Asean

Lo sviluppo dell’alta velocità in ASEAN

Dal Vietnam all’Indonesia fino alla Thailandia. I Paesi del Sud-Est asiatico accelerano sui progetti ferroviari

Di Walter Minutella

Nel contesto dell’accelerata urbanizzazione e della crescente domanda di infrastrutture di trasporto efficienti nella regione dell’ASEAN, i Paesi membri stanno compiendo passi avanti significativi nello sviluppo della rete ferroviaria ad alta velocità. Questo trend è motivato dalla necessità di fornire soluzioni di trasporto rapide, sicure e sostenibili per connettere le crescenti aree urbane e facilitare lo sviluppo economico regionale. L’adozione di sistemi ferroviari ad alta velocità rappresenta una risposta strategica a sfide quali la congestione del traffico, l’inquinamento atmosferico e la necessità di ridurre le emissioni di gas serra. Pertanto, i Paesi dell’ASEAN stanno investendo in progetti ambiziosi volti a modernizzare le loro reti ferroviarie e a creare collegamenti di trasporto transnazionali per migliorare l’accessibilità e promuovere lo sviluppo sostenibile nella regione. 

Uno dei progetti più rilevanti riguarda il VIetnam, che sta cercando di imparare dalla Cina per sviluppare la sua prima rete ferroviaria ad alta velocità. Il governo vietnamita sta pianificando la costruzione di una rete ferroviaria ad alta velocità, con un costo stimato fino a 72 miliardi di dollari. Questo progetto proposto, noto come North–South express railway, mira a collegare le due aree più urbanizzate del paese: Hanoi nel Delta del Fiume Rosso a nord e Ho Chi Minh City nel Delta del Fiume Mekong a sud. 

 La lunghezza totale proposta sarebbe di 2.070 chilometri, e il suo costo sarebbe finanziato principalmente dal governo vietnamita stesso. Il progetto è parte della strategia di sviluppo del trasporto ferroviario del paese con una visione fino al 2050 e fa parte della rete ferroviaria trans-asiatica. Questo progetto potrebbe migliorare notevolmente la connettività e la mobilità all’interno del Paese, oltre a facilitare gli scambi commerciali con i paesi confinanti.

Tuttavia, non tutti i progetti proposti hanno ricevuto il via libera. Nel 2023, il governo cinese ha presentato una proposta simile che avrebbe visto la costruzione di una nuova ferrovia ad alta velocità tra Ho Chi Minh City e Hanoi, continuando verso nord fino in Cina e collegandosi al sistema ferroviario ad alta velocità esistente della Cina a Nanning. Questo piano è stato però respinto dall’Assemblea Nazionale del Vietnam, evidenziando le complessità politiche e strategiche associate a tali progetti transnazionali.

Il Vietnam, nonostante sia dotato di un sistema ferroviario relativamente completo e precoce nella regione del Sud-Est asiatico, si trova ad affrontare sfide nel modernizzare e ampliare la sua rete ferroviaria. Attualmente, il viaggio di 1700 km da Hanoi a Ho Chi Minh City richiede più di 30 ore in treno convenzionale e in autobus interurbano, e circa 3 ore in aereo. Questa mancanza di infrastrutture di trasporto lungo il corridoio nord-sud del Paese ha portato a congestionamenti del traffico e a impatti negativi sullo sviluppo economico regionale, la produttività nazionale e la qualità ambientale. 

Tuttavia, una volta che il progetto riceverà l’approvazione, si prevede che porterà diversi benefici, tra cui la riduzione della domanda di trasporto interurbano, la congestione del traffico e l’aumento della sicurezza stradale. Il progetto potrebbe anche svolgere un ruolo fondamentale nel ridurre i costi logistici e migliorare la competitività nazionale, contribuendo così allo sviluppo infrastrutturale e all’espansione economica complessiva del Vietnam.

Un altro progetto importante è stato il lancio del primo treno ad alta velocità del Sud-Est asiatico in Indonesia, inaugurato il 2 ottobre 2023. Questo treno ad alta velocità collega la capitale Giacarta alla città di Bandung, riducendo drasticamente i tempi di viaggio da 2-3 ore a soli 40 minuti. 

L’iniziativa, parte della Nuova Via della Seta, progetto portato avanti dalla Repubblica Popolare Cinese, è stata realizzata attraverso il consorzio Kereta Cepat Indonesia China (PT KCIC), che comprende quattro società statali indonesiane e China Railway International, una controllata del China Railway Group.  Inoltre, l’Indonesia ha annunciato piani ambiziosi per estendere la rete ferroviaria ad alta velocità fino a Surabaya, la seconda città più grande del Paese. Questo riflette l’impegno del governo indonesiano nel modernizzare e ampliare l’infrastruttura di trasporto.

Anche in Thailandia, il progetto ferroviario ad alta velocità che collega Bangkok al confine con il Laos ha subito ritardi, ma il Ministro degli Esteri cinese ha recentemente esortato entrambi i Paesi ad accelerare la sua costruzione.  

Infine, va sottolineata l’importanza della cooperazione regionale per il successo di questi progetti. Gli sforzi congiunti tra i Paesi ASEAN e con i partner esterni possono giocare un ruolo cruciale nel superare le sfide tecniche, finanziarie e politiche che possono emergere durante lo sviluppo di infrastrutture su vasta scala. Collaborare a livello regionale non solo favorisce lo scambio di conoscenze e risorse, ma promuove anche la coesione e la solidarietà tra le nazioni coinvolte. Inoltre, una cooperazione efficace può garantire una migliore integrazione delle reti di trasporto e favorire una crescita economica equilibrata e sostenibile nell’intera regione dell’ASEAN.

L’ASEAN vuole evitare una nuova guerra fredda

Pubblichiamo qui uno stralcio di un commento di Alex Lo, pubblicato sul South China Morning Post

La Cina ha detronizzato gli Stati Uniti come partner privilegiato della superpotenza nel Sud-Est asiatico. I risultati emergono dall’ultimo sondaggio annuale condotto su 1.994 politici, giornalisti, uomini d’affari e analisti dei Paesi ASEAN dal think tank con sede a Singapore, l’ASEAN Studies Centre dell’ISEAS-Yusof Ishak Institute. Alla domanda su quale superpotenza si schiererebbero se costretti a farlo, il 50,5% ha scelto la Cina contro il 49,5% che ha scelto gli Stati Uniti. È un margine molto ristretto e rientra nel margine di errore. Quindi, diciamo che è un pareggio. Questo dovrebbe comunque preoccupare Washington, perché l’anno scorso i risultati sono stati 61,1% per gli Stati Uniti e 38,9% per la Cina. Vale la pena sottolineare che si tratta di un sondaggio tra le élite, non tra i cittadini comuni. Quindi, anche se non riflette direttamente i sentimenti popolari, può dire molto sulle reali direzioni politiche dei Paesi interessati. C’è un’altra ovvia conclusione: il Sud-Est asiatico non vuole scegliere da che parte stare, così come l’America Latina e l’Africa. Così, mentre è normale che gli alleati degli Stati Uniti debbano seguire la guida di Washington, il resto del mondo, in particolare il Sud globale, non ritiene che sia nel proprio interesse unirsi alla rivalità tra superpotenze. Anzi, ritengono che possa causare molti danni. Non sorprende che l’ASEAN consideri la disoccupazione e la recessione la preoccupazione più pressante della regione (57,7%). Che piaccia o no, la sua fortuna economica è legata a quella della Cina. Ecco perché la Cina è considerata “la potenza economica (59,5%) e politico-strategica (43,9%) più influente della regione, superando gli Stati Uniti con margini significativi in entrambi i settori”. La Cina, con un punteggio medio di 8,98 su 11,0, è in cima alla classifica in termini di rilevanza strategica per l’ASEAN, seguita da Stati Uniti (8,79) e Giappone (7,48). I partner di minore rilevanza strategica sono: India (5,04), Canada (3,81) e Nuova Zelanda (3,70). Il  sondaggio appare abbastanza indicativo della situazione nell’ASEAN. La regione che l’Associazione rappresenta vuole la sicurezza fornita dagli Stati Uniti, ma diffida delle loro iniziative economiche. Con la Cina è il contrario. Non vuole che la Cina minacci la sua sicurezza, né che gli Stati Uniti minino la sua prosperità faticosamente conquistata, in una nuova guerra fredda. Nessuno vuole essere intrappolato tra due gorilla.

Le imprese ASEAN guardano all’UE

I Paesi del Sud-Est asiatico puntano sempre di più al miglioramento dei rapporti commerciali con Bruxelles

Di Tommaso Magrini

I Paesi dell’ASEAN continuano a bilanciare strategicamente i loro delicati rapporti con le due grandi economie di Cina e Stati Uniti. Gli stakeholder del settore privato continuano a mostrare una forte preferenza per l’equilibrio. Rispetto a un anno fa (26,5%), secondo un report di Fulcrum, una percentuale maggiore di intervistati ha optato per una posizione neutrale, senza schierarsi (31,4%). Alla domanda dell’Indagine 2024 sulla scelta dell’allineamento strategico tra Cina e Stati Uniti, i due Paesi si trovano in una situazione di relativa parità, con la Cina che si aggiudica marginalmente la prima preferenza degli intervistati (50,5%) rispetto agli Stati Uniti (49,5%). Detto questo, un’analisi del divario tra le preferenze del settore privato (35,5%) e la media ponderata complessiva dell’ASEAN (32,6%) mostra che le aziende sono più favorevoli alla crescente influenza economica della Cina rispetto agli Stati Uniti. Ma la realtà è che i Paesi della regione vedono come particolarmente strategica  la ricerca di partner strategici terzi. A questo proposito, l’UE è ancora al primo posto (scelta dal 37,6% degli intervistati). Inoltre, gli aspetti che attirano le imprese private dell’ASEAN verso l’UE come partner strategico preferito si sono rafforzati. Il 31,7% degli intervistati ha citato il blocco come interlocutore responsabile e rispettoso del diritto internazionale, rispetto al 24,4% del sondaggio del 2023. Inoltre, il 30,8% degli intervistati valuta positivamente l’UE, date le sue vaste risorse economiche e la forte volontà politica di fornire una leadership globale (il dato del 2023 era del 17,0%). Negli ultimi tempi, i Paesi ASEAN stanno perseguendo attivamente livelli più elevati di impegno economico con l’UE e viceversa. Tra questi sviluppi vi è la prospettiva che la Malesia e l’UE riprendano i colloqui per un accordo di libero scambio, interrotti nel 2012, e che la Thailandia e l’UE si spingano a firmare un accordo di libero scambio nel 2025.

La centralità dell’ASEAN

Il principio che vede i Paesi del Sud-Est asiatico come motore dell’architettura regionale è ormai ampiamente accettato, scrive Rahman Yaacob per il Lowy Institute

L’ASEAN si propone come la principale piattaforma del Sud-Est asiatico per affrontare le sfide regionali e confrontarsi con le potenze esterne. Come sottolineano diversi studi, la “centralità dell’ASEAN” si basa sul presupposto che l’organizzazione regionale del Sud-Est asiatico debba essere il motore della “architettura regionale in evoluzione dell’Asia-Pacifico”.

All’inizio del XXI secolo, l’ASEAN è passata dai cinque membri originari a dieci, aggiungendo Brunei, Cambogia, Laos, Myanmar e Vietnam. Ciò ha creato la necessità per l’ASEAN di definire un nuovo quadro per le relazioni intra-ASEAN e per le relazioni dell’ASEAN con il mondo. La Carta dell’ASEAN del 2008 ha segnato la prima occasione in cui è stato utilizzato il termine “centralità dell’ASEAN”. La Carta spiega che l’ASEAN dovrebbe essere la forza motrice principale dei membri nei rapporti con i partner esterni.

In una dichiarazione della Casa Bianca a seguito della visita della vicepresidente americana Kamala Harris a Giacarta per partecipare al Vertice ASEAN 2023, il termine “centralità dell’ASEAN” è stato utilizzato due volte, con Washington che ha dichiarato il suo impegno nei confronti di questo principio. Gli americani non erano soli. Da diversi anni, è un’abitudine che i partner dell’ASEAN, come l’Unione europea, dichiarino il loro sostegno alla centralità dell’ASEAN.

In apparenza, ciò suggerisce che il concetto di centralità dell’ASEAN è stato accettato dalle grandi e medie potenze. Inoltre, la pletora di iniziative dell’ASEAN per coinvolgere le potenze esterne, come il Vertice dell’Asia orientale e il Forum regionale dell’ASEAN, sono la prova del potere di convocazione dell’ASEAN per contribuire alla formazione dell’ordine regionale.

Affinché la centralità dell’ASEAN funzioni in modo ottimale, i suoi membri devono essere uniti e servire gli interessi reciproci. Tuttavia, l’unità dell’ASEAN è altamente migliorabile e potenziabile, per far fronte in maniera unitaria non solo alle sfide economiche e commerciali, ma anche diplomatiche e politiche.

L’ASEAN conosce i suoi limiti e la necessità di riformarsi. A gennaio, l’ASEAN ha convocato un workshop Track 2 con la partecipazione di ricercatori del Sud-Est asiatico per rivedere le sue norme e pratiche. L’obiettivo era quello di mantenere la rilevanza dell’ASEAN in un contesto di sicurezza regionale in continua evoluzione. Tuttavia, qualsiasi riforma delle pratiche e delle norme dell’ASEAN sarà un processo lungo. Nel frattempo, l’ASEAN può considerare le numerose dichiarazioni di sostegno alla centralità dell’ASEAN come un ottimo risultato.

Mekong, biodiversità da difendere

Il WWF e i suoi partner affermano che i governi, gli investitori in dighe e i consulenti politici devono trovare un accordo per salvare le specie fluviali

Di Tommaso Magrini

Gli ambientalisti hanno proposto un piano di recupero in extremis per salvare quella che definiscono “insostituibile” biodiversità del fiume Mekong. Il valore economico della pesca – da cui dipendono 40 milioni di persone che si snodano per oltre 4.900 chilometri dalla sorgente in Cina al delta del Vietnam – è crollato a causa dello sviluppo che ha decimato l’ecosistema fluviale, secondo un recente report pubblicato da circa due dozzine di organizzazioni per la tutela della natura guidate dall’organizzazione non governativa WWF. Nello studio “Mekong’s Forgotten Fisheries and Emergency Plan to Save Them” sono elencate 74 specie ittiche in pericolo, tra cui il pesce gatto gigante e la razza gigante d’acqua dolce – i due pesci d’acqua dolce più grandi del mondo – e il pesce persico rampicante, l’anabas testudineus, noto per la sua capacità di uscire dall’acqua e “camminare” sulla terraferma.  Il forte declino della pesca è stato in gran parte attribuito dagli esperti a 12 dighe cinesi sul Lancang (il Mekong superiore) e a due dighe a valle in Laos che avrebbero danneggiato drasticamente l’ecosistema. Il WWF e i suoi partner affermano che i governi, gli investitori in dighe e i consulenti politici devono trovare un accordo per salvare le specie fluviali, suggerendo sei passi, tra cui proteggere i fiumi che scorrono liberamente, ripristinare le abitudini critiche come le pianure alluvionali e porre fine alla gestione insostenibile delle risorse, in particolare l’estrazione della sabbia. Secondo gli attivisti, la Cambogia potrebbe essere un punto di forza, dopo aver respinto due grandi progetti di dighe lungo il tratto del Mekong che va dal confine con il Laos alla provincia di Kratie, nell’ambito di una dichiarazione di moratoria sulla costruzione di dighe, rilasciata nel 2020. Gli ambientalisti hanno lodato la decisione della Cambogia di proteggere una zona di biodiversità importante a livello globale, che ospita circa 80 delfini Irrawaddy e 41 specie in pericolo.

L’UE e le foreste della Malesia

La visione del Sud-Est asiatico sul nuovo regolamento che blocca le importazioni di olio di palma derivanti dalla deforestazione


“Può l’Europa salvare le foreste senza uccidere posti di lavoro in Malesia?” Se lo è chiesto in un recente articolo il New York Times, a testimonianza che si tratta di un tema particolarmente rilevante non solo a livello bilaterale ma anche internazionale. L’imminente divieto dell’Unione Europea sulle importazioni legate alla deforestazione è stato salutato come un nuovo standard da rispettare nella politica climatica: un passo significativo per proteggere le foreste del mondo, che aiutano a rimuovere dall’atmosfera i gas serra che uccidono il pianeta. “La legge impone ai commercianti di risalire alle origini di una varietà di prodotti da capogiro: carne di manzo e libri, cioccolato e carbone, rossetto e pelle. Per l’Unione Europea, il mandato, che entrerà in vigore il prossimo anno, è una testimonianza del ruolo del blocco come leader globale sul cambiamento climatico”, scrive il New York Times, che però aggiunge: “La mossa, tuttavia, è rimasta intrappolata in correnti contrastanti su come affrontare i compromessi economici e politici richiesti dal cambiamento climatico”. I Paesi in via di sviluppo non sono infatti certo contenti, con Malesia e Indonesia tra i più espliciti nel criticare la novità normativa. Insieme, i due Paesi del Sud-Est asiatico forniscono l’85% dell’olio di palma mondiale, uno dei sette prodotti critici coperti dal divieto dell’Unione Europea. E sostengono che la legge mette a rischio le loro economie. Ai loro occhi, scrive il New York Times, i Paesi ricchi e tecnologicamente avanzati (ed ex potenze coloniali) “stanno ancora una volta dettando termini e cambiando le regole del commercio quando gli fa comodo”. Questa visione concorda con le lamentele dei Paesi in via di sviluppo secondo cui l’ordine internazionale dominante trascura le loro preoccupazioni. La disputa sull’olio di palma racchiude anche uno snodo centrale nell’economia del cambiamento climatico, sottolinea il quotidiano statunitense: la tesi secondo cui le nazioni a reddito medio e basso sono costrette a sostenere il costo di rovinosi cambiamenti ambientali causati principalmente dalle nazioni più ricche. Nel suo sondaggio annuale del 2022, il World Resources Institute ha rilevato che la Malesia è stato uno dei pochi luoghi in cui la deforestazione non è peggiorata. E forse c’è uno spazio per tutelare sia le esigenze climatiche sia quelle economiche, preservando i fruttuosi rapporti tra i Paesi del Sud-Est asiatico e l’Unione Europea.

L’imminente trasformazione digitale

Il valore dell’industria di settore passerà da 300 a mille miliardi entro il 2030, ma potrebbe arrivare persino a duemila miliardi

“I Paesi del Sud-Est asiatico sono in procinto di raccogliere una fortuna economica digitale, ma la strada verso la ricchezza dipende dalla qualificazione della forza lavoro della regione”. A sostenerlo è Rich Lesser, Presidente della società di consulenza statunitense Boston Consulting Group, in una recente intervista a Nikkei Asia. La BCG prevede che il valore delle industrie digitali della regione, come l’e-commerce, passerà dagli attuali 300 miliardi di dollari a 1.000 miliardi entro il 2030. “Ma se si creano le giuste basi, questa cifra potrebbe addirittura raddoppiare fino a 2.000 miliardi di dollari”, ha dichiarato Lesser. Questa trasformazione della digitalizzazione rimodellerà intere industrie, dai settori tecnologici come il software, le telecomunicazioni e l’intelligenza artificiale a quelli come l’assistenza sanitaria, l’istruzione e l’agricoltura. “Per le aziende sarà una vera e propria trasformazione”, ha detto Lesser, “sia per stimolare la produttività che per aprire nuove fonti di crescita”. Lesser suggerisce che la regione deve dare priorità alla creazione di “capitale umano in modo significativo” per sfruttare il potenziale di crescita digitale. “La riqualificazione non consiste solo nel far lavorare le persone nell’hardware, nel software, nelle telecomunicazioni, ma anche nel far sì che gli operatori sanitari sappiano usare la tecnologia o l’agri-tech per far sì che gli agricoltori usino queste tecnologie”, ha affermato. “L’ASEAN, come altre parti del mondo, dovrà investire per migliorare e riqualificare le attuali generazioni di lavoratori e per offrire diversi tipi di apprendimento e sviluppo delle competenze ai più giovani per prepararli”. L’espansione dell’economia digitale nell’ASEAN rafforzerà la posizione del blocco nell’economia globale nei prossimi 10 anni. “È ormai una parte fondamentale delle catene di approvvigionamento con la Cina e una parte fondamentale delle catene di approvvigionamento con il resto del mondo”, ha detto Lesser, che ritiene l’ASEAN sia diventata più importante per il modo in cui sta affrontando la relazione tra Stati Uniti e Cina. “L’ASEAN non vuole essere costretta a scegliere da che parte stare… e non vuole dipendere da una relazione con la Cina escludendo altre relazioni con gli Stati Uniti e altri Paesi occidentali”, sostiene Lesser. La posta in gioco economica e politica per l’ASEAN deriva dalla sua posizione strategica, che spinge altri Paesi ad approfondire i loro legami per paura che “se non lo fanno loro, lo faranno altri e loro resteranno indietro”, ha aggiunto Lesser. “Si tratta piuttosto di un quadro di opportunità perché nel mondo attuale l’ASEAN svolge un ruolo cruciale”.

L’ASEAN e la sfida di mantenere l’armonia nel Mar Cinese Meridionale

Una delle maggiori rotte commerciali al mondo e ricchissima di risorse marine e minerali, quest’area ricopre un’importanza geostrategica ed economica incredibile

Di Walter Minutella

In un mondo in cui l’economia rappresenta il motore trainante del sistema globale, ogni attore cerca di ottenere un’influenza sempre più significativa. I pilastri su cui questo sistema economico si regge possono essere individuati in due elementi chiave: il commercio e le risorse. Nel contesto di questa dinamica, il Mar Cinese Meridionale emerge come una regione che detiene entrambi questi fattori.

Il Mar Cinese Meridionale è un tratto di mare di enorme importanza strategica che confina con numerosi Paesi. Tra quelli che si affacciano su questo mare troviamo diversi membri dell’ASEAN, come Filippine, Malesia, Vietnam, Indonesia,  Singapore, Thailandia e Brunei. I restanti attori presenti nell’area sono Cina e Taiwan. Essendo il Mar Cinese Meridionale una delle maggiori rotte commerciali al mondo ed essendo ricca di risorse marine e minerali, tra cui il petrolio, quest’area ricopre un’importanza geostrategica ed economica incredibile, ma non è priva di tensioni.

L’ASEAN in questo contesto è stata fondamentale nella promozione della stabilità e della cooperazione nella regione asiatica fin dalla sua istituzione. Tutto ciò è dovuto anche grazie alla sua filosofia, nota come “l’ASEAN Way”, la quale ha contribuito a creare un ambiente in cui le nazioni membri collaborano per affrontare sfide comuni. 

L’ASEAN Way è un approccio diplomatico adottato dall’ASEAN che si basa su principi come il consenso decisionale unanime, la non-interferenza negli affari interni, la sensibilità culturale, il gradualismo e la flessibilità. Questo modello mira a promuovere la cooperazione pacifica tra gli stati membri, evitando il conflitto aperto e incoraggiando la coesistenza armoniosa. Tuttavia, è stato oggetto di critiche per la sua tendenza a ritardare decisioni assertive in situazioni complesse, come quelle che possono verificarsi nell’area del Mar Cinese Meridionale.

Nel contesto delle dispute nel Mar Cinese Meridionale, l’ASEAN si è trovata a gestire tensioni complesse. Da un punto di vista storico, la situazione in quest’area è stata sempre complicata. Fino al 1984, gli Stati membri originali dell’ASEAN avevano una posizione anti-comunista comune, che si rifletteva nella diffidenza verso l’espansionismo cinese. Con l’ammissione di Vietnam, Laos, Myanmar e Cambogia, il dinamismo politico ed economico della regione è cambiato. Questi nuovi membri, con profonde dipendenze economiche dalla Cina, hanno influenzato il modo in cui l’ASEAN affronta le tensioni, indebolendo gradualmente la diffidenza iniziale.

Nonostante il successo dell’ASEAN nel mantenere la pace in una regione storicamente turbolenta, la sua risposta alle dispute nel Mar Cinese Meridionale è stata meno assertiva. Dato il principio di unanimità presente nell’ASEAN Way, era difficile trovare soluzioni che andassero incontro a tutte le necessità. Gli sviluppi recenti, però, mostrano come le azioni degli stati dell’ASEAN sia come singoli che come membri, siano volte a stabilire una sempre maggiore pace e stabilità nell’area.

Nel 2016, la sentenza della Corte Permanente d’Arbitrato dell’Aia rappresentò un momento cruciale nella risoluzione delle dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale, in particolare tra la Cina e le Filippine. La Corte ha respinto le rivendicazioni territoriali cinesi basate sulla “Linea a Nove Tratti”, una mappa disegnata unilateralmente della Cina che stabilisce la sua sovranità su gran parte del Mar Cinese Meridionale.

La decisione della Corte riconobbe il diritto delle Filippine di perseguire risorse nelle loro acque esclusive, respingendo le affermazioni cinesi che limitavano l’accesso e l’uso delle risorse naturali nella regione. Questo verdetto rappresentò una svolta significativa, sottolineando la validità delle rivendicazioni marittime basate sul diritto internazionale, in contrasto con le posizioni unilaterali della Cina.

Negli ultimi anni, a causa di queste dispute, il Vietnam ha iniziato a manifestare crescenti preoccupazioni riguardo alle azioni di Pechino nel Mar Cinese Meridionale. Nello specifico, le inquietudini riguardano diversi episodi: la costruzione di infrastrutture militari sulle Paracelso, manovre volte a impedire a navi di ricerca petrolifere vietnamite di operare in alcune zone; limitazioni delle attività di pesca.

Nel 2020, nonostante la pandemia di COVID-19, il 53° AMM dichiarò il proseguimento degli sforzi per attuare il Codice di Condotta (COC) nel Mar Cinese Meridionale. La persistenza nell’impegno, nonostante le difficoltà, riflette il desiderio dell’ASEAN di stabilire un quadro normativo e diplomatico volto a gestire le tensioni nella regione, per favorire la pace e la stabilità. Tuttavia, persiste una mancanza di posizione comune chiara all’interno dell’ASEAN, evidenziando i contrasti interni tra gli stati membri e il complesso meccanismo che si cela dietro queste dichiarazioni.

Tuttavia, le recenti dichiarazioni dei ministri degli esteri dell’ASEAN pubblicate a fine dicembre 2023, hanno acquisito un’importanza significativa, essendo il primo comunicato autonomo emesso dall’ASEAN sulla questione del Mar Cinese Meridionale. In queste dichiarazioni viene ribadito l’impegno per la pace nel Mar Cinese Meridionale, esprimendo preoccupazione per gli sviluppi recenti. Sottolineano la necessità di risolvere le dispute pacificamente, implementare pienamente la Dichiarazione sul Comportamento delle Parti (DOC) e lavorare rapidamente verso un COC conforme al diritto internazionale, incluso l’UNCLOS del 1982. L’obiettivo dei ministri è quello di promuovere il dialogo come strumento per la stabilità regionale.

Nonostante la risposta un po’ tardiva, le dichiarazioni esprimono forti preoccupazioni per le tensioni recenti, come quelle avvenute tra la Cina e le Filippine, specialmente intorno al banco sommerso di Second Thomas Shoal. Nello specifico, la Cina ha intrapreso azioni percepite dalle Filippine come aggressive, per impedire alle forze filippine di rifornire una nave ancorata, mentre la Cina sostiene la legittimità delle sue azioni in base alla “linea dei nove tratti”. Secondo la Cina tali azioni rappresentano misure di sicurezza necessarie per proteggere i propri interessi nazionali nella regione. 

La risposta coalizzata da parte dei ministri degli esteri dell’ASEAN dà un forte segnale di coesione e solidarietà nell’affrontare le dispute interne e internazionali. Tuttavia, alcuni osservatori sostengono che non basta un comunicato e che bisogna fare di più per affrontare le delicate sfide che costellano la zona del Mar Cinese Meridionale in maniera efficace.

Effettivamente, pochi mesi dopo, l’ASEAN ha proseguito nel suo impegno per cercare una maggiore stabilità nella regione. Durante la prima settimana di marzo del 2024 per il summit speciale tra i membri dell’ASEAN e l’Australia a Melbourne, il governo australiano ha elogiato gli sforzi dei membri dell’ASEAN nel delimitare i loro confini marittimi e ha deciso di stanziare un finanziamento di più di 40 milioni di dollari per la sicurezza marittima del Mar Cinese Meridionale. Il finanziamento è stato annunciato durante il cinquantesimo anniversario della partnership dialogica tra le due parti. 

La dichiarazione congiunta ASEAN-Australia è un altro passo verso la collaborazione regionale. Tuttavia, resta da vedere se questo impegno finanziario contribuirà in modo significativo alla risoluzione delle tensioni e l’ASEAN potrebbe essere chiamata a svolgere un ruolo più attivo nel promuovere la stabilità nella regione.

Resta da vedere come l’ASEAN si evolverà nel gestire le complesse dinamiche del Mar Cinese Meridionale. Vale la pena menzionare le iniziative minilaterali adottate da alcuni Stati membri, come evidenziato dalle recenti dinamiche tra Filippine e Vietnam. Le due nazioni hanno recentemente firmato un accordo di cooperazione tra le rispettive Guardie costiere. Questo memorandum d’intesa è mirato a ridurre il rischio delle operazioni nelle acque contestate e rappresenta un passo significativo verso la gestione congiunta delle tensioni. Questa iniziativa dimostra come i Paesi membri, anche in modo bilaterale, stiano cercando attivamente soluzioni pragmatiche per promuovere la pace e la stabilità nella regione.

Il ruolo della Cina nel commercio ASEAN

Negli ultimi anni Pechino e i Paesi del Sud-Est asiatico hanno firmato una serie di accordi di cooperazione economica

Editoriale a cura di Lorenzo Riccardi, Managing Partner RsA Asia

Il ruolo di Pechino in Asia è promosso dal volume degli scambi commerciali e dal numero di accordi bilaterali e multilaterali. Nella regione Asia-Pacifico, la Cina ha firmato 42 accordi contro la doppia imposizione, dieci accordi di libero scambio e ha promosso accordi multilaterali di libero scambio con l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN), i Paesi del Partenariato Economico Complessivo Regionale (RCEP), le economie del Golfo (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti) e i Paesi del Nord-Est Asiatico (Giappone e Corea). Il numero di trattati fiscali, accordi di investimento e accordi di libero scambio è proporzionalmente molto più alto nei Paesi vicini dell’area orientale rispetto ad altre regioni del pianeta. Ciò determina una tendenza all’accelerazione delle relazioni economiche, soprattutto con il principale partner commerciale: il blocco ASEAN. Per rafforzare la partnership commerciale, negli ultimi 20 anni Cina e ASEAN hanno firmato una serie di accordi di cooperazione economica. Tra questi, un accordo globale sulla cooperazione economica globale tra ASEAN e Cina nel 2002, l’istituzione dell’Area di libero scambio ASEAN-Cina (ACFTA) attuata in diverse fasi tra il 2005 e il 2010, l’Accordo di libero scambio Cina-Singapore in vigore dal 2008, un accordo sugli investimenti ASEAN-Cina nel 2009, l’Accordo di libero scambio ASEAN-Hong Kong SAR Cina in vigore dal 2019, il Partenariato economico globale regionale firmato nel 2020 e l’accordo di libero scambio con la Cambogia in vigore dal 2022. Pechino ha inoltre firmato accordi di esenzione reciproca dal visto tra il 2023 e il 2024 con Thailandia, Malesia e Singapore. È prevista una procedura di visto all’arrivo per i cittadini cinesi che si recano in Brunei, Cambogia, Indonesia, Laos e Myanmar e una procedura semplificata di visto elettronico per il Vietnam. Tra i Paesi ASEAN, solo le Filippine richiedono un visto preventivo per i visitatori cinesi. Nel commercio Cina-ASEAN, Kuala Lumpur è il maggior esportatore con 102 miliardi di dollari di dati delle dogane cinesi nel 2023 (quasi quattro volte il volume delle esportazioni italiane in Cina), mentre Hanoi è il maggior importatore di prodotti cinesi con circa 137 miliardi di dollari. L’ASEAN e Pechino crescono oltre la media globale e la Cina ha nel Sud-Est asiatico il suo primo partner commerciale con 911 miliardi di dollari di scambi nel dicembre 2023, superando il volume aggregato di importazioni ed esportazioni registrato dalla Repubblica Popolare con l’Unione Europea (783 miliardi di dollari) e gli Stati Uniti (664 miliardi di dollari).

Le tendenze demografiche nel Sud-Est asiatico

La gestione delle sfide legate all’urbanizzazione, all’equità di genere e agli spostamenti migratori interni sarà cruciale per plasmare il futuro del Sud-Est asiatico

Di Walter Minutella

Nella regione vibrante e ricca di culture del Sud-Est asiatico, un luogo noto per le sue economie in rapida espansione, stanno emergendo sfide legate alla demografia. Mentre grandi potenze come Cina, Giappone e Corea del Sud sono alle prese con il preoccupante calo della popolazione, emerge un’interessante opportunità per il Sud-Est asiatico. La Cina, ad esempio, nel 2024 ha continuato la sua striscia negativa, con un tasso di mortalità che ha superato il tasso di natalità e una conseguente diminuzione della popolazione di oltre 2 milioni. Inoltre, la Cina si trova ad affrontare il problema di un’età media sempre più avanzata, simile a quella del Giappone, che è una delle più alte al mondo. Tuttavia, è importante concentrarsi anche sui paesi del Sud-Est asiatico, poiché svolgono un ruolo cruciale nel contesto della demografia globale. Mentre i giganti asiatici devono far fronte al calo dei tassi di natalità e all’invecchiamento della popolazione, un esame più attento delle tendenze demografiche nei paesi del Sud-Est Asiatico rivela una storia di crescita e trasformazione.

Dando uno sguardo attento all’ESCAP, la Commissione Economica e Sociale per l’Asia e il Pacifico, nonché una delle cinque commissioni economiche regionali che riportano al Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, vediamo come, al contrario dei grandi paesi asiatici, il Sud-Est Asiatico stia sperimentando una grande impennata demografica.

Questo dato favorevole è principalmente il risultato di diversi elementi significativi che si stanno verificando in questa specifica regione. Questi fattori sono principalmente influenzati dalle strategie politiche legate allo sviluppo urbano, all’espansione economica e al miglioramento delle infrastrutture, i cui sforzi hanno facilitato notevoli progressi, tra cui l’attuale aspettativa di vita di 73,2 anni alla nascita, con proiezioni che indicano che salirà a quasi 78 entro il 2050.

I dati demografici evidenziano anche la favorevole età media della popolazione, che attualmente si attesta poco sopra i 29 anni. Se si considera il tasso di natalità superiore a 2, diventa evidente che la regione del Sud-Est Asiatico prevede una forte crescita demografica nei prossimi anni.

Ovviamente, la prospettiva regionale non si allinea perfettamente con tutti i paesi dell’ASEAN. All’interno dei panorami socioeconomici del Sud-Est asiatico, alcuni paesi stanno sperimentando un’importante crescita demografica, mentre alcuni vivono sfide simili alle nazioni orientali, il che aggiunge profondità e complessità alla narrazione complessiva. Questo fenomeno è strettamente legato a una serie di fattori che mettono in risalto le caratteristiche uniche di ogni singola nazione.

L’Indonesia, con la sua geografia espansiva e il ricco patrimonio culturale, sperimenta una continua crescita demografica. L’attuazione di iniziative di pianificazione familiare e la priorità data all’istruzione, in particolare nelle zone rurali, svolgono un ruolo fondamentale nel favorire un aumento del tasso di fertilità.

Le Filippine, con la loro ricca miscela di influenze culturali e condizioni economiche eterogenee, adottano sempre più politiche che favoriscono l’uguaglianza di genere e migliorano l’accesso ai servizi sanitari, generando così una crescita demografica rilevante. Questa combinazione unica di fattori contribuisce a mantenere un tasso di natalità notevole.

La Thailandia, che sta affrontando un rapido invecchiamento della popolazione, cerca di gestire questa transizione demografica attraverso politiche che mirano a sostenere le famiglie, con un particolare focus sull’equilibrio tra lavoro e vita familiare. 

La Malesia, invece, è alle prese con cambiamenti nelle dinamiche familiari e pressioni economiche, in parte a causa dell’accelerata urbanizzazione degli ultimi anni. Pertanto, le politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia sono cruciali per adattarsi a queste trasformazioni.

Tuttavia, nel contesto di queste dinamiche demografiche nella regione del Sud-Est asiatico, è cruciale notare il caso di Singapore e del Vietnam, costretti ad affrontare una sfida unica. 

Singapore, nonostante la sua storica politica di reclutamento di lavoratori stranieri per sostenere la crescita economica, si trova ad affrontare le complessità di un’inversione demografica. Secondo quanto comunicato dal governo, un quarto della popolazione di Singapore sarà over 65 entro il 2030. L’invecchiamento accelerato della popolazione definita “super-aged” e il declino del tasso di fertilità rappresentano una minaccia per il tessuto sociale ed economico di Singapore. Questo problema è ulteriormente accentuato dalla necessità di attrarre e trattenere personale sanitario come evidenziato dai recenti incentivi finanziari per gli infermieri, che di solito emigrano per cercare compensi maggiori.

Il Vietnam, noto per il suo rapido progresso economico, si distingue per miglioramenti nelle condizioni di vita e un crescente processo di urbanizzazione. Questi fattori, insieme a politiche che sostengono la pianificazione familiare e garantiscono un accesso equo all’istruzione, convergono per sostenere una crescita demografica in equilibrio. Tuttavia, nonostante le prospettive positive del Vietnam, si prevede che il numero di individui over 60 triplicherà prima del 2050. Con un tasso di natalità che è sceso da 6.5 alcuni decenni fa a 2 attualmente, il Vietnam potrebbe affrontare un notevole declino demografico, raggiungendo poco più di 70 milioni di abitanti entro il 2100, rispetto agli oltre 100 milioni attuali. Di conseguenza, il governo vietnamita sta attivamente intervenendo per sostenere economicamente le famiglie numerose, cercando di stimolare un aumento del tasso di natalità.

Analizzare approfonditamente le politiche demografiche, economiche e sociali di ciascun Paese è essenziale per comprendere appieno le ragioni di queste tendenze demografiche e anticiparne gli impatti futuri nella complessa regione del Sud-Est asiatico. Secondo gli esperti, le politiche di sostegno alle famiglie, l’accesso all’istruzione e le opportunità di lavoro influenzeranno significativamente la direzione demografica della regione. Inoltre, la gestione delle sfide legate all’urbanizzazione, all’equità di genere e agli spostamenti migratori interni sarà cruciale per plasmare il futuro del Sud-Est asiatico.

Si può pertanto evincere che il Sud-Est asiatico presenta una complessa varietà di scenari demografici, ciascuno con le proprie peculiarità. Monitorare attentamente queste dinamiche e comprendere il contesto socio-economico di ciascun Paese è essenziale per delineare con precisione il futuro demografico di questa regione che acquisisce sempre più importanza nello scenario globale e che attualmente sembra essere in pieno aumento con ottime prospettive future.

Un viaggio, tre destinazioni

Laos, Cambogia e Vietnam puntano a massimizzare i ricavi del settore turistico proponendo un pacchetto “tri-paese”

Di Tommaso Magrini

I leader di Laos, Vietnam e Cambogia stanno facendo un grande sforzo per incoraggiare un maggior numero di turisti internazionali a visitare i loro tre Paesi in un unico viaggio. In quella che viene presentata come un’esperienza di viaggio unica e senza soluzione di continuità, i premier hanno sollevato questa iniziativa – denominata “Un viaggio, tre destinazioni” – più volte nei mesi scorsi, in occasione dei loro incontri a margine del vertice ASEAN di Giacarta e del vertice commemorativo ASEAN-Giappone di Tokyo. Il Primo Ministro cambogiano Hun Manet ha dichiarato che il Paese si spingerà oltre, ospitando una conferenza che coinvolgerà i ministri del turismo dei tre Paesi per sviluppare lo sforzo congiunto. Molte agenzie di viaggio stanno già conducendo questi cosiddetti tour “tri-paese” da qualche tempo. I tre Paesi, che condividono i confini, hanno punti di forza complementari per offrire un’esperienza diversificata ai viaggiatori, dato che offrono una miscela di patrimoni storici, culturali e naturali. Il Laos, senza sbocco sul mare, è rinomato per la sua atmosfera tranquilla e il suo vibrante patrimonio culturale. La Cambogia vanta antichi templi e ricchezze spirituali, mentre il Vietnam offre un mix di città vivaci e meraviglie naturali immerse in una campagna serena e nella lunga costa del Paese. Gli operatori del settore hanno dichiarato che la questione dei visti rimane uno degli ostacoli da superare per il successo di questa spinta turistica tra i tre Paesi. I tre governi chiedono un processo di rilascio dei visti più snello, che preveda il riconoscimento reciproco dei visti, la standardizzazione delle procedure di richiesta dei visti, l’unificazione delle tariffe e l’utilizzo di database condivisi per lo scambio di informazioni. Dal 2012 la Cambogia e la Thailandia hanno per esempio istituito un sistema che consente ai turisti di visitare entrambi i Paesi con un unico visto. Un precedente che potrebbe presto fare scuola.

L’AUSTRALIA PUNTA SULL’ASEAN

Pubblichiamo qui uno stralcio del discorso della Ministra degli Esteri Penny Wong al summit di Melbourne tra Australia e ASEAN

Quando l’ASEAN era ancora agli albori, circa cinquant’anni fa, il nostro visionario Primo Ministro Gough Whitlam riconobbe che l’ASEAN era già centrale nella gestione delle sfide della regione, e capì che lo sarebbe diventata sempre di più. Per questo motivo, si impegnò con entusiasmo a favore dell’ASEAN e ben presto l’Australia divenne il primo paese non membro a stabilire relazioni formali, quando il Primo Ministro Whitlam firmò per l’Australia come primo partner di dialogo dell’ASEAN. Il Primo Ministro Whitlam sapeva che, sebbene gran parte della nostra storia fosse in Europa, la nostra casa e il nostro futuro sono nella nostra regione. Ha riconosciuto il ruolo che il Sud-Est asiatico avrebbe avuto nel destino dell’Australia e del mondo. A sua volta, Whitlam vedeva l’Australia come “un vero partecipante al destino della regione”. E, come sempre, pensando al futuro, disse: “Non si può tornare indietro da questo impegno”. In effetti, è stato dimostrato che aveva ragione. E il nostro impegno è cresciuto fino a diventare un Partenariato strategico globale tra l’ASEAN e l’Australia, la formalizzazione dell’impegno permanente dell’Australia nei confronti della centralità dell’ASEAN. La formalizzazione di una verità che l’Australia non solo riconosce, ma abbraccia: condividiamo una regione e un futuro. Siamo legati dalla geografia che il destino ha scelto per noi e siamo rafforzati dal partenariato che abbiamo scelto per noi stessi. Le nostre nazioni e i nostri popoli si arricchiscono con gli scambi commerciali. Le nostre nazioni e i nostri popoli beneficiano della pace, della stabilità e della sicurezza che costruiamo insieme. La nostra fede nel successo condiviso è alla base dell’impegno dell’Australia per un maggiore partenariato economico. Abbiamo tutti la responsabilità di plasmare la regione che vogliamo condividere: pacifica, stabile e prospera. I nostri partenariati di difesa di lunga data nella regione, anche con gli Stati membri dell’ASEAN, non costruiscono solo interoperabilità, ma anche amicizia e comprensione. I Paesi della nostra regione dipendono dagli oceani, dai mari e dai fiumi per il loro sostentamento e per il commercio, comprese le rotte marittime libere e aperte nel Mar Cinese Meridionale. Per questo sono lieta di annunciare che nei prossimi quattro anni stanzieremo altri 64 milioni di dollari, di cui 40 milioni di dollari di nuovi finanziamenti, per potenziare i partenariati marittimi australiani nel Sud-Est asiatico. Sono inoltre lieta di annunciare un ulteriore stanziamento di 222,5 milioni di dollari per sostenere la resilienza nella subregione del Mekong. Una seconda fase del Partenariato Mekong-Australia porterà investimenti nella sicurezza idrica, nella resilienza ai cambiamenti climatici, nella lotta alla criminalità transnazionale e nel rafforzamento della leadership subregionale.