Asean

Economia (e moda) circolare in ASEAN

L’attenzione alle tematiche ambientali è sempre più sentita nel Sud-Est asiatico, uno dei principali poli produttivi di fast fashion e consumo di plastica.

Negli ultimi anni dal settore della moda è partito un crescente interesse verso modelli etici e sostenibili. A livello internazionale, sempre più marchi di moda stanno adottando un’economia circolare, ovvero un quadro di produzione e consumo che promuove l’idea di riutilizzo, riciclaggio e riduzione dei rifiuti al minimo. Questa è in gran parte una risposta alla maggiore consapevolezza dei consumatori sull’impatto negativo del fast fashion e alla maggiore preoccupazione per le questioni ambientali e sociali. Ciò ha permesso una netta crescita del mercato della moda sostenibile. Secondo The Business Research Company, il mercato globale della moda etica – definito come design, produzione e distribuzione di abbigliamento che mira a ridurre al minimo i danni alle persone e all’ambiente – dovrebbe raggiungere gli 11,12 miliardi di dollari entro il 2027. Questo sta avvenendo anche in Thailandia, dove un numero crescente di negozi di abbigliamento locali sta dando il proprio contributo al trend della sostenibilità.

Tra questi vi è l’esempio di Nymph Vintage, un negozio online di abbigliamento riciclato. La fondatrice Krittiga Kunnalekha ha intuito il potenziale nascosto nei ritagli di tessuto. Scarti di tende, vestiti usati e tappeti, grazie alle sue mani creative, si trasformano in una colorata gamma di camicette, abiti e gonne. Krittiga si concentra sul cosiddetto upcycling, dare nuova vita ai tessuti per creare capi unici. Una svolta importante per la reputazione di Bangkok come capitale del fast fashion, sia per quanto riguarda lo shopping che i suoi grandi centri commerciali all’ingrosso riforniti di abbigliamento economico prodotto in serie. 

Marry Melon – il brand fondato da Sarita Prapasawat – rappresenta un’altra storia di successo. Quando ha aperto il suo negozio quattro anni fa, Sarita cuciva personalmente ogni capo utilizzando tessuti di abiti usati acquistati nei mercatini dell’usato in Thailandia o all’estero. Il suo marchio è diventato famoso nel 2022, quando diversi influencer e attrici locali hanno iniziato a indossare i suoi modelli. Questo le è valso un accordo con il marchio di vendita al dettaglio Pomelo con sede a Bangkok, conquistando il proprio posto anche nel loro negozio online.

Anche l’Indonesia risponde alla grave emergenza dei rifiuti in plastica con esempi di imprenditoria virtuosa. Gli imballaggi di plastica – un sottoprodotto del rapido sviluppo economico del Paese – sono sparsi ovunque, inquinando interi paesaggi e corsi d’acqua. È stato questo a spingere la giovane Syukriyatun Niamah a fondare Robries, una startup che mira a trasformare i rifiuti di plastica in mobili e accessori per la casa, evitando che finiscano in mare. L’imprenditrice indonesiana ha studiato design del prodotto prima di fondare la startup nel 2018, applicando le sue competenze alla sperimentazione di processi di riciclo per convertire i rifiuti di plastica in prodotti utili. Da tavoli e sedie a vasi dai colori vivaci. La giovane azienda, che sta cercando un round di finanziamento di serie B di 250.000 dollari, ricicla quattro tipi di rifiuti di plastica: polipropilene, polietilene ad alta densità, polietilene a bassa densità e polistirene ad alto impatto. Gli obiettivi sono ambiziosi: educare le persone a uno stile di vita a zero consumo di plastica, portando i loro prodotti in giro per l’Indonesia; entrare nel mercato globale; potenziare la propria capacità di upcycling con processi più efficienti. 

La plastica è un problema molto grave nel Sud-Est asiatico, dove le bevande da asporto, dal caffè caldo al tè, sono spesso servite in sacchetti di plastica e alcuni venditori ambulanti utilizzano imballaggi difficili da smaltire per i pasti da asporto, anche se alcuni sono passati a cannucce di carta, utensili in legno e contenitori biodegradabili. La dipendenza dalla plastica è diventata ancora più evidente durante la pandemia di COVID-19 che ha fatto aumentare l’uso dei servizi di delivery. 

“Rispetto al resto del mondo, il Sud e il Sud-Est asiatico utilizzano più plastica monouso grazie alla sua convenienza”, ha affermato Prak Kodali, CEO e co-fondatore di pFibre con sede a Singapore, che utilizza ingredienti marini biodegradabili a base vegetale per realizzare pellicole per imballaggi flessibili. 

In linea con l’urgenza da parte dei governi e delle aziende asiatiche di rispondere al cambiamento climatico, sempre più imprese ecologiche stanno cercando di promuovere l’economia circolare in ASEAN, mirando soprattutto a ridurre o eliminare i rifiuti generati dai consumi umani. 

In Vietnam, ReForm Plastic trasforma materie plastiche di basso valore in materiali da costruzione e altri prodotti. Utilizzando tecniche di stampaggio a compressione, converte la plastica in pannelli che possono servire come materiali di base da modellare in articoli di consumo. La sua co-fondatrice, Kasia Weina, ha dichiarato a Nikkei che la startup ha convertito in prodotti oltre 500 tonnellate di plastica di scarso valore, con la capacità di processare fino a 6.000 tonnellate in otto stabilimenti. Sono pronti a una rapida espansione con otto strutture operative o di installazione in Asia e Africa: due in Myanmar, due in Vietnam, una in Bangladesh, una nelle Filippine, una in Ghana e una in Laos, mirando a elaborare oltre 100.000 tonnellate di rifiuti di plastica all’anno entro il 2030.

Tali sforzi hanno un significato globale perché la plastica rappresenta l’80% di tutti i detriti presenti negli oceani del mondo. L’ASEAN genera decine di milioni di tonnellate di rifiuti di plastica all’anno. Un volume di rifiuti solidi e detriti marini destinato ad aumentare insieme all’urbanizzazione in espansione e a una classe di consumatori in crescita. Gli effetti a lungo termine stanno appena emergendo. The Circulate Initiative – un’organizzazione senza scopo di lucro che affronta l’inquinamento da plastica degli oceani nel sud e Sud-Est asiatico – ha osservato che l’eliminazione dell’inquinamento da plastica solo in India e Indonesia entro il 2030 eviterebbe 150 milioni di tonnellate di emissioni di gas serra, rilasciati durante il processo di decomposizione che può impiegare centinaia di anni. 

La sfida per le startup del settore è raccogliere fondi in un momento in cui gli investitori sono frenati dalle incertezze macroeconomiche globali, dall’aumento dei tassi di interesse e dalle pressioni inflazionistiche. Tuttavia, gli sforzi di finanziamento dedicati continuano a sostenere l’economia circolare. The Incubation Network, che collega investitori e giovani aziende con un programma di sostenibilità, ha affermato di aver aiutato le startup a raccogliere 59 milioni di dollari di capitale da quando è stata creata nel 2019. Lo stesso anno, Circulate Capital ha lanciato il primo fondo di investimento al mondo dedicato alle startup e alle piccole imprese che combattono la minaccia della plastica negli oceani.

L’ASEAN disegna il suo futuro

Sono iniziate le riunioni di lavoro interne al blocco per sviluppare un documento contenente la visione post-2025. Emergono già dei principi fondamentali

Il Sud-Est asiatico guarda al futuro e lo fa fissando in cima alla sua agenda alcuni principi fondamentali. Primo: orientamento all’azione. Secondo: sostenibilità. Terzo: impresa, audacia e innovazione. Quarto: adattabilità e proattività. Quinto: adattabilità e resilienza. Sesto: inclusività, partecipazione e collaborazione. Sono questi i sei obiettivi primari su cui l’ASEAN è intenzionata a costruire e linee guida per la costruzione del suo futuro. Sì, perché come ha spiegato nei giorni scorsi Netty Muharni, funzionario del Ministero coordinatore per gli Affari economici dell’Indonesia, lo sviluppo della Visione ASEAN post-2025 è stato il tema principale della riunione del Gruppo di lavoro per la Visione della comunità economica ASEAN, presieduto per la prima volta dal governo indonesiano il 2 marzo scorso a Belitung. I sei elementi fondamentali dovrebbero essere concordati dai leader dei Paesi membri del blocco del Sud-Est asiatico in occasione del 42° Vertice dell’ASEAN che si terrà il prossimo maggio proprio in Indonesia, che detiene per il 2023 la presidenza di turno. Per anticipare e sostenere l’integrazione economica futura saranno comunque incluse nel documento di sviluppo comune anche diverse nuove caratteristiche tra cui la salute, le megatendenze globali, l’economia creativa, la sostenibilità, la digitalizzazione e la cooperazione con i partner esterni al blocco. In un modo che ha spesso a che fare con continue emergenze, l’ASEAN prova a guardare altro e a sviluppare la sua visione post-2025 per definire una nuova e chiara agenda per una migliore integrazione economica e per adattarsi ai progressi tecnologici, ai cambiamenti geopolitici e alle trasformazioni economiche che stanno cambiando l’attuale panorama globale. Come sempre lo farà attraverso meccanismi di coordinamento e di consultazione interna non solo degli attori politici, ma anche economici e sociali. Fattore cruciale per la regione la cui rilevanza diplomatica, commerciale, produttiva e tecnologica è in costante aumento. Una tendenza che non potrà che accelerare con una visione chiara sulla direzione intrapresa.

La risposta ASEAN al cambiamento climatico: l’intelligenza artificiale

Alcuni Paesi del Sud-Est asiatico stanno iniziando a usare servizi di intelligenza artificiale al fine di agire più rapidamente e ridurre l’impatto di  inondazioni e alluvioni

La Thailandia e il Vietnam, come altri Stati del Sud-Est asiatico, sono Paesi che, a causa della loro posizione geografica e del loro clima, subiscono spesso inondazioni. Queste inondazioni possono essere “mortali” a vari livelli, causando danni diffusi alle infrastrutture, e provocando soprattutto la perdita di vite umane. Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale, nel 2021 i rischi legati al clima e all’acqua hanno causato danni per 35,6 miliardi di dollari in Asia. Il WorldRiskIndex annuale ha identificato le Filippine come il Paese più vulnerabile alle catastrofi nel 2021, e anche molti altri Paesi asiatici sono stati classificati come ad altissimo rischio. Un modo in cui questi Paesi stanno lavorando per mitigare l’impatto delle inondazioni è l’uso di servizi di intelligenza artificiale (AI) per le allerte meteo. Due aziende all’avanguardia in questo settore sono Weathernews e Spectee.

Weathernews è un’azienda giapponese specializzata in previsioni meteorologiche e fornisce servizi a clienti di tutto il mondo. Questo servizio utilizza algoritmi di intelligenza artificiale per fornire previsioni meteo estremamente accurate. Il servizio è progettato per aiutare le aziende e i governi a prendere decisioni migliori sulla base delle previsioni meteorologiche, ad esempio emettendo allarmi meteo tempestivi per le aree a rischio di inondazioni. Weathernews utilizza diverse fonti per raccogliere i dati per i suoi servizi di previsione meteorologica, tra cui i servizi meteorologici pubblici, la propria rete proprietaria di oltre 13.000 punti di osservazione e le segnalazioni delle persone. L’azienda raccoglie anche dati di osservazione da parte di navi e aerei. 

L’obiettivo del presidente di Weathernews, Chihito Kusabiraki, è quello di aumentare del di un ulteriore 30% i ricavi provenienti dai Paesi esteri, i quali passerebbero dal 40% al 70% del totale. Al momento la maggior parte dei clienti internazionali di Weathernews sono aziende fornitrici di servizi logistici, quali operatori aerei e compagnie di navigazione. A livello di Sud Est asiatico Weathernews ha in programma di lanciare il suo servizio di previsione basato sull’intelligenza artificiale entro marzo 2023 in Thailandia ed entro giugno 2023 in Vietnam. Grazie a questo nuovo servizio, l’azienda mira a espandere la propria base di clienti. L’obiettivo dell’azienda è quello di aumentare il fatturato totale in Thailandia e Vietnam fino a 3 miliardi di yen (22,6 milioni di dollari) all’anno. 

Un’altra azienda che sta utilizzando l’intelligenza artificiale per fornire avvisi meteo alle aree a rischio di inondazioni è Spectee, un’azienda giapponese specializzata nel fornire notizie e informazioni sui disastri naturali, comprese le inondazioni, attraverso l’uso di algoritmi di intelligenza artificiale in grado di identificare rapidamente le immagini, i video e le informazioni su inondazioni, condivisi sui social media. Queste informazioni vengono poi utilizzate per creare avvisi che possono essere inviati alle autorità e ai soccorritori nelle aree colpite. L’azienda ha annunciato che, una volta trovato un partner, istituirà un’unità locale nelle Filippine che terrà traccia di informazioni, foto e video sui social media per mappare i disastri naturali nel paese. 

Il vantaggio di utilizzare i servizi di intelligenza artificiale per le allerte meteo in aree a rischio di inondazioni come la Thailandia e Vietnam è che possono fornire informazioni in tempo reale che possono aiutare le autorità ad agire rapidamente. Tuttavia, l’utilizzo di servizi di intelligenza artificiale per le allerte meteo presenta anche potenziali problemi. Uno di questi è che molte persone potrebbero non avere accesso alla tecnologia necessaria per ricevere le allerte meteo. Ad esempio, le persone che vivono in aree remote potrebbero non avere accesso alla rete degli smartphone. Ciò potrebbe rendere il sistema di Spectee inefficiente. Un’altra preoccupazione è che le aziende e gli enti governativi delle economie asiatiche emergenti potrebbero avere difficoltà a permettersi prodotti progettati per clienti con maggiori difficoltà economiche. 

Nonostante queste preoccupazioni, è chiaro che i servizi di intelligenza artificiale per le allerte meteo hanno il potenziale per essere un potente strumento per mitigare l’impatto delle alluvioni. Fornendo informazioni in tempo reale sui modelli meteorologici e sulle inondazioni, questi servizi possono aiutare le autorità ad agire rapidamente e a ridurre l’impatto delle inondazioni sulle comunità locali. Man mano che questi servizi continueranno a svilupparsi e a diventare più avanzati è probabile che svolgeranno un ruolo sempre più importante negli sforzi di risposta alle catastrofi non solo nel Sud-Est asiatico, ma in tutto il mondo.

La terza via asiatica

Come l’ASEAN sopravvive e prospera in mezzo alla competizione tra grandi potenze

Proponiamo di seguito un estratto dell’ultimo saggio di Kishore Mahbubani, pubblicato da Foreign Affairs

La sfida geopolitica più importante del nostro tempo è quella tra Cina e Stati Uniti. Con l’aumento delle tensioni sul commercio e su Taiwan, tra le altre cose, in molte capitali cresce comprensibilmente la preoccupazione per un futuro definito dalla competizione tra grandi potenze. Ma una regione sta già tracciando un percorso pacifico e prospero in questa era bipolare. Situata al centro geografico della lotta per l’influenza tra Stati Uniti e Cina, il Sud-Est asiatico non solo è riuscito a mantenere buone relazioni con Pechino e Washington, ma ha anche permesso alla Cina e agli Stati Uniti di contribuire in modo significativo alla sua crescita e al suo sviluppo. Non si tratta di un’impresa da poco. Tre decenni fa, molti analisti ritenevano che l’Asia fosse destinata al conflitto. Come scrisse lo scienziato politico Aaron Friedberg nel 1993, l’Asia sembrava molto più probabile dell’Europa come “cabina di pilotaggio di un conflitto tra grandi potenze”. Nel lungo periodo, prevedeva, “il passato dell’Europa potrebbe essere il futuro dell’Asia”. Ma nonostante i sospetti e le rivalità – in particolare tra Cina e Giappone e tra Cina e India – l’Asia è ora nel suo quinto decennio di relativa pace, mentre l’Europa è di nuovo in guerra. (L’ultimo grande conflitto asiatico, la guerra sino-vietnamita, è terminato nel 1979). Il Sud-Est asiatico ha sopportato una certa dose di conflitti interni, soprattutto in Myanmar, ma nel complesso la regione è rimasta notevolmente pacifica, evitando conflitti interstatali nonostante la notevole diversità etnica e religiosa. Il Sud-Est asiatico ha anche prosperato. Mentre il tenore di vita degli americani e degli europei è diminuito nel corso degli ultimi due decenni, i sud-est asiatici hanno ottenuto notevoli guadagni in termini di sviluppo economico e sociale. Dal 2010 al 2020, l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN), composta da dieci Paesi con un PIL combinato di 3.000 miliardi di dollari nel 2020, ha contribuito alla crescita economica globale più dell’Unione Europea, i cui membri avevano un PIL combinato di 15.000 miliardi di dollari. Questo eccezionale periodo di crescita e armonia in Asia non è un caso. È in gran parte dovuto all’ASEAN, che nonostante i suoi numerosi difetti come unione politica ed economica ha contribuito a forgiare un ordine regionale cooperativo costruito su una cultura del pragmatismo e dell’accomodamento. Quest’ordine ha colmato le profonde divisioni politiche nella regione e ha mantenuto la maggior parte dei Paesi del Sud-Est asiatico concentrati sulla crescita economica e sullo sviluppo. La più grande forza dell’ASEAN, paradossalmente, è la sua relativa debolezza ed eterogeneità, che fa sì che nessuna potenza la veda come una minaccia.
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Più cooperazione tra UE e ASEAN

Dal commercio alle politiche green, i due blocchi sono destinati ad approfondire la cooperazione nel 2023

Accordi di libero scambio, commercio e investimenti, transizione energetica e politiche green. Sono tanti i punti sui quali l’Unione Europea e l’ASEAN si muovono nella direzione di un ulteriore rafforzamento dei rapporti. L’Indonesia, Presidente di turno del blocco delle nazioni del Sud-Est asiatico per quest’anno, ha già dimostrato la ferma intenzione di impegnarsi a fondo per implementare o favorire nuovi accordi di natura commerciale con l’Europa. La prima intenzione è quella di completare l’Accordo di partenariato economico globale Indonesia-UE (IEU CEPA). Data la completezza e l’alto livello di ambizione dello IEU CEPA, che copre 16 aree di negoziazione, si tratta di un compito arduo ma su cui Giacarta punta molto. Il tredicesimo ciclo di negoziati, convocato dal 6 al 10 febbraio, è stato un primo banco di prova per verificare le prospettive di completare l’accordo entro la fine del 2023. E la sensazione è che si farà di tutto per farcela. Singapore e Vietnam hanno già attuato accordi commerciali con l’UE. Una conclusione positiva dello IEU CEPA stimolerebbe la Thailandia, la Malesia e le Filippine a riprendere i negoziati per accordi simili. Come sottolineato da The Diplomat, gli accordi di libero scambio bilaterali tra l’UE e i Paesi ASEAN fungeranno poi da tasselli per un futuro accordo UE-ASEAN, che farà ingranare una marcia ancora più alta nei rapporti tra i due blocchi. C’è poi il capitolo delle politiche ambientali. Il Green Deal europeo è considerato tra le principali priorità dell’Unione Europea nella strategia 2023 sull’ASEAN e sull’Indonesia. I Paesi del Sud-Est asiatico stanno facendo sul serio sugli obiettivi della transizione energetica, ma restano alcuni ostacoli da superare. In particolare le regole dell’UE sull’assenza di deforestazione, accolte negativamente da Indonesia e Malesia, i due maggiori produttori mondiali di olio di palma, che le hanno giudicate “discriminatorie” nei confronti dei Paesi in via di sviluppo. L’UE ha però rassicurato che è determinata a risolvere la questione diplomaticamente, complimentandosi anzi con Giacarta per i progressi: “I risultati ottenuti dall’Indonesia per fermare la deforestazione sono notevoli. La data limite è stata fissata al dicembre 2022 e non sono previste sanzioni per quanto accaduto in passato”, ha dichiarato recentemente l’Ambasciatore dell’UE a Giacarta, Vincent Piket. Tutte le parti sembrano intenzionate a risolvere qualsiasi dubbio per rafforzare ancora di più la cooperazione tra i due blocchi. A tutti i livelli.

Una strategia “rinnovabile”: la sfida ASEAN per il 2023

Tra il 2025 e il 2029, il Sud-Est asiatico diventerà importatore netto di gas naturali e carbone, quindi dalla sua strategia climatica futura dipenderà non solo una parte importante della produzione mondiale di energia, ma anche la sorte dell’Accordo di Parigi sul clima

Articolo di Chiara Suprani

Se numerose sono le previsioni degli analisti che vedrebbero il Sud-Est asiatico diventare la prossima centrale elettrica mondiale, allora la strategia che il blocco ASEAN deciderà di adottare per il suo sviluppo energetico futuro sarà decisiva. Quarto per consumo energetico al mondo, il gruppo dei dieci Paesi del Sud-Est asiatico soddisfa ancora oggi l’83% del suo fabbisogno energetico con combustibili fossili. Secondo un report pubblicato al Settimo ASEAN Energy Outlook (AEO7) tra il 2025 e il 2029, il Sud-Est asiatico diventerà importatore netto di gas naturali e carbone, quindi dalla sua strategia climatica futura dipenderà non solo una parte importante della produzione mondiale di energia, ma anche la sorte dell’Accordo di Parigi sul clima. La maggior parte dei Paesi ASEAN hanno aderito all’Accordo, che prevede zero emissioni entro il 2050, ad eccezione delle Filippine, mentre l’Indonesia ha optato come scadenza il 2060. Al fine di sostenere la transizione del Paese di Joko Widodo, il G20 del 2022 si è concluso con il lancio del Just Energy Transition Partnership (JETP) un programma da 20 miliardi di dollari americani per la decarbonizzazione del sistema energetico indonesiano. L’accordo tra Indonesia e i suoi partner internazionali prevede la decarbonizzazione del 34% di produzione energetica indonesiana entro il 2030. Una formula di mix di prestiti agevolati, prestiti di mercato, sovvenzioni, garanzie e investimenti privati da parte di enti pubblici e privati: questo sta alla base del JETP. Formula che è stata accolta positivamente perché elaborata sulle necessità di ogni Paese. Gli investitori del mondo dei combustibili fossili sono però molto combattivi. Infatti, al COP27 di novembre 2022 il numero di rappresentanti dell’olio e del gas  è aumentato rispetto a quello del COP26 da 503 a 636, superando la rappresentanza al summit di ogni singolo Paese.

Per capitalizzare sulle energie rinnovabili occorre che le strategie nazionali posino su un terreno fertile di cambiamento: riadattare le abitudini dei cittadini in maniera incrementale e carpire le potenzialità energetiche di ogni Paese sono la chiave per creare un clima favorevole agli investimenti. I segnali sono graduali ma si vedono. Molteplici sono i casi di querele e denunce di cittadini nei confronti di governi o soggetti privati per inadempienza ai diritti o insufficienza di impegno a, per esempio, favorire aria pulita o dimezzare le emissioni. Sfruttando il potenziale energetico di ogni Paese, in Indonesia, la cui capacità geotermica è seconda solo agli Stati Uniti, è stato costruito l’impianto geotermico di Muara Laboh nel Sumatra occidentale. Mentre sull’Isola di Jurong a sud-est di Singapore, è stato realizzato il più grande impianto energetico del Sud-Est asiatico, che punta a coprire il 3% di fabbisogno annuo di energia di 300 mila abitazioni. Dal momento che la regione si sta affidando sempre più all’energia rinnovabile, dall’ASEAN Centre of Energy arrivano alcune raccomandazioni. I nuovi progetti energetici nei Paesi ASEAN procureranno un ulteriore stress alla rete elettrica nazionale, che è soggetta ancora oggi a numerosi blackout. Ai Paesi che mancheranno di formulare una strategia flessibile, diversificata e resistente si potrebbe presentare una situazione di sviluppo “boom and bust”, espansione e contrazione, come quella che ha colpito il Vietnam nel 2019. Scovare il catalizzatore per la transizione energetica dell’ASEAN è perciò un obiettivo chiave del 2023.

Il 2023 visto dai cittadini dell’ASEAN

Economia, lavoro e ambiente sono le prime preoccupazioni delle popolazioni del Sud-Est asiatico, che approvano la “ASEAN WAY” in diplomazia

Disoccupazione, inflazione, mancanza di materie prime, cambiamento climatico, eventi meteorologici sempre più intensi, aumento del divario socio-economico e disparità di reddito. Sono queste le principali preoccupazioni dei cittadini dei dieci Paesi membri dell’ASEAN. Il dato emerge dall’atteso report annuale The State of South-east Asia a cura dell’ISEAS – Yusof Ishak Institute di Singapore. I risultati del sondaggio annuale, utile per capire che cosa si aspettano i cittadini del Sud-Est asiatico dall’anno appena cominciato, indicano che il 59,5% dei 1.308 intervistati nei 10 Paesi dell’ASEAN ha classificato la disoccupazione e la recessione economica come una preoccupazione più urgente del cambiamento climatico, che è al secondo posto con il 57,1%. L’aumento dei divari socio-economici e la crescente disparità di reddito si sono piazzati al terzo posto, mentre solo dopo sono state citate le crescenti tensioni geopolitiche di cui parlano tutti i media internazionali in riferimento alle manovre contrapposte in Asia-Pacifico. Il 73% degli intervistati ha in effetti espresso il timore che l’ASEAN stia diventando un’arena di competizione geopolitica, altro segnale che la classica “terza via” di neutralità e pacifismo adottato dal blocco convince i cittadini della regione. La Cina continua a essere considerata la potenza economica più influente nella regione, seguita dagli Stati Uniti. La Cina è stata anche classificata come la potenza più influente e strategica nel Sud-Est asiatico. Anche in questo caso gli Stati Uniti seguono al secondo posto. A testimonianza del fatto che i cittadini del blocco approvano il tentativo dei loro governo di tenere aperte le porte a tutti senza mettersi però contro nessuno. Alla resa dei conti, gli intervistati del Sud-Est asiatico hanno continuato a preferire l’opzione di rafforzare la fiducia e l’unità dell’ASEAN per respingere le pressioni degli Stati Uniti e della Cina in un contesto di tensione tra le due potenze. La tradizionale opzione secondo cui l’ASEAN non si schiera né con la Cina né con gli Stati Uniti, ha visto un maggiore sostegno quest’anno rispetto al 2022, mentre una terza opzione in crescita di gradimento prevede che l’ASEAN cerchi di approfondire i rapporti con “terze parti” come il Giappone o l’India per aumentare il suo spazio strategico.

Italia e Vietnam, 50 anni di amicizia

Editoriale a cura di Lorenzo Riccardi, Managing Partner RsA Asia

Hanoi è il principale partner commerciale di Roma in ASEAN. Ed è nell’elenco dei Paesi prioritari per la promozione di investimenti

Italia e Vietnam sono sempre più vicine. Nel 2022 l’interscambio commerciale tra i due Paesi ha raggiunto il massimo storico di 6,2 miliardi di dollari, in crescita dell’11% rispetto al 2021. Un trend in ascesa da diverso tempo e che ha portato a raddoppiare le cifre nel giro di un decennio. E che è destinato a proseguire, visto che l’Italia ha inserito il Vietnam nell’elenco dei 20 Paesi prioritari per la promozione del commercio e degli investimenti fino al 2030. Il prossimo 23 marzo ricorre tra l’altro il 50esimo anniversario delle relazioni bilaterali e per celebrare la ricorrenza è previsto un calendario di iniziative per promuovere i legami culturali ed economici. In occasione del nuovo anno lunare, lo scorso 30 gennaio il Consolato del Vietnam a Torino ha per esempio organizzato una tavola rotonda sulle opportunità di investimento in Vietnam e nei paesi del Sud-Est Asiatico. Insieme a chi scrive, hanno partecipato Sandra Scagliotti, Console Onorario della Repubblica Socialista del Vietnam in Italia e Mario Donadio di Leading Law. Il Vietnam è il principale partner commerciale dell’Italia nel Sud-Est asiatico, ma tutta la regione offre grandi opportunità. L’unione politica ed economica dei dieci membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico conta su un enorme mercato, con 667 milioni di persone e un territorio di 4,5 milioni di chilometri quadrati; è la terza economia dell’Asia-Pacifico e la quinta più grande del mondo. La Comunità economica dell’ASEAN (AEC) ha un PIL combinato di 3,6 trilioni di dollari, secondo le stime per il 2022. Il Fondo monetario internazionale ha pubblicato il suo World Economic Outlook il 31 gennaio 2023. Il rapporto prevede una crescita globale per il 2023 al 2,9% prima di salire ulteriormente a un tasso di PIL del 3,1% nel 2024, che rappresenta una revisione al rialzo di 0,2 punti percentuali rispetto alle stime di ottobre 2022. La recente riapertura dei confini cinesi dovrebbe aprire la strada a una ripresa globale più rapida del previsto. Per le cinque maggiori economie dell’ASEAN (Indonesia, Malesia, Filippine, Thailandia e Vietnam), la crescita è prevista al 4,3% nel 2023. La cooperazione con Europa e Italia è destinata ad aumentare ancora.

La diplomazia climatica in Asia

Tensioni politiche e competizione economica rallentano la corsa verso la transizione green. Mentre la guerra in Ucraina sta cambiando le rotte delle fossili russe, con accordi di rifornimento molto vantaggiosi per paesi partner come la Cina

Il 2022 è stato un anno poco verde per la diplomazia climatica. Se la Conference of the Parties del 2021 (COP 26) sembrava aver riacceso l’attenzione dei decisori sul clima, le catastrofi naturali che ne sono seguite, la guerra in Ucraina e un ulteriore rallentamento dei mercati hanno contribuito a far emergere tutt’altro trend. Alla COP 27 sono passati di corsa pochi presidenti delle grandi economie globali in partenza per il G20 di Bali, mentre le delegazioni dei paesi più fragili hanno ottenuto solo la promessa di un aumento dei fondi per il loss and damage, ovvero le compensazioni economiche destinate a quelle realtà che più stanno subendo gli effetti dei cambiamenti climatici. Pur non raggiungendo la quota stabilita di 100 miliardi di dollari, questa decisione è stata salutata da molti come un primo traguardo verso la giustizia climatica. Ma i danni della crisi climatica sono ben più ampi di quanto sia stato calcolato fino a oggi, come dimostrano nuovi modelli di scenario ampiamente dimostrati dai ricercatori. Oggi molte delle località più in pericolo al mondo si trovano in Asia, tra cui le grandi capitali Bangkok, Ho Chi Minh e Manila.

L’incontro al G20 tra il presidente Usa Joe Biden e la controparte cinese Xi Jinping ha fatto ripartire le montagne russe della diplomazia climatica, aprendo uno scenario di cauto ottimismo davanti all’impegno dei due più grandi inquinatori al mondo. Tuttavia, l’azione di Washington e Pechino non è ancora coerente con la narrazione di entrambi i paesi sul loro ruolo “guida” nella transizione verde. Guardando a est, la promessa della Cina di offrire modelli alternativi di sviluppo sostenibile è ancora lontana dal supportare le riforme più urgenti. Né il più eterogeneo blocco Asean, né le avanzate economie dell’Asia orientale sembrano pronte a una rapida transizione energetica e al raggiungimento della neutralità carbonica. Il primo traguardo è il 2030, anno in cui il Giappone promette di abbattere le emissioni del 46% rispetto ai dati del 2013, la Cina punta a toccare il picco delle emissioni e la Corea del Sud è vincolata dal Global methane pledge a ridurre le emissioni di metano del 30% rispetto a quelle registrate nel 2020. Un meccanismo, quest’ultimo, da cui manca la Cina, che si è anche svincolata dal fondo loss and damage.

Sud-Est crocevia di interessi 

Un’altra interpretazione del ruolo determinante della Cina vede Pechino come capofila di una “competizione positiva” contro Washington, dove i due paesi cercano di guadagnare in immagine (e in termini di budget) dalla loro predominanza nei forum multilaterali e sul mercato delle tecnologie per la transizione energetica. Ma le recenti manovre Usa che guardano al settore dei semiconduttori e dei manufatti prodotti in Xinjiang (tra cui rientrano soprattutto i pannelli solari) rischiano di trasformare la competizione in rivalità. Certo è che le promesse della Cina unite all’interesse economico stanno avendo un certo impatto sui paesi più dipendenti dai finanziamenti cinesi nel settore delle fossili. Ne è un esempio il Vietnam, che deve valutare se costruire nuove centrali a carbone in assenza di capitali cinesi, stando a quanto promesso da Pechino con il divieto agli investimenti esteri nel settore. Ciononostante, la domanda energetica del Sud-Est asiatico continua a salire (+80% in meno di venti anni) e la scelta più semplice e immediata cade sulle fonti energetiche più inquinanti, che oggi occupano ancora oltre l’80% del mix energetico. Alle risorse finanziarie si accompagna la più pratica disponibilità di risorse naturali a basso costo, come nel caso dell’Indonesia, che rappresenta il terzo maggiore esportatore di carbone al mondo. Non di meno, la guerra in Ucraina sta cambiando le rotte delle fossili russe, con accordi di rifornimento molto vantaggiosi per paesi partner come la Cina.

Il Sud-Est asiatico si trova al crocevia degli interessi dei nuovi investitori in fuga dalle delocalizzazioni in Cina e le più vecchie relazioni radicate nel tessuto economico dei diversi paesi. Il Giappone, principale investitore in Thailandia nel 2022, ha da tempo adocchiato l’opportunità di costruire auto elettriche e componenti necessarie alla transizione energetica. Un forte interesse è anche orientato alle nuove filiere agricole sostenibili, così come nelle imprese di trasformazione del settore turistico secondo parametri più coerenti con l’agenda Onu per lo sviluppo sostenibile. In questo caso, la sfida è molto più ampia di quanto appaia limitandosi al dossier energetico, perché richiede una profonda riflessione sull’impatto ambientale e sociale di quei settori che hanno trainato le economie di diversi paesi della regione negli ultimi decenni.

Le sfide della sostenibilità tra India e Asia centrale

Lontana dai riflettori della diplomazia climatica, ma estremamente importante per il suo peso economico e demografico, l’India deve fare i conti con le sfide della modernizzazione incontrollata. Alla crescita sfrenata delle città non corrisponde una progettazione ragionata dei sistemi urbani (si pensi, per esempio, al traffico di mezzi privati), mentre a partire dagli anni Cinquanta le risorse idriche e la salubrità dei suoli sono crollate. Alle evidenze sul campo non corrisponde ancora una presa di consapevolezza nel giocare un ruolo proattivo al tavolo dei negoziati per il clima. Anche per Nuova Delhi la competizione con la Cina è prioritaria. Inoltre, mentre l’India forma dei nuovi gruppi di lavoro per l’applicazione delle direttive degli accordi multilaterali da un lato, dall’altro chiude un occhio nei confronti della repressione delle associazioni ambientaliste.

Infine, l’Asia centrale si concentra sulle misure di adattamento ai cambiamenti climatici più che a chiedere maggiori responsabilità ai grandi inquinatori. Se in aree come il Kazakistan la corsa alla leadership economica nella regione sembra mettere in secondo piano le promesse ambientali, in altri paesi come il Kirghizistan è presente una forte preoccupazione per i fenomeni climatici estremi e la sicurezza alimentare. Anche la competizione sulle risorse idriche, emersa ultimamente con gli scontri lungo il confine kirghizo-tagiko, apre a pericolosi scenari sul clima come acceleratore di conflitti nella regione. La promessa principale, come emerge dalle affermazioni dei leader coinvolti nel progetto dell’agenzia per l’ambiente Onu dedicato alla sicurezza climatica in Asia centrale, è quella di collaborare con le organizzazioni internazionali per costruire una strategia di adattamento socialmente ed economicamente sostenibile. Anche qui il ruolo di un attore prominente come la Cina potrebbe influire sulle scelte di progettazione ed elettrificazione delle nuove realtà urbane. Anche se, guardando alle risorse presenti nell’area (fonti idriche lungo il confine con lo Xinjiang, pozzi di gas naturale), l’altra faccia della medaglia apre scenari predatori che non sono nuovi in Asia, come nel caso delle dighe cinesi lungo il Delta del Mekong.

Il mondo si avvicina all’ASEAN

Cina, Giappone, Stati Uniti, Europa e Italia: i rapporti con il Sud-Est asiatico vengono considerati sempre più strategici a livello globale

Se c’è una tendenza chiara nel panorama commerciale e geopolitico globale, questa è la volontà delle grandi potenze e di tutti i Paesi più sviluppati o emergenti di approfondire le proprie relazioni con l’ASEAN. Il Sud-Est asiatico è visto sempre più come un centro imprescindibile di cooperazione economica e diplomatica. Basta guardare a quanto accaduto di recente e a quanto può accadere nel prossimo futuro. Nel 2022, primo anno di entrata in vigore del Partenariato economico globale regionale (RCEP), la Cina ha registrato un aumento degli scambi commerciali del 15% su base annua con l’ASEAN, che detiene saldamente la posizione di primo partner commerciale della Cina. Nel 2023 è prevedibile che il ritmo possa anche aumentare, di pari passo con l’accelerazione della crescita di Pechino. La partecipazione del Presidente Joe Biden, lo scorso novembre, al summit ASEAN in Cambogia ha invece confermato che anche gli Stati Uniti hanno allungato il passo in una regione fondamentale anche per ragioni strategiche. Il piano di investimenti annunciato dalla Casa Bianca va finalmente nella direzione di un coinvolgimento americano non solo sul piano difensivo e militare, ma anche infrastrutturale e ambientale, visto il focus sulla transizione energetica che coinvolge tutti i Paesi dell’ASEAN. A muoversi con grande decisione non sono certo solo le superpotenze. Il Giappone, per esempio, è da tempo una presenza consolidata nel Sud-Est asiatico. Sin dal 1977 e dal lancio della “dottrina Fukuda”, dal nome dell’allora Primo Ministro che durante un celebre viaggio nel Sud-Est espresse l’impegno di Tokyo a non diventare una potenza militare e a costruire un rapporto di fiducia reciproca con l’ASEAN e i suoi Paesi membri. Da allora, il Giappone è diventato uno dei maggiori partner commerciali e investitori del blocco e una delle principali fonti di finanziamento delle infrastrutture. Ora il Paese sta seriamente valutando la possibilità di elevare le sue relazioni con l’ASEAN a un partenariato strategico globale, mettendosi così alla pari di Cina e Stati Uniti. La Corea del Sud ha da poco lanciato la sua prima strategia dell’Indo-Pacifico, che riserva all’approfondimento dei rapporti con l’ASEAN uno dei suoi pilastri. La regione è destinata a diventare anche la più grande destinazione di investimenti diretti esteri provenienti da Taiwan. L’Unione Europea ha da parte sua compreso che i suoi interessi coincidono sempre di più con quelli dell’ASEAN e non appare più così remota la possibilità di un accordo di libero scambio tra i due blocchi. Uno sviluppo del quale beneficerebbe anche l’Italia, le cui imprese guardano con sempre maggiore interesse verso Sud-Est.

Turismo nei paesi ASEAN: il 2023 sarà l’anno della ripresa

Secondo il WTTC il Sud-Est asiatico sarà il primo a tornare ai livelli di turismo pre-pandemici. Ma contraddizioni e opportunità del turismo di massa pongono nuovi interrogativi

Dicembre 2022: Christina Aguilera posta un reel sul proprio account Instagram che colleziona oltre 25 mila like. La pop star statunitense sta trascorrendo il proprio compleanno in Vietnam, sullo sfondo il paesaggio della baia di Ha Long, patrimonio UNESCO. La cantante fa un giro in elicottero, poi festeggia con un brindisi su uno yacht. Tutt’intorno, ancora pochi turisti, soprattutto per un luogo che è arrivato a registrare oltre 7 milioni di visitatori nel 2017. Nel 2020, dopo la prima ondata pandemica, gli arrivi a Ha Long erano crollati a 1,5 milioni. Solo un anno prima era scattato l’allarme degli ambientalisti per salvare l’area, dove la costruzione del nuovo aeroporto lasciava presagire un peggioramento delle condizioni ambientali determinato dal boom di turisti.

La popolarità di Ha Long e il calo del turismo dovuto alla pandemia non forniscono prove sufficienti per ragionare su una maggiore tutela del paesaggio. La ripresa, però, è vicina: secondo i dati del World Travel and Tourism Council (WTTC) la regione dell’Asia-Pacifico sarà la prima a ritornare alle cifre del 2019, con proiezioni di crescita dell’8% su base annua nel lungo termine. Inoltre, nei prossimi dieci anni, i lavoratori del settore potrebbero aumentare al punto da occupare il 64,8% sul totale globale. 

Pronti per la ripresa

Che il 2023 potrebbe essere l’anno della ripresa lo raccontano anche gli attori presenti sul territorio. A gennaio il presidente della Tourism Council of Thailand (TCT) Chamnan Srisawat ha affermato che le previsioni parlano di almeno 20 milioni di turisti in Thailandia nel corso del nuovo anno, quasi un raddoppio rispetto ai numeri del 2022 (11,8 milioni). Anche l’Amministrazione Nazionale Vietnamita del Turismo (VNAT) prevede 8 milioni di arrivi internazionali, per un guadagno stimato di circa 27,5 miliardi di dollari. In Cambogia ci si prepara al ritorno delle folle nel noto complesso di Angkor Vat: “Il governo ha dedicato molti sforzi per un piano di ripresa per l’industria del turismo”, ha raccontato all’agenzia di stampa cinese Xinhua Top Sopheak, portavoce del ministero del Turismo. “Crediamo che nei prossimi anni aumenteranno i turisti stranieri, in particolare ad Angkor, poiché molte compagnie aeree hanno ripreso i voli”. 

Anche l’ASEAN ha studiato delle misure per affrontare la ripresa dei viaggi nell’era post-pandemica. Già a gennaio 2022 un incontro tra i ministri del Turismo aveva evidenziato la necessità di adottare delle misure coordinate per incentivare la ripresa del settore turistico e raggiungere una serie di obiettivi già definiti dall’ASEAN Tourism Strategic Plan (ATSP) 2016-2025: non solo una migliore qualità dell’offerta turistica, ma anche una maggiore attenzione alla sostenibilità sociale e ambientale del settore. Tra gli esempi forniti dal comunicato stampa del meeting, l’urgenza di sostenere le piccole-medie imprese, accrescere le competenze degli operatori turistici, proteggere l’ambiente e il patrimonio storico.

Un fragile compromesso

Le basi di una ripresa delle economie del Sud-Est asiatico anche (sebbene non solo) attraverso l’industria turistica sono un dato fatto. L’allentamento delle restrizioni dovute alla pandemia ha già portato a una crescita degli ingressi dall’estero, da cui provengono turisti con un ampio potere di spesa rispetto ai viaggiatori domestici. Una possibile ripresa delle economie più sviluppate promette inoltre entrate importanti per il paesi più dipendenti dal turismo come la Thailandia, ma anche un’opportunità per investire nel settore come sta accadendo in Vietnam. 

A rimanere è il dilemma della sostenibilità del settore, soprattutto in quelle aree dove la chiusura delle frontiere ha portato con sé gravi danni al tessuto socioeconomico locale. Come sottolineava l’International Labour Organization (ILO) in una sua analisi del 2021, la pandemia ha causato un crollo delle opportunità di lavoro senza precedenti, colpendo soprattutto quei settori legati al turismo internazionale e alle catene globali del valore. Alla dipendenze che possono crearsi sul mercato del lavoro si aggiungono altri effetti collaterali del turismo di massa: inflazione, prezzi degli immobili gonfiati e degrado ambientale.
L’impatto del turismo di massa nel Sud-Est asiatico si registra soprattutto sugli ecosistemi. Sono bastate poche settimane di lockdown per riconsegnare gli habitat naturali ai loro veri inquilini. È accaduto, per esempio, in Thailandia, dove un gruppo di dugonghi è tornato a popolare le acque intorno all’isola di Libong. A oggi sono ancora poche le mete del Sud-Est asiatico che impongono delle restrizioni per salvaguardare il patrimonio naturale dell’eccessiva mole di turisti attirati dai panorami mozzafiato della regione. Come a Boracay, una piccola isola filippina dove nel 2018 è stato imposto un divieto totale agli ingressi per permettere di ripulire le acque dall’accumulo dei liquami inquinanti sversati dalle strutture ricettive. Di recente sono state adottate alcune restrizioni sull’utilizzo della sabbia delle spiagge ma, d’altro canto, il via libera ai fuochi d’artificio per festeggiare Capodanno segnala una politica più permissiva per mantenere alta la popolarità della destinazione turistica.

ASEAN, parola d’ordine sviluppo

Mentre continua la guerra in Ucraina, nel centro dei piani dei Paesi del Sud-Est asiatico restano integrazione, cooperazione e crescita

Il 2023 si è aperto come si era chiuso il 2022: con l’Occidente preoccupato per la guerra in Ucraina e l’inflazione da una parte e con l’Asia che cerca di irrobustire la sua crescita dall’altra. Ed è proprio l’ASEAN che si propone sempre più come piattaforma di investimento ma anche di dialogo. Una tendenza anticipata in modo evidente da due processi in accelerazione: il flusso di progetti esteri nei Paesi del Sud-Est asiatico e le mosse dei loro governi in apertura al commercio e alla mobilità internazionali. Oltre allo stimolo della domanda interna, che già nel 2022 è tornata a crescere in maniera vibrante, gli esecutivi della regione hanno capito che eliminare barriere di tipo regolatorio, normativo e fiscale consente di rilanciare l’impegno sui due concetti chiave di apertura e integrazione. Pilastri del miglioramento del dialogo commerciale e politico a livello multilaterale. Il libero scambio è stato un motore fondamentale dello sviluppo dell’Asia negli ultimi decenni ma ora alcune potenze globali stanno adottando posture semi protezionistiche, costringendo diverse  imprese a riconsiderare le loro catene di approvvigionamento. Nonostante questo, l’Asia continua a essere la regione più dinamica del mondo, sostenuta dall’orientamento allo sviluppo della maggior parte dei suoi governi. Dalla Regional Comprehensive Economic Partnership ad altri accordi di libero scambio, gli esempi a supporto di questa prospettiva sono numerosi anche negli ultimi anni di pandemia. I risultati si vedono. Nel 2022 il Vietnam è cresciuto oltre l’8%, un dato record dal 1997 spinto dall’aumento del 13,5% degli investimenti diretti esteri. Non solo da parte di chi sposta parte delle proprie linee di produzione dalla Cina continentale ma anche e soprattutto nell’ambito di nuovi progetti che la regione è sempre più in grado di attirare. Compresi quelli legati all’industria manifatturiera hi-tech. Certo, le incertezze globali hanno portato l’Asian Development Bank a ridurre le sue previsioni di crescita economica per il 2023 per l’Asia in via di sviluppo, che comprende 46 economie, dal 4,9% al 4,6%. Escludendo la Cina, il tasso di crescita è stato ridotto dal 5,3% al 5%. Un’espansione di circa il 5% sarebbe comunque la più veloce di qualsiasi altra regione del mondo. La regione del Sud-Est asiatico è d’altronde destinata a diventare il più grande mercato unico del mondo entro il 2030.