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Che cosa aspettarsi dal summit dell’ASEAN

Dal 26 al 28 ottobre, Kuala Lumpur ospita il vertice dei leader del Sud-Est asiatico. Presenti anche diverse figure di spicco dei Paesi partner e delle grandi potenze internazionali, a partire da Donald Trump. Ecco i punti chiave dell’agenda

Di Tommaso Magrini

Il prossimo Summit dell’ASEAN, che si tiene dal 26 al 28 ottobre sotto la presidenza della Malesia nel 2025, si preannuncia come uno degli appuntamenti più significativi per il futuro politico, economico e strategico del Sud-Est asiatico. Non si tratta di un semplice incontro tra capi di Stato, ma di un momento in cui i dieci paesi membri (in attesa della piena adesione di Timor Est) definiranno la direzione di marcia della regione verso l’obiettivo ambizioso dell’“ASEAN 2045”, una visione di cooperazione più integrata, sostenibile e autonoma sul piano internazionale.

Secondo le anticipazioni del governo malese, il summit culminerà con l’adozione di 84 documenti di esito, un numero che riflette l’intenzione di tradurre le discussioni in impegni concreti. Ma, al di là dell’imponenza numerica, ciò che realmente conta è capire se questi testi segneranno un passo avanti reale o resteranno, come spesso accade, una collezione di buone intenzioni senza strumenti di attuazione vincolanti.

La Malesia ha voluto imprimere alla presidenza un’impronta particolare, cercando di superare la tradizionale frammentazione tra le politiche economiche e quelle diplomatiche. Per la prima volta, i ministri degli Esteri e i ministri dell’Economia dei paesi membri si riuniranno congiuntamente, in modo da coordinare le rispettive agende prima che arrivino sul tavolo dei capi di Stato. È un segnale importante, perché l’ASEAN ha spesso sofferto della mancanza di coerenza tra la sua dimensione economica e quella politica: mentre sul piano commerciale l’integrazione è avanzata, la politica estera comune è rimasta spesso prigioniera di divisioni interne e interessi nazionali divergenti.

Un altro tema centrale sarà la transizione ecologica. Durante il vertice si terrà l’incontro della cosiddetta “ASEAN Zero Emission Community”, che coinvolgerà anche partner esterni come Australia e Giappone. L’obiettivo è promuovere progetti condivisi per accelerare la decarbonizzazione della regione, una sfida particolarmente ardua in un’area in cui molti paesi dipendono ancora fortemente dai combustibili fossili e in cui la crescita economica è spesso in tensione con gli obiettivi ambientali. Sarà interessante verificare se il summit riuscirà a passare dalle dichiarazioni di principio a iniziative concrete, con finanziamenti comuni, piani di cooperazione tecnica e una roadmap credibile per raggiungere le emissioni nette zero.

Sul fronte economico, la Malesia punta anche a rafforzare i rapporti commerciali dell’ASEAN con i suoi partner principali. Tra i dossier più attesi vi sono l’aggiornamento dell’Accordo di libero scambio con la Cina, giunto alla versione 3.0, e l’espansione della cooperazione con gli Stati Uniti. La Cina rimane il più grande partner commerciale dell’ASEAN, ma la crescente competizione strategica tra Pechino e Washington costringe i paesi del Sud-Est asiatico a un delicato esercizio di equilibrio. Il summit sarà dunque un banco di prova per capire se l’associazione riuscirà a mantenere la propria “neutralità attiva”, cioè la capacità di trarre vantaggio dalle relazioni con entrambe le potenze senza schierarsi apertamente con nessuna.

Altro tema destinato a pesare nei lavori sarà l’integrazione di Timor Est, che ha ottenuto lo status di osservatore ma non è ancora membro a pieno titolo. L’adesione definitiva del piccolo Stato rappresenta una sfida logistica, economica e politica, perché comporta l’ingresso di un paese con un livello di sviluppo molto più basso rispetto alla media dell’ASEAN. Tuttavia, è anche un segnale politico importante: significa aprire ulteriormente la comunità e rafforzare il principio di inclusività regionale. Il summit potrebbe definire i tempi e le condizioni per l’ingresso effettivo di Dili, un passo che rafforzerebbe l’identità dell’ASEAN come spazio di solidarietà regionale.

La Presidenza malese ha anche annunciato che il Trattato di Amicizia e Cooperazione (TAC) sarà al centro delle discussioni. Questo documento, firmato per la prima volta nel 1976, rappresenta la base giuridica delle relazioni tra gli Stati membri e riafferma i principi cardine dell’ASEAN: il rispetto della sovranità, la non ingerenza negli affari interni e la risoluzione pacifica delle controversie. La riaffermazione di questi principi arriva in un momento delicato, segnato dalle tensioni nel Mar Cinese Meridionale, dove alcuni paesi membri — come le Filippine e il Vietnam — sono in disaccordo con la Cina sulle rivendicazioni territoriali. È probabile che, anche in questo caso, l’ASEAN scelga una linea di equilibrio: ribadire i principi del diritto internazionale, ma evitare prese di posizione che possano compromettere l’unità interna o irritare Pechino.

Un elemento che attirerà particolare attenzione sarà la presenza dei leader stranieri, segno del crescente peso geopolitico del summit. Tra gli ospiti più attesi figura Donald Trump, che dovrebbe partecipare alla firma di un accordo bilaterale tra Thailandia e Cambogia, volto a regolare in modo definitivo le dispute territoriali e a rilanciare la cooperazione economica transfrontaliera. La presenza del presidente americano, insieme a quella di altri leader — tra cui i primi ministri di India e Australia — darà al vertice una dimensione internazionale senza precedenti, sottolineando la centralità del Sud-Est asiatico nei nuovi equilibri globali. La firma dell’accordo tra Bangkok e Phnom Penh, in particolare, sarà osservata come un banco di prova per la capacità dell’ASEAN di agire come mediatore e garante di stabilità nella regione.

Il summit avrà inoltre una forte dimensione diplomatica. Tutti i leader dei Paesi membri e i partner di dialogo internazionali sono attesi a Kuala Lumpur, compresa la Premier italiana Giorgia Meloni. La Malesia intende sfruttare l’occasione per riaffermare il ruolo dell’ASEAN come attore globale, non solo come piattaforma regionale. In un contesto internazionale segnato da rivalità strategiche, guerre e tensioni commerciali, il Sud-Est asiatico vuole proporsi come area di stabilità, capace di mediare e di difendere un ordine multipolare fondato sul dialogo.

Tuttavia, le aspettative devono fare i conti con i limiti strutturali dell’organizzazione. L’ASEAN si fonda sul principio del consenso e sul rispetto assoluto della sovranità nazionale, il che significa che ogni decisione importante richiede l’accordo unanime di tutti i membri. Questo principio, se da un lato ha evitato conflitti interni, dall’altro ha spesso paralizzato l’azione collettiva, rendendo difficile adottare posizioni comuni su questioni sensibili. Il rischio, anche in questo summit, è che la grande quantità di documenti approvati si traduca in un’abbondanza di dichiarazioni solenni ma prive di meccanismi di attuazione, scadenze precise o risorse dedicate.

La vera prova di efficacia sarà dunque la concretezza: quanti di questi 84 documenti conterranno impegni vincolanti, strumenti di monitoraggio o piani d’azione dettagliati? Se la presidenza malese riuscirà a garantire anche solo una parte di queste condizioni, il summit potrà rappresentare un punto di svolta nella governance regionale. In caso contrario, rischierà di diventare un’altra passerella diplomatica.

Oltre ai contenuti formali, il vertice sarà osservato attentamente per capire se l’ASEAN saprà rafforzare la propria autonomia strategica. In un’epoca in cui il Sud-Est asiatico è al centro della competizione tra Stati Uniti e Cina, i paesi membri si trovano costretti a un difficile equilibrio tra interessi economici e sicurezza geopolitica. Da questo punto di vista, la capacità dell’ASEAN di parlare con una voce unica sarà decisiva per preservare la stabilità regionale e per evitare che il blocco si divida in “schieramenti” contrapposti.

In definitiva, dal 47° Summit dell’ASEAN ci si attende non solo una dichiarazione d’intenti ma una prova di maturità politica. La regione è cresciuta economicamente, ma ora deve dimostrare di saper costruire anche un’identità politica comune. Se il vertice saprà dare impulso a un’azione più coordinata in materia di sostenibilità, commercio, sicurezza e governance, potrà segnare l’inizio di una nuova fase per l’organizzazione, che può diventare in grado di incidere davvero negli equilibri del mondo che verrà.

Associazione Italia-ASEAN alla Camera dei Deputati

Il 12 marzo 2024 i rappresentanti dell’Associazione Italia-ASEAN sono stati auditi presso la Commissione Affari Esteri dal Comitato permanente sulla politica estera per l’Indo-Pacifico istituito presso la Commissione stessa, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle tematiche relative alla proiezione dell’Italia e dei Paesi europei nell’Indo-Pacifico. Sono intervenuti l’Ambasciatore Michelangelo Pipan, Presidente dell’Associazione Italia-ASEAN, e Romeo Orlandi, Vice Presidente dell’Associazione Italia-ASEAN.

Si può vedere il video integrale sul sito della Camera.

Italy-ASEAN Virtual Learning Centre on Cultural Heritage and Sustainable Development

Con significativi esiti si è tenuta ad Hanoi l’International Conference “Italy-ASEAN Virtual Learning Centre on Cultural Heritage and Sustainable Development. Dialogues on training for the sustainable development of cultural heritage” presieduta dall’Ambasciatore Michelangelo Pipan, Presidente dell’Associazione Italia ASEAN.

Sempre più ricchezza a Singapore

 Il numero di family office – società che gestiscono le vite e i patrimoni dei clan più ricchi – è salito a 1.100 alla fine dello scorso anno, da appena 400 nel 2020

Articolo di Tommaso Magrini

Singapore è sempre più ricca. Il patrimonio gestito dall’industria del risparmio gestito della città-Stato è raddoppiato in soli sei anni, raggiungendo circa 4.000 miliardi di dollari e circa l’80% di questo patrimonio è estero. BlackRock Inc. si sta espandendo a Singapore, così come l’Ontario Teachers’ Pension Plan. Anche le banche svizzere si stanno espandendo: gli uffici di UBS Group AG dominano un intero isolato in un quartiere commerciale di primo piano, con uno staff di 3.000 persone, una palestra privata e un bar per il cappuccino. La rapida ascesa della gestione del denaro è frutto di un progetto ben preciso. Nel 2020 il governo ha introdotto un nuovo tipo di struttura giuridica, chiamata società a capitale variabile, che fornisce incentivi fiscali e legali alle società di hedge fund, venture capital e private equity che si stabiliscono a Singapore, in modo simile ai programmi di hub offshore. A partire dallo scorso ottobre, più di 600 società hanno usufruito del nuovo programma. Alcuni dei più grandi gestori di denaro del mondo si sono stabiliti a Singapore, tra cui Marshall Wace, Citadel Enterprise Americas di Griffin e D.E. Shaw. Point72 Asset Management del miliardario Cohen ha ampliato il suo team di Singapore di oltre il 50%, arrivando a 100 persone. Complessivamente, gli asset degli hedge fund sono cresciuti del 30% nel 2021, raggiungendo i 191 miliardi di dollari.  Il numero di family office – società che gestiscono le vite e i patrimoni dei clan più ricchi – è salito a 1.100 alla fine dello scorso anno, da appena 400 nel 2020. Tra gli incentivi ad aver contribuito ci sono le modifiche fiscali del 2019 e un programma che prevede una corsia preferenziale per la residenza per gli ultra ricchi. Singapore sta beneficiando anche della volontà di parecchie aziende che cercano una diversificazione nella regione o una base per operazioni asiatiche più ampie oltre la Cina continentale e Hong Kong.

Il Laos e la Cina sono sempre più uniti

Se da una parte il Laos sorride per gli investimenti fatti da Pechino nel Paese, Vientiane deve fare attenzione ai debiti.

Sono passati esattamente sessant’anni dall’inizio delle relazioni diplomatiche tra Laos e Cina e i due Paesi sono sempre più uniti: Pechino è attualmente l’investitore estero più importante per il Laos con quasi 800 progetti in corso tra cui autostrade, infrastrutture e ferrovie ad alta velocità da completare per migliorare la connettività dello Stato del Sud-Est asiatico. La crescita degli investimenti cinesi nel Paese è stata vertiginosa: mentre nel 2003 corrispondevano a meno del 2%, nel 2018 questi erano cresciuti fino al 79% degli investimenti diretti esteri totali in Laos.

Anche il commercio tra i due Paesi ha visto un forte incremento negli ultimi anni: basta pensare che nel 2019, rispetto all’anno precedente, gli scambi commerciali tra Pechino e Vientiane sono aumentati del 17%. Un ruolo fondamentale nell’incremento dei rapporti economici tra Cina e Laos è ricoperto dal programma della Belt and Road Initiative (BRI), la Nuova Via della Seta. Il Laos riveste per la Cina un ruolo strategico per permetterle un accesso diretto e più rapido verso i Paesi del Sud-Est asiatico, in primis per veicolare i propri prodotti in Thailandia; per tali ragioni, Pechino sta investendo nella costruzione di ferrovie ad alta velocità per permettere una maggiore e più rapida connettività tra lo Yunnan e Vientiane.


Al momento sono tre i progetti più importanti per quanto riguarda la costruzione di ferrovie ad alta velocità di matrice cinese: il tratto Boten – Bokeo di circa 180 chilometri, quello Vientiane – Pakse e la ferrovia che connetterà Boten e Vientiane, il progetto più ambizioso e parte del piano della Nuova Via della Seta.
Mentre la ferrovia Vientiane – Pakse permetterà maggiore connettività con il sud del Paese, consentendo di raggiungere Pakse in sette ore rispetto alle dieci ore che occorrono attualmente , il progetto Boten-Bokeo ricopre particolare importanza perché permetterebbe a Pechino di avere un accesso rapido con il confine nord della Thailandia, in modo da trasportare più rapidamente i propri prodotti diretti a Bangkok. Il tratto ferroviario tra Boten e Vientiane è costato sei miliardi di dollari ed è il progetto più costoso mai costruito in Laos. Sarà lungo oltre 400 chilometri, andando ad unirsi a un ulteriore segmento ferroviario già presente in Cina e che connette la capitale laotiana con Kunming, capoluogo della provincia dello Yunnan. Tale progetto non solo permetterà un più rapido passaggio di prodotti destinati al mercato laotiano, ma darà modo di aumentare il numero di turisti provenienti dalla Cina, come già era accaduto in passato quando Boten era stata soprannominata la “Golden City” per la presenza di numerosi casinò che attiravano turisti cinesi e thailandesi.


L’interesse di Pechino per gli investimenti in Laos ha fatto si che oggi il rapporto tra i due Paesi sia sempre più roseo non solo dal punto di vista commerciale ma anche da quello politico. Vientiane è sempre più legata a Pechino, tanto da riconoscerne e appoggiarne le scelte politiche (non è un caso che lo scorso anno ha sostenuto in sede ONU insieme ad altri 52 Paesi la legge sulla sicurezza nazionale implementata da Pechino ad Hong Kong). Un ulteriore segnale di vicinanza tra Vientiane e Pechino è arrivato questa primavera con l’elezione di Khemmani Pholsena, ex Ministro del Commercio del Laos e amico d’infanzia del leader Xi Jinping, al ruolo di consigliere del Presidente Thongloun Sisoulith .
Ma quello che sembra essere un rapporto ormai consolidato e volto ad incrementare l’economia di uno dei Paesi più poveri al mondo (con la crisi pandemica, tra l’altro, il tasso di disoccupazione del Paese è arrivato al 25%) potrebbe però nascondere un’insidia: la cosiddetta trappola del debito. I debiti del Laos nei confronti della Cina corrispondono ad oltre 400 milioni di dollari mentre l’ammontare totale dei debiti del Paese corrisponde ad oltre il 60% del PIL: qualora Vientiane si trovasse in una situazione di insolvenza, potrebbe diventare una pedina per Pechino che avrebbe il diritto di rifarsi sul piccolo Stato ottenendo il controllo di alcune infrastrutture del Paese, come già rischia di accadere altrove.

Il Vice Presidente dell’Associazione Italia-Asean, il Prof. Romeo Orlandi sottolinea quali siano le possibilità di investimento per le imprese italiane in Indonesia

Roma, 28 gennaio 2016. Il Prof. Romeo Orlandi, Vice Presidente dell’Associazione Italia-Asean è intervenuto all’evento organizzato dall’Ambasciata di Indonesia in Italia sulle relazioni bilaterali tra i due Paesi. In quest’occasione, il Vice Presidente Orlandi ha presentato un’analisi delle relazioni economiche tra Italia e Indonesia, soprattutto per il flussi commerciali e di business. L’evento è stato concluso da S.E. August Parengkuan, Ambasciatore d’Indonesia in Italia.

Il Vice Presidente dell’Associazione Italia-Asean, il Prof. Romeo Orlandi sottolinea quali siano le possibilità di investimento per le imprese italiane in Indonesia
Il Vice Presidente dell’Associazione Italia-Asean, il Prof. Romeo Orlandi sottolinea quali siano le possibilità di investimento per le imprese italiane in Indonesia