Thailandia

Il Landbridge thailandese avvicinerà Est e Ovest

Pubblichiamo qui uno stralcio del discorso del Premier della Thailandia Srettha Thavisin sul progetto Landbridge

Il progetto della mega infrastruttura Landbridge della Thailandia è uno sforzo verso la creazione di una connettività senza soluzione di continuità per aumentare le prospettive di crescita a lungo termine nella regione ed è pienamente in linea con la diplomazia economica proattiva del mio governo.

Il progetto comprenderà la costruzione di porti d’alto mare a Ranong, sulla costa tailandese delle Andamane, e a Chumphon, nel Golfo della Thailandia. Situati a circa 90 chilometri di distanza, i due porti opereranno secondo il concetto “un porto, due lati”, supportati da un’autostrada e da linee ferroviarie a doppio binario per collegare i porti tra loro e con la rete nazionale del paese.

Ogni porto avrà la capacità di gestire fino a 20 milioni di container standard all’anno. Il piano prevede anche l’installazione di una rete di oleodotti e gasdotti. Il costo totale stimato ammonta a 1 trilione di baht (28 miliardi di dollari).

Il progetto Landbridge rappresenta un’opportunità senza precedenti per migliorare la connettività tra gli oceani Pacifico e Indiano e per collegare l’attività economica tra le due regioni.

Promette di facilitare un maggiore movimento di merci e persone tra Oriente e Occidente, offrendo una via praticabile per il commercio marittimo oltre allo Stretto di Malacca.

Una volta completato, si prevede che il Landbridge ridurrà i tempi di viaggio in media di quattro giorni tra l’Oceano Indiano e il Pacifico e ridurrà i costi di trasporto del 15%. Per un’azienda che spedisce merci da Chennai a Yokohama, ad esempio, ciò potrebbe significare un risparmio fino a cinque giorni e il 4% sui costi.

Coloro che hanno familiarità con lo sviluppo logistico della Thailandia potrebbero vedere il Landbridge come una rielaborazione moderna di una proposta secolare di dragare un canale attraverso l’istmo di Kra.

Nonostante sia stato originariamente approvato nel 1989 come parte del Corridoio Economico Meridionale della Thailandia, varie considerazioni hanno lasciato questo progetto irrealizzato fino ad oggi. Ora i tempi si allineeranno bene con le prospettive di crescita delle economie del subcontinente indiano e dell’Africa.

I piani prevedono che la prima fase di costruzione inizi nel settembre 2025 e duri fino all’ottobre 2030. Gli appaltatori saranno probabilmente in grado di fare offerte per il progetto tra aprile e giugno 2025.

Si prevede che il Landbridge porterà benefici per 1,3 trilioni di baht all’economia tailandese e aumenterà il tasso di crescita annuo del prodotto interno lordo del paese dell’1,5% attraverso maggiori opportunità di esportazione e la creazione di 280.000 posti di lavoro. Porterà anche nuove opportunità di sviluppo per altre province del sud della Thailandia.

Il successo spaziale della Thailandia

Grazie al costo relativamente basso della manodopera, il Paese è un candidato interessante per la produzione avanzata nel settore spaziale

Di Tommaso Magrini

Il satellite thailandese in orbita terrestre bassa, Theos-2, è stato lanciato con successo lo scorso 9 ottobre dal Centro spaziale della Guyana. Il satellite di osservazione della Terra Theos-2 è stato sviluppato congiuntamente dall’Agenzia per lo sviluppo della geoinformatica e della tecnologia spaziale (GISTDA) e Airbus per registrare immagini dallo spazio, proseguendo la missione di Theos-1, lanciato nel 2008. Ci vorranno ancora alcune settimane per controllare i vari sistemi del satellite, compresa la capacità di fotografare, prima che possa iniziare la sua missione. Theos-2 può scattare immagini ad alta risoluzione fino a 50 centimetri e scansionare circa 74.000 chilometri quadrati al giorno. Le agenzie spaziali thailandesi stanno inoltre lavorando per sviluppare un satellite al 100% di produzione autoctona, chiamato “Theos-3”. Sì, perché il programma spaziale di Bangkok procede a grande ritmo. La Thailandia è sede di una produzione avanzata di componenti per veicoli e di una serie di prodotti elettronici. Grazie al costo relativamente basso della manodopera, il Paese è un candidato interessante per la produzione avanzata in generale. Di conseguenza, il GISTDA ha spinto per sviluppare un centro di assemblaggio, integrazione e test satellitare nel Paese, sfruttando questi punti di forza.All’inizio di quest’anno, la Thailandia e la Corea del Sud hanno annunciato l’intenzione di effettuare uno studio di fattibilità congiunto per un sito di lancio. Un giorno potremmo vedere i razzi partire dal Paese del sorriso. La Thailandia non è l’unico Paese del Sud-Est asiatico a condurre un ambizioso programma spaziale. L’Indonesia è stata un pioniere delle comunicazioni satellitari tra i Paesi dell’Asia-Pacifico, avendo lanciato il suo primo satellite Palapa a metà degli anni Settanta. Negli ultimi anni, però, gli indonesiani hanno superato loro stessi: il programma BAKTI, gestito dal Ministero delle Telecomunicazioni (KOMINFO), ha l’ambizione di collegare circa 150.000 siti alla banda larga satellitare nei prossimi anni. 

La Thailandia si avvicina al matrimonio LGBTQ+

Il nuovo Premier thailandese spinge in direzione della legalizzazione delle nozze tra persone dello stesso sesso. Sarebbe il primo Paese del Sud-Est asiatico a dare il via libera

Di Tommaso Magrini

La Thailandia potrebbe diventare il primo Paese del Sud-Est asiatico a legalizzare i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Il via libera era uno dei temi in agenda di Move Forward, il partito vittorioso alle elezioni dello scorso maggio ma rimasto poi fuori dal governo. Un tema che ora è stato raccolto dal nuovo Primo Ministro del partito Pheu Thai, Srettha Thavisin. Il Premier ha rilanciato l’iniziativa a ottobre, con il suo governo che ha preparato tre proposte di legge per l’uguaglianza matrimoniale, il cambio di sesso e la depenalizzazione della prostituzione. 

Il Primo Ministro thailandese ha “sottolineato che si tratta di una questione molto urgente”, dando ai ministeri competenti alcune settimane di tempo per tenere audizioni pubbliche sul disegno di legge e trasmetterlo al Parlamento, ha dichiarato il 31 ottobre il portavoce del governo Chai Watcharong. Il disegno di legge sarà discusso nella prossima sessione parlamentare di dicembre, mentre il governo di coalizione guidato dal Pheu Thai è sotto pressione per ottenere risultati, dato che si sta avvicinando al traguardo dei 100 giorni e deve dimostrare di aver rispettato almeno in parte le principali promesse della campagna elettorale, come l’elargizione di 280 dollari ai cittadini thailandesi.

L’anno scorso la precedente Camera dei rappresentanti ha approvato in prima lettura un disegno di legge sull’uguaglianza matrimoniale proposto da Move Forward, nonché un disegno di legge concorrente che sancisce le unioni civili tra persone dello stesso sesso proposto dal governo conservatore dell’ex primo ministro Prayuth Chan-ocha. Ma nessuna delle due proposte di legge è andata avanti prima che il Parlamento venisse sciolto per le elezioni generali di maggio.

I sostenitori si aspettano che la proposta del governo di Srettha sia simile al progetto di legge Move Forward, in modo da ottenere i voti del maggiore partito di opposizione. La proposta modificherebbe il codice civile e commerciale della Thailandia, cambiando parole di genere come “marito” e “moglie” in “coniuge”, mentre “uomo” e “donna” passerebbero a “individuo”. Prachachat, un partito della coalizione guidata dal Pheu Thai e la cui base è nel profondo Sud musulmano del Paese, ha chiesto di introdurre deroghe religiose, come l’esenzione per i chierici musulmani e i sacerdoti cristiani dal celebrare matrimoni omosessuali. Srettha ha anche appoggiato la candidatura di Bangkok a ospitare il WorldPride del 2028, un evento internazionale biennale che contribuirebbe a incrementare le entrate del turismo e dei consumi in Thailandia.

Nel frattempo, la proposta di legge sul riconoscimento di genere consentirebbe ai transgender thailandesi di cambiare il proprio sesso ufficiale, cosa che attualmente non è possibile, anche se il Paese è diventato un centro di riferimento per gli interventi di riassegnazione del sesso. Gli oppositori hanno detto che consentire il cambio ufficiale di sesso darebbe agli uomini una via d’uscita dalla coscrizione militare, una preoccupazione che potrebbe essere superata dal fatto che il governo Pheu Thai ha in programma di passare all’arruolamento volontario. 

Mega opera di riqualificazione a Bangkok

A Bangkok sono in programma oltre 20 progetti su larga scala con aperture previste entro il 2027, per un totale di 500 miliardi di baht di investimenti

Articolo di Tommaso Magrini

Bangkok è pronta per un’ondata di progetti di rinnovamento per un totale di oltre 14 miliardi di dollari, sostenuti da alcuni dei principali conglomerati del Paese. L’obiettivo è quello di trasformare la capitale thailandese in una destinazione in grado di rivaleggiare con Singapore. È in corso uno sviluppo mastodontico su immobili di prima scelta di fronte al Lumpini Park, nel centro di Bangkok, guidato dal conglomerato TCC Group. One Bangkok sarà uno dei più grandi progetti del settore privato del Paese, con un valore di 120 miliardi di baht. Secondo i piani, l’area di circa 167.000 metri quadrati ospiterà cinque torri di uffici, grattacieli residenziali, spazi commerciali e una sala concerti, oltre a un hotel Ritz-Carlton. L’attività di TCC comprende il produttore di birra Chang Thai Beverage e il settore immobiliare. Il progetto servirà come polo di attrazione per portare a Bangkok uomini d’affari di livello mondiale, investitori e turisti da tutto il mondo. L’apertura della prima fase del progetto è prevista per marzo 2024. Il gruppo Charoen Pokphand, uno dei principali conglomerati thailandesi, sta lavorando a un mega-progetto a Samut Prakan, alle porte di Bangkok, che pone l’accento sulla sostenibilità. Il Forestias sarà composto da spazi commerciali, un hotel e aree residenziali. L’operatore di questo progetto da 125 miliardi di baht, orientato al benessere, ha coinvolto come investitore la banca giapponese Sumitomo Mitsui Trust Bank. Secondo i dati diffusi da Nikkei, a Bangkok sono in programma oltre 20 progetti su larga scala con aperture previste entro il 2027, per un totale di 500 miliardi di baht di investimenti. Sono in aumento i grandi progetti di dimensioni senza precedenti, che potrebbero diventare i futuri “punti di riferimento” di Bangkok”. Questi progetti di rinnovamento fanno della sostenibilità un punto di forza. E molte multinazionali vedono nella capitale thailandese una grande opportunità. 

Thailandia, ecco chi è il nuovo Premier Srettha Thavisin

Dopo un prolungato periodo di incertezza politica, la Thailandia ha il suo nuovo Primo Ministro: Srettha Thavisin, ex magnate dell’immobiliare, istruito negli Stati Uniti, da sempre vicino alla famiglia Shinawatra. È lui l’estrema sintesi di un governo che unisce Pheu Thai, conservatori e militari

Di Francesco Mattogno

A cento giorni dalle elezioni del 14 maggio, la Thailandia ha eletto il suo nuovo primo ministro. Con 482 voti favorevoli (tra cui 152 senatori), 165 contrari e 81 astenuti, nel corso della votazione congiunta di camera e senato del 22 agosto il candidato del Pheu Thai Srettha Thavisin ha superato la soglia necessaria di 374 seggi ed è diventato il trentesimo premier della storia thailandese.

La sua nomina è stata approvata dal re Maha Vajiralongkorn, che ha così ufficializzato l’esito del voto parlamentare e spianato la strada alla formazione del nuovo governo. Che non sarà un governo “del cambiamento”. O almeno non del cambiamento votato dalla maggioranza relativa dei thailandesi, che alle urne avevano premiato il Move Forward, la formazione politica più progressista e radicale del Paese, come il partito con il maggior numero di seggi alla camera bassa (151).

A guidare il nuovo esecutivo sarà invece il Pheu Thai, arrivato secondo alle elezioni (141 seggi). In una svolta tanto brusca quanto annunciata, a inizio agosto il partito fondato da Thaksin Shinawatra ha abbandonato il progetto di coalizione con il Move Forward e dato il via a una serie di negoziazioni per formare un’alleanza con le forze politiche legate all’establishment conservatore e filo-militare.

L’esito positivo dei colloqui ha portato alla nascita di una coalizione di undici partiti e 314 seggi che racchiude buona parte del governo uscente guidato dall’ex generale golpista Prayut Chan-o-cha, fatta eccezione per il Partito Democratico. L’alleanza che ha sostenuto Srettha comprende infatti il Bhumjaithai (BJT) dell’ex ministro della Sanità Anutin Charnvirakul, che potrebbe diventare il prossimo ministro dell’Interno, e i due partiti dei militari, il Palang Pracharat (PPRP) dell’altro generale golpista Prawit Wongsuwon e lo United Thai Nation (UTN) del premier uscente Prayut, che ha però annunciato di volersi ritirare dalla politica.

Di fatto, il Pheu Thai ha stretto accordi con quelli che fino al 14 maggio scorso erano i suoi più acerrimi nemici. Nel corso degli ultimi vent’anni il partito dei Shinawatra è stato estromesso dal potere due volte a seguito di colpi di Stato dell’esercito (2006 e 2014), e i suoi leader sono stati condannati per corruzione e abuso di potere dai tribunali legati ai militari. Il BJT è invece nato nel 2008 dopo una scissione interna al Pheu Thai, diventando da allora per i sostenitori dei rossi un simbolo di tradimento e di affiliazione al potere conservatore. Inoltre 16 deputati su 25 dello stesso Partito Democratico, un tempo avversario numero uno dei Shinawatra e oggi in piena crisi, hanno votato a favore della nomina di Srettha contravvenendo alla linea di astensione del partito.

Si tratta di un capovolgimento di quanto promesso prima delle elezioni. In piena campagna elettorale Srettha – così come tutti i vertici del Pheu Thai – aveva escluso un’alleanza con i militari. Lunedì, prima del voto, ha chiesto invece ai thailandesi di «dimenticare» quelle parole per il bene della Thailandia. Il Pheu Thai sostiene di non aver avuto alternative, dato che il senato (nominato dai militari) avrebbe impedito a una qualunque coalizione comprendente il Move Forward di governare. Per formare un esecutivo bisognava dunque arrendersi al compromesso con le forze conservatrici in nome della “riconciliazione nazionale“. E così è stato.

Nonostante gli scetticismi, il nuovo primo ministro si è impegnato a fare in modo che la coalizione rispetti il programma elettorale del Pheu Thai, che ha fatto dell’economia una «priorità» da affiancare a politiche più progressiste e democratiche, come l’emendamento della costituzione e la fine della coscrizione obbligatoria.

Srettha è il principale promotore del “portafoglio digitale”, un sussidio di 10.000 baht (270 euro) promesso dal suo partito a tutti i maggiori di 16 anni, che andrebbe ad aggiungersi a un aumento del salario minimo. In campagna elettorale ha dichiarato che avrebbe spinto per allargare i mercati dell’export thailandese in Africa e Medio Oriente e per stringere più accordi di libero scambio (su tutti, quello con l’Unione Europea), dicendosi contrario anche al decoupling tra Cina e Stati Uniti. «Non credo nel lavorare con le singole nazioni», ha affermato in un’intervista al Nikkei.

Membro di una famiglia ben connessa all’interno dell’élite thailandese, Srettha ha studiato negli Stati Uniti economia e finanza (si è laureato all’Università del Massachusetts e ha preso un master alla Claremont Graduate School in California), e una volta tornato in Thailandia negli anni ’90 è diventato presidente di Sansiri, azienda di famiglia che è diventata una delle più grandi società del settore dell’immobiliare thailandese. Al contrario di molti suoi colleghi imprenditori, Srettha si è spesso esposto politicamente sui social e non solo, diventando uno degli uomini di fiducia degli ex premier Thaksin e Yingluck Shinawatra. A novembre dell’anno scorso si è infine unito al Pheu Thai, dimettendosi da CEO di Sansiri due mesi prima delle elezioni.

In mezzo alla prolungata crisi politica, il PIL del paese è cresciuto solo dell’1,8% nel secondo trimestre del 2023, ben al di sotto delle attese. Per questo, secondo Bloomberg, vista la sua carriera imprenditoriale e le promesse di stimolare l’economia thailandese attraverso la spesa pubblica, gli investitori dovrebbero accogliere positivamente la nomina di Srettha a premier. E si parla di un suo possibile doppio ruolo anche come ministro delle Finanze. Diverso è il discorso sul piano prettamente politico. Il nuovo primo ministro non ha esperienza politica, né una base di sostegno forte sia dentro il partito che nell’elettorato. Ed è un dettaglio non da poco per un premier che dovrà tenere in piedi una coalizione potenzialmente molto fragile e impopolare (un sondaggio su un campione di 1.310 cittadini ha registrato circa il 63% di disapprovazione).

A dispetto del discreto risultato alle urne, per la prima volta in vent’anni il Pheu Thai non ha vinto le elezioni. Questo rende Srettha un primo ministro molto più debole dei suoi predecessori eletti con il partito dei Shinawatra, arrivati sulla poltrona con enormi mandati popolari e circondati da una sorta di aura di invincibilità. E in un’ulteriore minaccia alla sua legittimità, Srettha è stato accusato di evasione fiscale e pratiche illecite durante la sua attività alla Sansiri. Il nuovo premier dovrà quindi dimostrare di saper controllare un governo in cui il Pheu Thai, nonostante sia il partito più grande della coalizione, si trova di fatto in minoranza rispetto a potenziali accordi tra BJT, PPRP e UTN, che insieme contano 147 seggi. Ci si chiede allora quanto Srettha riuscirà a implementare le politiche promesse, e se a muoversi dietro di lui possa esserci una figura ben più navigata come Thaksin, peraltro appena rientrato dall’esilio.

Thailandia, gli scenari sul nuovo governo

Come previsto, il leader del Move Forward Pita Limjaroenrat non è riuscito a ottenere abbastanza voti dei senatori per essere nominato primo ministro. Per la Thailandia inizia una fase di grande incertezza politica. Il parlamento torna a votare il 19 luglio: ecco quali sono gli scenari per la formazione del nuovo governo

Articolo di Francesco Mattogno

Servivano 64 voti, ne sono arrivati 13. La prima sessione congiunta del parlamento thailandese per la votazione del nuovo primo ministro si è chiusa giovedì sera senza la nomina dell’unico candidato in lizza, il leader del Move Forward, Pita Limjaroenrat. Non è stata una sorpresa.

Dopo la vittoria nelle elezioni di maggio il Move Forward ha formato una coalizione di otto partiti, raggruppando un totale di 312 seggi: più che sufficienti per avere la maggioranza alla camera bassa di 500 deputati, ma troppo pochi per eleggere il nuovo governo senza l’influenza del senato. Fino a maggio del 2024 i 250 senatori nominati dai militari hanno infatti il potere costituzionale di partecipare alle votazioni per la nomina del primo ministro, che per essere eletto ha quindi bisogno di almeno 376 voti (diventati 375 mercoledì a seguito delle dimissioni di un senatore). Un ostacolo enorme per chi propone di scuotere lo status quo filo-monarchico e filo-conservatore che quegli stessi senatori sono stati incaricati di proteggere.

La seduta parlamentare

Al di là dell’ottimismo di facciata, era chiaro sin dalla vigilia che Pita non avrebbe avuto i numeri per uscire dall’aula come trentesimo premier della Thailandia. Prima della votazione i parlamentari hanno avuto a disposizione circa sei ore per il dibattito. La coalizione a guida Move Forward è rimasta unita e ha presentato Pita come suo unico candidato primo ministro, mentre i partiti del fronte filo-conservatore non hanno proposto alcun aspirante al ruolo. Ne è risultata una sessione monotematica.

Tutti gli interventi si sono concentrati sulla legittimità di Pita e del suo partito di governare, con al centro la volontà del Move Forward di emendare la legge sulla lesa maestà, proposta che deputati conservatori e senatori hanno a più riprese ritenuto pericolosa per la stabilità del paese. Altro punto centrale nell’opposizione al leader degli arancioni è stato il procedimento legale che pende su di lui. Mercoledì, il giorno prima della votazione, la commissione elettorale thailandese ha chiesto alla corte costituzionale di squalificare Pita come deputato, accusandolo di essere stato a conoscenza della sua ineleggibilità dovuta al possesso di azioni della società di media ITV (la costituzione in questi casi vieta la possibilità di candidarsi).

Secondo l’esponente del Move Forward si tratta di un’accusa pretestuosa – ITV non opera dal 2007 -, ma intanto la corte costituzionale potrebbe sospenderlo dal parlamento in attesa del giudizio definitivo, che potrebbe anche prevedere la sua interdizione dall’attività politica e una pena da uno a tre anni di carcere. Il tribunale ha anche accettato un altro caso che chiede lo scioglimento del Move Forward a causa dell’intenzione del partito di emendare la legge sulla lesa maestà. Pita ha denunciato le tempistiche sospette dei due procedimenti, che hanno fornito l’assist ai senatori per legittimare il loro rifiuto a votare un indagato come primo ministro.

La giornata si è conclusa con 324 voti a favore della nomina di Pita, 182 contrari, 199 astenuti. Tra i favorevoli si contano 311 deputati della coalizione (il presidente della camera, Wan Muhammad Noor Matha, si è astenuto come da consuetudine) e 13 senatori. Più di 40 membri del senato non si sono invece presentati in aula.

Gli scenari principali

Sul piano formale, non c’è un limite massimo al numero di votazioni che il parlamento può tenere per nominare il primo ministro. La prossima seduta congiunta è stata fissata al 19 luglio ed è previsto che una terza eventuale sessione possa tenersi già il 20. Sul piano politico le cose stanno diversamente. «Non mi arrendo», ha detto Pita a margine del voto. Ma il supporto di cui gode da parte dei partner della coalizione potrebbe essere a tempo. Alcuni esponenti del Pheu Thai, la seconda formazione più grande dell’alleanza, hanno dichiarato che il partito lo sosterrà per tre votazioni, ma poi dovrà pensare a una via alternativa.

Gli scenari possibili sono essenzialmente quattro. Il primo prevede che – al netto dei procedimenti legali – il leader del Move Forward riesca a trovare i 64 voti necessari per essere nominato premier. I deputati del Bhumjaithai, il terzo partito più grande alla camera (71 seggi), hanno detto che voterebbero per lui nel caso in cui il suo partito abbandonasse il progetto di modificare della legge sulla lesa maestà. Cosa che il Move Forward ha categoricamente smentito. Il secondo consiste nel mantenere così la coalizione, ma far eleggere come primo ministro Srettha Thavisin, candidato del Pheu Thai ritenuto più accettabile anche della stessa Paetongtarn Shinawatra, figlia del fondatore del partito. C’è però chi sostiene che l’establishment difficilmente accetterà che il Move Forward faccia anche solo parte della coalizione di governo.

C’è quindi l’eventualità di un “tradimento”. Il Pheu Thai potrebbe lasciare la coalizione e formare un governo con le forze conservatrici e filo-miliari, una scelta che potrebbe avere conseguenze sia sul piano del sostegno popolare al partito, che su quello dell’ordine pubblico. Si ritiene che in caso di estromissione del Move Forward dall’esecutivo potrebbero scatenarsi una serie di proteste di massa da parte dei suoi sostenitori. Molto probabili anche nel caso dell’ultimo scenario, quello della formazione di un debolissimo governo conservatore di minoranza.

Le altre possibilità

Ci sono però altre possibilità. Una più estrema e complicata consiste nel prolungare a oltranza le sessioni parlamentari congiunte per la votazione del premier fino alla scadenza del mandato del senato, nel maggio del 2024. Improbabile anche perché peggiorerebbe la situazione di già grande incertezza politica ed economica della Thailandia. Per questo la coalizione pro-democrazia starebbe pensando a una soluzione alternativa.

Come riportato dal Thai Enquirer, nel pomeriggio thailandese di venerdì il Move Forward ha in programma di proporre alla camera l’emendamento dell’articolo 272 della costituzione, quello che permette al senato di votare per la nomina del primo ministro. La proposta passerebbe con il supporto di metà dei deputati della camera bassa (250) e di un terzo dei senatori (84). Secondo Piyabutr Saengkanokkul, uno dei leader del movimento progressista, diversi dei senatori che si sono astenuti dalla votazione di giovedì potrebbero accogliere la modifica, che poi potrebbe entrare in vigore nell’arco di quattro settimane.Resta uno scenario complicato. Intanto il primo ministro ad interim rimane l’ex generale golpista Prayut Chan-o-cha, al potere dal golpe del 2014. Prayut ha annunciato di volersi ritirare dalla politica, ma se la nomina del nuovo premier dovesse trascinarsi a lungo il suo governo provvisorio finirebbe per dover prendere decisioni importanti, come quelle riguardanti il budget per il 2024 e il rimpasto dell’esercito e delle forze di polizia. L’instabilità politica è inoltre da sempre un pretesto, in Thailandia, per “riportare l’ordine” con un colpo di Stato. Ipotesi che nessun osservatore delle faccende thailandesi si sente mai di escludere del tutto.

Dalla transizione energetica un nuovo inizio tra Thailandia e Arabia Saudita

Il colosso thailandese PTT punta alla produzione di idrogeno verde e alla ripartenza dei rapporti diplomatici con l’Arabia Saudita.

Il colosso petrolifero statale thailandese, PTT Group, investirà sette miliardi di dollari in idrogeno verde con la principale società di energia rinnovabile dell’Arabia Saudita, ACWA Power, puntando contemporaneamente alla decarbonizzazione e alla ripartenza dei rapporti diplomatici tra i due Paesi.
L’investimento fa parte dei diversi approcci adottati da PTT Group per trovare un equilibrio tra la riduzione delle emissioni e il mantenimento della redditività. L’accordo si rivelerebbe anche un passo importante nel ripristino delle relazioni diplomatiche tra i due regni, interrotte per circa 32 anni fino a gennaio 2022. Le due società, unite dall’Autorità Statale per la Generazione di Energia Elettrica della Thailandia, hanno firmato a novembre un memorandum d’intesa per avviare il progetto. L’impegno di investimento di sette miliardi di dollari si profila come un ulteriore passo avanti nella sua realizzazione.

Auttapol Rerkpiboon, il CEO di PTT, ha affermato che il progetto mira a costruire un impianto in Thailandia con una capacità produttiva di 225.000 tonnellate di idrogeno all’anno, il primo provvedimento necessario a far diventare la Thailandia un esportatore internazionale, nonché il principale fornitore ASEAN, di energia verde. Il piano d’investimento servirà all’identificazione dell’idrogeno verde come futura fonte di energia per creare domanda e alimentare sempre più l’utilizzo di veicoli elettrici nella regione.

A differenza dell’idrogeno “marrone” e “grigio”, la cui generazione prevede combustibili fossili, l’idrogeno verde si ottiene utilizzando esclusivamente fonti energetiche rinnovabili e, di conseguenza, genera zero emissioni. Sulle orme di molti altri Paesi, come l’Arabia Saudita, il Kazakistan, Singapore e l’Australia, anche la Thailandia sta investendo importanti risorse economiche nella produzione di idrogeno verde su scala gigawatt. La strategia net-zero di PTT si allinea così agli impegni del governo thailandese per raggiungere la neutralità del carbonio entro il 2050 e le emissioni net-zero di gas serra entro il 2065. Tuttavia, l’utilizzo dell’idrogeno verde su scala industriale richiede due fattori fondamentali – elevata capacità e basso costo del capitale – per abbassare i prezzi a un livello competitivo e incoraggiare le persone a smettere l’uso di combustibili fossili. In tal senso, PTT sta provando a generare ecosistemi di offerta per aumentare la domanda. La sua controllata PTT Oil and Retail ha stretto una partnership con Bangkok Industrial Gas, Toyota Daihatsu Engineering & Manufacturing e Toyota Motors, per creare stazioni di ricarica dell’idrogeno nel corridoio economico orientale del regno, una zona industriale speciale nel distretto di Bang Lamung, nella provincia di Chonburi. La stazione dovrebbe servire veicoli a celle a combustibile che saranno utilizzati come limousine dall’aeroporto di U-Tapao verso le famose destinazioni turistiche di Pattaya, Chonburi e aree circostanti.L’investimento negli impianti di produzione di idrogeno verde aiuterà sicuramente a sanare le relazioni tra la Thailandia e il regno saudita decenni dopo che i loro legami furono raffreddati dal Blue Diamond Affair, iniziato con il furto di gioielli dal palazzo di un principe saudita ad opera del giardiniere tailandese Kriangkrai Techamong nel 1989. Un furto dal valore di 20 milioni di dollari, tra cui un diamante blu da 50 carati. I due Paesi hanno raggiunto un disgelo diplomatico solo nel gennaio 2022, quando il primo ministro Prayuth Chan-ocha ha effettuato la prima visita di un capo di governo in oltre tre decenni. Dopo la ripresa delle relazioni, un ulteriore segnale dell’avvenuto disgelo tra i due Paesi, è arrivato dal colosso petrolifero statale saudita Aramco, che ha incrementato a PTT Group la fornitura di greggio, prodotti petrolchimici e gas naturale liquefatto.

La missione italiana in Thailandia

Di Maria Tripodi, Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri e alla Cooperazione Internazionale

Dal 16 al 18 maggio sono stata in missione in Thailandia per partecipare alla 79a sessione della Commissione Economica e Sociale delle Nazioni Unite per l’Asia e il Pacifico (ESCAP) e per incontri bilaterali, in concomitanza con la tappa nel Paese del Pattugliatore Polivalente d’Altura “Francesco Morosini”. È stata la mia prima visita in Thailandia, nonché la prima di un membro di Governo italiano dal 2018, a riprova della rinnovata attenzione dell’Italia per un attore chiave dell’Indo-Pacifico. Alla Commissione ESCAP sono intervenuta sul tema “Disaster Resilience: Early Warnings for All in Asia and the Pacific”. L’Italia è in prima linea nella lotta ai cambiamenti climatici e nella gestione dei disastri naturali nella regione e sostiene, con un contributo di 260.000 euro, il “Multi-Donor Trust Fund for Tsunami, Disaster and Climate Preparedness” di ESCAP. Tale impegno è stato molto apprezzato dall’Under-Secretary-General dell’ONU e Segretaria Esecutiva ESCAP, Armida Salsiah Alisjahbana, a cui ho rinnovato l’intenzione di continuare a lavorare insieme per l’attuazione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. La sessione è stata anche l’occasione per promuovere la candidatura di Roma a EXPO 2030, nel corso di brevi incontri con alcuni nostri partner dell’area (Tuvalu, Palau, Samoa).

Ho poi avuto un proficuo colloquio con il Vice Ministro degli Affari Esteri, Vijavat Isarabhakdi: nel 155° anniversario di relazioni diplomatiche tra Italia e Thailandia, abbiamo auspicato che i nostri profondi rapporti possano continuare a rafforzarsi grazie anche alla prossima apertura dell’Istituto italiano di Cultura, alle borse di studio offerte dal Governo italiano e agli ottimi risultati raggiunti nel 2022 dal nostro interscambio bilaterale (+21%), che potrà beneficiare anche dell’Accordo di libero scambio UE-Thailandia, i cui negoziati sono stati di recente riavviati. L’Italia è sempre più apprezzata in Thailandia, come ho avuto modo di constatare in occasione della visita alla fiera “Future Energy Asia” (uno dei principali eventi regionali nel settore energetico) e dell’accoglienza riservata al pattugliatore Morosini, eccellenza della nostra Difesa, un settore in cui è possibile rafforzare la collaborazione bilaterale.

Il prossimo “High-Level Dialogue on Italy-ASEAN Economic Relations”, che si terrà a Bangkok in autunno, sarà l’occasione per approfondire la collaborazione con la Thailandia e con l’ASEAN in settori strategici: farmaceutico, agro-alimentare, moda, spazio, energie rinnovabili, difesa.

Come sono andate le elezioni in Thailandia

Articolo di Francesco Mattogno

Il Move Forward ha vinto le elezioni in Thailandia smentendo i pronostici che a lungo hanno ritenuto il Pheu Thai il partito dominante. I due hanno già deciso di unirsi in coalizione, ma la netta maggioranza ottenuta alla camera potrebbe non bastare

L’opinione diffusa tra gli analisti che si occupano di Thailandia è che i sondaggi elettorali non siano così affidabili. Sia per il metodo di raccolta dei dati (prevalentemente online), sia per la distribuzione del campione, che proviene soprattutto dalle città, da Bangkok in particolare. E infatti i sondaggi si sbagliavano. La crescita del Move Forward nelle intenzioni di voto delle ultime settimane veniva ritenuta credibile, ma forse sopravvalutata. Invece il partito di Pita Limjaroenrat ha vinto le elezioni del 14 maggio con un discreto margine sul Pheu Thai, secondo, e ha già formato sulla carta una coalizione per guidare la Thailandia in base alla propria agenda politica, focalizzata su riforme costituzionali e istituzionali che promettono di scuotere la struttura di potere del paese. Proprio per questo, però, vedere governare il Move Forward non sarà così semplice.

Domenica i thailandesi hanno votato per eleggere i 500 deputati della camera bassa del parlamento, ma non i 250 membri del senato, nominati invece dall’ormai defunto Consiglio nazionale per la pace e l’ordine, cioè la giunta militare che ha guidato il paese dal 2014 alle elezioni del 2019. Secondo quanto previsto ad hoc dalla costituzione, fino al 2024 i senatori hanno il potere di partecipare alle votazioni del parlamento per la nomina del primo ministro. Condizione che nel 2019 ha permesso al generale golpista Prayut Chan-o-cha di restare al potere nonostante il partito che lo aveva candidato, il Palang Pracharat (PPRP), fosse arrivato secondo alle elezioni. E che oggi mette potenzialmente in minoranza il fronte democratico guidato dal Move Forward sebbene abbia ottenuto una netta vittoria alle urne.

LA COALIZIONE

Il partito guidato da Pita ha ottenuto un totale di 152 seggi (uno in più rispetto a quanto previsto inizialmente), battendo quella che si riteneva la principale formazione pro-democrazia, il Pheu Thai di Paetongtarn Shinawatra, che ha eletto 141 deputati. Tra gli scenari ipotizzati, sia prima che dopo il voto, si riteneva che il Pheu Thai potesse scegliere di allearsi con i partiti filo-militari e conservatori nel tentativo di formare un governo di compromesso. Nella giornata di lunedì però il partito ha smentito questa ipotesi, e Pita ha dichiarato ufficialmente la nascita sulla carta di una coalizione che coinvolge altri quattro partiti, oltre a Move Forward e Pheu Thai: il Prachachart (9 seggi), il Thai Sang Thai (6), il Seree Ruam Thai (1) e il Fair Party (1).

I 310 seggi della coalizione sono più che sufficienti per arrivare a una maggioranza alla camera, dove il PPRP ha eletto 40 deputati e il “nuovo” partito di Prayut, lo United Thai Nation (UTN), 36. Ma sono meno dei 376 necessari per formare un governo senza che il voto dei senatori risulti decisivo. L’idea di Pita e dei suoi è che il mandato popolare ricevuto sia troppo forte, e che il senato non voterà in massa per impedirgli di governare. In caso contrario «chi sta pensando di abolire i risultati elettorali o formare un governo di minoranza pagherà un prezzo piuttosto alto», ha dichiarato nella conferenza stampa di proclamazione della vittoria. Il leader del Move Forward ritiene l’ipotesi appena descritta «inverosimile», ma qualche senatore ha già detto che non lo sosterrà come primo ministro.

Per questo potrebbe risultare fondamentale il terzo classificato alle elezioni, il Bhumjaithai (BJT) di Anutin Charnvirakul, che ha ottenuto 71 seggi. Anutin è il ministro della Salute uscente del governo guidato dal PPRP, però il suo è un partito di centro, non anti-establishment ma nemmeno schierato completamente dalla parte dei militari. Per ora Pita ha dichiarato che «non è necessario» coinvolgere il BJT, ma le cose potrebbero cambiare. Intanto il leader del Move Forward – che si dice «pronto a diventare il trentesimo primo ministro della Thailandia» – sta preparando un memorandum d’intesa per la coalizione. Una sorta di “contratto di governo” nel quale quale verrà delineato il programma delle cose da fare durante il primo anno dell’esecutivo al potere.

IL PROGRAMMA

Ci sono infatti diverse questioni sulle quali i partiti devono mettersi d’accordo. La coalizione è formata da chi ha condiviso gli ultimi quattro anni all’opposizione, ma i rapporti, specialmente tra Move Forward e Pheu Thai, hanno avuto alti a bassi. Il tema fondamentale è senza dubbio quello che riguarda l’articolo 112 del codice penale thailandese, cioè la “legge sulla lesa maestà” che prevede fino a 15 anni di carcere per chiunque «diffami, insulti o minacci» i membri della famiglia reale.

Il Move Forward ha tra i suoi candidati diversi dei manifestanti accusati di lesa maestà per il loro ruolo nelle manifestazioni democratiche e anti-monarchiche del 2020-21, e a lungo Pita ha espresso la sua volontà di abrogare la legge. Con l’avvicinarsi delle elezioni la posizione del partito si è ammorbidita, ma l’intenzione di emendare e depotenziare la norma rimane, ed è stata confermata dallo stesso leader in diverse dichiarazioni post-vittoria.

Nonostante sia stata smussata, resta una posizione radicale nel contesto thailandese: la monarchia è tra le più potenti al mondo ed è fonte di legittimità politica (il re deve approvare la nomina del primo ministro), nessun altro grande partito ha osato metterla in discussione così apertamente. Alla conferenza stampa in cui il Pheu Thai ha annunciato di aver accettato di unirsi alla coalizione, Pateongtarn ha detto che il partito «non sosterrà l’abolizione dell’articolo 112», ma che «si può discutere in parlamento su come applicarlo in modo efficace».

Ma il programma del Move Forward va oltre la questione monarchica. Il partito ha proposto anche l’organizzazione di un referendum per eleggere un’assemblea costituente che riscriva la costituzione, sostituendo quella di matrice militare del 2017 e limitando così l’influenza e il potere dell’esercito nella politica thailandese. C’è poi la volontà – questa condivisa con il Pheu Thai – di cancellare la coscrizione obbligatoria, di produrre una legge anti-monopolio, innalzare il salario minimo giornaliero da 330 a 450 baht (da 9 a più di 12 euro) e legalizzare i matrimoni gay. Sulla marijuana, invece, il Move Forward vorrebbe limitarne l’utilizzo ai soli scopi medici.

Per quanto riguarda la politica estera, Pita propone di fatto il non-allineamento tra Stati Uniti e Cina, richiamando però alla «diplomazia fondata su regole» da rispettare. Ha condannato l’aggressione della Russia in Ucraina, e sul Myanmar ha detto che la Thailandia dovrebbe collaborare con la comunità internazionale così che il popolo birmano possa «risolvere il proprio conflitto». Anche questa una posizione di fatto distante dai vertici dell’esercito thailandese, che hanno sempre mantenuto un rapporto di ambiguità con la giunta militare del Myanmar.

GLI SCENARI

Pita è stato accusato di detenere circa 42.000 azioni di ITV, un’emittente thailandese che ha chiuso nel 2007 ma la cui registrazione rimane ancora attiva. Sarebbe una violazione delle leggi elettorali (che vietano ai candidati al parlamento di avere partecipazioni in società dei media), e nel peggiore dei casi potrebbe portare a una squalifica del candidato e del partito. Pita si dice tranquillo, ma per un contenzioso simile il precedessore de facto del Move Forward, il Future Forward, è stato sciolto nel 2020 e i suoi vertici banditi per dieci anni dalla politica.

A indagare sulla vicenda sarà la commissione elettorale. Nel caso in cui l’esercito volesse rovesciare il risultato delle elezioni, al momento si ritiene che la via giudiziaria sia più probabile di un ulteriore colpo di Stato, che ha smentito lo stesso capo delle forze armate Narongphan Jitkaewthae (che sarà inoltre in visita ufficiale alle Hawaii fino al 28 maggio). Se è legittimo avere dubbi su tali dichiarazioni, lo stesso può valere per quelle di Prayut, che una volta divenuta chiara la sconfitta ha detto che avrebbe rispettato la transizione democratica.Con il senato dalla parte dei conservatori, resta viva anche la possibilità di un governo di minoranza filo-militare, che a quel punto (per questioni numeriche) dovrebbe essere guidato dal BJT. Il tempo per eventuali ribaltoni non manca. La commissione elettorale dovrà pubblicare i risultati ufficiali delle elezioni entro 60 giorni, poi il parlamento verrà convocato per la votazione del primo ministro. Dopo essere approvato dal re, il premier potrà formare il suo governo. Si prevede che accadrà non prima di inizio agosto.

La Thailandia al voto: ecco che cosa c’è in gioco

È tutto pronto per le elezioni in Thailandia del 14 maggio. Il Pheu Thai di Paetongtarn Shinawatra domina nei sondaggi ma difficilmente riuscirà a governare da solo, mentre i partiti filo-militari sanno di poter contare sui 250 voti del senato non elettivo. Move Forward e Bhumjaithai le variabili più interessanti, ma non saranno elezioni “libere ed eque”

Articolo di Francesco Mattogno

Da due decenni le elezioni in Thailandia si svolgono secondo un copione quasi identico. Si prevede che anche quelle fissate il 14 maggio non ci si discosteranno troppo. Sarà di nuovo una lotta tra il partito della famiglia Shinawatra e i partiti associati all’establishment conservatore, legati ai militari e filo-monarchici. Il Pheu Thai (PTP) – terzo nome del partito populista dei Shinawatra, sciolto per due volte in passato – ha vinto tutte le elezioni dal 2001 al 2019, ma ha governato a fasi alterne solo finché l’esercito glielo ha permesso.

Nonostante due colpi di Stato (2006 e 2014) e una nuova costituzione scritta dai militari (2017), il Pheu Thai resta la principale forza elettorale del paese. La generalità dei sondaggi in vista delle elezioni del 14 maggio lo dà tra il 46% e il 49%, con la sua principale candidata premier, Paetongtarn Shinawatra, sempre al primo posto tra le preferenze con almeno venti punti di distacco dagli esponenti degli altri partiti. Ma per vincere non basterà.

In Thailandia sono elettivi solo i 500 seggi della camera bassa del parlamento, mentre i 250 posti del senato (che partecipa alla votazione del primo ministro) sono a nomina militare. Una condizione prevista ad hoc dalla costituzione del 2017 che ha permesso al generale golpista Prayut Chan-o-cha di mantenere il posto da primo ministro nel 2019 e di sperare oggi nella rielezione, nonostante il suo partito, lo United Thai Nation (UTN), sia terzo e ampiamente staccato nei sondaggi (10-15%). Ancora più indietro, ma per lo stesso motivo ancora in lotta, anche l’altro generale dietro il colpo di Stato del 2014, Prawit Wongsuwon. Lui candidato premier del principale partito militare nonché di governo, il Palang Pracharat (PPRP), dato al 2%.

COALIZIONE OBBLIGATA

Saranno chiamati a votare 52 milioni di thailandesi. L’obiettivo dichiarato del Pheu Thai è conquistare circa 300 seggi, soglia che dimostrerebbe un mandato popolare indiscutibile e che quindi renderebbe teoricamente difficile per il senato ostacolare la formazione di un governo a guida Shinawatra. Secondo l’analisi del sito thailandese The Nation non si tratta di un traguardo impossibile, ma certamente complicato. Ed è già chiaro che per costruire un esecutivo stabile – raggiungendo la maggioranza di almeno 376 seggi – il partito dovrà formare una coalizione.

Dietro al Pheu Thai, al secondo posto nei sondaggi c’è stabilmente un partito progressista, il Move Forward (MFP). Nato dalle ceneri del Future Forward, arrivato terzo nel 2019 e sciolto nel 2020, il Move Forward raccoglie tra i propri candidati ed elettori tanti dei giovani che hanno partecipato alle proteste democratiche e anti-monarchiche del 2020-21. È un partito forte tra gli under 25 e nei centri urbani. Le previsioni lo danno attorno al 15-20% e potenzialmente in crescita, ma va considerato che i sondaggi prendono in considerazione soprattutto Bangkok e le maggiori città provinciali, rendendo il campione poco rappresentativo delle zone rurali del paese. Comunque, Bangkok è la città che assegna più seggi (33), seguita da quelle nel nord-est, regione roccaforte del Pheu Thai.

Che Pheu Thai e Move Forward possano formare un’alleanza post-elettorale (insieme ad altri partiti progressisti minori) è evidente. Il leader del Move Forward Pita Limjaroenrat ha escluso coalizioni solo con chi è associato al colpo di Stato, cioè PPRP e UTN. Sull’alleanza con i militari, invece, la leadership del Pheu Thai ha mantenuto a lungo una certa ambiguità. Solo di recente Paetongtarn ha dichiarato che non le sono “piaciuti gli ultimi due colpi di Stato”, cioè i golpe con cui i militari hanno deposto e costretto all’esilio prima suo padre Thaksin e poi sua zia Yingluck. Più diretto l’altro candidato premier del partito, il magnate dell’immobiliare Shretta Thavisin, che ha detto di non volersi unire a chi “ha saccheggiato il potere sovrano del popolo”.

A complicare una relazione che sembrerebbe scontata sono soprattutto le posizioni radicali del Move Forward nei confronti della legge sulla lesa maestà. In passato Limjaroenrat ha richiesto esplicitamente la modifica del famigerato articolo 112 del codice penale, che prevede una pena dai 3 ai 15 anni di carcere per chiunque “insulti o diffami” la famiglia reale. La monarchia thailandese è una delle più potenti al mondo e metterla in discussione rappresenta un rischio per la sopravvivenza politica dei partiti che ci provano. In campagna elettorale nessuno, compreso il Pheu Thai, ha mai nominato la legge sulla lesa maestà e anche lo stesso Move Forward ha abbassato i toni.

IL “CENTRO” CONSERVATORE DEI DEMOCRATICI E DEL BJT

Essere accusati di alto tradimento è facile, ancora di più lo è rispettare lo status quo. Il Partito Democratico (DP) thailandese è sempre stato maestro in questo, anche se negli ultimi anni ha iniziato a pagare il proprio spregiudicato trasformismo politico. Nel 2007 il partito più antico del paese arrivò al 38% dei voti: oggi è dato intorno al 4%. I democratici hanno spesso “dichiarato cose gradite alle masse prima delle elezioni” ma non hanno una chiara agenda politica, scrive il Diplomat. L’ultima mossa acchiappa-voti è la proposta di legalizzazione dei sex toys (oggi possederne uno in Thailandia può comportare fino a 3 anni di carcere), ma c’è la discreta probabilità che questo possa far allontanare anche gli ultimi residui di elettorato conservatore rimasti al leader democratico e attuale ministro del Commercio, Jurin Laksanawisit.

Sempre parte dell’attuale governo guidato dal PPRP è il Bhumjaithai (BJT) del ministro della Sanità Anutin Charnveerakul, l’uomo dietro alla caotica legalizzazione della cannabis. È un personaggio da non sottovalutare per la sua capacità di porre il BJT al centro tra i conservatori e i progressisti. Se il Pheu Thai domina nel nord-est agricolo, il Move Forward è forte nei centri urbani e l’UTN di Prayut nel sud del paese, il BJT sembra in grado di raccogliere voti un po’ ovunque. Viene dato intorno al 5%, ma ci sono stime che lo credono più competitivo.

TRA RIFORME POLITICHE E POPULISMO ECONOMICO

Quello di Charnveerakul viene ritenuto un profilo equilibratore, che sarebbe capace di fare da primo ministro sia in un governo conservatore insieme ai militari, sia in un governo progressista. Il leader del BJT ha anche dichiarato che sosterrà la formazione di un’assemblea per riscrivere la costituzione della Thailandia, cioè una delle proposte politiche chiave del Move Forward. Il partito progressista e il Pheu Thai hanno infatti inserito nel programma elettorale una serie di riforme costituzionali e dell’esercito, tra cui l’abolizione della coscrizione obbligatoria.

Sono misure che metterebbero in discussione l’attuale ordine conservatore di eredità del golpe e che contribuiscono a rendere difficile pensare che il senato possa appoggiare un eventuale premier del Pheu Thai, in particolare una Shinawatra. Per questo, e per il fatto che Paetongtarn partorirà il suo secondo figlio proprio a ridosso delle elezioni, l’ipotesi di un primo ministro di compromesso (o che il Pheu Thai punti su Thavisin) non va scartata.

Se sul piano politico si riescono ancora a notare marcatamente due poli, quello conservatore e quello progressista e anti-militare, le cose cambiano quando si parla di economia. “Il populismo ha vinto”, sostiene l’analista Titinan Pongsudhirak. Al di là di piccole differenze di forma, ogni partito ha come perno del suo programma economico la presenza di uno o più sussidi e misure assistenziali. A inaugurare l’assistenzialismo sfrenato sono stati i Shinawatra, che ne hanno fatto per vent’anni la fonte primaria della propria popolarità, in particolare tra gli agricoltori. Un approccio non apprezzato da tutti, specialmente a Bankgok, ma che ha il merito di aver sdoganato il tema delle enormi disuguaglianze di reddito nella società thailandese e di aver di fatto rafforzato il sistema di welfare, questione su cui ha costruito parte del proprio sostegno anche il governo Prayut.Oggi gli stessi partiti filo-militari che dipingevano i Shinawatra come irresponsabili sono tra i più generosi nel promettere aiuti economici, ma le proposte davvero ambiziose vengono sempre dal Pheu Thai, che si impegna a raddoppiare il salario minimo dei lavoratori e a donare a tutti i maggiori di 16 anni 10.000 baht (circa 270 euro). Idee che hanno attirato critiche per il loro potenziale peso sulla spesa pubblica. Si legge poco invece su come riformare strutturalmente l’economia della Thailandia, che da dieci anni non cresce quanto quelle dei più importanti Stati della regione. Una volontà comune è quella di rendere il paese hub manifatturiero delle nuove industrie tecnologiche, come quella delle auto elettriche, rafforzando un processo già in corso da alcuni anni.

La principessa Pa a Vienna – attraverso gli occhi del collega diplomatico Sun Thathong

Sono stato coinvolto per la prima volta nel lavoro della Principessa Pa quando ho affiancato il Ministro degli Affari Esteri nel 2009. Mi fu assegnato il compito di far parte del team che si batteva per l’adozione delle “Leggi di Bangkok sul trattamento delle donne detenute e autori di reato” da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Si trattava del culmine di un progetto che stava particolarmente a cuore alla Principessa Pa. In Brasile, ricordo di essere rimasto sveglio fino alle tre del mattino, per difendere la proposta di includere un paragrafo su questa bozza delle Leggi di Bangkok nel documento finale del Dodicesimo Congresso sulla criminalità del 2010. Più tardi, ciò avrebbe spianato la strada all’adozione delle regole, avvenuta con successo lo stesso anno a New York. In quell’occasione, ho appreso molto delle sue motivazioni personali e sugli sforzi compiuti dietro l’iniziativa. Il suo senso di giustizia mi ha colpito molto da subito. 

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Princess Bajrakitiyabha at the 12th session of the Human Rights Council 

September 2009, Geneva 

Source: Jeff Hoffman, UN 

Un anno dopo l’approvazione delle LEggi di Bangkok, mi sono congedato per perseguire un dottorato in legge nel Regno Unito. Nel 2018, quando sono tornato e mi sono recato in Austria, ho nuovamente avuto modo di vedere il lavoro della Principessa Pa. Questa volta, però, si trattava dei frutti del suo lavoro in qualità di ambasciatrice a Vienna nel periodo 2012-2014.

Due anni sono ritenuti un periodo relativamente breve per un incarico, ma sono stati sufficienti per lasciare un’impronta durevole. Durante i quattro anni trascorsi a Vienna, ho imparato ad ammirarla come esemplare di avvocato-diplomatico, la cui passione per la giustizia e lo stato di diritto ha servito gli interessi della Thailandia in molti modi significativi. Dal punto di vista di un professionista, ho trovato tutto ciò di grande ispirazione.

La strada della Principessa verso Vienna

Prima di arrivare a Vienna, mi ero spesso domandato come avrebbe fatto la Principessa Pa, così giovane, a gestire il lavoro di Ambasciatrice della Thailandia in Austria, Slovacchia e Slovenia e di Rappresentante Permanente della Thailandia presso l’ONU e l’Organizzazione Mondiale della Sanità e altre organizzazioni internazionali con sede a Vienna. Come avrebbe fatto a occuparsi di oltre 6.000 thailandesi in tre Paesi e a rappresentare contemporaneamente la Thailandia in diverse organizzazioni internazionali? Dire che il lavoro era impegnativo è un eufemismo e alcuni direbbero che avrebbe dovuto richiedere decenni di esperienza in campo diplomatico.

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Princess Bajrakitiyabha addressing the UN General Assembly’s High-Level Meeting on the Rule of Law, 24 September 2012, New York. 

Source: UN 

Dal mio punto di vista, il dottorato in legge conseguito alla Cornell, l’illustre carriera di avvocato-procuratore tailandese e la precedente esperienza di lavoro nell’ambito della Missione permanente tailandese presso le Nazioni Unite a New York , l’hanno preparata sotto più punti di vista rispetto ad altri colleghi, diplomatici di carriera.

Ho poi realizzato un fattore fondamentale. Essendo nata come personaggio pubblico, la Principessa Pa ha naturalmente ricevuto una “formazione diplomatica” fin dalla nascita. Inoltre, in quanto membro della famiglia reale, servire il suo popolo e la compassione per le sue prove e tribolazioni erano nel suo sangue. Le Nazioni Unite avevano già riconosciuto le sue capacità diplomatiche quando, nel 2008, l’avevano nominata ambasciatrice nazionale delle Nazioni Unite per la Thailandia. Anche l’adozione delle Leggi di Bangkok, avvenuta nel 2010, è stata in parte il risultato del suo riconoscimento e delle sue capacità nella diplomazia multilaterale.

La Principessa Pa aveva già padroneggiato le conoscenze essenziali di un diplomatico qualche tempo prima di arrivare a Vienna. Questo spiega perché, nonostante il suo mandato relativamente breve come Ambasciatore e Rappresentante Permanente della Thailandia a Vienna, sia stata in grado di dare un contributo così importante, facendo progredire gli interessi nazionali e la diplomazia multilaterale della Thailandia.

Guidare i leader  

Il compito principale di un rappresentante permanente è rappresentare il proprio Paese e promuoverne gli interessi nei negoziati internazionali. Alcuni possono assumere ruoli aggiuntivi e volontari nella conduzione delle riunioni e nella presidenza degli organi decisionali di queste organizzazioni. Mi ha stupito sapere che, durante la sua permanenza a Vienna, la Principessa Pa ha assunto personalmente un lungo elenco di questi incarichi di leadership volontaria in diversi consessi.

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Princess Bajrakitiyabha chairing the 21st session of the Commission on Crime Prevention and Criminal Justice in Vienna, 23 – 27 April 2012

Source: UNODC

Per la Commissione per la prevenzione del crimine e la giustizia penale, un organismo delle Nazioni Unite che si occupa di prevenzione del crimine e giustizia penale, la Principessa Pa ha ricoperto il ruolo di presidente della sessione annuale dal 2011 al 2012. Per la Commissione sugli stupefacenti, un organismo delle Nazioni Unite che si occupa di questioni legate alla droga, ha ricoperto il ruolo di secondo vicepresidente della sessione annuale del 2013 e di primo vicepresidente l’anno successivo. Per l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, un’organizzazione che cerca di promuovere l’uso pacifico dell’energia nucleare, è stata vicepresidente della sessione annuale del 2013 della Conferenza generale dell’Agenzia. È stata anche vicepresidente della sessione inaugurale (2012) dell’Assemblea generale dell’Accademia internazionale anticorruzione, un’istituzione che promuove l’educazione anticorruzione. 

Ho visto altri rappresentanti permanenti thailandesi svolgere ruoli simili e ho fatto parte del team che li ha serviti, ma non ho mai sentito parlare di un singolo rappresentante permanente che ha assunto una lista così lunga di ruoli in un periodo di tempo così breve. In effetti, l’essere stata eletta a questi incarichi, uno dopo l’altro, è stata la prova non solo della fiducia che i circoli diplomatici viennesi riponevano nella Principessa Pa, ma anche della sua incredibile etica del lavoro e della sua competenza. Nel ricoprire queste cariche, ha contribuito a costruire ponti, a risolvere tensioni e a promuovere obiettivi comuni. In questo modo, ha migliorato non solo il profilo della Thailandia, ma anche quello delle stesse organizzazioni.

Princess Bajrakitiyabha met with the UN Secretary-General during the UN General Assembly’s Thematic Debate on ‘Drugs and Crime as a Threat to Development,’ 26 June 2012, New York

Source: UN

Influenzare l’agenda globale 

La Principessa Pa ha cercato di ampliare l’influenza della Thailandia anche in altri modi. Uno di questi è stato quello di far conoscere meglio la Thailandia come centro di incontri internazionali. In occasione della prima sessione dell’Assemblea generale dell’Accademia internazionale anticorruzione nel 2012, la Principessa Pa ha presentato l’offerta della Thailandia di ospitare la seconda sessione dell’Assemblea in Thailandia l’anno successivo, invito che l’Assemblea ha accettato volentieri. Nel 2014, poi, la Thailandia ha ospitato due riunioni delle Nazioni Unite presiedute dalla stessa Principessa Pa: una riunione preparatoria per il 13° Congresso sulla criminalità e una riunione di un gruppo di esperti per sviluppare bozze di strategie modello e misure pratiche sull’eliminazione della violenza contro i bambini.

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Princess Bajrakitiyabha at the ECOSOC panel discussion on crime prevention in the context of post-2015 development agenda, 22 July 2013, Geneva

Source: Jean-Marc Ferre. UN

Un altro modo in cui la Principessa Pa ha ampliato l’influenza della Thailandia è stato quello di impegnarsi attivamente con gli attori rilevanti per promuovere le cause della Thailandia. Nel 2013, la Principessa Pa ha partecipato a una tavola rotonda sulla prevenzione del crimine nel contesto dell’agenda di sviluppo post-2015 durante una riunione dell’ECOSOC a Ginevra. Più tardi nel 2013, a margine della sessione annuale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, ha moderato una tavola rotonda di alto livello sulle uccisioni di donne e ragazze legate al genere. Ha inoltre incontrato il Segretario generale aggiunto delle Nazioni Unite per discutere di questioni relative allo Stato di diritto e allo sviluppo sostenibile. Al di fuori delle Nazioni Unite, ha tenuto discorsi alle riunioni dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), di cui la Thailandia è Paese partner, per condividere le esperienze della Thailandia nella promozione dello Stato di diritto, dello sviluppo sostenibile e dell’emancipazione femminile.


Ottenere risultati concreti

In meno di due anni, più di dieci risoluzioni proposte o co-proposte dalla Thailandia sono state adottate con successo dagli organi delle Nazioni Unite con sede a Vienna. Nel 2013-2014, la Commissione sugli stupefacenti ha adottato cinque risoluzioni proposte o co-proposte dalla Thailandia su temi quali lo sviluppo alternativo e la prevenzione dell’abuso di droga. Nello stesso periodo, la Commissione per la prevenzione del crimine e la giustizia penale ha adottato otto risoluzioni proposte o co-proposte dalla Thailandia su temi quali l’eliminazione della violenza contro i bambini, il trattamento dei detenuti e la giustizia penale.


Questo numero elevato non è di per sé indice di risultati senza precedenti, dato che è normale che ogni anno la Thailandia proponga e co-patrocini alcune (o più) risoluzioni presso le organizzazioni internazionali con sede a Vienna. Tuttavia, dimostra che sotto l’ambasceria della Principessa Pa, la Thailandia ha continuato a essere proattiva e a ottenere buoni risultati a Vienna. Vale anche la pena notare che è stato durante l’ambasceria della Principessa Pa a Vienna che la Thailandia ha finalmente ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale e il suo protocollo contro il traffico di esseri umani, dopo averli firmati per oltre un decennio.


Sarebbe fuorviante concludere che la Principessa Pa abbia avviato e portato a termine da sola tutti i compiti sopra descritti. Non va trascurato il ruolo cruciale del suo staff, che ha contribuito a proporre ordini del giorno, a redigere discorsi e a fare pressioni per ottenere sostegno. Ma sarebbe anche ingenuo non riconoscere il potere persuasivo unico che la Principessa Pa aveva sulle sue controparti, sia nazionali che estere.


Un’ispirazione per tutti


La Principessa Pa ha lasciato Vienna ed è tornata all’Ufficio del Procuratore Generale thailandese nell’ottobre 2014. Da allora ha assunto altri ruoli, come quello di Ambasciatrice di buona volontà dell’UNODC per lo Stato di diritto nel Sud-Est asiatico, e ha portato avanti i suoi doveri reali e le sue passioni personali. Riflettendo, non posso fare a meno di pensare al Principe Wan Waithayakon – uno dei più grandi diplomatici thailandesi e cugino di primo grado della stessa Principessa Pa – che presiedette l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1956. Sono noti per avere una grazia, una compassione e una competenza simili. Sebbene la Principessa Pa abbia abbandonato per ora la carriera diplomatica, ha già consolidato il suo ruolo di modello per la nuova generazione di diplomatici e rimane un simbolo di empatia e giustizia e una fonte di ispirazione per tutti.

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Sun Thathong è un avvocato-diplomatico thailandese, attualmente in servizio come consigliere presso il Dipartimento dei Trattati e degli Affari legali del Ministero degli Affari esteri della Thailandia. In precedenza ha ricoperto il ruolo di Primo segretario presso l’Ambasciata reale thailandese e la Missione permanente della Thailandia a Vienna (2018-2022).

Riprendono le trattative UE-Thailandia mentre Bangkok si prepara alle elezioni

L’UE ha recentemente ripreso le trattative con la Thailandia per la conclusione di un accordo di libero scambio, mentre Bangkok si prepara alle urne. I rapporti economici costituiscono una parte essenziale della strategia europea per l’Indo-pacifico.

Lo scorso 15 marzo la Commissione ha annunciato che le trattative per la conclusione di un accordo di libero scambio (ALS) con la Thailandia sarebbero riprese dopo uno stallo di quasi dieci anni. Nel 2014, appena un anno dopo il loro avvio, i negoziati erano stati sospesi in risposta al colpo di stato militare che aveva chiuso la crisi politica generata dallo scontro tra il Governo, guidato dalla famiglia del magnate ed ex primo ministro Thaksin Shinawatra, e l’establishment ultra-conservatore legato alla monarchia e all’esercito. Da allora, il Paese è guidato dai referenti politici dell’esercito che hanno riformato la Costituzione nel 2017, rafforzando i poteri del Re e blindando il controllo dei militari sul Senato (di loro nomina e non elettivo). In questo contesto, nel 2019 i partiti pro-esercito hanno vinto le elezioni e il Consiglio Europeo ha raccomandato di rilanciare la cooperazione con Bangkok e riprendere i negoziati per l’ALS “alla luce dei progressi compiuti dalla Thailandia nel processo di democratizzazione”. Pochi giorni fa, dopo l’annuncio della ripresa delle trattative per l’ALS, il primo ministro Prayut Chan-o-cha (al potere dal golpe del 2014) ha sciolto la Camera thailandese e avviato il processo che condurrà il paese alle urne tra pochi mesi.

La Storia è fatta di corsi e ricorsi, si dice, ma i parallelismi questa volta si sprecano. I negoziati erano stati fermati quando la democrazia thailandese era stata sospesa manu militari ed ora riprendono a pochi mesi da un test importante per le Istituzioni del Paese. E’ difficile però condividere l’ottimismo del Consiglio Europeo: tra il 2019 e oggi, Bangkok è stata agitata da intense proteste che chiedevano di ridimensionare il ruolo dell’esercito e della monarchia e maggiore democrazia, proteste che si sono gradualmente spente dopo la reazione repressiva delle forze ultra-conservatrici. Sembra legittimo chiedersi dunque se in Thailandia sia davvero in corso un “processo di democratizzazione”, come ritengono i leader europei. Per rispondere occorre guardare agli ultimi decenni di storia della “terra dei liberi”. Nel Paese si tengono con regolare frequenza elezioni, quasi sempre vinte sostenitori della famiglia Thaksin. La maggioranza parlamentare riesce a governare per alcuni anni, scontrandosi politicamente con i sostenitori dell’esercito e della monarchia, ma quasi mai riesce a concludere una legislatura. A quel punto, il governo in carica prova a forzare la mano andando ad elezioni anticipate, ma lo scontro politico-istituzionale si inasprisce e provoca l’intervento dell’esercito che rovescia il governo. I militari governano per alcuni anni e poi permettono che si tengano nuove elezioni, con nuove regole opportunamente modificate, nella speranza che i loro referenti politici prevalgano sulle forze pro-Thaksin, cosa che però non avviene quasi mai. Questo copione si è ripetuto con disarmante regolarità nel 2006 e nel 2014 e potrebbe ripetersi ora anche nel 2023.

In questo contesto, guardando allo stato di salute della democrazia thailandese, è difficile pensare che sia cambiato effettivamente qualcosa rispetto agli anni immediatamente precedenti al 2014. Cosa succederebbe ai negoziati dell’ALS se si ripetesse l’ennesimo colpo di stato a Bangkok? L’UE li fermerebbe ancora una volta? Si tratta di un dilemma non facile per i decision maker di Bruxelles e che si ripresenta spesso, specie nel Sud-Est asiatico, dove la politica commerciale si fa ancora più “politica”. Da un lato, liberalizzare gli scambi commerciali porta indubbi benefici economici per entrambe le parti. La Thailandia è la seconda economia dell’ASEAN e, al momento, il quarto partner regionale per l’Unione. Come per altri membri ASEAN, l’economia thailandese è molto promettente per i settori ad alta innovazione (energie rinnovabili, veicoli elettrici, semiconduttori e altri prodotti elettronici). Il Paese potrebbe diventare un fornitore chiave per le aziende europee, ma anche un mercato dove espandersi. Per un’economia orientata all’export come quella europea (e italiana), ridurre le barriere commerciali rappresenta quasi sempre un’ottima occasione di crescita e Bruxelles è intenzionata a rilanciare la sua strategia basata sugli ALS per provare a superare le difficoltà economiche causate dalla crisi energetica.

Ma la politica commerciale va oltre gli interessi economici. L’Europa deve fare anche delle considerazioni politiche che richiedono un non facile bilanciamento. Da un lato, approfondire i legami commerciali con dei Paesi a democrazia “intermittente” o “apparente” rischia di legittimare regimi autoritari e di compromettere lo standing internazionale di Bruxelles. Inoltre, la politica commerciale rimane una questione polarizzante tra gli elettori europei e gli Stati membri. Dall’altro, gli ALS contengono ormai stabilmente norme che impegnano i partner a cooperare nello sviluppo sostenibile (ossia economico, ma anche socio-politico e ambientale) e possono incidere positivamente nella crescita della società thailandese. La Commissione è ben conscia della delicatezza di tale bilanciamento e fa preparare, durante i negoziati di ciascun ALS, una valutazione d’impatto sulla sostenibilità al fine di poter meglio considerare le opportunità e i rischi legati alla liberalizzazione degli scambi.C’è però un’ulteriore aspetto politico da considerare per capire la scelta di Bruxelles. Nel 2021, l’UE ha lanciato la sua strategia per l’Indo-pacifico e rafforzare i legami (economici e politici) con la regione è diventato essenziale in questo nuovo contesto di crescenti tensioni internazionali. Il commercio diventa quasi “prosecuzione della politica con altri mezzi”. In particolare, per contenere il “rivale sistemico” cinese, a sua volta attivo nel rafforzare gli scambi commerciali con i Paesi ASEAN. Su questo piano, Bruxelles deve anche adattarsi allo scontro commerciale e tecnologico in corso tra Stati Uniti e Cina. Lo scenario politico è sempre più complesso, ma è anche foriero di opportunità economiche per i Paesi ASEAN che possono sostituirsi alle aziende cinesi nelle catene di approvvigionamento che finiscono in Europa e in America. Rimane però il rischio che i governi europei e americano, mossi dal desiderio di coinvolgere le democrazie asiatiche nella loro azione di contenimento delle potenze “autoritarie” (e nei loro accordi commerciali), finiscano per sottovalutare o, peggio, ignorare le difficoltà e i rischi affrontati dalle forze veramente democratiche di questi Paesi. Gli sviluppi futuri del caso thailandese saranno molto importanti per capire come Bruxelles intende risolvere questo dilemma.