Asean

La visione globale dell’ASEAN

Uno stralcio del comunicato finale della ministeriale degli Esteri ASEAN, che si è svolta la scorsa settimana in Laos

Abbiamo sottolineato l’importanza di rafforzare l’unità e la centralità dell’ASEAN nel nostro impegno con i partner esterni, anche attraverso i meccanismi guidati dall’ASEAN come l’ASEAN Plus One, l’ASEAN Plus Three (APT), il Vertice dell’Asia orientale (EAS), ASEAN Regional Forum (ARF) e ADMM-Plus, al fine di costruire la fiducia reciproca e di rafforzare un clima aperto e un’architettura regionale aperta, trasparente, resiliente, inclusiva e basata sulle regole, con l’ASEAN al centro, che sostenga il diritto internazionale. Abbiamo sottolineato la necessità di promuovere un ambiente favorevole alla pace, stabilità e sviluppo prospero per tutti, assicurando una cultura del dialogo e della cooperazione, anziché della rivalità, rafforzando la fiducia reciproca e il rispetto del diritto internazionale. Abbiamo riaffermato che l’ASEAN agirà in conformità con la centralità dell’ASEAN nelle relazioni esterne politiche, economiche, sociali e culturali rimanendo attivamente impegnata, orientata verso l’esterno, inclusiva e non discriminatoria, in linea con la Carta dell’ASEAN. Abbiamo notato con soddisfazione gli incoraggianti progressi nelle relazioni dell’ASEAN con i nostri Partner di dialogo, Partner di dialogo settoriale e Partner per lo sviluppo attraverso i quadri esistenti e l’attuazione di Piani d’azione, Aree di cooperazione pratica e programmi di cooperazione allo sviluppo basati sul reciproco interesse e beneficio reciproco nel contribuire alla costruzione della Comunità ASEAN e agli sforzi di cooperazione allo sviluppo. Abbiamo concordato di rafforzare ulteriormente i partenariati e la cooperazione con i nostri partner contribuendo così alla nostra risposta proattiva alle sfide e alle opportunità regionali e globali. Ci impegniamo a promuovere una comunità orientata verso l’esterno che sostenga la crescita sostenibile e la resilienza della regione attraverso la cooperazione inclusiva e la collaborazione con i partner esterni. Abbiamo preso atto del crescente interesse da parte di Paesi e organizzazioni regionali al di fuori della regione a sviluppare una più forte collaborazione e cooperazione sostanziale con l’ASEAN, anche attraverso richieste di partnership formali. Abbiamo affermato l’importanza di di perseguire una politica orientata verso l’esterno e abbiamo concordato sulla necessità di raggiungere nuovi potenziali partner esterni sulla base di un interesse condiviso, di un impegno costruttivo e di un vantaggio reciproco. Abbiamo preso atto della crescente rilevanza globale dell’ASEAN e del suo potere di “convocazione” unico nel contesto dell’emergente architettura globale multipolare che si sta delineando.

Qui il comunicato integrale

L’ASEAN e il possibile Trump bis

Pubblichiamo qui lo stralcio di un’analisi di Joshua Kurlantzick per il Council on Foreign Relations

Dopo il dibattito per le elezioni presidenziali degli Stati Uniti, anche nei Paesi del Sud-Est asiatico ci si inizia a interrogare sul possibile significato di un eventuale ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Negli ultimi anni, con l’eccezione delle Filippine sotto Ferdinand Marcos Jr., che sostanzialmente si è schierato con gli Stati Uniti, i Paesi dell’area ASEAN hanno tentato di mantenere il loro tradizionale approccio multipolare tra le due grandi potenze. Lo dimostrano benissimo le azioni, sempre basate sul principio della neutralità, di Indonesia e Vietnam. Ma una seconda amministrazione Trump potrebbe aumentare le tensioni tra Stati Uniti e Cina al punto che anche i Paesi del Sud-Est asiatico, da tempo abili nel trovare un equilibrio, potrebbero avere difficoltà a evitare di schierarsi. È improbabile che una seconda amministrazione Trump si concentri molto sulla regione. Nel suo primo mandato, Trump ha stretto legami personali con alcuni leader del Sud-Est asiatico, come l’ex Presidente filippino Rodrigo Duterte. In generale, tuttavia, Trump ha attribuito alla regione una priorità relativamente bassa. Inoltre, il suo approccio protezionistico al commercio era in netto contrasto con l’integrazione economica avvenuta in tutta l’Asia orientale. In questo vuoto, invece, sono state le grandi potenze come il Giappone e la Cina a guidare l’economia. Trump ha tenuto molti discorsi nella stagione elettorale 2023-2024 e ha parlato molto della Cina. Ha fatto poche, se non nessuna, menzione di un futuro approccio al Sud-Est asiatico. Oltre a cercare di mantenere saldamente le Filippine nel campo degli Stati Uniti, una seconda amministrazione Trump eserciterebbe probabilmente un’enorme pressione su stati come Indonesia, Malesia, Vietnam, Singapore e forse altri affinché assecondino gli sforzi degli Stati Uniti per spingere le multinazionali, comprese quelle con sede nel Sud-Est asiatico, a lasciare la Cina, spostando le proprie catene di approvvigionamento. Trump, fortemente concentrato sulla convinzione che praticamente tutti i Paesi stranieri commerciano ingiustamente con l’America, potrebbe essere anche meno timido, in un secondo mandato, nell’imporre tariffe sugli stessi stati del Sud-Est asiatico.

Italia-ASEAN: a Manila l’ottavo High Level Dialogue

Torna a novembre l’High Level Dialogue on ASEAN Italy Economic Relations, l’iniziativa che The European House – Ambrosetti e l’Associazione Italia ASEAN realizzano dal 2016

Di Lorenzo Tavazzi, The European House – Ambrosetti

Torna l’appuntamento di riferimento per le relazioni bilaterali tra l’Italia e i Paesi ASEAN: l’High Level Dialogue on ASEAN Italy Economic Relations, l’iniziativa che The European House – Ambrosetti e l’Associazione Italia ASEAN realizzano dal 2016 e che quest’anno giunge all’ottava edizione.

Ogni anno l’High Level Dialogue viene ospitato da un Paese ASEAN: quest’anno si svolgerà a Manila, nelle Filippine, presso il Dusit Thani Hotel, martedì 5 e mercoledì 6 novembre 2024, con il supporto del Governo filippino, attraverso il Ministero del Commercio e dell’Industria (DTI), come co-organizzatore dell’evento.

Il Dialogo, sin dalla prima edizione del 2017 in Indonesia, e nelle successive a Singapore, in Vietnam, in Malesia e in Thailandia, insieme alle due edizioni digitali nel 2020 e 2021, ha riunito oltre 3.500 Presidenti, Amministratori Delegati e leader di Governo e istituzionali dei Paesi ASEAN e dell’Italia. Solo l’edizione 2023, tenutasi a Bangkok, ha visto la partecipazione di oltre 450 delegati di alto profilo.

Quest’anno il Dialogo affronterà una serie di temi prioritari per lo sviluppo delle relazioni Italia-ASEAN con un carattere duplice nelle opportunità di partnership tra le imprese italiane e le controparti del Sud Est Asiatico. Tra questi: la filiera delle materie prime critiche per i settori strategici del futuro, l’intelligenza artificiale e l’innovazione digitale, il ruolo della blue economy per la cooperazione economica, l’evoluzione dell’industria creativa, le opportunità di collaborazioni tecnologiche e industriali in ambito spazio, difesa e produzione high-tech, finanziamenti e servizi a sostegno dello sviluppo di imprese e infrastrutture sostenibili. 

In questo quadro verranno anche approfondite le specificità e le opportunità offerte dalle Filippine con cui nel 2022 l’Italia ha celebrato i 75 anni delle relazioni bilaterali.

La partecipazione all’High Level Dialogue è gratuita e solo su invito. 

Per registrarsi all’evento: Registrazione

Per avere maggiori informazioni sulle edizioni precedenti dell’evento: Sito web dell’High Level Dialogue

Thailandia e Malesia verso l’ingresso nei BRICS

Pubblichiamo qui un estratto di un articolo a firma di Maria Siow pubblicato sul South China Morning Post

La prospettiva che i Paesi del Sud-Est asiatico entrino a far parte dei BRICS ha suscitato un acceso dibattito tra gli analisti: i sostenitori sostengono che l’adesione potrebbe sbloccare lucrose opportunità commerciali e geopolitiche, mentre gli scettici avvertono che rischia di trascinare i Paesi nell’orbita di Cina e Russia e di erodere ulteriormente l’unità regionale. Thailandia e Malesia hanno annunciato nelle scorse settimane che chiederanno l’adesione alla piattaforma, seguendo le orme di Laos e Myanmar, che hanno dichiarato il loro interesse lo scorso anno. Contrariamente ai timori che l’adesione ai BRICS possa erodere l’unità e la centralità dell’ASEAN, diversi analisti asiatici ritengono che l’Associazione abbia la flessibilità e la capacità di resistenza necessarie per mantenere la sua importanza per gli Stati membri. Molti membri dell’ASEAN appartengono anche ad altre organizzazioni come l’Organizzazione della cooperazione islamica, l’Associazione dell’Oceano Indiano e il forum della Cooperazione economica Asia-Pacifico. Altre istituzioni multilaterali a cui i membri dell’Asean appartengono già sono la Banca asiatica di sviluppo, la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale e la Banca asiatica d’investimento per le infrastrutture. “L’adesione ai BRICS darà accesso a una nuova fonte di finanziamento per le numerose esigenze di sviluppo dei Paesi della regione del Sud-Est asiatico”, ha dichiarato Jayant Menon, senior fellow dell’ISEAS-Yusof Ishak Institute di Singapore, riferendosi alla Nuova Banca di Sviluppo istituita nel 2015 dai Paesi BRICS. Anche l’Indonesia e il Vietnam hanno dichiarato che stanno valutando i vantaggi dell’adesione ai BRICS. L’adesione al gruppo delle economie emergenti potrebbe fornire un migliore accesso a mercati lucrativi, un aumento degli investimenti stranieri e opportunità di collaborazione per progetti infrastrutturali. L’adesione ai BRICS può essere vista anche come una mossa strategica per diversificare i partenariati economici e ridurre la dipendenza dalle istituzioni finanziarie guidate dall’Occidente. La mossa, se gestita in modo efficace, potrebbe rafforzare la voce e l’influenza del Sud-Est asiatico negli affari globali. L’Indonesia punta ad aderire anche all’OCSE entro tre anni, come ha ribadito il ministro dell’Economia coordinatore del Paese a maggio, dopo la visita a Giacarta del segretario generale dell’organizzazione, che ha incontrato il Presidente Joko Widodo. Secondo le proiezioni dell’OCSE, il prodotto interno lordo dell’Indonesia raggiungerà i 10.500 miliardi di dollari entro il 2050, diventando una delle maggiori economie insieme a Cina, Stati Uniti e India.

Amici di tutti, arruolati da nessuno

La recente visita di Vladimir Putin non è stata per il Vietnam una scelta, ma una necessità per la sua linea diplomatica

Editoriale a cura di Lorenzo Lamperti

In Occidente c’è spesso una visione “esclusiva” dei rapporti diplomatici. Quasi come se mantenere o perseguire migliori relazioni con l’uno o l’altro relazioni significasse fare una scelta di campo. Una visione da bianco e nero che non aiuta a capire la prospettiva di molti Paesi emergenti, il cosiddetto “Sud globale”. E in particolare del Sud-Est asiatico, regione che è la cartina di tornasole del desiderio di multipolarità e multilateralismo. Un desiderio radicato nel profondo dell’approccio dell’ASEAN e che si riflette, pur mantenendo diversi tratti e specificità, nei suoi Stati membri. Chi forse più di tutti incarna questa postura è il Vietnam, con la sua “diplomazia del bambù”. L’idea alla base: essere amici di tutti, nemici di nessuno. Proprio come i bambù, il Vietnam crede che con questo approccio possa crescere in modo flessibile ma saldo. Una convinzione che si è fin qui rivelata corretta. Hanoi è riuscita a mantenere stretti legami politico-difensivi con la Russia ed economici con la Cina. Ma ha anche perseguito con successo un percorso di approfondimento delle relazioni con gli altri vicini asiatici e con l’Occidente. Nel corso di pochi anni, il Vietnam ha elevato le relazioni bilaterali con Giappone, Corea del Sud, Australia e Filippine. Ma ha anche sottoscritto due importanti accordi di libero scambio con Unione Europea e Regno Unito. Non solo. Durante la sua presidenza di turno dell’ASEAN è stato siglato anche il RCEP, accordo commerciale che riunisce gran parte dei Paesi dell’Asia-Pacifico. Quando, lo scorso settembre, Joe Biden è stato protagonista di una storica visita nella capitale vietnamita, Hanoi ha anche portato al massimo livello la partnership col suo vecchio rivale. Approfondendo ulteriormente le già floride relazioni commerciali: il Vietnam è sempre di più epicentro regionale di investimenti e hub produttivo globale. Un processo che negli ultimi tempi coinvolge con sempre maggiore convinzione i grandi colossi internazionali della tecnologia. Tutto questo, però, non significa che Hanoi abbia fatto o voglia fare una scelta di campo. La visita del Presidente americano non preludeva a un “arruolamento” del Vietnam in ottica anti russa o anti cinese, come forse pensava qualcuno viste le critiche per il recente viaggio di Vladimir Putin nel Paese. Per il Vietnam, ricevere il Presidente russo non è stata una scelta, ma una necessità per continuare a tutelare le sue relazioni internazionali, fornendo qualche rassicurazione allo storico partner dopo i due passi in direzione di Washington. I rapporti con Mosca non hanno peraltro impedito al governo vietnamita di mostrare vicinanza anche all’Ucraina. Negli ultimi due anni, il Premier ha incontrato due volte il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky e Hanoi ha anche inviato degli aiuti umanitari a Kiev. Il tutto provando come sempre a favorire il dialogo e la risoluzione politica del conflitto. 

Tra le pieghe del Funan Techo

Tutto quello che c’è da sapere sul canale in fase di costruzione in Cambogia. Un’infrastruttura chiave anche a livello commerciale

Di Francesco Mattogno

Da un paio di mesi in Cambogia, Vietnam e un po’ in tutti gli stati attraversati dal fiume Mekong si parla molto di un canale che ancora non esiste, se non sulla carta. Ufficialmente si chiama Tonle Bassac Navigation Road and Logistics System Project, ma per tutti è semplicemente il “Funan Techo”. Nelle intenzioni del governo cambogiano il canale collegherà il porto sul fiume Mekong della capitale Phnom Penh a quello di Kampot, città che affaccia sul Golfo della Thailandia (o Golfo del Siam), e quindi sul mare.

Il Funan Techo sarà profondo 5,4 metri, largo 100, lungo 180 km, sarà composto da due corsie e la sua costruzione verrà interamente finanziata dalla Cina. Pechino investirà 1,7 miliardi di dollari sul progetto, affidato all’azienda statale China Road and Bridge Corporation (CRBC). Una sussidiaria della CRBC, la China Harbour Engineering, ha inoltre stretto un accordo con un costruttore locale per contribuire alla realizzazione del porto di Kampot (dal costo stimato di 1,5 miliardi di dollari), proprio dove sfocerà il Funan Techo. I lavori per la costruzione del canale dovrebbero partire entro la fine del 2024 e durare al massimo quattro anni, dice Phnom Penh.

La forte presenza cinese all’interno del progetto è solo una delle ragioni per cui se ne sta discutendo molto. Il Funan Techo è stato pensato per ridurre la dipendenza logistica della Cambogia dal Vietnam, attraverso cui sono obbligate a passare tutte le merci cambogiane trasportate via nave sul Mekong destinate al commercio internazionale. È una questione geografica: il fiume, uno dei più grandi e importanti al mondo, scorre lungo tutta la Cambogia ma prima di sfociare in mare attraversa per oltre un centinaio di km il territorio vietnamita.

Questa condizione conferisce al Vietnam una certa leva politica ed economica sulla Cambogia, le cui aziende sono costrette a sostenere costi di trasporto elevati (con conseguenze sulla competitività delle proprie esportazioni) e a convivere con il rischio perenne di un blocco navale. È già successo trent’anni fa, nel 1994, quando in un momento di forte tensione tra i due paesi Hanoi decise di fermare per mesi la navigazione delle imbarcazioni cambogiane lungo il tratto vietnamita del Mekong. Oggi i rapporti tra Cambogia e Vietnam sono buoni ma, nonostante nel 2009 i due vicini abbiano anche firmato un trattato per la libertà di navigazione sul fiume, Phnom Penh non ha mai smesso di cercare un’alternativa. Ed eccola qui.

Non è solo una questione di sicurezza economica. Il Funan Techo è anche un veicolo per fomentare il nazionalismo e legittimare il nuovo corso del primo ministro Hun Manet, che ad agosto ha sostituito suo padre Hun Sen, rimasto al potere per 38 anni. Lo dimostra lo stesso nome dato al canale. “Funan” richiama l’antico Regno del Funan (nato nei primi secoli dopo Cristo) che si ritiene essere precursore dell’Impero Khmer, mentre “Techo” è un termine che fa parte del titolo onorifico di Hun Sen. Secondo l’analista cambogiano Chhengpor Aun, con la costruzione del canale Phnom Penh cercherà di risanare a livello simbolico la perdita del Delta del Mekong, che la Francia ha formalmente consegnato al Vietnam nel 1949, durante il suo dominio coloniale.

Da settimane il governo cambogiano continua a elencare i benefici derivanti dalla costruzione del canale, che «faciliterà l’irrigazione dei terreni» e comporterà la creazione di «10 mila posti di lavoro». Secondo le stime di Phnom Penh i costi per il trasporto navale delle merci si ridurranno del 30%, e le spedizioni risulteranno più agili e veloci. È però presto per dire quanto queste proiezioni troveranno riscontro nella realtà. Come hanno fatto notare diversi esperti, per esempio, la profondità del canale non permetterà il trasporto di carichi troppo pesanti, e questo significa che molti prodotti dovranno ugualmente passare per il Vietnam (che comunque si è subito lamentato del progetto). 

Al di là delle questioni economiche, su quanto convenga o meno alla Cambogia costruirlo, il Funan Techo presenta questioni ambientali. Il timore è che il canale, con i suoi argini molto alti, possa ostacolare le inondazioni naturali delle pianure che circondano il Mekong (fondamentali per il settore agricolo), alterare i flussi d’acqua degli altri affluenti e aumentare la salinità dei terreni. Phnom Penh si è impegnata a eseguire tutte le valutazioni di impatto ambientale del caso con «48 esperti internazionali».

Modi vuole avvicinare India e ASEAN

Tra gli obiettivi del terzo mandato del Premier indiano c’è quello di rafforzare i rapporti col Sud-Est asiatico

Il terzo mandato da Primo Ministro di Narendra Modi può avvicinare India e ASEAN? Se lo chiede un commento di Syed Munir Khasru, pubblicato sul South China Morning Post. La politica indiana “Act East” è pronta per una ricalibrazione. L’impegno economico e strategico di Nuova Delhi con il Sud-Est asiatico ha registrato un’impennata durante i suoi primi due mandati, anche se con alcune carenze che richiedono una correzione di rotta. Modi potrebbe ora dare nuovo vigore a questa politica estera chiave, mentre l’India cerca di stabilire una presenza più forte nell’Indo-Pacifico. Sul fronte economico, i legami commerciali e d’investimento con i Paesi del Sud-Est asiatico hanno ricevuto un notevole impulso, con un’impennata del commercio bilaterale annuale da circa 80 miliardi di dollari nel 2014 a oltre 110 miliardi di dollari entro il 2021-22. Tuttavia, l’accordo commerciale esistente con l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico – l’Area di Libero Scambio Asean-India – è visto come fortemente favorevole alla parte Asean, frustrando l’India. Le esportazioni indiane verso il Sud-Est asiatico hanno registrato un moderato aumento nell’anno finanziario 2023, passando a 44 miliardi di dollari dai 42,3 miliardi dell’anno precedente. Nel frattempo, le importazioni dai Paesi dell’ASEAN sono aumentate a un ritmo più sostenuto, passando da 68 a 87,6 miliardi di dollari, con un conseguente sostanziale deficit commerciale di 43,6 miliardi di dollari per l’India. La necessità di affrontare lo squilibrio commerciale è ancora più urgente se si considera che nel 2011 il deficit commerciale era di soli 5 miliardi di dollari. Ma il governo di Modi non ha colto tutte le opportunità di avvicinamento economico ai Paesi dell’ASEAN a causa della riluttanza a intraprendere riforme di mercato e a liberalizzare le tariffe. Sul fronte strategico, gli sforzi dell’India nell’ambito della politica Act East hanno contribuito a far entrare sette membri dell’Asean nell’Indo-Pacific Economic Framework, un’iniziativa volta a rafforzare la cooperazione economica tra le due regioni. La partecipazione a queste strategie indo-pacifiche complementari consente un maggiore coordinamento dei rispettivi interessi in questa regione strategicamente vitale. Le iniziative che riguardano la connettività, come il progetto di trasporto multimodale Kaladan da 484 milioni di dollari che collega l’India al Myanmar e l’autostrada trilaterale India-Myanmar-Thailandia, sono esempi di ciò che la collaborazione tra ASEAN e India può raggiungere in questo settore.

Armi nucleari in Asia: l’approccio dell’ASEAN

I Paesi del Sud-Est asiatico sono quelli maggiormente attivi e volenterosi a evitare la proliferazione delle armi nucleari nella regione

Di Francesca Leva

A un discorso tenuto alle Nazioni Unite lo scorso marzo, il Segretario Generale Antonio Guterres ha dichiarato che il rischio di una guerra nucleare è al punto più alto dopo decenni e che le armi nucleari stanno crescendo in potenza, gittata ed in modo sempre meno rilevabile. Antonio Guterres ha inoltre aggiunto che “un lancio accidentale è a un solo errore, una sola valutazione errata, un solo atto impulsivo di distanza”.

L’Asia non rappresenta un’eccezione: nell’area le armi nucleari hanno infatti avuto un profondo impatto sulla salute pubblica e sull’ambiente, portando all’evacuazione e allo spostamento di persone e impattando negativamente su sviluppo, educazione, preservazione della cultura e delle tradizioni locali e sulla stabilità economica.

Le armi nucleari arrivarono in Asia nel 1945 con gli eventi tragici a Hiroshima e a Nagasaki. Qualche anno dopo, l’URSS annunciò i suoi programmi per lo sviluppo di armi nucleari: durante la Guerra Fredda, dal 1950 al 1990, il termine MAD – “Mutual Assured Destruction” – venne coniato per descrivere la fase di armamento nucleare in Stati Uniti e in URSS. Avendo riconosciuto la necessità di uno sviluppo pacifico e controllato del nucleare, nel 1957 le Nazioni Unite fondarono l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Nel 1968 adottarono inoltre il Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), stando al quale solo le cinque potenze nucleari dell’epoca – Stati Uniti, Cina, Russia, Regno Unito e Francia – potevano possedere armi nucleari, al contempo impegnandosi a ridurre il proprio arsenale e ad applicare la tecnologia nucleare a scopi pacifici. Tuttavia, plurimi Paesi non firmatari del Trattato cominciarono a sviluppare il proprio arsenale indipendentemente: tra questi India, Pakistan e Israele. Nel 1988 l’India detonò infatti tre bombe vicino al confine con il Pakistan, azione che fu immediatamente seguita dai test nucleari condotti da Islamabad.

Una pattern osservabile è quello per il quale quando un Paese sviluppa delle armi nucleari i suoi vicini inizieranno a sviluppare il proprio arsenale per proteggere i propri confini e per pregio nazionale. Questa dinamica rappresenta un pericolo concreto e attuale in Asia dove Cina, Pakistan, India. Corea del Nord e Federazione Russa sono tutti Paesi dotati di arsenali nucleari.

Una delle aree più soggette a questa dinamica è il cosiddetto “triangolo nucleare”, costituito da Cina, India e Pakistan. In questo caso il rischio è accentuato da competizione regionale, situazioni domestiche instabili e rapidi sviluppi tech. Lo sviluppo della deterrenza nucleare ad ampio spettro adottata dal Pakistan ha infatti portato l’India a sviluppare preventivamente il proprio arsenale. Questo meccanismo è accentuato dalla competizione tra Stati Uniti e Cina: mentre Pechino tenta di sviluppare le proprie testate in risposta agli Stati Uniti, l’India è a sua volta incentivata a massimizzare il proprio arsenale, allontanandosi dalla sua tradizionale politica del “no first use”. La situazione interna in evoluzione del Pakistan, così come l’incremento della competizione tra Islamabad e Nuova Delhi, aumentano ulteriormente il rischio di utilizzo accidentale ed escalation involontaria. 

Un’ ulteriore potenziale area di crisi è costituita da Nord Corea e Sud Corea: in questo caso il rischio non è solo di una guerra tra Seoul e Pyongyang, ma anche che Giappone e Corea del Sud sentano la necessità di sviluppare le proprie armi. Altre possibili aree di tensione si trovano infine nel Mar Cinese Meridionale, dove competizione regionale e priorità nazionali entrano in collisione.

Nel 1995 gli Stati Membri dell’ASEN hanno firmarono il Southeast Asia Nuclear-Weapon-Free Zone Treaty – SEANWFZ, conosciuto anche come Trattato di Bangkok – inizialmente ideato per riaffermare l’ importanza dell’ NPT e per stabilire una a nuclear weapons-free zone (NWFZ). Vi sono al momento cinque NWFZ al mondo che rappresentano un approccio regionale volto alla non -proliferazione e al disarmo nucleare. Nelle aree coperte dai Trattati di Nuclear Free Zone è esplicitamente proibito svolgere attività relative ad acquisizione, possesso, test e utilizzo di armi nucleari. Inoltre, gli Stati che hanno ratificato suddetti trattati stanno attivamente lavorando per istituzionalizzare trattati legalmente vincolanti per assicurare che Paesi dotati di armi nucleari non utilizzino i propri arsenali contro Paesi localizzati entro queste zone.

Vi è stata tuttavia crescente preoccupazione e scetticismo tra i Paesi firmatari dell’NPT, poiché’ le cinque potenze nucleari hanno continuato a sviluppare i propri arsenali, i paesi non firmatari – India, Pakistan e Israele – non sono stati integrati nell’NPT e la Corea del Nord non è stata reintrodotta. Di conseguenza, nel 2017 è stato ideato il Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons (TPNW) a supporto dell’NPT. Il TPNW è stato firmato da tutti i Paesi ASEAN tranne Singapore. Sebbene l’esito di queste misure rimanga incerto, è evidente che la minaccia nucleare rappresenta un rischio inaccettabile per i paesi asiatici, soprattutto considerando il numero, la densità e la vicinanza delle aree urbane e abitate.

La queerness nel cinema dell’Asia sudorientale

Il cinema queer nella regione è vivace e prolifico e interseca la rappresentazione della comunità Lgbtqia+ a tradizioni locali. Tratto dall’ebook “Cinema e politica” di China Files

Articolo di Agnese Ranaldi

“Oggi chiedo al capo villaggio o all’autorità di riconoscermi. Anche se sono lesbica, ho anche un cuore. Amo tutto il popolo khmer. Rivendico i miei diritti di non essere discriminata e questo vale anche per le prossime generazioni”. A parlare è Soth Yun, una delle protagoniste di Two girls against the rain, cortometraggio del 2012 diretto da Sopheak Sao.

Due donne si conoscono sin dai tempi degli Khmer Rossi, negli anni Settanta. Stanno insieme da allora. Molti anni dopo, le ultracinquantenni Soth Yun e Sem Eang raccontano il loro vissuto in una società che ha fatto difficoltà ad accoglierle. Hanno sfidato le convenzioni etero-patriarcali e ogni pregiudizio rispetto alla loro capacità di mantenersi da sole e di sfamare le loro famiglie. Ma raccontano la frustrazione di dover attendere ancora il riconoscimento ufficiale da parte delle autorità del villaggio. La loro storia, raccontata in un corto di 10 minuti e ambientata in Cambogia, parla per tante altre. Il cinema Lgbtqia+ nel Sud-Est asiatico mette in luce le ingiustizie che discendono dal mancato riconoscimento delle coppie queer in tutta la regione.

Dagli anni Cinquanta ad oggi

L’esperienza della comunità Lgbtqia+ è una storia di lotte per la visibilità. Tra regimi autoritari, censure, e stigmi sociali radicati in alcune culture, il cinema ha rappresentato una delle espressioni più efficaci per la battaglia queer nella regione. Dove le parole non bastano, arrivano le immagini. Cinema, documentari, serie, cortometraggi sono diventati lo strumento per mettere in questione la normatività legata al sesso e al genere, a partire dalle prime, timide aperture avvenute nella seconda metà del XX secolo, fino agli ultimi decenni, quando i film hanno iniziato a fare luce sul legame tra la queerness e la storia della regione.

Sono quattro i fattori che spiegano il recente aumento delle pellicole sul tema, secondo Atit Pongpanit e Ben Murtagh. Gli autori dell’articolo Emergent queer identities in 20th century films from Southeast Asia sostengono che negli ultimi anni si sia creato un ambiente in cui le rivendicazioni dal basso delle comunità queer hanno trovato spazio anche nei Paesi più restrittivi. Il diffuso accesso alle tecnologie digitali, la crescita di piattaforme come Youtube e Vimeo, un incremento del discorso pubblico sul tema attraverso festival come “&Proud” Yangon Lgbt Film Festival del Myanmar (non più attivo dal colpo di Stato del 2021), o l’Indonesia Q! Film Festival; e infine una diffusa tendenza a decostruire i discorsi sulla sessualità e i generi normativi in tutta l’Asia, nonostante le resistenze di alcuni governi. 

Il caso delle Filippine
Le Filippine, ad esempio, nonostante una cultura politica autoritaria e rigide tradizioni religiose, hanno una lunga storia di film che affrontano  queste tematiche, anche perché si innestano bene in una società a cui la fluidità sessuale e di genere non sono estranee. A partire dal film filippino Tubog sa Ginto (“Gold Plated”) diretto da Lino Brocka e considerato uno dei capisaldi del cinema queer in tutto il Sud-est asiatico.

Nelle Filippine “esiste una sorta di sistema in quattro parti, che combina le idee di sesso, espressione di genere e identità”, scrive Griselda Gabriele su Kontinentalist, “babae (donne eterosessuali cisgender), lalaki (uomini eterosessuali cisgender), tomboy (usato indifferentemente per uomini trans, donne mascoline o lesbiche) e bakla (usato indifferentemente per donne trans, uomini effeminati o gay). Il bakla, in particolare, è descritto con vari termini in altri Paesi, come kathoey in Thailandia, waria in Indonesia e mak nyah in Malesia. In alcune lingue, come il malese e il birmano, i pronomi binari non sono affatto predefiniti”.

Quella dei bakla è anche una storia di potere e autodeterminazione. Nella lingua tagalog, parlata nelle filippine, bakla indica la pratica del cross-dressing maschile. “Si tratta di un’identità costruita sulla pratica culturale performativa più che sulla sessualità”, ha detto il regista australiano di origini filippine Vonne Patiag in un articolo apparso sul Guardian. In uno dei suoi cortometraggi, Tomgirl, racconta la vita di un giovane filippino di Western Sydney che riceve un corso intensivo sulla cultura di origine, in occasione del quale suo zio gli rivela di osservare la tradizione bakla

“Erano rinomati come leader della comunità, visti come i governanti tradizionali che trascendevano la dualità tra uomo e donna”, spiega Patiag, “molti dei primi resoconti dei colonizzatori spagnoli facevano riferimento a entità mistiche che erano ‘più uomo dell’uomo e più donna della donna’. Più tardi ho scoperto che molte persone, in modo problematico, traducono bakla con ‘gay’ in inglese. Essendo un’identità non legata al sesso, la parola non corrisponde direttamente alla nomenclatura occidentale delle identità Lgbtqia+, collocandosi a metà strada tra gay, trans e queer. Quando i filippini si sono trasferiti in Paesi come l’Australia e gli Stati Uniti, i bakla sono stati erroneamente etichettati come parte della cultura gay occidentale e rapidamente sessualizzati”. Patiag spera che, attraverso Tomgirl, si possa far conoscere questa cultura e possa essere d’ispirazione per un’interpretazione dei confini di genere che sia più fluida.

La diasporaUn altro segno della vivace proliferazione di film sul tema nel Sud-Est asiatico, è il Queer East film festival di Londra. Si tratta della rassegna di film provenienti dall’Asia orientale e sudorientale e dalle comunità della sua diaspora. Presenta opere cinematografiche, ma anche arti dal vivo e icone del movimento Lgbtqia+. Per i suoi organizzatori, lo scopo è esplorare “cosa significhi essere queer e asiatici oggi”. “Gli eventi globali degli ultimi anni ci hanno ricordato ancora una volta che una rappresentazione razziale e sessuale equa e autentica è fondamentale per la nostra società – si legge sul sito del Queer Festival. – La ricchezza del patrimonio asiatico e queer costituisce una parte vitale dell’identità di questo Paese”. Attraverso un programma diversificato, il festival mira ad amplificare le voci delle comunità asiatiche e a sfidare le normatività eteropatriarcale. L’obiettivo? Eliminare le etichette e gli stereotipi associati alle rappresentazioni asiatiche queer.

La centralità ASEAN in un mondo che cambia

Pubblichiamo qui uno stralcio dell’analisi di Kavi Chongkittavorn, apparsa sul Bangkok Post

Che cos’è la centralità dell’ASEAN? Può avere significati diversi per persone diverse, ma in generale può essere vista come un quadro regionale che sostiene il ruolo dell’ASEAN come piattaforma regionale dominante per superare le sfide comuni e impegnarsi con le potenze esterne. I cittadini della comunità ASEAN ne conoscono il valore intrinseco, poiché ha mantenuto la regione stabile e resiliente nel corso degli oltre cinque decenni di esistenza. In un mondo in rapida evoluzione, ci si chiede spesso se il concetto di centralità dell’ASEAN debba essere ridefinito. Negli anni Novanta, l’ASEAN è stata percepita come un “motore” della cooperazione regionale. Ci si chiedeva se fosse solo un motore e se fossero i passeggeri (gli Stati membri) a stabilire la direzione. Indipendentemente dalla risposta, l’ASEAN ha continuato a ritenere di essere al posto di guida, contribuendo a guidare i processi regionali. Quando l’ASEAN è entrata nel XXI secolo, il blocco si è trasformato in un “hub centrale”, simile a un aeroporto in grado di fornire servizi di navigazione e protezione. 

Oggi, la centralità dell’ASEAN è riconosciuta per il suo ruolo nel guidare l’elevata crescita economica della regione. Ma quale forma assumerà la centralità dell’ASEAN nei prossimi 20 anni? In un futuro non troppo lontano, si prevede che la regione ASEAN diventerà la terza regione più popolosa del mondo e la quarta economia più grande, con una classe media in rapida crescita. Inoltre, grazie alla sua diversità e alla buona connettività, la regione diventerà una società innovativa. 

L’ASEAN potrebbe e dovrebbe essere più coraggiosa in futuro, diventando un pioniere della trasformazione verde, della connessione digitale e dell’economia innovativa. L’ASEAN può anche essere un esempio per trasformare la contesa e il confronto nel Mar Cinese Meridionale in cooperazione e connettività. Inoltre, l’ASEAN può essere un esempio di come affrontare con successo crisi multiple, come il cambiamento climatico e la sicurezza idrica e alimentare nella regione del Mekong, fornendo così soluzioni ad altre regioni. 

La centralità dell’ASEAN ha già guadagnato terreno, poiché le grandi potenze, in particolare Stati Uniti, Cina e Unione europea, continuano a corteggiare l’ASEAN. Con il suo potere di convocazione e di convincimento, la centralità 2.0 dell’ASEAN può diventare globale e creare una pietra miliare, soprattutto per quanto riguarda gli sforzi per costruire un mondo migliore e pacifico.

ASEAN e Giappone uniti per la sostenibilità

I Paesi del Sud-Est asiatico rafforzano la cooperazione in materia di ambiente e innovazione tecnologica. Uno sviluppo molto importante

Di Walter Minutella

In un mondo che evolve rapidamente verso la sostenibilità e la sofisticazione tecnologica, l’ASEAN e il Giappone hanno intrapreso numerose iniziative collaborative mirate a promuovere la crescita economica, la sostenibilità ambientale e l’innovazione tecnologica. 

Durante una significativa visita a Hekinan City, nella Prefettura di Aichi, in Giappone, Dr. Kao Kim Hourn, Segretario Generale dell’ASEAN, ha esplorato la Centrale Termoelettrica di Hekinan e il sito di costruzione del Combustibile Termico a Base di Ammoniaca gestito dalla Japan’s Energy for a New Era, Inc. (JERA). Accompagnato dal Presidente e Direttore di JERA, Hisahide Okuda, Dr. Kao ha osservato da vicino i progetti innovativi della struttura, che includono una dimostrazione pionieristica mirata a raggiungere zero emissioni di carbonio attraverso la co-combustione di carbone e ammoniaca. Questa tecnologia potrebbe rendere la centrale di Hekinan la prima al mondo su larga scala a utilizzare questa soluzione, segnando un passo significativo verso la neutralità carbonica.

L’impegno dell’ASEAN a collaborare con il Giappone in tali iniziative verdi sottolinea una visione condivisa per un futuro sostenibile. Diversificare le fonti di energia per includere l’ammoniaca e l’idrogeno è un componente critico di questa strategia, riflettendo un sforzo concertato per ridurre le impronte di carbonio garantendo al contempo forniture elettriche stabili a regioni come Chubu e oltre.

La strategia proposta da Giappone e ASEAN si concentra su diverse aree chiave per rafforzare la loro competitività nel mercato dei veicoli elettrici. Innanzitutto, un impegno significativo viene dedicato alla formazione del personale, con il Giappone che intende stanziare 140 miliardi di yen (circa 900 milioni di dollari) per migliorare le competenze tecniche dei lavoratori nelle tecnologie digitali presso fabbriche e fornitori di componenti. Questo investimento mira a potenziare l’efficienza e la qualità della forza lavoro, contribuendo alla sostenibilità della produzione.

Un’altra area fondamentale della strategia è la decarbonizzazione della produzione. Utilizzando tecnologie giapponesi avanzate, verranno misurate le emissioni di anidride carbonica e promosse soluzioni per il passaggio a fonti di energia rinnovabile nei processi produttivi. Questa iniziativa è in linea con gli sforzi globali per mitigare il cambiamento climatico e ridurre l’impronta di carbonio industriale.

L’approvvigionamento di risorse minerali essenziali per le batterie dei veicoli elettrici è un altro pilastro della strategia. Gli sforzi congiunti si concentreranno sull’ottenimento di materiali rari e sulla ricerca di metodi di riciclaggio, garantendo così un approvvigionamento stabile e sostenibile di componenti cruciali.

Allo stesso modo, anche gli investimenti in campi di nuova generazione, come i biocarburanti, rappresentano un’ulteriore area di interesse. Particolare attenzione verrà rivolta allo sviluppo di biocarburanti derivati da olio da cucina usato, un’iniziativa che non solo diversifica le fonti di energia ma supporta anche la trasformazione dei rifiuti in risorse energetiche.

Infine, una campagna di informazione globale è prevista per sensibilizzare i consumatori sulle caratteristiche ecologiche dei veicoli prodotti nell’ASEAN. Questo sforzo mira a incrementare le esportazioni facendo leva sull’attenzione dei consumatori internazionali verso pratiche e prodotti sostenibili.

Nello stesso giorno, Dr. Kao ha visitato le strutture all’avanguardia della DENSO Corporation ad Aniyo City, in Giappone. Questa visita è stata fondamentale per mostrare i recenti progressi di DENSO nella tecnologia dei veicoli elettrici, nei sistemi di guida autonoma e nelle pratiche di produzione sostenibile. La visita ha evidenziato il potenziale per la collaborazione tra ASEAN e Giappone nell’affrontare le sfide in evoluzione dell’industria automobilistica, in particolare per quanto riguarda la sostenibilità ambientale e l’innovazione tecnologica.

Durante la visita, si sono svolte discussioni sulle potenziali partnership e collaborazioni mirate a migliorare la sostenibilità e i progressi tecnologici del settore automobilistico. Questo si allinea con le iniziative più ampie ASEAN-Giappone per promuovere soluzioni automobilistiche più verdi ed efficienti di fronte alle crescenti preoccupazioni ambientali.

L’urgenza di questa strategia congiunta nasce anche dalla rapida espansione dei produttori di veicoli elettrici cinesi nel Sud-est asiatico, che guadagnano rapidamente terreno. Di conseguenza, Giappone e ASEAN stanno sviluppando una strategia comune per rafforzare la loro competitività per riuscire a contrastare il dominio cinese del settore attraverso una collaborazione rafforzata nella produzione e nella vendita di automobili nella regione.

Ad esempio, sussidi e agevolazioni fiscali in Thailandia hanno permesso a compagnie cinesi come BYD di dominare il mercato, con l’85% degli EV venduti in Thailandia lo scorso anno di produzione cinese. La strategia congiunta tra ASEAN e Giappone punta a riconquistare quote di mercato sfruttando il know-how tecnologico giapponese e le capacità produttive dei paesi ASEAN.

Attualmente, l’ASEAN ospita impianti di produzione di numerosi grandi produttori di automobili giapponesi, tra cui Toyota Motor e Honda Motor. Questi produttori assemblano oltre tre milioni di veicoli all’anno nei paesi ASEAN, rappresentando l’80% della produzione automobilistica totale della regione. La strategia congiunta proposta dovrebbe essere formalizzata durante il prossimo incontro tra i ministri economici di Giappone e ASEAN a settembre.

Oltre ai legami economici, programmi educativi, eventi culturali e la popolarità dell’intrattenimento giapponese hanno favorito connessioni interpersonali più profonde. Le imprese giapponesi assumono sempre più talenti del Sud-est asiatico, riflettendo una relazione più integrata e reciprocamente vantaggiosa.

Negli ultimi anni, ASEAN e Giappone hanno collaborato su iniziative di stabilità regionale e integrazione economica, come l’Accordo Globale e Progressivo per il Partenariato Trans-Pacifico (CPTPP) e il Partenariato Economico Regionale Globale (RCEP). L’approccio discreto e consensuale del Giappone alla diplomazia ha facilitato queste collaborazioni, assicurando che gli interessi delle nazioni del Sud-Est asiatico siano adeguatamente rappresentati. 

La partnership ASEAN-Giappone è una testimonianza del potere della collaborazione nell’affrontare le sfide globali. Dai progetti pionieristici per la neutralità carbonica al contrasto del dominio dei veicoli elettrici cinesi, questa alleanza è pronta a guidare significativi progressi nella sostenibilità e nell’innovazione tecnologica. Continuando a investire nell’istruzione, nella crescita reciproca e nella stabilità regionale, ASEAN e Giappone possono forgiare un futuro economicamente prospero, ecologicamente sostenibile e tecnologicamente avanzato.

Tech, perché si investe in ASEAN

L’analisi di Gregory B. Poling e Japhet Quitzon per il Center for Strategic and International Studies

I 10 membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN) costituiscono il mercato online in più rapida crescita al mondo, con 125.000 nuovi utenti internet al giorno. I giganti tecnologici statunitensi sono consapevoli dell’importanza strategica del Sud-Est asiatico e stanno rafforzando la loro presenza nella regione con ingenti investimenti promessi da Apple, Microsoft e Amazon nelle ultime settimane. 

A metà aprile, Tim Cook, CEO di Apple, ha compiuto un viaggio in Vietnam, Indonesia e Singapore. Ha annunciato un’espansione programmata di 250 milioni di dollari del campus dell’azienda a Singapore, che, secondo quanto riferito, si concentrerà sull’intelligenza artificiale. Cook ha inoltre dichiarato che Apple intende aumentare gli investimenti in Vietnam ed esplorare le opportunità di produzione in Indonesia.

Poco dopo, il CEO di Microsoft Satya Nadella ha visitato Indonesia, Malesia e Thailandia dal 30 aprile al 2 maggio. Nella sua prima tappa a Giacarta, ha annunciato l’intenzione di investire 1,7 miliardi di dollari in quattro anni in architetture cloud e AI in Indonesia, il più grande investimento nei 29 anni di presenza dell’azienda nel Paese. Il giorno successivo ha dichiarato che Microsoft aprirà il suo primo centro dati in Thailandia, sulla base di un accordo con il governo thailandese per la fornitura di infrastrutture cloud e AI. 

Nadella si è poi recato in Malesia, dove ha annunciato l’intenzione di investire 2,2 miliardi di dollari in infrastrutture di cloud computing e intelligenza artificiale nei prossimi quattro anni. Microsoft collaborerà con il governo malese per potenziare le sue capacità di cybersecurity e fornirà formazione sull’intelligenza artificiale a 200.000 persone nel Paese. Nadella ha inoltre dichiarato che Microsoft si impegna a fornire formazione sulle competenze di intelligenza artificiale a 2,5 milioni di persone in tutta la regione, in particolare in Indonesia, Malesia, Filippine, Thailandia e Vietnam.

Infine, il 7 maggio, Amazon Web Services (AWS) ha impegnato 9 miliardi di dollari per espandere la propria infrastruttura cloud a Singapore. Gli investimenti saranno destinati alla costruzione, al funzionamento e alla manutenzione di centri dati nella città-stato nei prossimi cinque anni. Come Microsoft, AWS sta collaborando con il governo di Singapore per creare un programma per 5.000 persone all’anno per espandere le capacità di ricerca e sviluppo.

Le aziende tecnologiche statunitensi stanno scommettendo molto sulle future economie digitali del Sud-Est asiatico. Così facendo, daranno impulso alle economie regionali e ai propri profitti. Inoltre, cercheranno di dare forma alle regole sulla governance dei dati e sull’IA mentre i governi regionali sono alle prese con il futuro digitale, comprese le visioni concorrenti sostenute da Cina, Europa e Stati Uniti.