Asean

ASEAN-USA: si avvicina la fine della tregua commerciale

I dazi trumpiani hanno preso di mira anche il Sud-Est asiatico, spingendo i Paesi della regione a correre ai ripari cercando accordi con Washington

Di Anna Affranio

Con la scadenza della tregua commerciale fissata simbolicamente per l’8 luglio, Stati Uniti e ASEAN si trovano in un momento cruciale. L’annuncio dello scorso 2 aprile, definito “Liberation Day” dalla retorica dell’amministrazione Trump, ha riacceso nuove tensioni: Washington ha infatti comunicato l’intenzione di introdurre dazi su un’ampia gamma di prodotti provenienti dai Paesi, tra gli altri, del Sud-est asiatico. 

Nel dettaglio, i dazi riguarderebbero la Cambogia, Paese più colpito (con dazi fino al 49%), il Laos (48%), il Vietnam (46%), il Myanmar (44%), la Thailandia (36%) e l’Indonesia (32%). Malaysia, Brunei, Filippine e Singapore sarebbero invece soggetti a tariffe più contenute, tra il 10% e il 24% (secondo una fonte ufficiale). Le misure, per lo meno secondo Washington, servono a correggere squilibri commerciali e proteggere l’industria nazionale, in particolare nei settori dell’elettronica, dell’agroalimentare e dell’automotive.

Per molti Paesi ASEAN però, dazi di tale entità rappresentano un rischio concreto per il loro modello economico, largamente basato sulle esportazioni. Per molti di questi Paesi infatti, gli Stati Uniti sono il principale mercato di esportazione. Inoltre, negli ultimi anni, a causa delle tensioni commerciali tra Pechino e Washington, la regione ha attratto massicci investimenti da parte di multinazionali interessate a ridurre la propria dipendenza dalla Cina, posizione strategica che ora è minacciata dalla recente introduzione dei dazi. 

Per cercare di ridurre i danni in vista della scadenza, sono in corso negoziati sia multilaterali sia bilaterali. Si è lavorato a un vertice multilaterale tra gli Stati Uniti e l’intero blocco ASEAN, con Singapore, Indonesia e Vietnam che stanno spingendo per una proroga della tregua tariffaria, almeno nei settori tecnologici più sensibili. Parallelamente, la Malaysia, che detiene la presidenza di turno dell’ASEAN, ha proposto un summit straordinario con Donald Trump, con l’obiettivo di trovare un’intesa politica di alto livello.

Sul fronte bilaterale, invece, Stati Uniti e singoli Paesi come Cambogia, Vietnam e Thailandia stanno conducendo negoziati separati per gestire i dazi in modo più mirato e flessibile.  Per quanto riguarda il Vietnam, si sono svolti già molteplici round negoziali che hanno toccato i temi delle esportazioni tessili e dell’elettronica. Hanoi ha promesso maggiori controlli contro il transshipment illegale di merci cinesi e ha mostrato apertura verso l’aumento delle importazioni di prodotti statunitensi. Il leader del Partito comunista vietnamita To Lam è stato tra i primi leader stranieri a parlare con la Casa Bianca dopo il “LIberation Day” ed è coinvolto direttamente nei negoziati. Anche la Thailandia si è attivata. Il governo è stato tra i primi a mettere in campo un team tecnico per trattare la riduzione dei dazi, attualmente fissati al 36%. Bangkok ha presentato una proposta che include l’ampliamento dell’accesso al mercato per i prodotti americani ma anche investimenti thailandesi negli USA, offrendo dunque la possibilità di creare a loro volta opportunità lavorative per gli statunitensi. Secondo visione ottimistica del Ministro del Commercio thailandese, i negoziati potrebbero riuscire a ridurre l’importo della tariffa fino al 10%. Tuttavia, al momento non sono stati firmati accordi ufficiali. Molto simile la reazione della Cambogia, la principale vittima dei dazi nella regione, con esportazioni verso gli Stati Uniti che rappresentano circa il 38% dell’export totale, principalmente costituito da abbigliamento e calzature. Il Governo punterà probabilmente a un alleggerimento graduale, ma temendo gravi conseguenze economiche e sociali ha già avviato due round di colloqui virtuali con Washington e mira a negoziati diretti a breve. In cambio, Phnom Penh come segnale di buona volontà ha tagliato a sua volta le tariffe d’importazione su 19 categorie di prodotti statunitensi, riducendole dal massimo 35 % fino al 5 % circa e rafforzato i controlli interni per evitare potenziali pratiche di esportazioni fraudolente.

Nel frattempo, la Cina osserva e si muove. Pechino ha recentemente aggiornato il suo accordo di libero scambio con l’intero blocco ASEAN, e continua a rafforzare la cooperazione con la regione su infrastrutture, logistica ed energia. L’obiettivo è chiaro: proporsi come partner stabile e prevedibile, in contrasto con l’approccio americano più umorale e aggressivo sul piano commerciale.

Tre gli scenari più probabili: una proroga tecnica della tregua per alcuni mesi, un ritorno immediato alle tariffe, oppure una soluzione intermedia con esenzioni settoriali e monitoraggio trimestrale. In ogni caso, il rischio è che l’ASEAN esca da questa fase più frammentato, per la possibilità che ogni singolo Paese intavoli negoziati separati e autonomi con gli USA. con ricadute, in quest’ultimo scenario, assai ampie per ciò che riguarda catene di fornitura, investimenti esteri ma anche sullo stesso posizionamento geopolitico della regione.

Le scelte che verranno prese nelle prossime settimane avranno effetti nel lungo termine non solo per l’economia dell’ASEAN, ma per l’intera architettura commerciale della regione dell’ Asia-Pacifico.

Il boom dell’innovazione agricola in ASEAN

Nel Sud-Est asiatico è in corso una rivoluzione agro‑digitale: frutto di investimenti pubblici, partenariati internazionali e startup locali

Di Tommaso Magrini

Negli ultimi anni la Malesia ha intrapreso una trasformazione profonda nel settore agricolo, puntando su tecnologie avanzate per rafforzare la sicurezza alimentare e ridurre la dipendenza dalle importazioni. Nel pieno della “12ª Malaysia Plan”, il governo ha introdotto una serie di misure volte a spingere l’agricoltura verso modelli più efficienti, digitalizzati e sostenibili. Al centro di questa strategia ci sono le smart farm, ovvero aziende agricole altamente automatizzate che adottano strumenti come IoT, droni, robot e analisi di big data. Queste tecnologie permettono di monitorare in tempo reale variabili come pH, temperatura e umidità del suolo, ottimizzando l’irrigazione e la fertilizzazione con precisione, riducendo sprechi e aumentando le rese. Alcuni esempi pilota in stati come Perak e Johor includono sistemi di agricoltura integrata acqua‑pesce (aquaponica) e serre dotate di sensori controllati da remoto via smartphone. L’obiettivo è di poter controllare l’intera coltivazione anche a distanza, migliorando al contempo la qualità del cibo prodotto. Le smart farm non intendono soppiantare l’agricoltura tradizionale, ma affiancarla con modalità più redditizie e adatte ai mercati urbani. Il governo intende favorire la diffusione di queste tecnologie anche attraverso un fondo dedicato, formazione per agricoltori e cooperazione con piattaforme e‑commerce, per favorire la diffusione e profitto delle produzioni locali. Un altro esempio emblematico è il progetto Sunway FutureX, un laboratorio urbano che fa leva su coltivazioni verticali in ambienti controllati, sensori e algoritmi per ottimizzare la crescita e prevedere le esigenze delle colture. Questa innovazione tecnologica si inserisce in una visione più ampia: rafforzare la resilienza nazionale, rendere le produzioni più sostenibili e coinvolgere le nuove generazioni di giovani agripreneurs. Un approccio multidisciplinare che segna una svolta nella mappa alimentare della Malesia, spostando il focus da quantità a qualità, da importazioni a sovranità alimentare.

Più in generale, in tutta l’ASEAN è in corso una rivoluzione agro‑digitale: frutto di investimenti pubblici, partenariati internazionali e startup locali. In Thailandia, il progetto “Smart Farmer” di dtac ha formato oltre 20.000 agricoltori 4.0 in 7 province, incrementando introiti del 25% grazie al marketing online e all’adozione di strumenti come il sistema Farm Man Yum, che ha aumentato i raccolti di mais e manioca di 400 kg/rai, riducendo i danni del 44% e aumentando profitti di circa 2.500 baht/rai. Il programma “1 Tambon 1 Digital” ha inoltre promosso centri locali per droni agricoli in 500 comunità, generando almeno 350 milioni di baht di valore economico. In Vietnam, startup come MimosaTEK hanno introdotto sistemi IoT e smart irrigation nel delta del Mekong: grazie a sensori collegati al cloud, gli agricoltori possono ottimizzare l’irrigazione via smartphone, con applicazioni pilota nella provincia di Cần Thơ. Alcuni programmi universitari come il progetto IoT ed edge computing a Đà Lạt (Vietnam) hanno dimostrato come droni intelligenti possono monitorare malattie e nutrimento, mentre impianti intelligenti di fertirrigazione hanno migliorato l’efficienza idrica. L’ASEAN sta sperimentando un vero salto digitale: dai droni in Thailandia ai sensori in Malesia e Vietnam, fino all’agrivoltaico e all’agricoltura urbana a Singapore. Notevoli i progressi in resa e sostenibilità, ma permangono sfide: alfabetizzazione digitale, finanziamenti e scala rimangono fattori critici. Le storie di successo però confermano una tendenza chiara: la smart agriculture è ormai la prossima frontiera nel cuore verde dell’Asia.

Cosa significa il vertice ASEAN-GCC a Kuala Lumpur

Il riallineamento economico e geopolitico al centro dell’incontro svoltosi in Malesia, a margine del vertice ASEAN

Di Luca Menghini

Il Vertice ASEAN–GCC tenutosi a Kuala Lumpur il 27 e 28 maggio 2025 ha rappresentato un punto di svolta nella diplomazia interregionale tra due delle aree più dinamiche e strategicamente rilevanti del mondo: l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN) e il Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC). Svoltosi in parallelo con il primo vertice ASEAN–GCC–Cina e con il 46° Vertice ASEAN, l’evento ha sottolineato l’importanza crescente della cooperazione tra regioni in un contesto globale caratterizzato da incertezza economica, frammentazione strategica e indebolimento delle alleanze storiche. Il vertice ha proposto una visione ampia per rafforzare i legami politici, economici e strategici tra il Golfo e il Sud-Est Asiatico, mettendo in luce anche il ruolo crescente degli attori regionali nel plasmare gli equilibri globali.

Il vertice si è basato sullo slancio creato dal primo incontro ASEAN–GCC svoltosi a Riad nell’ottobre 2023, durante il quale i leader hanno gettato le basi per un partenariato strutturato approvando il Quadro di Cooperazione ASEAN–GCC 2024–2028. Tale quadro aveva già individuato numerose aree prioritarie di cooperazione, dall’energia alla trasformazione digitale, dalla finanza islamica all’istruzione e agli scambi tra le popolazioni. L’incontro di Kuala Lumpur ha rafforzato queste ambizioni fornendo nuovo slancio politico, meccanismi istituzionali più solidi e un allineamento più chiaro degli interessi strategici.

Al centro del vertice vi era il riconoscimento condiviso che ASEAN e GCC si trovano in un momento cruciale. Per l’ASEAN, le recenti tensioni commerciali globali, in particolare l’aumento dei dazi da parte degli Stati Uniti in linea con la rinnovata agenda protezionistica americana, hanno reso urgente la diversificazione dei partenariati economici. I nuovi dazi, introdotti nell’aprile 2025, hanno colpito un’ampia gamma di esportazioni ASEAN, mettendo sotto pressione hub manifatturieri regionali come Vietnam, Thailandia e Malesia. Questo ha accelerato la spinta dell’ASEAN verso mercati emergenti e partner che offrano relazioni commerciali più stabili e reciproche.

Parallelamente, i paesi del GCC stanno portando avanti una trasformazione profonda. A lungo dipendenti dagli idrocarburi, gli Stati del Golfo stanno promuovendo strategie aggressive di diversificazione economica nell’ambito di piani nazionali come la Vision 2030 dell’Arabia Saudita, il Centennial 2071 degli Emirati Arabi Uniti e iniziative analoghe in Bahrein, Oman e Qatar. Questi piani puntano allo sviluppo di settori non petroliferi come tecnologia, finanza, logistica, turismo ed energie rinnovabili. L’ASEAN, con la sua giovane popolazione, mercati in rapida crescita, ecosistemi digitali innovativi e crescente domanda di investimenti, si presenta come un partner ideale per tale trasformazione.

In questo contesto, le discussioni del vertice sono state ampie e orientate al futuro. Uno degli annunci chiave è stata l’intenzione di avviare un accordo di libero scambio tra ASEAN e GCC. Sebbene gli scambi tra i due blocchi abbiano già superato i 130 miliardi di dollari nel 2024, i leader hanno espresso l’obiettivo di portare questo valore a 180 miliardi entro il 2032. L’accordo proposto non si limiterebbe a ridurre i dazi, ma affronterebbe anche l’allineamento normativo, la facilitazione logistica e la protezione degli investimenti, elementi fondamentali per incoraggiare un impegno duraturo del settore privato e l’integrazione delle catene del valore.

Oltre al commercio, la cooperazione energetica è emersa come tema centrale. Le due regioni hanno discusso dell’ampliamento della collaborazione sulla sicurezza energetica e sulla transizione verde, incluso lo sviluppo congiunto dell’idrogeno pulito, la definizione di accordi di fornitura LNG a lungo termine e l’investimento in progetti di interconnessione elettrica. I paesi del Golfo, ricchi di capitale e sempre più impegnati verso la neutralità carbonica, intendono collaborare con i paesi ASEAN che perseguono obiettivi ambiziosi di decarbonizzazione. Questa collaborazione potrebbe comprendere il finanziamento di impianti solari ed eolici, lo scambio di buone pratiche regolatorie e co-investimenti in infrastrutture energetiche regionali.

La trasformazione digitale ha rappresentato un altro pilastro strategico del vertice. I leader hanno sottolineato il potenziale di un’agenda economica digitale condivisa, che includa città intelligenti, regolamentazione dell’e-commerce, governance dei dati, cybersicurezza e intelligenza artificiale. Lo sviluppo congiunto di infrastrutture digitali, come cavi sottomarini in fibra ottica, centri cloud e sistemi di pagamento digitale transfrontalieri, è stato individuato come un’area ad alto potenziale. Questa cooperazione digitale potrebbe rafforzare la resilienza economica, migliorare la produttività e ampliare l’accesso alla tecnologia in entrambe le regioni.

La sicurezza alimentare e il commercio agricolo sono stati altri temi rilevanti. I paesi del GCC, che affrontano limiti strutturali alla produzione agricola a causa del clima arido, stanno aumentando gli investimenti in importazioni alimentari e innovazioni agritech. L’ASEAN, grande produttore agricolo, offre stabilità di fornitura e opportunità per investimenti in trasformazione alimentare a valore aggiunto. Sono stati discussi progetti congiunti di ricerca, ammodernamento delle catene di approvvigionamento e promozione dei prodotti Halal.

Anche la connettività fisica e istituzionale ha ricevuto particolare attenzione. Il vertice ha ribadito la necessità di migliorare i collegamenti aerei, marittimi e terrestri tra porti e città delle due regioni. I leader hanno sostenuto l’armonizzazione delle procedure doganali, la cooperazione marittima e l’esplorazione di investimenti congiunti in infrastrutture portuali e corridoi di trasporto. Sul piano istituzionale, è stato confermato l’impegno a rafforzare i meccanismi di coordinamento tra ASEAN e GCC, attraverso consultazioni diplomatiche più frequenti, dialoghi politici annuali e scambi ad alto livello tra segretariati, ministeri e centri di ricerca.

Anche la cooperazione culturale e gli scambi tra persone sono stati identificati come elementi chiave del partenariato. Le due regioni hanno promesso di ampliare programmi di mobilità accademica, partenariati universitari, campagne per la promozione turistica e iniziative per il dialogo interculturale e interreligioso. Lo sviluppo di borse di studio ASEAN–GCC, festival culturali e programmi di scambio giovanile è stato proposto come mezzo per rafforzare la comprensione reciproca e i legami duraturi tra le società.

Un aspetto rilevante è stato la partecipazione della Cina al vertice trilaterale ASEAN–GCC–Cina. Pur mantenendo una forte enfasi sulla cooperazione bilaterale, la presenza di Pechino ha aggiunto una dimensione geopolitica ulteriore. La Cina è il primo partner commerciale dell’ASEAN e un importante acquirente di energia per il GCC. I leader hanno accolto con favore un dialogo trilaterale più profondo, sottolineando l’importanza di una cooperazione multipolare che non escluda i partner tradizionali ma favorisca nuove alleanze complementari.

Il messaggio generale emerso dal vertice è chiaro: l’ASEAN e il GCC vogliono assumere un ruolo più centrale nella definizione del proprio destino economico. Di fronte all’instabilità globale, all’imprevedibilità delle politiche commerciali statunitensi e alle crescenti tensioni geopolitiche in Europa e nell’Indo-Pacifico, entrambe le regioni stanno avanzando verso una forma più strategica di regionalismo. Piuttosto che affidarsi a istituzioni o alleanze tradizionali, cercano partenariati pragmatici e settoriali che offrano benefici concreti alle rispettive popolazioni e riducano le dipendenze strategiche.

Il vertice ha inoltre riflesso la crescente fiducia e capacità di organizzazioni regionali come l’ASEAN e il GCC di fungere da piattaforme per l’innovazione diplomatica e il coordinamento economico. La loro capacità di convocare non solo gli Stati membri, ma anche potenze globali come la Cina, testimonia una nuova realtà degli affari internazionali: il baricentro del commercio, della finanza e dell’impegno strategico si sta spostando sempre più verso l’Asia e le sue regioni adiacenti.

In sintesi, il Vertice ASEAN–GCC del 2025 a Kuala Lumpur è stato molto più di un evento cerimoniale. È stato una convergenza strategica, fondata su interessi comuni e modellata da un ambiente globale in evoluzione. Se le due regioni sapranno attuare efficacemente le decisioni e i quadri concordati durante l’incontro, la loro cooperazione potrà diventare un modello di riferimento per come i blocchi regionali e le potenze intermedie possono contribuire alla costruzione di un ordine globale più stabile, prospero e multipolare.

Il senso del tour di Macron nel Sud-Est asiatico

Il Presidente francese in Vietnam, Indonesia e Singapore per rafforzare i legami commerciali e diplomatici con l’area ASEAN

Di Emanuele Ballestracci

Da diversi anni ormai, nell’Unione Europea e tra i suoi Stati membri si è progressivamente diffusa la consapevolezza dell’importanza strategica dell’Indo-Pacifico. Questo crescente interesse ha seguito in parte l’esempio degli Stati Uniti, in particolare a partire dal “pivot to Asia” promosso dall’amministrazione Obama. In Europa, i dibattiti sulla regione indo-pacifica hanno cominciato a tradursi in documenti strategici più concreti, culminati nell’adozione di strategie nazionali da parte di alcuni Paesi membri. La più rilevante è certamente quella dell’Unione Europea, alla quale si affiancano quelle di singoli Stati membri, tra cui Francia, Paesi Bassi, Germania, Repubblica Ceca e persino la Lituania. Anche in Italia è attualmente in discussione in Parlamento una strategia nazionale per l’Indo-Pacifico, nonostante l’interesse e la capacità di proiezione del Paese nella regione siano nettamente inferiori rispetto ad altre controparti europee. Tra queste spicca la Francia, come dimostra la tournée di questa settimana del Presidente Emmanuel Macron nel Sud-Est asiatico.

Lo stesso inquilino dell’Eliseo fu tra i principali promotori della Strategia francese per l’Indo-Pacifico, poi formalizzata nel 2018, volta a individuare gli interessi fondamentali di Parigi nella regione e a dotarsi di strumenti concreti, sia nel breve che nel lungo termine, per perseguirli. Ciò testimonia la crescente consapevolezza occidentale del progressivo spostamento del baricentro economico e geopolitico globale verso l’Asia. La Francia, tra l’altro, è l’unico Paese europeo a detenere ancora territori nella regione indo-pacifica, tra cui la Nuova Caledonia, la Polinesia Francese, La Riunione e Mayotte, che complessivamente ospitano circa 1,6 milioni di cittadini francesi. Il viaggio del presidente francese in Vietnam, Indonesia e Singapore mira quindi a ribadire la centralità assegnata alla regione, rafforzare i legami diplomatici e promuovere la presenza strategica francese, contribuendo al contempo all’attuazione della Strategia francese. Non si tratta di un’iniziativa isolata: la presidenza Macron è stata scandita da viaggi simili, tra cui quelli in Australia, India e La Réunion nel 2018, in Giappone nel 2019, nonché la partecipazione al vertice APEC del 2022.

La Strategia francese per l’Indo-Pacifico, adottata nel 2018, ha come obiettivo la protezione dei territori e degli interessi sovrani francesi nella regione, promuovendo un ordine internazionale fondato sul diritto e sul multilateralismo. Essa si basa su pilastri quali sicurezza, libertà di navigazione, cooperazione economica e ambientale, e rafforzamento delle partnership regionali. In questo quadro, la Francia ambisce a posizionarsi come potenza di equilibrio, attiva nella prevenzione delle crisi e nella promozione della stabilità regionale. Sono questi i concetti che ha espresso con chiarezza Macron durante la sua tappa in Vietnam. La volontà francese di proporsi, insieme all’Unione Europea, come partner affidabile risulta particolarmente rilevante nel contesto attuale, segnato da crescente instabilità internazionale, l’incertezza commerciale dettata dai dazi americani e dalla competizione strategica tra Stati Uniti e Cina. La partecipazione allo Shangri-La Dialogue a Singapore, principale vertice asiatico sulla sicurezza e la difesa, dà a Macron una ulteriore occasione di presentare Parigi e Bruxelles come attori credibili e stabili in un ordine globale sempre più incerto.

Inoltre, le visite presidenziali rappresentano un’opportunità per accelerare il processo di diversificazione delle catene globali del valore, in particolare attraverso collaborazioni in settori chiave come energia, trasporti, difesa e spazio. Soprattutto l’ambiente è un tema centrale, con la Francia che ospiterà tra poche settimane la conferenza UNOC sugli oceani a Nizza. Inoltre, il presidente Macron ha promosso i partenariati per una giusta transizione energetica (JETP), in base ai quali Paesi come Indonesia e Vietnam si sono impegnati verso la decarbonizzazione in cambio di investimenti e sostegno finanziario, anche da parte francese.

La tournée macroniana si inserisce quindi in un processo più ampio e ormai decennale di crescente impegno francese nella regione indo-pacifica, in cui Parigi si è distinta come l’attore europeo più determinato a difendere e promuovere i propri interessi strategici, ponendosi anche come portavoce dell’Unione Europea.

L’Ambasciatore Michelangelo Pipan: “Dopo i dazi USA, l’Italia può avere un ruolo più importante nell’ASEAN”

Gli interventi del Presidente dell’Associazione Italia-ASEAN durante gli eventi organizzati da Confindustria e SACE, nell’ambito dell’Assemblea Annuale della Banca Asiatica di Sviluppo a Milano

“L’Italia e le imprese italiane possono aspettarsi di svolgere un ruolo molto importante nell’ASEAN”. Lo ha dichiarato l’Ambasciatore Michelangelo Pipan, Presidente dell’Associazione Italia-ASEAN, intervenendo all’evento “The potential of the Italian Industry for Development Projects in the ASEAN Countries”, organizzato martedì 6 maggio da Confindustria nel quadro dell’Assemblea Annuale della Banca Asiatica di Sviluppo (ADB) che si è svolta a Milano. “L’opportunità esiste ed è pronta per essere colta, soprattutto oggi in un momento in cui il mondo si trova ad affrontare una situazione senza precedenti. I fondamenti dell’ordine economico internazionale sono stati scossi, se non addirittura stravolti; il commercio mondiale è minacciato da una grave frammentazione geo-economica; le catene di approvvigionamento devono essere riorganizzate mentre il cambiamento climatico resta una sfida che può essere affrontata solo attraverso sforzi comuni, difficili da realizzare”, ha spiegato Pipan, nel panel intitolato “Cooperazione allo sviluppo nei Paesi ASEAN: progetti e strumenti”. Secondo il Presidente dell’Associazione Italia-ASEAN, “gli Stati dovranno rimodellare le proprie politiche, cercando nuovi partner, diversificando l’approvvigionamento di materie prime e beni d’investimento, e individuando nuovi mercati per le proprie esportazioni. In questo percorso cercheranno partner affini. Vorranno evitare di dipendere eccessivamente da singoli partner. L’ASEAN, in particolare, è un solido sostenitore del multilateralismo e del libero scambio; ha una lunga tradizione nel rifiutare di schierarsi tra le due superpotenze – Cina e Stati Uniti – che sono anche i suoi principali partner economici. Finora l’ASEAN ha svolto un’opera di bilanciamento notevole ed efficiente”.

Come spiega l’Ambasciatore Pipan, “in seguito al recente caos tariffario, è molto probabile che emergeranno nuove “costellazioni” di partenariato economico: l’ASEAN è stata tradizionalmente molto attiva in questa direzione, alla ricerca di prospettive commerciali più ampie, il cui esempio più emblematico è il ruolo centrale svolto a favore del trattato RCEP, entrato in vigore nel 2022, che ha abolito il 90% dei dazi tra 15 Paesi rappresentanti il 30% del PIL mondiale”. Nel contesto di un probabile e significativo aumento delle relazioni economiche tra UE e ASEAN, Pipan sottolinea che “l’Italia e le sue imprese sono ben posizionate: le nostre competenze sono ben conosciute, molto apprezzate e si sposano bene con le priorità di sviluppo dell’ASEAN: per citarne alcune, in linea con la pianificazione ASEAN Post-2025, le energie rinnovabili, l’automazione industriale, le infrastrutture, lo sviluppo del settore sanitario, incluse le apparecchiature mediche, lo spazio e l’alta tecnologia”.

Nel corso della stessa giornata di martedì 6 maggio, il Presidente dell’Associazione Italia-ASEAN ha tenuto anche un discorso programmatico durante l’evento “SACE’s Growth Effect: Expanding Borders, Building the Future” , organizzato dal Gruppo assicurativo-finanziario italiano. Parlando subito dopo Riccardo Barbieri, Direttore Generale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha sottolineato il ruolo dell’HIGH LEVEL DIALOGUE on ASEAN-ITALY ECONOMIC RELATIONS, l’evento annuale che l’Associazione Italia-ASEAN organizza con The European House – Ambrosetti in una capitale dei Paesi ASEAN, che quest’anno si terrà in Vietnam. L’Ambasciatore Pipan ha evidenziato che “è il Governo che deve guidare, e abbiamo accolto con grande soddisfazione il fatto che nel recente Piano d’Azione per l’Export pubblicato dal MAECI l’ASEAN sia stata inclusa tra le priorità (con particolare attenzione a Vietnam, Thailandia e Indonesia) e potrà beneficiare di nuovi strumenti più potenti – inclusi quelli di SACE – per la promozione delle esportazioni”. Secondo il Presidente dell’Associazione, “i Paesi ASEAN hanno tutte le ragioni per cercare partenariati con le imprese italiane. Alla fine, però, è l’interesse del mondo imprenditoriale che conta davvero per far sì che tutti gli ingredienti si fondano nel successo! Ed è proprio su questo ultimo punto che bisogna rafforzare l’impegno: aiutare a far crescere in Italia la consapevolezza sull’ASEAN. In quest’ottica, abbiamo recentemente proposto al MAECI di co-organizzare una conferenza internazionale dal titolo ASEAN AWARENESS, sul modello di due iniziative analoghe tenutesi negli anni ’10”, ha concluso Pipan.

Pagare dazio all’incertezza: i Paesi ASEAN cercano una soluzione ai dazi USA

I Paesi ASEAN sono stati colpiti duramente dai dazi americani. La politica commerciale non convenzionale di Donald Trump impone risposte, a loro volta, inedite. Per ora prevalgono cautela e volontà di trattare, ma il ruolo di Washington (e di Pechino) nella regione è destinato a cambiare.

Articolo di Pierfrancesco Mattiolo

Alla fine, i dazi promessi da Donald Trump sono entrati in vigore. Non quelli annunciati durante il famigerato Liberation Day dello scorso 2 aprile, sospesi alcuni giorni dopo per una durata di tre mesi, probabilmente in reazione al crollo di Wall Street. Per il momento, si applicherà solo un dazio generale del 10%, con alcune eccezioni: i dazi sopra il 100% contro la Cina; acciaio e alluminio con tariffe al 25%; l’esclusione per alcuni prodotti, tra cui i semiconduttori. Durante la campagna elettorale, Trump aveva agitato l’idea di un aumento delle tariffe tra il 10% e il 20%, quindi l’attuale assetto si può considerare una promessa mantenuta, anche se la natura imprevedibile dell’attuale esecutivo USA rende difficile prevedere quali saranno i dazi tra un anno, un mese o una settimana. I dazi al 10% rimangono comunque alti e segnano forse l’inizio di una fase di profonda incertezza per l’economia globale.

Se la tabella mostrata da Trump durante il Liberation Day fosse effettivamente applicata in futuro, i dazi per quasi tutti i Paesi ASEAN si alzerebbero rispetto alla soglia di partenza del 10%. In ordine decrescente, la Cambogia sarebbe colpita da un dazio del 49%; Laos, 47%; Vietnam, 46%; Tailandia, 36%; Indonesia, 32%; Malesia e Brunei, 24%; Filippine, 17%. Solo Singapore rimarrebbe al 10%, dato che è l’unico Paese a importare dagli USA più di quanto esporta. Come ampiamente osservato da analisti e stampa internazionale, queste “tariffe reciproche” non sono basate sui dazi imposti dai partner commerciali sulle merci americane, come affermato dalla Casa Bianca, bensì sul disavanzo commerciale tra ciascun Paese e gli Stati Uniti. Una scelta criticata, che mette in difficoltà questi Paesi: anche riducendo i propri dazi sui prodotti statunitensi, il disavanzo commerciale si potrebbe forse ridurre, ma comunque non invertire del tutto, e non certo per sola iniziativa governativa. La visione mercantilista dell’attuale Amministrazione, inoltre, esclude dalle proprie considerazioni che le sue aziende importano sì molti beni a basso costo dall’estero, ma godono poi di alti margini quando vendono il prodotto finale al consumatore statunitense o di un altro Paese. Inoltre, l’economia USA, la più avanzata al mondo, può concentrarsi sull’esportare servizi e sull’attrarre investimenti e risparmi, in nome del principio di specializzazione. Trump rompe con la visione del commercio internazionale che ha dominato per decenni l’agenda dei governi di quasi tutto il mondo.

Un altro elemento “poco ortodosso” della politica commerciale di Trump è imporre un dazio generale su tutti i prodotti, da tutti i Paesi. Di solito, i governi non usano misure “one-size-fits-all” in politica commerciale. I beni che non produci avranno un dazio basso; quelli che vuoi continuare a produrre sul tuo suolo, magari per motivi politici o strategici, ne avranno uno alto. Se vuoi ottenere maggiore accesso al mercato di un altro Paese (ossia una riduzione delle tariffe sulle tue merci), solitamente dovrai offrire maggiore accesso al tuo, scegliendo su quali merci ha più senso ridurre bilateralmente i dazi. La politica commerciale UE nella regione, come dimostrato dagli accordi di libero scambio con Vietnam e Singapore, segue questo approccio. Trump si muove in tutt’altra direzione o, meglio, sembra considerare questi aspetti solo in un secondo momento, ad esempio esonerando dai dazi prodotti essenziali e prodotti all’estero, come i semiconduttori.

Infine, l’ultimo elemento di rottura tra la politica commerciale di Trump e quella “convenzionale” riguarda il suo obiettivo dichiarato. O meglio, il fatto che Trump non ne abbia (solo) uno, definito chiaramente. Ad ascoltare il Presidente e i suoi collaboratori, l’Amministrazione sembra inseguire molteplici scopi, anche in parziale contrasto tra loro. Aumentare le entrate del governo federale per ridurre altre tasse? Riportare certe industrie negli Stati Uniti? Ridurre o eliminare i disavanzi commerciali? Ottenere concessioni su altri dossier politici o economici? Imporre ai Paesi terzi di non cooperare con i rivali geopolitici degli USA, Cina in testa? Come osservato dalla rivista The Diplomat, tale ambiguità rende difficile per i Paesi ASEAN (e non solo) capire cosa vuole Trump e come accontentarlo, spingendoli alla conclusione che, forse, Washington non voglia togliere le tariffe del tutto. Tale worst-case scenario sembra confermato dal commento di Peter Navarro, il consigliere commerciale di Trump, in risposta alle prime offerte concilianti del Vietnam: “non significano nulla per noi”, il Vietnam è un punto di “trasbordo” dei prodotti cinesi ed è “essenzialmente una colonia della Cina comunista”.

Come possono reagire le cancellerie della regione, dunque? Per il momento, prevale la cautela e la ricerca di un accordo con Trump. Come dimostrato dal Messico, questo approccio sembra il più indicato per rimandare l’entrata in vigore dei dazi. Nessun Paese ASEAN ha imposto dazi di rappresaglia: se la politica commerciale di Trump rompe con i precedenti consolidati, anche la risposta degli altri Paesi lo fa. Se continueranno così, i governi ASEAN daranno in parte ragione a Trump, che aveva promesso alle aziende americane che non avrebbero subito rappresaglie, dato che i partner si sarebbero affrettati a fargli concessioni – o, per usare un’espressione di Trump, “baciargli il c…”. Molti Paesi ASEAN hanno offerto la riduzione dei loro dazi e del disavanzo commerciale, comprando più prodotti USA e diversificando le destinazioni del loro export. Tornando al caso del Vietnam, se le parole di Navarro non sono incoraggianti, quelle di Trump in persona lo sembrano – il Presidente ha definito una chiamata tra lui e il Segretario Generale To Lam “molto produttiva”. Hanoi ha anche stretto accordi con Starlink, l’azienda spaziale di Elon Musk, probabilmente per ottenere un alleato nell’entourage di Trump. Dato che la posizione dell’Amministrazione Trump è solo quella del Presidente Trump, più che quella dei suoi collaboratori, avere Navarro contro e Musk a favore fa poca differenza, specie con Musk sempre meno coinvolto nelle scelte dello Studio Ovale.

Più difficile sarà invece per Trump imporre una rottura, commerciale e politica, con la Cina. Ad esempio, il giornalista David Hutt, esperto di Cambogia, ha osservato che gli Stati Uniti potrebbero chiedere a Phnom Penh di rivedere la cooperazione con i cinesi sulla base navale di Ream in cambio di una riduzione dei dazi. I Paesi ASEAN, però, potrebbero voler fare l’esatto contrario: se non si può esportare verso gli USA, si può pur sempre commerciare tra Paesi colpiti dalle tariffe, Cina inclusa. Pechino ha colto l’opportunità e si presenta oggi come affidabile paladina del libero commercio, alternativa all’imprevedibile Washington. L’attenzione critica degli analisti e dei governi si è in parte spostata dalle pratiche commerciali aggressive cinesi ai dazi americani. Il leader cinese Xi Jinping ha già iniziato una serie di visite ufficiali e ha incassato un successo simbolico con il riavvio della cooperazione commerciale con Giappone e Corea del Sud – durante gli anni dell’Amministrazione Biden, i tre Paesi non avevano mai dialogato in materia, anzi, si erano allontanati. I governi ASEAN, abituati a destreggiarsi tra le due potenze del Pacifico, continueranno a farlo, con l’unica differenza che ora gli Stati Uniti sono percepiti come meno affidabili e prevedibili. La “ritirata strategica” USA dalla regione, però, non lascia spazio solo alla Cina: l’Unione Europea diventa un potenziale partner commerciale e strategico più importante.Per il Sud-Est asiatico, cooperare a livello ASEAN può fornire un mezzo per resistere all’approccio divide et impera di Trump. L’attuale presidente dell’Associazione, la Malesia, si è impegnata a trovare una risposta coordinata a questa sfida al modello economico della regione, basato sull’export. Anche se i Paesi membri sono stati colpiti in misura differente, rispetto ai dazi della prima Amministrazione Trump, le opportunità sembrano molto inferiori rispetto ai rischi. Negli ultimi anni, alcune economie, come quella vietnamita, avevano tratto vantaggio dal decoupling tra USA e Cina, attirando buona parte della produzione delle merci da esportare in America. Proprio questo ha fatto crescere il disavanzo commerciale, portando ai dazi più alti imposti da Trump. Il messaggio del Liberation Day è che conquistare maggiori quote di mercato statunitense, e fare più affidamento su quell’export per il proprio sviluppo, rischia di penalizzare un Paese in futuro. Se le tensioni commerciali del primo mandato sembravano un gioco a somma zero con vincitori e vinti – in linea con quella che sembra la visione del mondo di Trump –, questa volta tutti sembrano destinati a perderci. L’incertezza causata dalle scelte poco prevedibili e mutevoli di Trump, in rottura con il pensiero economico dominante, rischia di avere effetti negativi sugli investimenti e sull’economia in tutto il mondo.

DAZI, COLPITO ANCHE IL SUD-EST ASIATICO: “UE, ITALIA E ASEAN RAFFORZINO LA COOPERAZIONE”

I Paesi del Sud-Est asiatico sono tra quelli più colpiti dai dazi imposti dagli Stati Uniti in quello che Donald Trump ha ribattezzato “Liberation Day”. Tutti e 10 gli Stati membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico (ASEAN) sono stati colpiti. Per la precisione, dal 9 aprile verranno imposte tasse aggiuntive sulle importazioni con le seguenti percentuali: 49% per la Cambogia, 48% per il Laos, 46% per il Vietnam, 44% per il Myanmar, 36% per la Thailandia, 32% per l’Indonesia, 24% per la Malesia e per il Brunei, 17% per le Filippine e 10% per Singapore. Molti di questi Paesi sono forti esportatori verso gli Stati Uniti, mentre la regione è da tempo tra i principali fautori del commercio globale, avendo siglato una serie di accordi di libero scambio bilaterali e multilaterali. “Ora questi Paesi del Sud-Est asiatico dovranno guardare con più attenzione agli altri mercati che non siano quello statunitense, la stessa necessità che avranno tanti altri Paesi compresi quelli europei”, sottolinea l’Ambasciatore Michelangelo Pipan, Presidente dell’Associazione Italia-ASEAN. “Di conseguenza, l’Unione Europea e l’Italia stessa, che godono di diversi accordi di libero scambio con alcuni di questi Paesi, possono e devono attrezzarsi per rafforzare i rapporti commerciali con il Sud-Est asiatico”, prosegue Pipan, sottolineando che “i nostri interessi e quelli dell’ASEAN a tutela del libero commercio e contro il protezionismo coincidono. Ancora di più dopo i nuovi dazi della Casa Bianca”.

Washington ha deciso di colpire i Paesi del Sud-Est asiatico nonostante le concessioni già compiute nei giorni scorsi da alcuni di essi. É il caso del Vietnam, negli ultimi anni ascesa a hub commerciale e tecnologico globale di importanza cruciale, che ha annunciato la riduzione dei dazi e l’impegno a importare più beni statunitensi. “È ancora presto per fare previsioni, ma questa disruption provocata da Trump sembra destinata a favorire la creazione di diverse costellazioni che aumentando la cooperazione fra di loro cercheranno di sopperire a questa chiusura del mercato statunitense”, spiega l’Ambasciatore Pipan. I dati sull’interscambio commerciale tra Italia e ASEAN sono enormemente aumentati nell’ultimo anno, anche grazie all’attività svolta dall’Associazione Italia-ASEAN.

Il futuro dell’innovazione tra Smart Cities e sicurezza digitale

Il Sud-Est asiatico continua a fare passi avanti in materia di intelligenza artificiale, ampliando progressivamente il campo di applicazione

Di Luca Menghini

L’intelligenza artificiale sta rapidamente trasformando il panorama economico e tecnologico del Sud-Est asiatico, rendendo la regione un hub emergente per l’innovazione nel settore. Mentre la generative AI e i modelli di linguaggio di grandi dimensioni (LLM) catturano l’attenzione globale, l’ASEAN sta sviluppando una gamma più ampia di applicazioni di intelligenza artificiale per migliorare supply chain, smart cities, sicurezza informatica e infrastrutture digitali. L’adozione crescente di queste tecnologie pone il Sud-Est asiatico in una posizione strategica per guidare l’integrazione dell’AI nei sistemi economici e sociali della regione.

Negli ultimi anni, governi e aziende dell’ASEAN hanno investito massicciamente nell’intelligenza artificiale per affrontare le sfide del futuro. L’IBM Institute for Business Value ha evidenziato che meno del 30% delle aziende manifatturiere nell’area sfrutta appieno i dati raccolti, mentre solo il 10% di essi viene utilizzato per estrarre informazioni strategiche. Questa sottoutilizzazione rappresenta un’opportunità per l’AI di colmare il gap, ottimizzando le operazioni industriali attraverso la manutenzione predittiva, l’automazione dei processi e l’analisi avanzata dei dati.

Le supply chain nel Sud-Est asiatico stanno già beneficiando dell’integrazione dell’AI in più settori. L’uso di tecnologie di predictive analytics sta aiutando le imprese a ridurre i tempi di inattività e a migliorare l’efficienza operativa. Ad esempio, la blockchain viene sempre più adottata per garantire la trasparenza e la tracciabilità end-to-end delle catene di approvvigionamento, riducendo il rischio di frodi e migliorando la gestione delle risorse.

I leader aziendali stanno affrontando numerose sfide nel settore delle supply chain. La resilienza delle catene di approvvigionamento è diventata una priorità in seguito alle interruzioni causate dalla pandemia di COVID-19 e dalle tensioni geopolitiche. Inoltre, le aziende devono bilanciare l’adozione di pratiche sostenibili con la redditività e superare il divario di competenze tecnologiche per sfruttare al meglio le nuove tecnologie. L’intelligenza artificiale, integrata con l’Internet of Things (IoT), consente una gestione più intelligente della logistica e dell’inventario, migliorando la previsione della domanda e ottimizzando le rotte di distribuzione.

L’AI sta inoltre ridefinendo la gestione delle smart cities in ASEAN. Paesi come Singapore, Thailandia e Vietnam stanno implementando soluzioni basate su AI per migliorare la sicurezza urbana, la gestione del traffico e la sostenibilità ambientale. Singapore, con la sua iniziativa Smart Nation, è un esempio di come l’intelligenza artificiale possa ottimizzare i servizi pubblici e ridurre i consumi energetici. In Indonesia, Jakarta sta utilizzando AI-powered flood monitoring systems per mitigare i danni causati dalle inondazioni, mentre Bangkok ha adottato sistemi di monitoraggio della qualità dell’aria e della mobilità pubblica per affrontare le sfide ambientali.

Un altro settore in forte crescita è quello della sicurezza informatica. L’ASEAN ha recentemente istituito il suo primo team regionale di risposta agli incidenti informatici per affrontare le minacce crescenti legate all’uso dell’intelligenza artificiale nelle cyber-attacks. Secondo il Ministero della Difesa di Singapore, il cybercrimine è aumentato dell’82% tra il 2021 e il 2022, con ransomware e attacchi informatici che hanno colpito governi e istituzioni finanziarie. L’uso di AI per il monitoraggio proattivo delle minacce sta diventando essenziale per mitigare questi rischi, e l’adozione di strumenti di AI-powered fraud detection aiuta le aziende a proteggersi dalle frodi digitali.

L’adozione dell’AI nell’ASEAN si scontra tuttavia con alcune barriere. La mancanza di regolamentazioni armonizzate sulla protezione dei dati e sulla sicurezza informatica rappresenta un ostacolo alla diffusione di sistemi AI su larga scala. Inoltre, il divario di competenze nel settore AI rimane un problema significativo: la carenza di professionisti specializzati in intelligenza artificiale, data science e cyber security impedisce una più rapida implementazione delle nuove tecnologie. Per affrontare questo problema, istituzioni accademiche e aziende stanno investendo nella formazione di nuova forza lavoro specializzata attraverso programmi di upskilling e partnership con università locali.

L’ecosistema delle startup AI nell’ASEAN sta attirando sempre più investimenti, con startup come Social+ in Thailandia e Wiz a Singapore che hanno raccolto decine di milioni di dollari per sviluppare soluzioni AI avanzate in ambito customer engagement e automazione dei processi aziendali. La crescita dell’AI nel Sud-Est asiatico non si limita però solo al settore privato. I governi della regione stanno promuovendo politiche favorevoli all’innovazione, con programmi di finanziamento per startup AI e iniziative per creare un ambiente normativo più chiaro.

Il futuro dell’intelligenza artificiale nell’ASEAN appare promettente. L’integrazione crescente dell’AI nelle infrastrutture urbane, nelle catene di approvvigionamento e nella sicurezza informatica renderà il Sud-Est asiatico sempre più un punto di riferimento per l’innovazione tecnologica globale. La capacità della regione di affrontare le sfide normative e infrastrutturali sarà determinante per consolidare il suo ruolo di leader nell’adozione dell’AI. Con un ecosistema in rapido sviluppo e investimenti in continua crescita, il Sud-Est asiatico è destinato a diventare uno degli attori chiave della rivoluzione dell’intelligenza artificiale nei prossimi anni.

L’IA per prevedere e gestire i disastri naturali

Le nuove applicazioni possono perfezionare i sistemi oggi in uso nel Sud-Est asiatico nelle varie fasi della gestione dei disastri naturali, a partire dalle strategie di mitigazione

Di Emanuele Ballestracci

60.000 morti, 150.000 feriti e altrettanti sfollati all’anno. Non si tratta delle atrocità dovute a conflitti internazionali, guerre civili o attacchi terroristici ma delle conseguenze di ricorrenti fenomeni la cui forza distruttrice viene troppo spesso sottovalutata: i disastri naturali. Tra il 1998 e il 2017 i disastri climatici e geofisici hanno causato la morte di oltre 1,3 milioni di persone e 4,4 miliardi feriti, spesso tra le fasce più deboli della popolazione mondiale. Tuttalpiù, il riscaldamento globale non farà altro che aumentare in numero e intensità questi fenomeni, come stiamo già sperimentando negli ultimi anni. Certe regioni ne soffriranno più di altre e il Sud-Est asiatico è tra quelle più a rischio. Il 99% della sua popolazione è già esposta al pericolo di inondazioni e tra il 2004 e il 2014 ha registrato il 50% dei decessi globali dovuti ad eventi climatici estremi. La situazione non potrà che deteriorare a meno di una rivoluzione nell’impegno mondiale alla lotta al riscaldamento globale, che oggi sembra sempre meno probabile.

Un faro di speranza arriva però dalle innovazioni tecnologiche nel campo dell’intelligenza artificiale (IA). Il suo utilizzo la creazione di modelli predittivi permette infatti di analizzare ampie serie di dati, identificare andamenti e così prevedere potenziali disastri. Le sue applicazioni andrebbero così a perfezionare i sistemi oggi in uso nelle varie fasi della gestione dei disastri naturali: la previsione e il rilevamento dei cataclismi; i sistemi di allarme rapido; la valutazione della vulnerabilità e del rischio; la modellazione spaziale; le strategie di mitigazione. Non solo, sono in via di sviluppo nuovi sistemi di rilevazione che beneficeranno in particolar modo le aree meno resilienti del pianeta, come lo “AI-SocialDisaster”. Si tratta di un sistema di supporto alle decisioni per l’identificazione e l’analisi di disastri naturali come terremoti, inondazioni e incendi utilizzando dati tratti i feed dei social media. Così, utilizzando informazioni prodotte in tempo reale da ogni individuo senza dover far affidamento ad avanzate – e costose – strumentazioni di rilevazione, le capacità governative di gestione delle crisi in aree rurali incrementeranno esponenzialmente. Per esempio, l’azienda giapponese Spectee sta sviluppando un sistema di rilevazione dei disastri naturali adattato alle Filippine, utilizzando proprio le informazioni provenienti dai social media. Il ruolo dei privati è in generale fondamentale per il progresso di queste nuove tecnologie. Microsoft Azure può essere utilizzato per migliorare gli allarmi sui terremoti e le rappresentazioni virtuali degli spazi fisici nella risposta ai disastri, mentre Amazon Augmented AI può prestarsi alla costruzione di modelli integrati per il riconoscimento di scene di disastri da immagini di disastri a bassa quota. Cina e Stati Uniti stanno già collaborando con i rispettivi campioni nell’high-tech, come Xiaomi e Google, mentre in Corea del Sud il governo metropolitano di Seoul ha annunciato lo sviluppo di una “piattaforma digitale di risposta ai disastri” in cui l’IA sarà strumentale. Inoltre, Giappone, Singapore e Cina hanno fatto passi da gigante nello sviluppo di sistemi di allarme rapido, sfruttando tecnologie avanzate come i sensori IoT, i modelli IA e i sistemi informativi geografici.

Oltre a multinazionali e governi anche le organizzazioni internazionali e regionali stanno dando il loro contributo. Nel 2015 le Nazioni Unite hanno adottato il “Quadro di Sendai per la riduzione del rischio di disastri”, che delinea obiettivi e priorità d’azione per prevenire nuovi rischi di disastri e ridurre quelli esistenti. Invece, tra le organizzazioni regionali l’ASEAN è una delle più attive in materia di disastri naturali, riflesso dell’elevata esposizione a tali fenomeni. Nel 2009 è stato firmato l’Accordo ASEAN sulla gestione dei disastri e la risposta alle emergenze, due anni dopo è stato istituito il Centro AHA per rilanciare il coordinamento regionale e in occasione del 28° vertice ASEAN in Laos nel 2016 venne firmata la Dichiarazione congiunta “Un ASEAN, Una Risposta”. Infine, lo scorso 19 agosto è stata istituita l’Alleanza Civile ASEAN per le contromisure regionali e dal 2022 il tema dell’utilizzo dell’IA è stato sempre più discusso tra i vertici dei Paesi membri, soprattutto in occasione dell’annuale dialogo politico strategico sulla gestione dei disastri naturali. Anche l’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (UIT), l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ha lanciato un nuovo gruppo di lavoro a tema IA: il Focus Group sull’intelligenza artificiale per la gestione dei disastri naturali (FG-AI4NDM). 

Tuttavia, nonostante il potenziale dell’IA, non mancano certo le problematiche. Prima fra tutte l’incapacità dei modelli IA di fornire “accountability” ed “explainability”. Detto in parole povere, i modelli di intelligenza artificiale funzionano come scatole nere: date determinate previsioni e input, forniscono degli output senza però spiegare la relazioni tra le variabili. Ciò è una seria mancanza quando questi vengono utilizzati per la gestione delle crisi, in cui la massima trasparenza è fondamentale. Tuttavia, se i recenti tentativi di sviluppare modelli di “Intelligenza Artificiale Spiegabile” dovessero riuscire, l’IA diventerebbe senza ombra di dubbio una risorsa ancor più preziosa per controbilanciare gli effetti dei disastri naturali.

L’ASEAN porto sicuro contro i dazi

Alcune economie asiatiche come Malesia, Singapore e Vietnam si stanno posizionando per essere vincenti in una possibile nuova guerra commerciale

Diversi problemi, ma anche alcune opportunità. Come minacciato in campagna elettorale, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha iniziato il suo secondo mandato con l’introduzione di dazi per affrontare un’ampia gamma di questioni, dall’immigrazione alla sicurezza nazionale, fino all’eccessiva dipendenza dalle importazioni per la produzione. Ma le barriere commerciali di Trump sono molto più mirate di quanto paventato in campagna elettorale, sottolinea Trinh Nguyen, economista di Natixis Corporate & Investment Banking, in un editoriale sul Financial Times. Invece di preoccuparsi dei dazi, gli investitori dovrebbero cercare opportunità nei Paesi che possono trarre vantaggio dai probabili cambiamenti, sostiene Nguyen. Le economie dei mercati emergenti asiatici, al di fuori della Cina, dovrebbero essere sulla lista, perché come durante il primo mandato di Trump potrebbero trarre dei vantaggi. Il Vietnam è il grande esempio, si legge sul Financial Times. Dal 2017 al 2023, il Paese ha aumentato la sua quota di esportazioni verso gli Stati Uniti in tutte le categorie di prodotti, risultando vincente tra le economie emergenti dell’Asia. Questa crescita non è semplicemente il risultato di un riorientamento delle esportazioni da parte della Cina sotto l’apparenza di prodotti vietnamiti, ma è il risultato del grande allargamento dei rapporti commerciali internazionali del Vietnam. Secondo Nguyen, anche la Malesia e Singapore hanno beneficiato di una spinta alla diversificazione degli investimenti. Kuala Lumpur ha puntato su settori high-tech come i semiconduttori e i centri dati, mentre Singapore si è espansa nei servizi finanziari e ha attirato sedi aziendali. Quest’anno, inoltre, i due Paesi hanno collaborato alla creazione della Zona Economica Speciale Johor-Singapore per incrementare gli investimenti e i posti di lavoro in settori strategici. L’ASEAN è diventata oggi il principale destinatario di investimenti diretti esteri in Asia. Per alcune economie, il nuovo shock al commercio globale rappresenta secondo l’economista “un’opportunità per rafforzare la resistenza, liberalizzare l’accesso al commercio e migliorare la competitività. Alcune economie asiatiche, come la Malesia, Singapore, il Vietnam e sempre più l’India, si stanno posizionando per essere vincenti nella guerra commerciale”.

A.I.: l’ascesa del Sud-Est asiatico

L’intelligenza artificiale generativa e i modelli linguistici di grandi dimensioni: il Sud-Est Asiatico sta diventando hub globale dell’Innovazione

Articolo di Luca Menghini

Il Sud-Est asiatico sta vivendo una rapida trasformazione nel campo dell’intelligenza artificiale generativa (Gen AI) e dei modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM). Storicamente considerata un hub per la manifattura e i servizi digitali, la regione sta emergendo come attore chiave nell’innovazione guidata dall’AI. Con investimenti significativi in Ricerca e sviluppo (R&S) e infrastrutture, le nazioni dell’ASEAN si stanno posizionando in prima linea, competendo con leader globali come USA e Cina.

L’interesse crescente per la Gen AI si riflette nelle tendenze di investimento. Il mercato dell’AI nell’ASEAN dovrebbe raggiungere i 2,3 miliardi di dollari entro il 2025, con un tasso di crescita annuo del 41,48% fino al 2030. Paesi come Singapore, Thailandia e Indonesia stanno guidando l’adozione dell’AI, con governi e aziende che collaborano per sviluppare LLM autoctoni, adattati a lingue e culture locali. Singapore, nota per le sue politiche tech-friendly, ha istituito quadri normativi che promuovono un’innovazione responsabile. La Thailandia, attraverso iniziative come ThaiLLM, sta investendo milioni per creare modelli locali che rispondano alle sfumature linguistiche e culturali della regione.

L’ecosistema dell’AI è inoltre alimentato da una crescita esponenziale di startup e investimenti. L’ASEAN ha visto emergere numerose aziende AI-driven, in particolare nei settori fintech, sanitario ed e-commerce. Le imprese stanno sfruttando i LLM per ottimizzare il servizio clienti, automatizzare processi e migliorare la presa di decisioni. Indonesia e Vietnam stanno vivendo un boom di startup AI, attirando capitali da fondi VC globali desiderosi di entrare nel mercato digitale della regione. Le startup basate a Singapore hanno ottenuto importanti round di finanziamento, rafforzando lo status della città-Stato come trampolino di lancio per il settore AI.

Nonostante questi progressi, la governance dell’AI rimane una questione cruciale. L’ASEAN ha affrontato proattivamente le sfide normative introducendo l’Expanded ASEAN Guide on AI Governance and Ethics – Generative AI, che stabilisce linee guida per un uso etico dell’AI, concentrandosi su rischi come disinformazione, bias e proprietà intellettuale. La guida promuove una governance collaborativa, iniziative di condivisione dei dati a livello regionale e framework indipendenti per il testing dell’AI generativa, garantendone un utilizzo sicuro. Inoltre, il framework ASEAN AI Governance and Ethics – Generative AI fornisce una roadmap completa per aiutare policymakers e aziende a orientarsi nel panorama etico dell’AI. Questo modello enfatizza accountability, trasparenza e equità nell’implementazione dell’AI e promuove misure di sicurezza tecnica come digital watermarking, incident reporting e programmi di certificazione indipendenti, tra cui Project Moonshot di Singapore.

Un altro fattore cruciale che sta alimentando la crescita dell’AI nel Sud-Est Asiatico è la giovane popolazione nativa digitale. Uno studio recente evidenzia che oltre l’80% degli studenti universitari e il 62% dei lavoratori nella regione stanno già sperimentando strumenti di intelligenza artificiale generativa. Questa fascia demografica, spesso definita Generazione AI, sta accelerando l’adozione dell’AI, rendendo l’ASEAN uno dei mercati in più rapida espansione per queste tecnologie. L’uso diffuso della Gen AI nei luoghi di lavoro sta spingendo le aziende a integrare soluzioni basate sull’AI, anche se molte faticano a tenere il passo con l’adozione indipendente da parte dei dipendenti.

Oltre alle startup, anche le grandi aziende e le multinazionali stanno investendo nell’infrastruttura AI del Sud-Est Asiatico. Colossi tecnologici globali come Google, Microsoft e NVIDIA stanno collaborando con governi e imprese locali per creare centri di ricerca AI e hub di cloud computing. Queste partnership mirano ad aumentare l’alfabetizzazione AI, fornire risorse di cloud computing e creare opportunità per i talenti locali. Malaysia e Filippine stanno emergendo come destinazioni chiave per i centri di R&S AI, grazie alla crescente forza lavoro tecnologica e a politiche governative favorevoli.

L’impatto dell’AI generativa nell’ASEAN non si limita alle applicazioni commerciali. I governi stanno esplorando il potenziale dell’AI per lo sviluppo nazionale, utilizzando analisi basate sull’AI per previsioni economiche, pianificazione urbana e gestione delle crisi. Le soluzioni AI-driven stanno inoltre rivoluzionando l’istruzione, con piattaforme di apprendimento adattivo alimentate da LLM, che offrono esperienze personalizzate in più lingue, rispondendo alla diversità linguistica della regione.

Tuttavia, permangono delle sfide. Il divario digitale, le infrastrutture AI limitate in alcune aree e le preoccupazioni sulla privacy dei dati rappresentano ostacoli all’adozione su larga scala. Singapore è all’avanguardia nella preparazione all’AI, mentre paesi come Cambogia, Laos e Myanmar affrontano difficoltà dovute a infrastrutture digitali insufficienti e bassi livelli di alfabetizzazione AI. La strategia dell’ASEAN per colmare questo divario include cooperazione regionale, investimenti nei programmi di formazione AI e incentivi per le imprese AI-driven.

Mentre il Sud-Est Asiatico consolida il proprio ruolo nel panorama globale dell’AI, è evidente che la regione non è più un semplice consumatore di tecnologia, ma un nuovo polo emergente di innovazione AI. Con un ecosistema di startup dinamico, iniziative strategiche dei governi e una forza lavoro tech-savvy, l’ASEAN si sta affermando come un hub chiave per l’AI, destinato a plasmare il futuro della Gen AI per gli anni a venire. Policymakers, investitori e leader aziendali continueranno a monitorare e adattare le proprie strategie per garantire che il potenziale trasformativo dell’AI sia pienamente realizzato nella regione.

Aumenta l’export italiano in ASEAN

I dati del 2024: record per la crescita delle esportazioni Made in Italy in Vietnam

Il rialzo dei dazi da parte degli Stati Uniti potrebbe avere effetti positivi per l’export italiano, soprattutto da parte dei mercati emergenti. Secondo un approfondimento messo a punto dalla Farnesina, dopo la riunione presieduta dal ministro Antonio Tajani con alcuni rappresentanti del tessuto produttivo italiano, un ruolo importante potrebbe avere l’apprezzamento del dollaro sull’euro, verificatosi negli ultimi mesi, unito all’aumento delle scorte di merci da parte delle imprese americane. Anche misure tariffarie più elevate contro Cina e Messico potrebbero avere effetti opposti, aprendo spazi competitivi per il Made in Italy. In particolare, segnala la Farnesina, importanti opportunità per l’export italiano vengono dai mercati emergenti: Mercosur, India, ASEAN, Paesi del Golfo, Africa e Balcani. Le esportazioni italiane nella regione ASEAN hanno raggiunto 9,7 miliardi di euro nel 2023, con una crescita del 5,1%, confermata da un’ulteriore +11% nel 2024. I settori trainanti sono macchinari, chimica, tessile e agroalimentare. Sebbene il saldo commerciale sia negativo, il deficit si è progressivamente ridotto grazie alla crescente competitività del Made in Italy. Nello specifico, nel 2024 l’aumento più significativo è quello verso il Vietnam, dove si registra un ragguardevole +25%. La crescita riguarda anche gli altri Paesi dell’ASEAN e il dato è una chiara testimonianza della crescente apertura del mercato asiatico, che continua a rappresentare una frontiera chiave per l’industria italiana. Il trend si sta addirittura intensificando, visto che il solo dato di dicembre 2024 è addirittura di un aumento del 39,9%. Negli ultimi sei anni, l’interscambio commerciale complessivo tra Italia e ASEAN è cresciuto circa del 40%, più di Regno Unito, Germania e Francia, evidenziando il grande dinamismo delle relazioni economiche Italia-ASEAN. Gli strumenti di cooperazione economica tra l’ASEAN e l’Italia sono diversi e sfaccettati. Comprendono accordi commerciali, trattati di investimento, joint venture e programmi di cooperazione economica e tecnica. Questi strumenti mirano a ridurre le barriere commerciali, a promuovere gli investimenti, a favorire il trasferimento di tecnologia e a rafforzare i legami economici tra le due regioni. Insieme, costruiscono partenariati economici resistenti e reciprocamente vantaggiosi. Ad oggi, gli IDE italiani nell’ASEAN valgono 7,7 miliardi di euro, mentre gli IDE ASEAN ammontano a più di 800 milioni di euro. Si tratta di aumenti esponenziali da quando è stata fondata l’Associazione Italia-ASEAN.