Laos

Il Laos assume la presidenza ASEAN

Vientiane guida il blocco dei Paesi del Sud-Est asiatico per il 2024. Il governo laotiano punta su connettività e resilienza ed è chiamato ad alcune sfide interne ed esterne importanti, a partire dalla questione Myanmar

Il Laos si sta preparando a guidare l’ASEAN nel 2024, succedendo all’Indonesia nella presidenza di turno dell’organizzazione. Il Paese, che si chiama ufficialmente Repubblica Popolare Democratica del Laos, è uno Stato socialista a partito unico dal 1975, anno in cui il Pathet Lao prende il potere grazie al supporto determinante del Vietnam comunista. I rivoluzionari Lao avevano profondi legami militari, culturali e anche personali con i loro compagni vietnamiti, dato che erano stati tutti membri dello stesso movimento durante la lotta contro il dominio coloniale francese. I due Paesi, insieme alla Cambogia, erano parte dell’Indocina francese, il cui centro amministrativo e culturale era Hanoi. Dopo la comune lotta per l’indipendenza prima e contro le forze anticomuniste poi, i comunisti lao e vietnamiti hanno mantenuto un legame profondo. Con una differenza: Vientiane ha rapporti strettissimi (e moltissimi debiti) con Pechino; a differenza di Hanoi, che talvolta guarda con preoccupazione alle mosse cinesi. L’influenza cinese sul Laos potrebbe secondo i più pessimisti indebolire la capacità del Paese di guidare l’ASEAN, in particolare sui dossier delicati dove la maggioranza dell’organizzazione ha posizioni opposte a quelle di Pechino, come le dispute sul Mar Cinese Meridionale.

I rapporti con il Tatmadaw, le forze armate birmane, di nuovo al potere a Yangon, da un lato, e con il governo democratico in esilio, dall’altro, sono il tema più delicato e importante al momento per l’ASEAN. Sulla carta, l’organizzazione e i golpisti hanno trovato un compromesso, noto anche come Five-Point Consensus, che prevederebbe l’immediata cessazione delle violenze nel Paese, l’avvio di un dialogo tra le parti in lotta facilitato da un inviato speciale ASEAN e assistenza umanitaria dagli altri Paesi del blocco. In concreto però, l’accordo è considerato un fallimento da autorevoli ONG come Human Rights Watch, dato che il Tatmadaw continua a reprimere violentemente l’opposizione e a condurre le operazioni di pulizia etnica contro le minoranze del Paese. La posizione collettiva dell’organizzazione è stata ulteriormente minata dalla Thailandia. Bangkok ha avviato un dialogo parallelo con i militari birmani, soprannominato Track 1.5, a cui la maggioranza dei Paesi ASEAN non partecipa, con l’eccezione di Laos, Vietnam e Cambogia. Una mossa che ha irritato la Presidenza di turno indonesiana.

Giacarta ha preteso che la gestione del dossier Myanmar fosse affidata a una troika composta dalla presidenza uscente, da quella incipiente e dalla successiva, quindi da se stessa, Laos e Malesia, rispettivamente. Singapore, esclusa dalla troika, si è affrettata a ricordare che si tratta di un meccanismo informale che non deve sostituire gli organi ASEAN. La vicenda dimostra quanto la questione birmana stia mettendo a dura prova l’ASEAN sul piano politico e istituzionale: le divisioni tra i membri rendono difficile elaborare una strategia comune e l’efficacia dell’organizzazione dipende molto dalla posizione del Paese che detiene la presidenza di turno. Negli spazi lasciati liberi dall’ASEAN si inseriscono gli altri attori regionali, come Cina e Giappone, che stanno partecipando al Track 1.5. Il Laos ha legami stretti con entrambi – abbiamo già menzionato Pechino, ma anche Tokyo è un partner essenziale sia per investimenti che per cooperazione allo sviluppo – e ha la necessità di mantenere buoni rapporti con chiunque sia al potere a Yangon. Entrambi i Paesi devono affrontare la criminalità organizzata, molto forte lungo il confine tra la provincia lao del Bokeo e lo Stato Shan birmano.

In attesa di iniziare ufficialmente il suo mandato, Vientiane ha indicato i suoi obiettivi, riassunti nel titolo “Rafforzare connettività e resilienza”. Il primo ministro Sonexay Siphandone ha declinato la resilienza in una dimensione politica, ossia la “costruzione di un’architettura per la pace, la stabilità e lo sviluppo nella regione” basata sul potenziamento dell’ASEAN e delle sue relazioni esterne. La connettività poi è un tema caro al Laos, visto che si tratta dell’unico membro dell’Organizzazione senza uno sbocco sul mare (la principale via di comunicazione naturale è il fiume Mekong) e che le esportazioni sono una voce importante dell’economia nazionale. Oltre ai prodotti agricoli e tessili, il Paese esporta verso i suoi vicini soprattutto minerali, come rame e oro, ed energia elettrica, prodotta prevalentemente da fonti rinnovabili come i corsi d’acqua e il vento. Vientiane intende promuovere la neutralità carbonica durante la sua presidenza e ha le credenziali giuste per farlo, anche se alcuni osservatori sollevano dubbi sul fatto che l’energia idroelettrica nazionale sia ad impatto ambientale zero, a causa dei metodi di costruzione delle dighe, molto invasive rispetto agli ecosistemi fluviali. Per il Governo lao, dotato di modeste risorse, un’opportunità nasconde spesso anche una sfida non facile da affrontare.Il Paese non ha avuto infatti la stessa fortuna di altri suoi vicini. Nonostante il Laos abbia sempre imitato le politiche dei vicini vietnamiti, per esempio liberalizzando a sua volta l’economia quando ad Hanoi iniziava il Doi Moi, i risultati economici non sono comparabili. Anche la portata della sua politica estera è meno ambiziosa rispetto alle altre cancellerie ASEAN, limitata alla regione e a pochi senior partner come Cina, Giappone e Russia. La presidenza ASEAN potrebbe costituire un’opportunità di apertura internazionale per il Laos, a patto che smentisca i dubbi sul fatto di essere un proxy di Pechino nell’organizzazione, dubbi erano stati già sollevati in occasione del suo precedente mandato nel 2016. L’Unione Europea potrebbe cogliere l’occasione per offrire la sua cooperazione a Vientiane e avviare un dialogo su Myanmar, rispetto dei diritti umani e scambi commerciali. Rompere l’isolamento diplomatico ed economico della “Terra da un milione di elefanti” potrebbe aiutare il Laos ad essere più autonomo da Pechino.

Il nuovo treno tra Laos e Cina

Con la linea ad alta velocità tra Kunming e Vientiane inizia un più ampio progetto di collegamento tra la Repubblica Popolare e il Sud-Est asiatico

Di Lorenzo Riccardi, Managing Partner RsA Asia

Ad aprile 2023 è stato inaugurato il primo treno passeggeri ad alta velocità tra la Cina e il Sud-Est asiatico, che collega la città di Kunming, capoluogo della provincia cinese dello Yunnan, e Vientiane, capitale del Laos. Il viaggio ha una durata di circa dieci ore e percorre 1.035 chilometri.

La ferrovia è un progetto che fa parte dell’iniziativa Belt and Road, ha avuto un costo di 6 miliardi di dollari, ed è entrata in funzione nel dicembre 2021 limitatamente al transito di merci transfrontaliero e nell’aprile 2023 per il trasporto passeggeri. La rete ad alta velocità ha l’obiettivo di promuovere il movimento di persone e beni tra la Cina meridionale ed il Sudest asiatico, facilitando il commercio e la logistica nella regione.

Questo progetto ha un valore storico e segue le iniziative di collegamento della regione che in passato videro anche i paesi europei protagonisti, infatti, ad inizio ‘900 fu realizzata una ferrovia che collegava la città di Yunnanfu, nella provincia cinese dello Yunnan, ad Hanoi in gran parte realizzata da aziende, operai, e tecnici italiani.

La nuova ferrovia Kunming-Vientiane permetterà di aumentare gli scambi e gli investimenti a livello bilaterale e regionale con nuovi posti di lavoro nell’area e la ripresa del settore turistico, anche grazie al nuovo flusso di viaggiatori cinesi. La Banca Mondiale stima che il prodotto interno lordo del Laos aumenterà del 21% a seguito della costruzione della ferrovia.

Nel primo quadrimestre del 2023 la regione ASEAN si è confermata primo partner commerciale di Pechino con un interscambio pari a 304,6 miliardi di dollari, di cui 185,2 miliardi di dollari in esportazioni verso l’ASEAN e 119,5 miliardi di dollari di importazioni in Cina. Rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, è stato registrato un incremento nel volume di trade aggregato del 6 per cento e nell’export dalla Cina ai paesi del Sudest asiatico pari al 15 per cento.

Questo è il primo segmento di un progetto più grande che porterà a collegare con 5.500 chilometri di rete ad alta velocità Pechino con Singapore attraverso Laos, Thailandia, Malesia e collegando le capitali Vientiane, Bangkok, Kuala Lumpur e Singapore per promuovere la logistica della regione, il commercio e il turismo.

Laos e Vietnam puntano sull’energia eolica

I Paesi dell’ASEAN stanno facendo progressi nel loro impegno verso le energie rinnovabili. In questa strategia l’energia eolica sta diventando sempre più importante.

Secondo un rapporto del Southeast Asia Energy Outlook 2022, negli ultimi vent’anni la domanda di energia nel Sud-Est asiatico è aumentata in media del 3% all’anno. Si prevede che questa tendenza continui fino al 2030. Sebbene la pandemia di Covid-19 abbia rallentato lo sviluppo economico della regione, il rapporto prevede che il PIL della regione crescerà in media del 5% all’anno fino al 2030, per poi scendere a una media del 3% fino al 2050. L’energia svolge un ruolo fondamentale in questa crescita economica. Dalla metà degli anni Novanta, la regione ha fatto grande affidamento sulle importazioni di petrolio dal Medio Oriente e dall’Africa. Se le politiche attuali rimarranno invariate, le importazioni di petrolio aumenteranno. Tuttavia, le recenti impennate dei prezzi e la crisi ucraina potrebbero avere un impatto a lungo termine sull’utilizzo del gas naturale nella regione, influenzando la percezione pubblica dell’accessibilità economica e l’atteggiamento dei governi nei confronti degli investimenti in infrastrutture per l’importazione di gas.

In questo contesto, i Paesi dell’ASEAN stanno facendo progressi verso il loro impegno per le energie rinnovabili. Infatti, nel 2020/2021, hanno aggiornato i loro obiettivi NDC e hanno piani per raggiungerli entro anni specifici. Ad esempio, la Thailandia mira a ridurre le emissioni di gas serra del 20-25%, mentre l’Indonesia punta a una riduzione del 29-41% entro il 2030. Altri Paesi hanno fissato i loro obiettivi e attuato strategie per raggiungerli. Durante la COP26, 8 dei 10 Paesi dell’ASEAN hanno annunciato la loro volontà di raggiungere obiettivi netti zero, il primo entro il 2050 e il secondo entro il 2065. Per raggiungere questi obiettivi, i governi dell’ASEAN stanno diversificando le risorse energetiche rinnovabili. Tra queste, l’energia eolica sta diventando sempre più importante.

Prima del COVID-19, si prevedeva che la domanda di elettricità in Vietnam sarebbe aumentata del 10% all’anno. Secondo le previsioni, entro il 2050 la domanda dovrebbe quintuplicare il livello attuale. Pertanto, è essenziale diversificare le tecnologie per le energie rinnovabili e impegnarsi con i partner e i governi locali. Al momento, in Vietnam, il governo sta dando priorità all’energia eolica rispetto a quella solare. Con una linea costiera di oltre 3.000 km, l’energia eolica offshore offre eccellenti opportunità. Il Vietnam ha un potenziale tecnico di 599 GW, superiore a quello di altri Paesi del Sud-Est asiatico. Il governo ha intrapreso azioni tempestive per stimolare la crescita dell’energia eolica, aggiornando i meccanismi di sostegno e introducendo un modello di partnership pubblico-privato. L’impegno del Vietnam per la decarbonizzazione è promettente e l’energia eolica ha un immenso potenziale di crescita. 

Tuttavia, per il momento la capacità di generazione del Vietnam non è in grado di soddisfare il suo fabbisogno energetico e l’obiettivo di emissioni nette zero entro il 2050. Vietnam e Thailandia hanno infatti fissato l’obiettivo di raggiungere l’azzeramento delle emissioni di gas serra entro il 2050. Il Laos sta cercando di capitalizzare questa domanda. La crescente domanda di energia rinnovabile nei Paesi limitrofi ha spinto il Laos ad adottare una strategia di investimento nell’energia eolica. Il Laos esporta circa l’80% dell’elettricità verso i vicini Thailandia e Vietnam, contribuendo al 30% del valore delle esportazioni. Inoltre, il Paese sta costruendo infrastrutture di trasmissione per fornire energia anche alla Cambogia. 

Il Laos, un importante esportatore di energia idroelettrica in Asia, sta infatti diversificando il proprio portafoglio energetico con l’ingresso nell’energia eolica per ridurre la propria dipendenza dalle risorse idriche. In questo contesto, il Laos sta compiendo uno sforzo significativo per ridurre la sua dipendenza dall’energia idroelettrica per la produzione di elettricità. Sebbene l’energia idroelettrica rappresenti attualmente il 70% della produzione totale di elettricità del Paese, le preoccupazioni per questa dipendenza hanno spinto il Laos a passare alla produzione di energia eolica. Questo spostamento è dovuto a un paio di ragioni. In primo luogo, la produzione di energia idroelettrica del Laos di solito diminuisce durante la stagione secca. In secondo luogo, il controllo della Cina sui fiumi a monte comporta il rischio di improvvisi cambiamenti nei livelli dell’acqua, che rappresentano una minaccia per l’agricoltura e la pesca. Inoltre, nel 2018 è scoppiata una diga idroelettrica costruita da società sudcoreane e thailandesi nella provincia di Attapeu, nel Laos sudorientale, causando almeno 71 morti e oltre 6.000 senzatetto. Oggi la generazione di energia eolica è diventata un’opzione promettente per il Laos. I parchi eolici sono più efficienti dei pannelli solari, poiché le turbine possono funzionare quasi giorno e notte. 

Il Paese sta attualmente costruendo un parco eolico nella regione montuosa poco popolata del Laos sud-orientale, che dovrebbe entrare in funzione nel 2025. Il progetto coinvolge diverse società, tra cui Mitsubishi Group (Giappone) e BCPG Renewable Energy Company (Bangchak, Thai Energy Group). Fornirà elettricità al Vietnam per un periodo di 25 anni. Il parco eolico Monsoon occuperà un’area estesa di 70000 ettari e comprenderà 133 turbine eoliche, diventando così uno dei più grandi parchi eolici onshore del sud-est asiatico, con una capacità di generazione di 600 megawatt. La politica energetica del Laos è orientata all’esportazione e il Paese ha già pianificato progetti eolici simili.

Il Laos e i milioni di ordigni inesplosi

Gli ordigni inesplosi (UXO) sono una delle realtà del Laos e, nonostante la popolazione abbia trovato soluzioni per adattarsi alla situazione, gli UXO restano un problema di difficile risoluzione per il Paese

Il Laos detiene uno dei più critici primati del mondo: è il Paese con il maggior numero pro capite di ordigni inesplosi (UXO) avendo circa 80 milioni di UXO ancora sparsi sul territorio nazionale. Secondo il Ministero degli Esteri giapponese, più di due milioni di tonnellate  di bombe sono state sganciate sul Laos durante gli intensi raid aerei nel periodo della guerra in Vietnam. Per la precisione, si stima che tra il 1964 e il 1973 l’aviazione militare statunitense abbia sganciato 270 milioni di bombe a grappolo sul Laos. L’obiettivo degli americani era quello di impedire agli alleati dei comunisti vietnamiti di vincere la guerra civile nel Laos e di bloccare i rifornimenti provenienti dal Laos e diretti verso il Vietnam. Secondo alcune stime, in Laos per nove anni di fila, ci sono stati bombardamenti ogni otto minuti, 24 ore su 24. 

Di queste bombe circa il 30% è ancora inesploso rappresentando un grave pericolo per i cittadini del Laos. Infatti, nel paese, le vittime di questi ordigni inesplosi sono numerose ogni anno. Anche se il governo ha iniziato a tener nota delle morti causate dalle UXO solo dal 2008, il sito “Legacies of war” stima che nel Laos dalla fine della guerra, più di 20mila persone siano rimaste uccise o ferite dagli ordigni inesplosi. Molte volte le UXO esplodono perché vengono dissotterrate accidentalmente da contadini che coltivano i campi oppure in occasioni di normali momenti di vita quotidiana, come per esempio cucinando all’aperto nelle vicinanze di un ordigno.

Circa il 40% delle vittime degli UXO, tra l’altro, risultano essere bambini. Per esempio, nel 2021 un ordigno inesploso ferì Soupha, un bambino di 9 anni, e uccise due suoi amici. I bambini avevano iniziato a giocare con l’ordigno credendo fosse un pallone. Difatti, ciascuna bomba a grappolo infatti è usualmente composta da 200 sotto-munizioni. Questo implica che molte volte questi ordigni inesplosi hanno le dimensioni modeste di una pallina di tennis e per questo possono sembrare innocui, soprattutto agli occhi dei bambini. 

Anche nei centri urbani i cittadini del Laos sono abituati a fare i conti con gli ordigni inesplosi. Per esempio, pochi giorni dopo l’inizio del 2023, alcuni specialisti dell’esercito laotiano hanno individuato ordigni inesplosi (UXO) nel centro della città settentrionale di Kasi. La squadra di artificieri ha dovuto isolare tutta la zona circostante per rimuovere la bomba a grappolo ritrovata. 

La popolazione, quindi, ha dovuto imparare a convivere con queste bombe e mine inesplose, cercando in alcuni casi anche di trarne vantaggio. Per esempio, alcuni come Kommaly Chanthavong, fondatrice di una cooperativa che produce seta, hanno cercato di insegnare ai propri connazionali come disinnescare le bombe per coltivare in sicurezza i campi e piantare il gelso per nutrire i bachi da seta. Altri, usano questi ordigni inesplosi come se fossero una materia prima. La lok Phengparkdee, un ragazzo di 23 anni, raccoglie bombe inesplose (UXO) e ne ricava cucchiai. Il ragazzo rivela che questo strano mestiere gli è stato insegnato dal padre, che fin dal 1978 aveva iniziato a disinnescare e raccogliere bombe per trasformarle in cucchiai. In questo contesto si inserisce anche un’associazione italiana: la “No war factory”. Questa associazione acquista direttamente gioielli artigianali prodotti attraverso scarti bellici da alcune famiglie del Laos. Una volta che questi gioielli vengono importati in Italia in alcuni casi sono arricchiti di pietre e poi venduti. In questo modo l’associazione aiuta l’economia laotiana donando una parte dei profitti all’associazione MAG (Mines Advisory Group), che si occupa della rimozione degli ordigni nel Laos, sin dal 1994. 

Purtroppo, nonostante gli sforzi che la popolazione ha fatto negli anni per adattarsi a questa situazione, gli ordigni inesplosi restano un problema di difficile risoluzione per uno dei paesi più poveri del mondo in cui le persone spesso vivono con meno di 1,25 dollari al giorno. Infatti, il 70% della popolazione vive nelle aree rurali dove molte volte intere aree importanti per la coltivazione sono rese inutilizzabili dalla presenza di decine di milioni di bombe inesplose. Inoltre, nonostante l’assistenza di Paesi come Giappone, Stati Uniti ed altri, il governo non ha abbastanza introiti per dar vita a una continua ed efficace campagna di rimozione delle UXO.

Laos, la crisi opportunità per le riforme

Aumentano debito pubblico e inflazione, ma secondo diversi analisti i problemi attuali dell’economia laotiana possono diventare una spinta per il futuro

Articolo di Ilaria Zolia

Il Laos è stato colpito duramente dagli effetti della pandemia ma anche dalla crisi alimentare e inflazionistica. Con l’aumento dei prezzi del carburante causato, in parte, dal deprezzamento del Kip, numerosi contadini hanno abbandonato le campagne e si sono recati all’estero in cerca di lavoro. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, circa il 20% dei contadini laotiani non può permettersi di piantare riso a causa degli aumenti. I recenti risultati economici del Laos descrivono questa realtà. Il debito pubblico è passato da circa il 70% del PIL nel 2019, all’88% nel 2021, secondo i dati del governo laotiano. Anche l’inflazione è aumentata, passando da meno del 2% nel febbraio 2021 (su base annua) al 30% nell’agosto 2022, minacciando il tenore di vita soprattutto delle famiglie urbane a basso reddito. L’energia idroelettrica e l’industria mineraria si sono invece espanse rapidamente, diventando settori dominanti. Gli investimenti per espandere questi due settori sono stati finanziati con prestiti esterni, ma questi progetti non hanno ancora prodotto entrate a causa dei lunghi periodi di gestazione. Tuttavia, secondo alcuni analisti la crisi può rappresentare un punto di partenza per l’implementazione di importanti riforme di sviluppo. Questa svolta potrebbe avvenire attraverso riforme sulla riduzione del debito pubblico e miglioramenti riguardo la gestione della spesa pubblica, le quali garantirebbero un aumento delle entrate. Secondo Nikkei Asia, il Paese dovrà saper sfruttare al meglio le risorse di cui già possiede, quali il suo capitale naturale e i suoi giovani cittadini. Sarebbe dunque importante per il Laos investire sulla propria popolazione, aumentando la spesa per la salute e l’istruzione al fine di creare nuova forza lavoro, conclude Nikkei. L’economia laotiana presenta comunque buone potenzialità per poter intraprendere un percorso di riforme. Non va dimenticato infatti che con un tasso di crescita del prodotto interno lordo del 7% per oltre due decenni, il Laos è stata una delle economie in più rapida espansione del Sud-Est asiatico per oltre due decenni fino al 2019.  

Il Laos e la Cina sono sempre più uniti

Se da una parte il Laos sorride per gli investimenti fatti da Pechino nel Paese, Vientiane deve fare attenzione ai debiti.

Sono passati esattamente sessant’anni dall’inizio delle relazioni diplomatiche tra Laos e Cina e i due Paesi sono sempre più uniti: Pechino è attualmente l’investitore estero più importante per il Laos con quasi 800 progetti in corso tra cui autostrade, infrastrutture e ferrovie ad alta velocità da completare per migliorare la connettività dello Stato del Sud-Est asiatico. La crescita degli investimenti cinesi nel Paese è stata vertiginosa: mentre nel 2003 corrispondevano a meno del 2%, nel 2018 questi erano cresciuti fino al 79% degli investimenti diretti esteri totali in Laos.

Anche il commercio tra i due Paesi ha visto un forte incremento negli ultimi anni: basta pensare che nel 2019, rispetto all’anno precedente, gli scambi commerciali tra Pechino e Vientiane sono aumentati del 17%. Un ruolo fondamentale nell’incremento dei rapporti economici tra Cina e Laos è ricoperto dal programma della Belt and Road Initiative (BRI), la Nuova Via della Seta. Il Laos riveste per la Cina un ruolo strategico per permetterle un accesso diretto e più rapido verso i Paesi del Sud-Est asiatico, in primis per veicolare i propri prodotti in Thailandia; per tali ragioni, Pechino sta investendo nella costruzione di ferrovie ad alta velocità per permettere una maggiore e più rapida connettività tra lo Yunnan e Vientiane.


Al momento sono tre i progetti più importanti per quanto riguarda la costruzione di ferrovie ad alta velocità di matrice cinese: il tratto Boten – Bokeo di circa 180 chilometri, quello Vientiane – Pakse e la ferrovia che connetterà Boten e Vientiane, il progetto più ambizioso e parte del piano della Nuova Via della Seta.
Mentre la ferrovia Vientiane – Pakse permetterà maggiore connettività con il sud del Paese, consentendo di raggiungere Pakse in sette ore rispetto alle dieci ore che occorrono attualmente , il progetto Boten-Bokeo ricopre particolare importanza perché permetterebbe a Pechino di avere un accesso rapido con il confine nord della Thailandia, in modo da trasportare più rapidamente i propri prodotti diretti a Bangkok. Il tratto ferroviario tra Boten e Vientiane è costato sei miliardi di dollari ed è il progetto più costoso mai costruito in Laos. Sarà lungo oltre 400 chilometri, andando ad unirsi a un ulteriore segmento ferroviario già presente in Cina e che connette la capitale laotiana con Kunming, capoluogo della provincia dello Yunnan. Tale progetto non solo permetterà un più rapido passaggio di prodotti destinati al mercato laotiano, ma darà modo di aumentare il numero di turisti provenienti dalla Cina, come già era accaduto in passato quando Boten era stata soprannominata la “Golden City” per la presenza di numerosi casinò che attiravano turisti cinesi e thailandesi.


L’interesse di Pechino per gli investimenti in Laos ha fatto si che oggi il rapporto tra i due Paesi sia sempre più roseo non solo dal punto di vista commerciale ma anche da quello politico. Vientiane è sempre più legata a Pechino, tanto da riconoscerne e appoggiarne le scelte politiche (non è un caso che lo scorso anno ha sostenuto in sede ONU insieme ad altri 52 Paesi la legge sulla sicurezza nazionale implementata da Pechino ad Hong Kong). Un ulteriore segnale di vicinanza tra Vientiane e Pechino è arrivato questa primavera con l’elezione di Khemmani Pholsena, ex Ministro del Commercio del Laos e amico d’infanzia del leader Xi Jinping, al ruolo di consigliere del Presidente Thongloun Sisoulith .
Ma quello che sembra essere un rapporto ormai consolidato e volto ad incrementare l’economia di uno dei Paesi più poveri al mondo (con la crisi pandemica, tra l’altro, il tasso di disoccupazione del Paese è arrivato al 25%) potrebbe però nascondere un’insidia: la cosiddetta trappola del debito. I debiti del Laos nei confronti della Cina corrispondono ad oltre 400 milioni di dollari mentre l’ammontare totale dei debiti del Paese corrisponde ad oltre il 60% del PIL: qualora Vientiane si trovasse in una situazione di insolvenza, potrebbe diventare una pedina per Pechino che avrebbe il diritto di rifarsi sul piccolo Stato ottenendo il controllo di alcune infrastrutture del Paese, come già rischia di accadere altrove.

La sostenibile indipendenza del Laos

Siccità e cassa costringono il Paese del ‘Milione di Elefanti’ a rivedere la propria strategia di sviluppo

La Repubblica Popolare Democratica del Laos è l’unico tra gli stati membri dell’ASEAN a non avere uno sbocco sul mare: il piccolo Paese montuoso, infatti, confina a nord con la Cina ed il Myanmar, ad est con il Vietnam, a sud con la Cambogia e ad ovest con la Thailandia. Tale condizione peculiare, che ha ristretto l’accesso del Paese alle principali rotte commerciali marittime e ridotto la sua attrattività per gli investitori stranieri, ha però conferito alla Repubblica Popolare una certa centralità strategica. Non a caso, le grandi potenze considerano il Laos, erede dell’antico Regno di Lan Xang, il ‘Milione di Elefanti’, uno stato cruciale nella “battaglia per i cuori e le menti” del Sud-Est Asiatico.

Tali affermazioni trovano riscontro nella travagliata storia del Laos, che, in molte occasioni, ha visto la propria sovranità messa in discussione dall’intervento di paesi vicini e lontani. In seguito alla dissoluzione del Regno in piccoli principati vassalli di Siam (Thailandia) e Birmania (Myanmar), il Paese è stato riunificato come protettorato francese alla fine dell’800. L’indipendenza faticosamente raggiunta nel 1953 è stata però compromessa dallo scoppio della guerra in Vietnam. Il Tra il 1959 ed il 1975, il Regno del Laos è stato teatro di una sanguinosa guerra per procura tra gli Stati Uniti ed il Vietnam del Nord, che si è conclusa con la vittoria dei comunisti laotiani e la creazione della Repubblica Popolare.

I primi anni del Laos indipendente sono stati fortemente caratterizzati dalla ‘relazione speciale’ con il Vietnam unito, suggellata dal ventennale Trattato di Amicizia e Cooperazione del 1977. Soltanto la fine della guerra fredda e la dissoluzione dell’Unione Sovietica hanno permesso al Laos di rompere l’isolamento economico e diplomatico e di riprendere i legami con gli altri paesi confinanti. Il primo Ponte dell’Amicizia Thai-Lao, inaugurato nel 1994 grazie a finanziamenti australiani, ben documenta il cambio di passo. 

Il fiume Mekong, la ‘madre delle acque’ più importante del sudest asiatico, ha giocato un ruolo cruciale nel rilancio dell’economia laotiana e nel suo re-inserimento all’interno dell’ecosistema ASEAN, a cui il Laos ha aderito nel 1997. Tra il 1994 e il 2019, il PIL del Paese è cresciuto in media del 7% annuo, attraverso lo sfruttamento delle ingenti risorse minerarie e l’apertura di alcune rotte commerciali con i paesi vicini. Il governo laotiano ha investito molto sullo sviluppo del settore idroelettrico, costruendo decine di dighe lungo il Mekong ed i suoi affluenti con l’obiettivo di esportare energia ai paesi vicini e diventare così la nuova “Batteria dell’Asia”.

L’iniziale avversione degli stati a valle, in particolare il Vietnam, preoccupato anche dal ruolo della Cina, il principale sostenitore del progetto, è stata sorpassata dagli interessi privati dei singoli attori. La Thailandia, ad esempio, è il principale consumatore dei 6457 MW di energia prodotta per l’esportazione nelle centrali idroelettriche laotiane: ai 63 impianti già operativi se ne dovrebbero aggiungere 37, alla cui costruzione parteciperanno anche importanti aziende vietnamiti (mentre il Vietnam stesso sarebbe il secondo destinatario dell’export laotiano!). Negli ultimi anni però numerose organizzazioni internazionali si sono aggiunte ad organizzazioni ambientaliste e comitati locali, per evidenziare i limiti di un modello di crescita basato sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali. 

L’Asian Development Bank, ad esempio, ha messo in evidenza i limiti strutturali del settore energetico, che offre un numero limitato di posti di lavoro e manca di connessioni con il resto dell’economia. Circa il 75% della forza lavoro laotiana, infatti, è occupato nell’agricoltura, il settore più colpito dalla siccità che anche quest’anno, per l’effetto combinato delle dighe cinesi e laotiane e del cambiamento climatico, hanno messo in ginocchio le economie del basso Mekong. La crisi globale del Covid-19, che ha azzerato gli introiti di un settore turistico in rapida ascesa e diminuito notevolmente l’importo delle rimesse estere, ha contributo alla diminuzione delle entrate fiscali e al calo delle riserve in moneta estera. La scelta dell’agenzia Fitch di declassare ulteriormente il rating del Laos, da B- a CCC, mette in mostra la preoccupazione dei creditori internazionali riguardo alla capacità del Paese di ripagare i propri debiti (evitando di cadere nella cosiddetta ‘trappola del debito’).

Lo stesso governo laotiano aveva indicato, all’interno dell’VIII Piano Nazionale di Sviluppo Socio-Economico 2016-2020, la necessità di creare un’agenda ‘verde’ che garantisca al Paese uno sviluppo sostenibile ed inclusivo. La volontà politica, però, da sola non basta: servono istituzioni all’altezza, infrastrutture all’avanguardia e, ovviamente, investimenti adeguati. Significativamente, nella proposta per il prossimo piano quinquennale 2021-2025, che dovrebbe sancire finalmente l’uscita del Laos dal gruppo dei Paesi Meno Sviluppati, il Ministero della Pianificazione e degli Investimenti ha aggiunto un elemento che prima mancava: il rafforzamento della cooperazione internazionale. Tra le righe, il governo sembrerebbe dare ragione a Kishore Mahbubani, che anni fa scriveva: “la cosa più saggia che il Laos possa fare per proteggere la propria indipendenza (…) è divenire uno dei campioni dell’ASEAN”.

Articolo a cura di Francesco Brusaporco

La nuova ferrovia Cina-Laos

La fine dei lavori, prevista per Dicembre 2021, apporterà cambiamenti significativi al commercio nel Sud-Est asiatico.

Il progetto sembra inserirsi perfettamente nel quadro della strategia del governo laotiano di trasformare il Laos da Paese privo di sbocchi sul mare in fulcro dei collegamenti terrestri. La ferrovia, la più lunga in Asia al di fuori del territorio cinese, collegherà via terra la Cina alla Thailandia attraverso il Laos: il tragitto si snoderà da Boten (cittadina di confine tra la provincia cinese dello Yunnan e il nord del Laos) fino alla capitale Vientiane (al confine tra Laos e Thailandia), per un totale di 414 km. I lavori di costruzione sono cominciati a fine 2016, e nonostante i rallentamenti inevitabili dovuti al COVID-19, le operazioni sono ripartite dopo un fermo di appena 23 giorni, lasciando invariata la fine prevista inizialmente per i lavori.

Sia per la Cina che per l’intero Sud-Est asiatico, i vantaggi economici e geopolitici della nuova ferrovia saranno considerevoli. Per la priva volta nella storia lo Yunnan, già regione cruciale per i collegamenti tra Cina e ASEAN, sarà collegato via terra direttamente alla Thailandia. La ferrovia permetterà l’arrivo dei prodotti cinesi sul mercato non solo nei Paesi direttamente coinvolti, ma anche in Malesia e a Singapore, senza più dipendere dal trasporto aereo o da lunghe e costose rotte navali. Un’opzione logistica senza precedenti per la Cina, che sarà in grado di espandersi più a sud e a ovest di quanto mai stato possibile fino ad ora. Il progetto, parte della Belt and Road Initiative, non si intende dedito esclusivamente allo scambio di merci e persone, ma anche come un importante supporto sanitario per Paesi in via di sviluppo. La cooperazione nel settore sanitario, possibile attraverso la nuova infrastruttura e il progetto della China’s Health Silk Road, offrirebbe aiuto sostanziale ai Paesi ASEAN più colpiti dalla pandemia e dalla mancanza di strutture sanitarie adeguate.

Secondo le stime della Banca Mondiale, se accompagnata da riforme importanti, la ferrovia potrebbe dare una svolta positiva all’economia del Laos. L’elezione di nuovi leader e un cambiamento dell’attuale politburo, previsti per l’anno prossimo durante il Congresso Nazionale del Partito Rivoluzionario del Popolo Lao, potrebbero rappresentare il giusto stimolo per approvare tali riforme.

Da nuove infrastrutture deriva necessariamente una nuova tipologia di traffico, che sia essa di merci o passeggeri in arrivo o semplicemente in transito. È un momento da non perdere per le industrie laotiane: se saranno in grado di sfruttarlo, potranno creare un nuovo corridoio economico secondo una pianificazione logistica di alta qualità. In un altro report della Banca Mondiale infatti, viene attribuito un buon punteggio al Laos nella sezione “facilità degli scambi tra frontiere”. Con il giusto approccio strategico, da parte del settore pubblico e privato, diversi esperti ritengono che la ferrovia possa costituire un incentivo importante per diversificare l’economia del Laos, rimasta troppo a lungo dipendente da un numero esiguo di settori commerciali.

 

 

Articolo a cura di Valentina Beomonte Zobel.