di turno indonesiana.

Giacarta ha preteso che la gestione del dossier Myanmar fosse affidata a una troika composta dalla presidenza uscente, da quella incipiente e dalla successiva, quindi da se stessa, Laos e Malesia, rispettivamente. Singapore, esclusa dalla troika, si è affrettata a ricordare che si tratta di un meccanismo informale che non deve sostituire gli organi ASEAN. La vicenda dimostra quanto la questione birmana stia mettendo a dura prova l’ASEAN sul piano politico e istituzionale: le divisioni tra i membri rendono difficile elaborare una strategia comune e l’efficacia dell’organizzazione dipende molto dalla posizione del Paese che detiene la presidenza di turno. Negli spazi lasciati liberi dall’ASEAN si inseriscono gli altri attori regionali, come Cina e Giappone, che stanno partecipando al Track 1.5. Il Laos ha legami stretti con entrambi – abbiamo già menzionato Pechino, ma anche Tokyo è un partner essenziale sia per investimenti che per cooperazione allo sviluppo – e ha la necessità di mantenere buoni rapporti con chiunque sia al potere a Yangon. Entrambi i Paesi devono affrontare la criminalità organizzata, molto forte lungo il confine tra la provincia lao del Bokeo e lo Stato Shan birmano.

In attesa di iniziare ufficialmente il suo mandato, Vientiane ha indicato i suoi obiettivi, riassunti nel titolo “Rafforzare connettività e resilienza”. Il primo ministro Sonexay Siphandone ha declinato la resilienza in una dimensione politica, ossia la “costruzione di un’architettura per la pace, la stabilità e lo sviluppo nella regione” basata sul potenziamento dell’ASEAN e delle sue relazioni esterne. La connettività poi è un tema caro al Laos, visto che si tratta dell’unico membro dell’Organizzazione senza uno sbocco sul mare (la principale via di comunicazione naturale è il fiume Mekong) e che le esportazioni sono una voce importante dell’economia nazionale. Oltre ai prodotti agricoli e tessili, il Paese esporta verso i suoi vicini soprattutto minerali, come rame e oro, ed energia elettrica, prodotta prevalentemente da fonti rinnovabili come i corsi d’acqua e il vento. Vientiane intende promuovere la neutralità carbonica durante la sua presidenza e ha le credenziali giuste per farlo, anche se alcuni osservatori sollevano dubbi sul fatto che l’energia idroelettrica nazionale sia ad impatto ambientale zero, a causa dei metodi di costruzione delle dighe, molto invasive rispetto agli ecosistemi fluviali. Per il Governo lao, dotato di modeste risorse, un’opportunità nasconde spesso anche una sfida non facile da affrontare.Il Paese non ha avuto infatti la stessa fortuna di altri suoi vicini. Nonostante il Laos abbia sempre imitato le politiche dei vicini vietnamiti, per esempio liberalizzando a sua volta l’economia quando ad Hanoi iniziava il Doi Moi, i risultati economici non sono comparabili. Anche la portata della sua politica estera è meno ambiziosa rispetto alle altre cancellerie ASEAN, limitata alla regione e a pochi senior partner come Cina, Giappone e Russia. La presidenza ASEAN potrebbe costituire un’opportunità di apertura internazionale per il Laos, a patto che smentisca i dubbi sul fatto di essere un proxy di Pechino nell’organizzazione, dubbi erano stati già sollevati in occasione del suo precedente mandato nel 2016. L’Unione Europea potrebbe cogliere l’occasione per offrire la sua cooperazione a Vientiane e avviare un dialogo su Myanmar, rispetto dei diritti umani e scambi commerciali. Rompere l’isolamento diplomatico ed economico della “Terra da un milione di elefanti” potrebbe aiutare il Laos ad essere più autonomo da Pechino.

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