Global Lens

L’ASEAN e il possibile Trump bis

Pubblichiamo qui lo stralcio di un’analisi di Joshua Kurlantzick per il Council on Foreign Relations

Dopo il dibattito per le elezioni presidenziali degli Stati Uniti, anche nei Paesi del Sud-Est asiatico ci si inizia a interrogare sul possibile significato di un eventuale ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Negli ultimi anni, con l’eccezione delle Filippine sotto Ferdinand Marcos Jr., che sostanzialmente si è schierato con gli Stati Uniti, i Paesi dell’area ASEAN hanno tentato di mantenere il loro tradizionale approccio multipolare tra le due grandi potenze. Lo dimostrano benissimo le azioni, sempre basate sul principio della neutralità, di Indonesia e Vietnam. Ma una seconda amministrazione Trump potrebbe aumentare le tensioni tra Stati Uniti e Cina al punto che anche i Paesi del Sud-Est asiatico, da tempo abili nel trovare un equilibrio, potrebbero avere difficoltà a evitare di schierarsi. È improbabile che una seconda amministrazione Trump si concentri molto sulla regione. Nel suo primo mandato, Trump ha stretto legami personali con alcuni leader del Sud-Est asiatico, come l’ex Presidente filippino Rodrigo Duterte. In generale, tuttavia, Trump ha attribuito alla regione una priorità relativamente bassa. Inoltre, il suo approccio protezionistico al commercio era in netto contrasto con l’integrazione economica avvenuta in tutta l’Asia orientale. In questo vuoto, invece, sono state le grandi potenze come il Giappone e la Cina a guidare l’economia. Trump ha tenuto molti discorsi nella stagione elettorale 2023-2024 e ha parlato molto della Cina. Ha fatto poche, se non nessuna, menzione di un futuro approccio al Sud-Est asiatico. Oltre a cercare di mantenere saldamente le Filippine nel campo degli Stati Uniti, una seconda amministrazione Trump eserciterebbe probabilmente un’enorme pressione su stati come Indonesia, Malesia, Vietnam, Singapore e forse altri affinché assecondino gli sforzi degli Stati Uniti per spingere le multinazionali, comprese quelle con sede nel Sud-Est asiatico, a lasciare la Cina, spostando le proprie catene di approvvigionamento. Trump, fortemente concentrato sulla convinzione che praticamente tutti i Paesi stranieri commerciano ingiustamente con l’America, potrebbe essere anche meno timido, in un secondo mandato, nell’imporre tariffe sugli stessi stati del Sud-Est asiatico.

Italia-ASEAN: a Manila l’ottavo High Level Dialogue

Torna a novembre l’High Level Dialogue on ASEAN Italy Economic Relations, l’iniziativa che The European House – Ambrosetti e l’Associazione Italia ASEAN realizzano dal 2016

Di Lorenzo Tavazzi, The European House – Ambrosetti

Torna l’appuntamento di riferimento per le relazioni bilaterali tra l’Italia e i Paesi ASEAN: l’High Level Dialogue on ASEAN Italy Economic Relations, l’iniziativa che The European House – Ambrosetti e l’Associazione Italia ASEAN realizzano dal 2016 e che quest’anno giunge all’ottava edizione.

Ogni anno l’High Level Dialogue viene ospitato da un Paese ASEAN: quest’anno si svolgerà a Manila, nelle Filippine, presso il Dusit Thani Hotel, martedì 5 e mercoledì 6 novembre 2024, con il supporto del Governo filippino, attraverso il Ministero del Commercio e dell’Industria (DTI), come co-organizzatore dell’evento.

Il Dialogo, sin dalla prima edizione del 2017 in Indonesia, e nelle successive a Singapore, in Vietnam, in Malesia e in Thailandia, insieme alle due edizioni digitali nel 2020 e 2021, ha riunito oltre 3.500 Presidenti, Amministratori Delegati e leader di Governo e istituzionali dei Paesi ASEAN e dell’Italia. Solo l’edizione 2023, tenutasi a Bangkok, ha visto la partecipazione di oltre 450 delegati di alto profilo.

Quest’anno il Dialogo affronterà una serie di temi prioritari per lo sviluppo delle relazioni Italia-ASEAN con un carattere duplice nelle opportunità di partnership tra le imprese italiane e le controparti del Sud Est Asiatico. Tra questi: la filiera delle materie prime critiche per i settori strategici del futuro, l’intelligenza artificiale e l’innovazione digitale, il ruolo della blue economy per la cooperazione economica, l’evoluzione dell’industria creativa, le opportunità di collaborazioni tecnologiche e industriali in ambito spazio, difesa e produzione high-tech, finanziamenti e servizi a sostegno dello sviluppo di imprese e infrastrutture sostenibili. 

In questo quadro verranno anche approfondite le specificità e le opportunità offerte dalle Filippine con cui nel 2022 l’Italia ha celebrato i 75 anni delle relazioni bilaterali.

La partecipazione all’High Level Dialogue è gratuita e solo su invito. 

Per registrarsi all’evento: Registrazione

Per avere maggiori informazioni sulle edizioni precedenti dell’evento: Sito web dell’High Level Dialogue

Thailandia e Malesia verso l’ingresso nei BRICS

Pubblichiamo qui un estratto di un articolo a firma di Maria Siow pubblicato sul South China Morning Post

La prospettiva che i Paesi del Sud-Est asiatico entrino a far parte dei BRICS ha suscitato un acceso dibattito tra gli analisti: i sostenitori sostengono che l’adesione potrebbe sbloccare lucrose opportunità commerciali e geopolitiche, mentre gli scettici avvertono che rischia di trascinare i Paesi nell’orbita di Cina e Russia e di erodere ulteriormente l’unità regionale. Thailandia e Malesia hanno annunciato nelle scorse settimane che chiederanno l’adesione alla piattaforma, seguendo le orme di Laos e Myanmar, che hanno dichiarato il loro interesse lo scorso anno. Contrariamente ai timori che l’adesione ai BRICS possa erodere l’unità e la centralità dell’ASEAN, diversi analisti asiatici ritengono che l’Associazione abbia la flessibilità e la capacità di resistenza necessarie per mantenere la sua importanza per gli Stati membri. Molti membri dell’ASEAN appartengono anche ad altre organizzazioni come l’Organizzazione della cooperazione islamica, l’Associazione dell’Oceano Indiano e il forum della Cooperazione economica Asia-Pacifico. Altre istituzioni multilaterali a cui i membri dell’Asean appartengono già sono la Banca asiatica di sviluppo, la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale e la Banca asiatica d’investimento per le infrastrutture. “L’adesione ai BRICS darà accesso a una nuova fonte di finanziamento per le numerose esigenze di sviluppo dei Paesi della regione del Sud-Est asiatico”, ha dichiarato Jayant Menon, senior fellow dell’ISEAS-Yusof Ishak Institute di Singapore, riferendosi alla Nuova Banca di Sviluppo istituita nel 2015 dai Paesi BRICS. Anche l’Indonesia e il Vietnam hanno dichiarato che stanno valutando i vantaggi dell’adesione ai BRICS. L’adesione al gruppo delle economie emergenti potrebbe fornire un migliore accesso a mercati lucrativi, un aumento degli investimenti stranieri e opportunità di collaborazione per progetti infrastrutturali. L’adesione ai BRICS può essere vista anche come una mossa strategica per diversificare i partenariati economici e ridurre la dipendenza dalle istituzioni finanziarie guidate dall’Occidente. La mossa, se gestita in modo efficace, potrebbe rafforzare la voce e l’influenza del Sud-Est asiatico negli affari globali. L’Indonesia punta ad aderire anche all’OCSE entro tre anni, come ha ribadito il ministro dell’Economia coordinatore del Paese a maggio, dopo la visita a Giacarta del segretario generale dell’organizzazione, che ha incontrato il Presidente Joko Widodo. Secondo le proiezioni dell’OCSE, il prodotto interno lordo dell’Indonesia raggiungerà i 10.500 miliardi di dollari entro il 2050, diventando una delle maggiori economie insieme a Cina, Stati Uniti e India.

Modi vuole avvicinare India e ASEAN

Tra gli obiettivi del terzo mandato del Premier indiano c’è quello di rafforzare i rapporti col Sud-Est asiatico

Il terzo mandato da Primo Ministro di Narendra Modi può avvicinare India e ASEAN? Se lo chiede un commento di Syed Munir Khasru, pubblicato sul South China Morning Post. La politica indiana “Act East” è pronta per una ricalibrazione. L’impegno economico e strategico di Nuova Delhi con il Sud-Est asiatico ha registrato un’impennata durante i suoi primi due mandati, anche se con alcune carenze che richiedono una correzione di rotta. Modi potrebbe ora dare nuovo vigore a questa politica estera chiave, mentre l’India cerca di stabilire una presenza più forte nell’Indo-Pacifico. Sul fronte economico, i legami commerciali e d’investimento con i Paesi del Sud-Est asiatico hanno ricevuto un notevole impulso, con un’impennata del commercio bilaterale annuale da circa 80 miliardi di dollari nel 2014 a oltre 110 miliardi di dollari entro il 2021-22. Tuttavia, l’accordo commerciale esistente con l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico – l’Area di Libero Scambio Asean-India – è visto come fortemente favorevole alla parte Asean, frustrando l’India. Le esportazioni indiane verso il Sud-Est asiatico hanno registrato un moderato aumento nell’anno finanziario 2023, passando a 44 miliardi di dollari dai 42,3 miliardi dell’anno precedente. Nel frattempo, le importazioni dai Paesi dell’ASEAN sono aumentate a un ritmo più sostenuto, passando da 68 a 87,6 miliardi di dollari, con un conseguente sostanziale deficit commerciale di 43,6 miliardi di dollari per l’India. La necessità di affrontare lo squilibrio commerciale è ancora più urgente se si considera che nel 2011 il deficit commerciale era di soli 5 miliardi di dollari. Ma il governo di Modi non ha colto tutte le opportunità di avvicinamento economico ai Paesi dell’ASEAN a causa della riluttanza a intraprendere riforme di mercato e a liberalizzare le tariffe. Sul fronte strategico, gli sforzi dell’India nell’ambito della politica Act East hanno contribuito a far entrare sette membri dell’Asean nell’Indo-Pacific Economic Framework, un’iniziativa volta a rafforzare la cooperazione economica tra le due regioni. La partecipazione a queste strategie indo-pacifiche complementari consente un maggiore coordinamento dei rispettivi interessi in questa regione strategicamente vitale. Le iniziative che riguardano la connettività, come il progetto di trasporto multimodale Kaladan da 484 milioni di dollari che collega l’India al Myanmar e l’autostrada trilaterale India-Myanmar-Thailandia, sono esempi di ciò che la collaborazione tra ASEAN e India può raggiungere in questo settore.

Armi nucleari in Asia: l’approccio dell’ASEAN

I Paesi del Sud-Est asiatico sono quelli maggiormente attivi e volenterosi a evitare la proliferazione delle armi nucleari nella regione

Di Francesca Leva

A un discorso tenuto alle Nazioni Unite lo scorso marzo, il Segretario Generale Antonio Guterres ha dichiarato che il rischio di una guerra nucleare è al punto più alto dopo decenni e che le armi nucleari stanno crescendo in potenza, gittata ed in modo sempre meno rilevabile. Antonio Guterres ha inoltre aggiunto che “un lancio accidentale è a un solo errore, una sola valutazione errata, un solo atto impulsivo di distanza”.

L’Asia non rappresenta un’eccezione: nell’area le armi nucleari hanno infatti avuto un profondo impatto sulla salute pubblica e sull’ambiente, portando all’evacuazione e allo spostamento di persone e impattando negativamente su sviluppo, educazione, preservazione della cultura e delle tradizioni locali e sulla stabilità economica.

Le armi nucleari arrivarono in Asia nel 1945 con gli eventi tragici a Hiroshima e a Nagasaki. Qualche anno dopo, l’URSS annunciò i suoi programmi per lo sviluppo di armi nucleari: durante la Guerra Fredda, dal 1950 al 1990, il termine MAD – “Mutual Assured Destruction” – venne coniato per descrivere la fase di armamento nucleare in Stati Uniti e in URSS. Avendo riconosciuto la necessità di uno sviluppo pacifico e controllato del nucleare, nel 1957 le Nazioni Unite fondarono l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Nel 1968 adottarono inoltre il Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), stando al quale solo le cinque potenze nucleari dell’epoca – Stati Uniti, Cina, Russia, Regno Unito e Francia – potevano possedere armi nucleari, al contempo impegnandosi a ridurre il proprio arsenale e ad applicare la tecnologia nucleare a scopi pacifici. Tuttavia, plurimi Paesi non firmatari del Trattato cominciarono a sviluppare il proprio arsenale indipendentemente: tra questi India, Pakistan e Israele. Nel 1988 l’India detonò infatti tre bombe vicino al confine con il Pakistan, azione che fu immediatamente seguita dai test nucleari condotti da Islamabad.

Una pattern osservabile è quello per il quale quando un Paese sviluppa delle armi nucleari i suoi vicini inizieranno a sviluppare il proprio arsenale per proteggere i propri confini e per pregio nazionale. Questa dinamica rappresenta un pericolo concreto e attuale in Asia dove Cina, Pakistan, India. Corea del Nord e Federazione Russa sono tutti Paesi dotati di arsenali nucleari.

Una delle aree più soggette a questa dinamica è il cosiddetto “triangolo nucleare”, costituito da Cina, India e Pakistan. In questo caso il rischio è accentuato da competizione regionale, situazioni domestiche instabili e rapidi sviluppi tech. Lo sviluppo della deterrenza nucleare ad ampio spettro adottata dal Pakistan ha infatti portato l’India a sviluppare preventivamente il proprio arsenale. Questo meccanismo è accentuato dalla competizione tra Stati Uniti e Cina: mentre Pechino tenta di sviluppare le proprie testate in risposta agli Stati Uniti, l’India è a sua volta incentivata a massimizzare il proprio arsenale, allontanandosi dalla sua tradizionale politica del “no first use”. La situazione interna in evoluzione del Pakistan, così come l’incremento della competizione tra Islamabad e Nuova Delhi, aumentano ulteriormente il rischio di utilizzo accidentale ed escalation involontaria. 

Un’ ulteriore potenziale area di crisi è costituita da Nord Corea e Sud Corea: in questo caso il rischio non è solo di una guerra tra Seoul e Pyongyang, ma anche che Giappone e Corea del Sud sentano la necessità di sviluppare le proprie armi. Altre possibili aree di tensione si trovano infine nel Mar Cinese Meridionale, dove competizione regionale e priorità nazionali entrano in collisione.

Nel 1995 gli Stati Membri dell’ASEN hanno firmarono il Southeast Asia Nuclear-Weapon-Free Zone Treaty – SEANWFZ, conosciuto anche come Trattato di Bangkok – inizialmente ideato per riaffermare l’ importanza dell’ NPT e per stabilire una a nuclear weapons-free zone (NWFZ). Vi sono al momento cinque NWFZ al mondo che rappresentano un approccio regionale volto alla non -proliferazione e al disarmo nucleare. Nelle aree coperte dai Trattati di Nuclear Free Zone è esplicitamente proibito svolgere attività relative ad acquisizione, possesso, test e utilizzo di armi nucleari. Inoltre, gli Stati che hanno ratificato suddetti trattati stanno attivamente lavorando per istituzionalizzare trattati legalmente vincolanti per assicurare che Paesi dotati di armi nucleari non utilizzino i propri arsenali contro Paesi localizzati entro queste zone.

Vi è stata tuttavia crescente preoccupazione e scetticismo tra i Paesi firmatari dell’NPT, poiché’ le cinque potenze nucleari hanno continuato a sviluppare i propri arsenali, i paesi non firmatari – India, Pakistan e Israele – non sono stati integrati nell’NPT e la Corea del Nord non è stata reintrodotta. Di conseguenza, nel 2017 è stato ideato il Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons (TPNW) a supporto dell’NPT. Il TPNW è stato firmato da tutti i Paesi ASEAN tranne Singapore. Sebbene l’esito di queste misure rimanga incerto, è evidente che la minaccia nucleare rappresenta un rischio inaccettabile per i paesi asiatici, soprattutto considerando il numero, la densità e la vicinanza delle aree urbane e abitate.

La Thailandia chiede l’ingresso nei BRICS

Il governo di Bangkok ha deciso di aderire al sempre più nutrito gruppo guidato dalle economie emergenti

Il Sud-Est asiatico è pronto a fare il suo ingresso ufficiale nei BRICS. Il 28 maggio, il governo thailandese ha approvato la presentazione di una lettera di intenti per l’adesione alla piattaforma multilaterale guidata dalle economie emergenti. Se la richiesta sarà approvata, come tutto lascia intendere, la Thailandia diventerà il primo membro del gruppo proveniente dall’area ASEAN. I BRICS erano inizialmente composti da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, ma a partire dal 1° gennaio 2024 hanno aderito altri cinque Paesi: Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti. La Thailandia è attualmente inserita nella lista dei 15 Paesi che verranno presto presi in considerazione per l’ammissione. La decisione presa da Bangkok dovrebbe accelerare l’iter in vista del prossimo summit, in programma a ottobre a Kazan, Russia. “L’adesione ai BRICS rafforzerà il ruolo della Thailandia come leader tra i Paesi in via di sviluppo”, ha dichiarato Chai Wacharonke, portavoce del governo, in una conferenza stampa organizzata per annunciare il passo formale. La lettera delinea decine di vantaggi per Bangkok nell’adesione ai BRICS, uno dei quali è la possibilità di collaborare con altri Paesi del Sud globale per rafforzare la propria presenza sulla scena mondiale. La Tailandia sta d’altronde cercando di inquadrare le sue mosse di politica estera come parte di un più ampio approccio diplomatico proattivo che enfatizza il coinvolgimento di istituzioni come i BRICS e l’OCSE. Non tanto come un atto di bilanciamento tra grandi potenze, ma per promuovere i propri interessi economici e coltivare legami con una più ampia cerchia di Paesi sviluppati e in via di sviluppo. L’iniziativa thailandese è un segnale interessante perché mostra il dinamismo del cosiddetto “Sud globale”, con i Paesi emergenti impegnati a rafforzare diverse piattaforme multilaterali. Mentre Bangkok ufficializza l’intenzione di entrare nei BRICS, infatti, l’Indonesia fa passi altrettanto decisivi per l’ingresso nell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). L’Indonesia, che già fa parte del G20 in rappresentanza dell’ASEAN, è il primo Paese del Sud-Est asiatico a chiedere formalmente di discutere l’adesione. Nei giorni scorsi, Mathias Cormann, Segretario dell’OCSE, è stato in visita a Giacarta per dare un’accelerata al processo destinato a portare lo status del Paese a quello di una piena adesione. Cormann ha incontrato il Presidente uscente Joko Widodo per discutere i prossimi passi da compiere. Giacarta mira a ottenere la piena adesione entro tre anni.

Nuovi orizzonti di cooperazione tra Italia e Thailandia

Il bilancio della visita a Roma del premier thailandese Srettha Thavisin

Di Alice Freguglia

Il 21 maggio 2024 Palazzo Chigi ha ospitato il Primo Ministro thailandese Srettha Thavisin, in visita alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Infrastrutture, digitalizzazione, energia e promozione del turismo sono stati i temi maggiormente trattati dai due leader, nell’ottica di promuovere i rapporti bilaterali in favore di una maggiore coesione socio politica e con l’obiettivo di garantire il pieno sviluppo di entrambi i Paesi.

Già l’anno scorso, nel 2023, in occasione del 155esimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Italia e Thailandia, le Camere di Commercio di entrambe le nazioni hanno sottoscritto un memorandum di intesa, promosso dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e da Unioncamere, il quale ha rafforzato ulteriormente i legami economici e commerciali, oltre a sottolineare l’importanza della Thailandia come partner. Con una popolazione giovane e in costante crescita, infatti, il territorio thailandese rappresenterebbe davvero un’importante risorsa per l’economia italiana, in grado di offrire notevoli opportunità per le imprese, come sottolineato anche dallo stesso Andrea Prete, Presidente di Unioncamere.

La Thailandia, infatti, in quanto cuore politico dell’ASEAN, rappresenta un punto d’ingresso naturale per le aziende italiane che desiderano accedere ai mercati del Sud-Est asiatico, un’area che, oltre a comprendere più di 600 milioni di persone, possiede un interessante potenziale di mercato. Notevole, infatti, è il volume degli scambi Roma — Bangkok, il quale nel 2023 ha raggiunto un valore di circa 4 miliardi di euro, con un export italiano di 1,9 miliardi e un import di oltre 2,1, rappresentando un mercato alleato e affidabile, fonte di stabilità economica e politica.

“Intendiamo discutere della cooperazione con l’ltalia, che si tratti di commercio e investimenti, agricoltura, moda o energie rinnovabili. Così come di turismo. Infatti, più di 190.000 italiani vengono in Thailandia ogni anno”. Sono queste le parole del leader thailandese, preludio di un incontro successivamente definito ‘soddisfacente’ da parte di Giorgia Meloni, nel quale l’ItaIia ha promosso e rafforzato le sue relazioni internazionali con il partner.

L’ampliamento e il miglioramento degli spostamenti all’interno del territorio, infatti, rappresenta uno degli obiettivi chiave di politica interna per la Thailandia, e quale esempio migliore dal quale prendere ispirazione se non l’ItaIia? Il nostro Paese, infatti, vanta alcune delle aziende di maggiore spicco e riconoscimento mondiale per quanto riguarda qualità e innovazione. Il timbro Made in Italy, infatti, si può apporre su numerosissimi progetti di grande scala, come la rete di alta velocità ferroviaria, ma anche sulla costruzione e gestione di opere civili quali ponti, strade, porti e aeroporti.

Allo stesso modo, anche recenti iniziative come il PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, focalizzato sulla realizzazione di importanti investimenti volti a garantire una maggiore digitalizzazione della pubblica amministrazione e a sostenere le industrie italiane, costituisce un imprinting esemplare per la Thailandia che, a suo modo, con l’implementazione del cosiddetto piano ‘Thailand 4.0’ mira a realizzare un’economia basata sulI’innovazione e la tecnologia.

Anche l’ambiente verrà positivamente influenzato da questo rafforzamento dei rapporti italo-thailandesi. In particolar modo, l’esperienza maturata daII’Italia in merito alle energie rinnovabili rappresenterebbe un significativo ‘know how’ per la Thailandia, la quale potrebbe non solo prendere spunto dalle tecnologie adottate per far fronte all’emergenza del surriscaldamento globale, ma anche contare su preziosi investimenti che gli permetterebbero di sfruttare al massimo il proprio potenziale naturale.

Se c’è qualcosa che accomuna, però, queste due realtà apparentemente distanti è, sicuramente, la bellezza che ogni anno attira milioni e milioni di turisti, amanti sia della pizza che del pad thai. Rafforzare le relazioni commerciali, infatti, sarà in grado di garantire anche un maggiore afflusso di ospiti e visitatori in entrambi i territori, una fonte economica importantissima, soprattutto per due Paesi che dal punto di vista storico, naturalistico e monumentale, hanno molto da offrire agli occhi di chi li guarda con curiosità e desiderio di ampliare i propri orizzonti.

Srettha Thavisin, inoltre, sembrerebbe aver convinto anche Giorgia Meloni riguardo al desiderio di adesione della Thailandia all’interno deIl’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e Io Sviluppo Economico. Fondata nel 1961, l’OCSE rappresenta una piattaforma a disposizione dei governi per discutere e coordinare politiche economiche e sociali. Gli Stati membri collaborano su questioni come la crescita economica, l’occupazione, l’educazione, l’innovazione e il commercio, con l’obiettivo di creare un’economia globale più forte e sostenibile. Entrare a farne parte, quindi, eleverebbe notevolmente lo status del Paese, permettendo alla Thailandia di farsi riconoscere sul piano internazionale e di usufruire di uno scambio di conoscenze socioeconomiche che le permetterebbero di promuovere un migliore dialogo politico e di cooperazione economica.

A tal proposito, inoltre, sembrerebbe che Giorgia Meloni abbia accettato l’invito da parte del Primo Ministro Thavisin di recarsi in Thailandia, significativo passo avanti nella cooperazione bilaterale tra i due Paesi, oltre che conferma dell’impegno italiano nelI’aprire la strada a ulteriori discussioni e collaborazioni su temi strategici.

ASEAN e Taiwan nell’era Lai

L’insediamento del nuovo presidente Lai Ching-te a Taipei e le possibili ripercussioni economiche e politiche nel Sud-Est Asiatico

Di Luca Menghini

Il 20 maggio, Lai Ching-te diventerà ufficialmente il nuovo presidente di Taiwan. Questo evento sarà di grande rilievo non solo per l’isola ma anche per il contesto geopolitico dell’intero Sud-Est asiatico. Taiwan si sta infatti preparando a un cambiamento significativo con l’insediamento del leader del Partito Progressista Democratico (DPP), noto per le sue inclinazioni verso l’indipendenza dell’isola dalla Cina. Lai ha ottenuto il 40,1% dei voti, superando i candidati del Kuomintang (KMT) e del Taiwan People’s Party (TPP). Nonostante la vittoria del DPP, il partito ha perso il controllo dell’assemblea legislativa, costringendo il nuovo presidente a cercare un consenso più ampio che lo porterà a moderare le sue politiche più estreme.

La perdita della maggioranza parlamentare potrebbe essere vista dall’ASEAN come un elemento di stabilità, in quanto potrebbe mitigare le politiche di Lai, riducendo così le tensioni nello Stretto di Taiwan. Questa area è di vitale importanza strategica, essendo un corridoio marittimo cruciale per il commercio globale. L’ASEAN, che tradizionalmente segue una politica di non interferenza e di consenso, ha reagito all’elezione di Lai con cautela. I Paesi membri, posizionati in una regione incrociata da svariate rotte commerciali e sfere di influenza di grandi potenze, cercano di mantenere un equilibrio per evitare conflitti. La stabilità dello stretto è essenziale non solo per la sicurezza regionale ma anche per l’economia globale.

Durante il periodo che ha preceduto le elezioni, le tensioni tra Taiwan e Cina sono cresciute, specialmente durante la presidenza di Tsai Ing-wen, che ha cercato di rafforzare i legami con gli Stati Uniti. La Cina ha risposto aumentando la pressione militare e diplomatica sull’isola, che considera una provincia ribelle da dover riunificare in futuro. Se la reazione dell’ASEAN e della maggioranza dei suoi paesi membri all’elezione di Lai è stata generalmente contenuta, con la maggior parte dei paesi che hanno evitato di prendere posizioni forti pubblicamente, lo stesso non si può dire per il presidente filippino Ferdinand Marcos Jr. Marcos è stato l’unico leader a distaccarsi da questa linea, esprimendo pubblicamente congratulazioni a Lai e riferendosi a lui come presidente, sottolineando la speranza di una collaborazione stretta e il rafforzamento degli interessi reciproci. Questa mossa non è stata vista favorevolmente dalla Cina, che, rivendicando Taiwan come parte del suo territorio, non riconosce a Lai il titolo di presidente. Ancora più critica è stata la reazione della Cina alle congratulazioni estese dagli Stati Uniti attraverso il Segretario di Stato Antony Blinken, accusando il governo statunitense di inviare “un segnale gravemente sbagliato alle forze separatiste per l’indipendenza di Taiwan”.

Sul fronte economico, la politica del Nuovo Corso verso il Sud, avviata dall’ex presidente Tsai Ing-wen a partire dal 2016, ha avuto l’obiettivo di ridurre la dipendenza economica di Taiwan dalla Cina, promuovendo la cooperazione economica con 18 paesi, inclusi i membri dell’ASEAN, sei stati del Sud Asia, l’Australia e la Nuova Zelanda. Questa iniziativa ha cercato di incentivare la cooperazione economica e commerciale, oltre allo scambio di talenti e risorse. Tuttavia, nonostante gli sforzi, le reazioni sono state miste, influenzate anche dalla cautela dei vari governi che cercano di non irritare la Cina. Il ministro degli Affari Economici di Taiwan, Wang Mei-hua, ha indicato come nel 2022 gli investimenti delle aziende taiwanesi nel Sud-Est e nel Sud Asia abbiano superato gli investimenti in Cina, raggiungendo i 5,2 miliardi di dollari. Questo incremento è stato spinto dalle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, ma la vicinanza geopolitica alla Cina continua a rappresentare un ostacolo significativo per un’espansione più libera delle relazioni commerciali di Taiwan.

Adesso, con l’insediamento di Lai, si prevede che l’impegno di Taiwan verso il Sud-Est asiatico continui ad aumentare e anzi si intensifichi ulteriormente, con una particolare attenzione alla cooperazione nell’industria ad alta tecnologia. Tuttavia, la crescente influenza della Cina nella regione rappresenta una sfida imminente. Un sondaggio recente ha evidenziato che la maggior parte dei paesi del Sud-Est asiatico favorisce la Cina rispetto agli Stati Uniti. La complessa situazione richiederà infatti a Lai di bilanciare attentamente la promozione degli interessi economici di Taiwan con la necessità di navigare le sensibilità politiche e diplomatiche del Sud-Est asiatico.

In conclusione, l’insediamento di Lai Ching-te come presidente di Taiwan rappresenta un momento significativo per la politica dell’isola. Confrontato con la perdita della maggioranza parlamentare e le crescenti tensioni con la Cina, Lai dovrà navigare un contesto geopolitico di crescente complessità, cercando di bilanciare le aspirazioni indipendentiste del suo partito con la necessità di mantenere stabilità e rapporti pacifici nella regione. Le sue politiche, in particolare il rafforzamento delle relazioni con i paesi del Sud-Est asiatico e oltre, saranno cruciali per la sicurezza e il progresso economico di Taiwan. In questo delicato equilibrio, la capacità di Lai di attuare una diplomazia efficace e di promuovere una crescita economica sostenibile, pur gestendo le pressioni esterne, definirà il successo del suo mandato e potenzialmente influenzerà l’ordine regionale del Sud-Est asiatico per gli anni a venire.

L’ASEAN vuole evitare una nuova guerra fredda

Pubblichiamo qui uno stralcio di un commento di Alex Lo, pubblicato sul South China Morning Post

La Cina ha detronizzato gli Stati Uniti come partner privilegiato della superpotenza nel Sud-Est asiatico. I risultati emergono dall’ultimo sondaggio annuale condotto su 1.994 politici, giornalisti, uomini d’affari e analisti dei Paesi ASEAN dal think tank con sede a Singapore, l’ASEAN Studies Centre dell’ISEAS-Yusof Ishak Institute. Alla domanda su quale superpotenza si schiererebbero se costretti a farlo, il 50,5% ha scelto la Cina contro il 49,5% che ha scelto gli Stati Uniti. È un margine molto ristretto e rientra nel margine di errore. Quindi, diciamo che è un pareggio. Questo dovrebbe comunque preoccupare Washington, perché l’anno scorso i risultati sono stati 61,1% per gli Stati Uniti e 38,9% per la Cina. Vale la pena sottolineare che si tratta di un sondaggio tra le élite, non tra i cittadini comuni. Quindi, anche se non riflette direttamente i sentimenti popolari, può dire molto sulle reali direzioni politiche dei Paesi interessati. C’è un’altra ovvia conclusione: il Sud-Est asiatico non vuole scegliere da che parte stare, così come l’America Latina e l’Africa. Così, mentre è normale che gli alleati degli Stati Uniti debbano seguire la guida di Washington, il resto del mondo, in particolare il Sud globale, non ritiene che sia nel proprio interesse unirsi alla rivalità tra superpotenze. Anzi, ritengono che possa causare molti danni. Non sorprende che l’ASEAN consideri la disoccupazione e la recessione la preoccupazione più pressante della regione (57,7%). Che piaccia o no, la sua fortuna economica è legata a quella della Cina. Ecco perché la Cina è considerata “la potenza economica (59,5%) e politico-strategica (43,9%) più influente della regione, superando gli Stati Uniti con margini significativi in entrambi i settori”. La Cina, con un punteggio medio di 8,98 su 11,0, è in cima alla classifica in termini di rilevanza strategica per l’ASEAN, seguita da Stati Uniti (8,79) e Giappone (7,48). I partner di minore rilevanza strategica sono: India (5,04), Canada (3,81) e Nuova Zelanda (3,70). Il  sondaggio appare abbastanza indicativo della situazione nell’ASEAN. La regione che l’Associazione rappresenta vuole la sicurezza fornita dagli Stati Uniti, ma diffida delle loro iniziative economiche. Con la Cina è il contrario. Non vuole che la Cina minacci la sua sicurezza, né che gli Stati Uniti minino la sua prosperità faticosamente conquistata, in una nuova guerra fredda. Nessuno vuole essere intrappolato tra due gorilla.

Filippine, cooperazione con USA E Giappone

Joe Biden ospita Fumio Kishida e Ferdinand Marcos Junior per un inedito summit trilaterale. Ecco il significato del rapporto trilaterale per Manila

Di Walter Minutella

Negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno costantemente cercato di approfondire i propri rapporti diplomatici e di sicurezza in Asia. In questo contesto, si svolge giovedì 11 aprile un inedito summit trilaterale fra il Presidente statunitense Joe Biden, il Primo Ministro giapponese Fumio Kishida e il Presidente filippino Ferdinand Marcos Junior. Il vertice offre un’occasione unica per analizzare più approfonditamente la natura dei rapporti tra questi tre Paesi e delineare le prospettive future di cooperazione, a partire da quella nel contesto del Mar Cinese Meridionale.

Quest’area si è trasformata in un cruciale teatro geopolitico, con diversi Paesi che rivendicano la sovranità su isole e formazioni rocciose sparse in tutta la regione. La Cina ha avanzato rivendicazioni territoriali decise, militarizzando isole contese e conducendo operazioni marittime sempre più assertive. D’altro canto, anche le conseguenze della guerra in Ucraina hanno portato a un rafforzamento della cooperazione in materia di sicurezza e difesa tra gli Stati Uniti e diversi Paesi della regione.

Giappone e Filippine occupano un ruolo particolare, visto che sono da sempre i pilastri della strategia di sicurezza degli Stati Uniti in Asia-Pacifico. La decisione di organizzare questo summit trilaterale ha radici nella necessità di coordinare le risposte alle sfide nel Mar Cinese Meridionale. 

Oltre alla dimensione geopolitica, la cooperazione economica rappresenta un altro pilastro fondamentale del rapporto trilaterale. Stati Uniti, Giappone e Filippine possono unire le loro forze per favorire la crescita economica attraverso lo sviluppo di infrastrutture, la facilitazione degli scambi commerciali e degli investimenti e la promozione di politiche economiche inclusive. Inoltre, la collaborazione tra questi Paesi può aiutare ad affrontare le nuove sfide emergenti, come la digitalizzazione dell’economia, aprendo nuove opportunità per la crescita e lo sviluppo sostenibile nella regione.

L’innovazione e la tecnologia svolgono un ruolo sempre più significativo nella competitività economica e nella risoluzione delle sfide globali. Stati Uniti, Giappone e Filippine possono collaborare per promuovere lo sviluppo di tecnologie avanzate, garantendo nel contempo la sicurezza delle infrastrutture digitali e l’adozione responsabile delle nuove tecnologie. Attraverso la ricerca congiunta e lo scambio di conoscenze, è possibile affrontare sfide cruciali come il cambiamento climatico e la sicurezza alimentare, contribuendo così alla prosperità e al benessere nella regione.

Il cambiamento climatico e la conservazione dell’ambiente marino sono sfide urgenti che richiedono una risposta globale e coordinata. Stati Uniti, Giappone e Filippine possono unire le forze per promuovere politiche e iniziative volte a mitigare gli effetti del cambiamento climatico, proteggere gli ecosistemi marini e incentivare la sostenibilità ambientale. Questo potrebbe includere la promozione di energie rinnovabili, la gestione responsabile delle risorse ittiche e la conservazione degli ecosistemi marini, contribuendo così a preservare l’ambiente per le future generazioni.

Infine, la sicurezza regionale rimane una priorità essenziale per tutti e tre i Paesi. Stati Uniti, Giappone e Filippine intendono potenziare la loro cooperazione in materia di sicurezza e difesa, attraverso esercitazioni militari congiunte, scambio di intelligence e promozione della sicurezza marittima. Questo può contribuire a rafforzare la deterrenza nella regione, cercando al contempo di preservare il cruciale obiettivo della crescita economica.

L’UE e le foreste della Malesia

La visione del Sud-Est asiatico sul nuovo regolamento che blocca le importazioni di olio di palma derivanti dalla deforestazione


“Può l’Europa salvare le foreste senza uccidere posti di lavoro in Malesia?” Se lo è chiesto in un recente articolo il New York Times, a testimonianza che si tratta di un tema particolarmente rilevante non solo a livello bilaterale ma anche internazionale. L’imminente divieto dell’Unione Europea sulle importazioni legate alla deforestazione è stato salutato come un nuovo standard da rispettare nella politica climatica: un passo significativo per proteggere le foreste del mondo, che aiutano a rimuovere dall’atmosfera i gas serra che uccidono il pianeta. “La legge impone ai commercianti di risalire alle origini di una varietà di prodotti da capogiro: carne di manzo e libri, cioccolato e carbone, rossetto e pelle. Per l’Unione Europea, il mandato, che entrerà in vigore il prossimo anno, è una testimonianza del ruolo del blocco come leader globale sul cambiamento climatico”, scrive il New York Times, che però aggiunge: “La mossa, tuttavia, è rimasta intrappolata in correnti contrastanti su come affrontare i compromessi economici e politici richiesti dal cambiamento climatico”. I Paesi in via di sviluppo non sono infatti certo contenti, con Malesia e Indonesia tra i più espliciti nel criticare la novità normativa. Insieme, i due Paesi del Sud-Est asiatico forniscono l’85% dell’olio di palma mondiale, uno dei sette prodotti critici coperti dal divieto dell’Unione Europea. E sostengono che la legge mette a rischio le loro economie. Ai loro occhi, scrive il New York Times, i Paesi ricchi e tecnologicamente avanzati (ed ex potenze coloniali) “stanno ancora una volta dettando termini e cambiando le regole del commercio quando gli fa comodo”. Questa visione concorda con le lamentele dei Paesi in via di sviluppo secondo cui l’ordine internazionale dominante trascura le loro preoccupazioni. La disputa sull’olio di palma racchiude anche uno snodo centrale nell’economia del cambiamento climatico, sottolinea il quotidiano statunitense: la tesi secondo cui le nazioni a reddito medio e basso sono costrette a sostenere il costo di rovinosi cambiamenti ambientali causati principalmente dalle nazioni più ricche. Nel suo sondaggio annuale del 2022, il World Resources Institute ha rilevato che la Malesia è stato uno dei pochi luoghi in cui la deforestazione non è peggiorata. E forse c’è uno spazio per tutelare sia le esigenze climatiche sia quelle economiche, preservando i fruttuosi rapporti tra i Paesi del Sud-Est asiatico e l’Unione Europea.

UE-Filippine verso un accordo di libero scambio

Riprendono ufficialmente i colloqui tra il blocco dei 27 e Manila. Ecco su quali basi


Luned’ 18 marzo, l’Unione Europea e le Filippine hanno annunciato ufficialmente la ripresa dei negoziati per un accordo di libero scambio. La Commissione Europea ha parlato di progetto “ambizioso, moderno ed equilibrato, con la sostenibilità al centro”. Aggiungendo che “accordi commerciali come questo sono una pietra miliare della sicurezza economica dell’UE, in quanto aprono nuove opportunità per le imprese e i consumatori, rafforzano le catene di approvvigionamento e promuovono pratiche commerciali sostenibili”. Un accordo di libero scambio con le Filippine, un’economia in espansione di 115 milioni di persone nel cuore della regione indo-pacifica, strategicamente importante, sarebbe un’aggiunta preziosa alla rete di accordi commerciali dell’UE. Il blocco dei 27 e Manila hanno già relazioni commerciali consolidate, con un chiaro potenziale per un rapporto ancora più stretto: secondo i dati ufficiali diffusi da Bruxelles, gli scambi di merci hanno raggiunto un valore di oltre 18,4 miliardi di euro nel 2022, mentre gli scambi di servizi hanno raggiunto un valore di 4,7 miliardi di euro nel 2021. L’UE è anche uno dei maggiori investitori nelle Filippine, con uno stock di investimenti diretti esteri dell’UE nelle Filippine che raggiungerà i 13,7 miliardi di euro nel 2021. Oltre a essere un’economia importante e in crescita, le Filippine possiedono anche importanti riserve di materie prime critiche, tra cui nichel, rame e cromite. “Insieme ai rinnovati sforzi delle Filippine per sfruttare il proprio potenziale di energia rinnovabile e alla recente liberalizzazione per gli investitori stranieri nel settore, le Filippine sono un partner importante nella transizione green”, sottolinea la Commissione Europea. L’UE e le Filippine faranno ora i rispettivi preparativi tecnici per il primo round della ripresa dei negoziati, previsto per la fine dell’anno. L’UE ha già concluso accordi di libero scambio all’avanguardia con due Paesi dell’ASEAN (Singapore e Vietnam), sta negoziando accordi di libero scambio con l’Indonesia e la Thailandia e sta effettuando una valutazione per un ulteriore accordo con la Malesia. Le Filippine godono attualmente di preferenze commerciali nell’ambito del Sistema di preferenze generalizzate + dell’UE, un regime speciale di incentivi per lo sviluppo sostenibile e il buon governo che garantisce l’accesso in esenzione doganale al mercato dell’UE per due terzi delle linee tariffarie.