Digitale e welfare: le lezioni di Singapore

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Governance digitale e welfare del futuro: le lezioni di Singapore per l’Italia

“Due parti di Hobbes, una di Mill e un pizzico di valori asiatici tradizionali”1 è la ricetta del cocktail di successo politico ed economico di Singapore. Considerato universalmente uno dei Paesi più ricchi e innovativi al mondo, ben pochi avrebbero scommesso sulla piccola città-stato asiatica, dopo separazione dalla Federazione della Malesia e la piena indipendenza dal Regno Unito nel 1965. Drenata di risorse, con una superficie minuscola e una popolazione in condizioni di vita misere, Singapore è riuscita a passare “da terzo a primo mondo nel tempo di una generazione”2. Il tutto sotto la guida di un uomo solo, Lee Kuan Yew. Istruito a Cambridge e poi alla London School of Economics, dove subisce l’influenza del fabianesimo di Beatrice Webb e Harold Laski e sostiene animosamente il partito laburista, verso la fine degli anni ottanta Kuan Yew si converte al liberismo di von Hayek dopo averne letto The Fatal Conceit: the Errors of Socialism. Il suo Partito d’Azione Popolare, ininterrottamente al governo dal 1959 ad oggi, plasma il Paese seguendo i dettami classici del liberalismo anglosassone, spalancandosi al libero mercato e al commercio internazionale. Allo stesso tempo, onorando le sue origini cinesi, Kuan Yew applica la filosofia di governo confuciana, concentrando il potere nelle sue mani e in quelle di un’élite altamente qualificata di ‘mandarini’ e ufficiali di stato. Lee Kuan Yew è stato per decenni il ‘pupillo asiatico’ della classe dirigente occidentale – ancor’oggi sbalordita per l’incredibile crescita economica e industriale avviata nel giro di qualche decennio – nonché mentore principale dell’alta nomenclatura cinese post-Maoista, ansiosa di modernizzare il Paese senza dover cedere il passo alla democrazia. Non si può comprendere Singapore senza comprendere l’eredità di Lee Kwan Yew: una mistura inimitabile di autoritarismo burocratico, genuina meritocrazia e apertura senza remore all’innovazione tecnologica portata dai mercati.

La flessibilità e il pragmatismo Singapore li ha nel sangue, e infatti è da sempre capace di reinventarsi con rapidità ogni volta che i cambiamenti globali lo richiedono. La piccola città-stato è oggi uno dei pochissimi luoghi al mondo dove il governo guida, invece di inseguire, la transizione digitale, quella che molti esperti ritengono sia una vera e propria nuova rivoluzione industriale. Da un lato, le autorità di Singapore stanno facendo di tutto per attrarre imprese innovative e favorire la nascita di nuove aziende digitali. Dall’altro, il governo è il primo a sfruttare i benefici portati dalle nuove tecnologie ai cittadini, fornendo loro servizi pubblici più efficienti e prestazioni di welfare generose.

Ad esempio, Singapore sta sostenendo con decisione lo sviluppo di auto a guida autonoma, sciogliendo vari lacci e lacciuoli normativi che altrove rimangono tenacemente avviluppati. Dando a diverse imprese di driverless cars la possibilità di sperimentare i loro veicoli sulle strade pubbliche di uno dei suoi distretti 3, il governo singaporiano rimane fedele alla propria ‘ossessione’ per la tecnologia e per la necessità della politica di controllare i processi innovativi, piuttosto che esserne controllata. E’ questo tipo di mentalità che ha fatto sì che la start-up nuTonomy, fondata da esperti di robotica del MIT, ha lasciato Boston per trasferirsi a Singapore, attratta dalla disponibilità del governo a creare le condizioni migliori per la sua crescita. Questo peculiare tipo di governance del libero mercato non è frutto di un’ingenua fede pagana nei confronti della mano invisibile. I mandarini che guidano il Paese sono ben consapevoli delle possibilità di trasferimento del know-how tecnologico dal privato al pubblico che deriva dall’avere oltre 7000 aziende distribuite in 700 chilometri quadrati: la contaminazione di saperi e lo stimolo all’innovazione che ne deriva è senza eguali nel mondo. E a giovarne è l’amministrazione pubblica, che punta a lanciare un sistema di trasporto urbano senza autisti entro il 2020.4 In questo modo, la piccola nazione asiatica non solo si assicura un vantaggio competitivo in una delle industrie del futuro, ma punta anche a risolvere uno dei maggiori dilemmi che assillano i suoi policy-makers: la congestione e l’inquinamento causati dal traffico tipico di tutte le grandi metropoli. In una realtà stradale futura fatta di automobili, bus e treni coordinati tra loro tramite informazioni su traffico e meteo condivise in un cloud, le file al casello dell’autostrada e gli eterni ritardi delle ferrovie occidentali saranno una favola distopica sul mondo all’inizio del ventunesimo secolo.

Anche il settore privato di Singapore, però, è conscio delle infinite opportunità insite nella contaminazione cognitiva tra aziende. Ciò è soprattutto vero per il suo dinamico settore finanziario, il cui lato tech è in piena espansione. Le realtà imprenditoriali che ambiscono a rivoluzionare il modo in cui investiamo, risparmiamo o progettiamo il nostro futuro economico spuntano come funghi, in quest’isola di grattacieli, e nel distretto finanziario è da poco stato creato un innovation hub di 9000 metri quadrati, ospitante più di 400 fintech startup distribuite su 10 piani di vetro e acciaio.5

Oltre a favorire la crescita di imprese private nei settori alla frontiera dei cambiamenti tecnologici, l’amministrazione pubblica stessa dà l’esempio, sfruttando gli strumenti digitali per erogare i servizi in modo più efficiente o per fornirne addirittura di nuovi. Per esempio, un’app di sanità pubblica permette ai genitori di tenere traccia di tutte le vaccinazioni dei propri figli, mentre – dietro autorizzazione degli utenti – le banche private possono accedere al database nazionale e verificare l’identità dei propri clienti 6. In alcuni casi, il governo usa le nuove tecnologie per aumentare il potenziale di nuovi strumenti di politiche pubbliche, come quello dei “nudges”, incentivi comportamentali sempre più utilizzati dai governi in giro per il mondo per spingere i cittadini ad abbracciare pratiche salutiste, in maniera più o meno volontaria. Questa è essenzialmente la filosofia alla base di Health 365, un’iniziativa lanciata dalle autorità della città-stato per spingere la propria popolazione a mangiare in modo sano e a fare esercizio fisico quotidianamente, attraverso voucher concessi da ristoranti salutisti come premio a chi cammina di più, il tutto misurato e gestito con un’app per smartphone. Inevitabilmente se i cittadini sono più in forma ne trae vantaggio anche il sistema sanitario, che riduce i costi e pesa meno sui conti pubblici.

Essere ricca, connessa e fortemente aperta all’economia digitale sono vantaggi importanti, nel complesso, per una nazione, ma fondamentale è anche la lungimiranza delle sue élite politiche e amministrative: a Singapore, non a caso, i funzionari pubblici comunicano sul posto di lavoro usando Facebook workplace e il primo ministro, figlio maggiore di Lee, é laureato in informatica. E’ qui che il divario tra Singapore e altri paesi occidentali, specie l’Italia, si amplia considerevolmente. Mentre la classe dirigente del nostro Paese è ancora ferma alla fase di ‘idolatria’ nei confronti degli esperti di digitale, che sono dunque cosa altra rispetto agli amministratori pubblici, realtà come Singapore si sono mosse verso una piena ‘integrazione’ del sapere cibernetico nei ranghi dell’istruzione del ceto burocratico 7: sono gli amministratori pubblici stessi ad essere gli esperti di digitale. Nel momento in cui il codice che definisce il funzionamento della cosa pubblica diventa un algoritmo, soppiantando il manuale di procedura civile, alle polverose lauree in giurisprudenza gli apparatchik preferiscono un master in ICT systems.

Ciò non toglie che, negli ultimi anni, anche in Italia siano stati fatti notevoli passi in avanti sulla governance del digitale, sia attraverso gli incentivi per imprese private che investono in nuove tecnologie – previsti dal piano Industria 4.0, supervisionato dal ministro Calenda – sia per mezzo di una progressiva digitalizzazione della pubblica amministrazione, di recente guidata dall’ex dirigente Amazon Diego Piacentini e dall’agenzia per l’Italia digitale (AgID). Nonostante la scarsa pubblicizzazione della novità introdotta – d’altronde il digitale scalda poco gli animi, in un paese con un tasso di alfabetizzazione informatica tra i più bassi d’Europa 8 – in concomitanza con la legislatura che volge al termine in queste settimane è stato creato il Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID), che permette ai cittadini di accedere ai servizi online della PA con un unico account. Sembra poco, ma la semplificazione di ‘hardware’ burocratico celata dietro questa misura è ammirevole. Lo stesso sta avvenendo nella sanità, dove il sistema sanitario nazionale si sta dotando di un fascicolo sanitario unico per tutti gli iscritti. Immaginatevi di essere residenti in Toscana e di ritrovarvi per qualsivoglia ragione a dovervi curare in un ospedale lombardo: la vostra storia clinica la sa solo il vostro medico curante, e non è che basti googlare per trovare i risultati di esami fatti in passato. I vantaggi che ne derivano sono immensi, sia in termini amministrativi per lo Stato che in termini di benessere netto aggiunto per i cittadini. Una manciata di programmatori ed ex manager illuminati non basta per cambiare una struttura statale gestita da funzionari brizzolati e tech-gnoranti, soprattutto se il paese è governato da una classe politica più preoccupata per le prossime elezioni che per le prossime generazioni.

Eppure, rimanere fermi è una condanna. Da un lato, il nuovo mondo digitale cambierà presto ogni settore dell’economia, e solo le nazioni capaci di adattarsi potranno produrre beni e servizi ad alto valore raggiunto, e quindi mantenere alti livelli di benessere. Dall’altro, l’innovazione dà al settore pubblico l’opportunità di reinventarsi, offrendo servizi migliori a costi più bassi. Tramite la filosofia di Thomas Hobbes e John Stuart Mill, Singapore ha trovato la formula per la disruptiondi successo nelle sue radici coloniali, coniugandola maliziosamente a un malcelato calpestamento della democrazia occidentale: un governo che non deve rispondere all’opinione pubblica ha ovviamente le mani libere di progettare per il lungo termine. Purtroppo o per fortuna, l’Italia non ha nessuno dei tre elementi: nè Hobbes, nè Mill, nè Confucio. Gli ingredienti per un cocktail di innovazione politica e tecnologica, però, nel nostro DNA non mancano. Ci permettiamo di suggerire la seguente ricetta: una parte di Da Vinci, una di Marconi, e una bella spruzzata di Cavour. Se volete essere sicuri che funzioni, aggiungete un pizzico di Machiavelli, che non guasta mai. Shakerate con cura.

1 John Micklethwaith & Adrian Wooldrige, The Fourth Revolution. The Global Race to Reinvent the State, Allen Lane: Penguin Books, London, UK, 2014, p. 135

2 Graham Allison, Special to CNN, Lee Kuan Yew: Lessons for leaders from Asia’s ‘Grand Master’, 28/03/15,http://edition.cnn.com/2015/03/28/opinions/singapore-lee-kuan-yew-graham-allison/ ultimo accesso: 28/01/2018

3 John Thornhill, FT, Singapore experiments with smart government, 22/01/2018,
https://www.ft.com/content/b1b239a2-ff54-11e7-9650-9c0ad2d7c5b5 ultimo accesso: 28/01/2018

4 BBC News,Singapore to use driverless buses ‘from 2022’, 23/11/2017, http://www.bbc.co.uk/news/business-42090987 ultimo accesso: 28/01/2018

5 The Strait Times, New fintech innovation hub to take shape in the heart of Singapore’s CBD, 14/11/2017,http://www.straitstimes.com/business/banking/new-fintech-innovation-hub-to-take-shape-in-the-heart-of-singapores-cbd ultimo accesso: 28/01/2018

6 John Thornhill, FT, Singapore experiments with smart government, 22/01/2018,
https://www.ft.com/content/b1b239a2-ff54-11e7-9650-9c0ad2d7c5b5 ultimo accesso: 28/01/2018

7 Richard Heeks, Reinventing Government for the Information Age, Routledge Press, New York, 2002, pp. 23-36

8 Digital Economy and Society Index 2017 – Italy, European Commission, 2017, https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/scoreboard/italy, ultimo accesso: 28/01/2018

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