Asean

L’ASEAN si avvicina anche all’Africa

Non solo Europa, Americhe e Golfo. Il Sud-Est asiatico rafforza i legami anche col continente africano

L’ASEAN e il Sudafrica hanno svolto lo scorso 30 novembre, presso la sede centrale dell’ASEAN, la riunione inaugurale del Comitato congiunto di cooperazione settoriale ASEAN-Sudafrica (ASA-JSCC). L’incontro ha segnato il lancio del primo partenariato formale di dialogo settoriale del continente africano e realizza così l’espansione delle relazioni esterne dell’ASEAN a tutti i continenti del mondo. I Ministri degli Esteri dell’ASEAN hanno conferito lo status di partner di dialogo settoriale al Sudafrica in occasione del 56° incontro dei ministri degli Esteri dello scorso luglio a Giacarta. La riunione della scorsa settimana ha adottato il mandato dell’ASA-JSCC e ha deliberato su diverse aree di cooperazione futura. Sul fronte economico, l’incontro ha incoraggiato il Sudafrica a esplorare la cooperazione pratica in aree di reciproco interesse e beneficio, tra cui il commercio e gli investimenti, il partenariato pubblico-privato, il rafforzamento delle micro, piccole e medie imprese, il turismo, i trasporti, l’energia, il settore dei minerali critici e le risorse minerarie, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, la sicurezza alimentare, l’industria halal, l’agricoltura sostenibile, l’economia blu, l’economia digitale, la pesca, l’acquacoltura e la silvicoltura, la ricerca e l’innovazione, nonché la scienza e la tecnologia. L’incontro ha inoltre preso atto delle quattro priorità chiave del partenariato economico che l’ASEAN vorrebbe portare avanti con il Sudafrica, ovvero (1) il rafforzamento dell’integrazione del mercato dell’ASEAN; (2) la sostenibilità e la decarbonizzazione; (3) la trasformazione digitale; e (4) l’inclusività dei sistemi economici e scambi people-to-people. Per quanto riguarda la sfera socio-culturale, si intende esplorare la cooperazione nei settori della salute, dell’emancipazione femminile, dell’istruzione e del cambiamento climatico, ma anche  intensificare gli sforzi per migliorare i contatti interpersonali attraverso programmi di scambio che coinvolgano giovani, studenti, media e artisti, nonché programmi di borse di studio. Entrambe le parti hanno inoltre concordato di sviluppare le Aree di cooperazione pratica ASEAN-Sudafrica, che serviranno come quadro di riferimento per raggiungere gli obiettivi condivisi e le relative priorità nei prossimi anni. Lo sviluppo è molto significativo perché testimonia la rafforzata interconnessione tra l’ASEAN e diverse aree del mondo con ampio potenziale di crescita, Africa compresa.

Verso una strategia italiana per l’Indo-Pacifico

L’Italia si muove per formalizzare il proprio impegno nella regione

Editoriale a cura di Gabriele Abbondanza, Università di Madrid e Università di Sydney

L’Italia è sempre più vicina all’Indo-Pacifico. A dispetto della distanza geografica e di importanti sfide prossime ai confini, Roma potrebbe formulare una strategia italiana per l’Indo-Pacifico, rafforzando così i legami con questa macro-regione.

Come evidenziato dalle più recenti ricerche, l’Italia si avvicina all’Indo-Pacifico da circa 20 anni. Nel frattempo molto è cambiato: le economie della regione crescono a ritmi invidiabili, dispute territoriali si sono manifestate in molte regioni – il Mar Cinese Meridionale è emblematico – e la crisi economica e la pandemia da COVID-19 hanno sottolineato le fragilità della comunità internazionale.

Ciononostante, l’Italia ha continuato a perseguire il proprio “approccio informale” all’Indo-Pacifico. Gli interscambi commerciali sono aumentati di più di un sesto in 10 anni, e quelli relativi al comparto della difesa di quasi il 45%. La collaborazione strategica ha rinsaldato l’addestramento congiunto, la difesa del diritto di navigazione e sorvolo, l’interoperabilità, e i progetti strategici (si pensi a IPOI, GCAP, e IMEC, tra i vari esempi). Infine, Roma ha stretto partnership con numerosi attori chiave della regione, inclusi PIF, Vietnam, Corea, IORA, ASEAN, Emirati Arabi, Giappone e India. 

Dati i tempi indubbiamente maturi, l’Italia si sta muovendo per formalizzare il proprio impegno. Tale potenziale strategia, attualmente in fase di discussione, razionalizzerebbe l’approccio italiano, ufficializzandolo a beneficio degli alleati europei e nordamericani e dei partner dell’Indo-Pacifico, e garantirebbe la costanza di tale impegno anche in futuro.

Questo percorso ha avuto inizio con la creazione di un Comitato Indo-Pacifico presso la Commissione Esteri della Camera dei Deputati, grazie agli sforzi dell’On. Paolo Formentini, sostenuto in questo ambito anche da rappresentanti dell’opposizione come l’On. Lia Quartapelle Procopio. Le attività del Comitato – cui ho avuto il piacere di contribuire con l’audizione inaugurale – garantiranno il parere di esperti a supporto dei dibattiti parlamentari.

Altri eventi a supporto di una strategia italiana – di natura inclusiva, multilaterale, e rispettosa delle molte sensibilità esistenti – includono un convegno al Senato che ha visto il Sen. Francesco Giacobbe, l’On. Formentini, il sottoscritto, la Dott.ssa Karolina Muti, e il Dott. Alessio Piazza esporre i benefici di tale obiettivo ad un pubblico di esperti. Gli ambasciatori presenti, in particolare, hanno sottolineato l’importanza di una strategia italiana con queste caratteristiche per le relazioni con l’Indo-Pacifico.

La strada è ancora lunga e diversi sono gli sviluppi che potrebbero distrarre l’attenzione del governo, che ha sempre l’ultima parola in tema, tuttavia i presupposti sono favorevoli ed è dunque con cauto ottimismo che possiamo guardare al futuro dei rapporti dell’Italia con l’Indo-Pacifico.

Le PMI dell’ASEAN nell’economia circolare

Considerando che le PMI sono la spina dorsale delle economie ASEAN, costituendo l’85% dell’occupazione e contribuendo per il 44,5% al PIL della regione, il loro ruolo risulta cruciale per la transizione energetica

Di Sibeles Chiari

Più che un semplice modello di produzione, l’economia circolare potrebbe presentarsi come una strategia di sopravvivenza mirata a frenare la deriva distruttiva dell’ecosistema terrestre. Si tratta di un sistema produttivo alternativo a quello del “take-make-dispose” in quanto si basa sui concetti di riduzione, riutilizzo e riciclaggio delle risorse impiegate nel ciclo di vita del prodotto. Quindi, che il futuro del business debba essere circolare è una condicio sine qua non per mantenere il pianeta vivibile. Assodati i benefici che l’ambiente e la salute dell’uomo ne ricaverebbero, il passaggio all’economia circolare presenta anche una serie di opportunità economiche, dalla creazione di posti di lavoro, allo sviluppo di industrie sostenibili e allo stimolo dell’imprenditorialità. Considerando che le PMI sono la spina dorsale delle economie ASEAN, costituendo l’85% dell’occupazione e contribuendo per il 44,5% al PIL della regione, il loro ruolo risulta cruciale per la transizione verso l’economia delle “3 R”. Coinvolgendo le PMI nelle strategie nazionali, questi Paesi possono affrontare le sfide ambientali, favorire la crescita economica e la competitività in un mercato globale sempre più attento alla sostenibilità. Per la riuscita di questa transizione, le PMI dovranno sempre più focalizzarsi sullo sviluppo di nuovi prodotti o servizi che contribuiscano alla mitigazione e all’adattamento climatici e alla riduzione dei rifiuti generati. Proprio per il fatto che le PMI sono un agente vitale verso la decarbonizzazione, alcuni Paesi ASEAN come Cambogia, Malesia e Myanmar, hanno già stabilito obiettivi di stampo qualitativo mirati a fornire informazioni, sviluppo di capacità e sostegno finanziario e tecnologico per l’adozione di pratiche e tecnologie industriali verdi. Preme ricordare che, l’area geografica in questione ricopre una posizione importante per le dinamiche internazionali, specie in seguito ai cambiamenti degli equilibri geoeconomici degli ultimi tempi, essendo la terza area più popolosa del mondo con un PIL che aumenta del 4-5% annuo e con un ruolo sempre più significativo nella supply chain globale. In effetti, oltre all’aspetto ambientale ed economico, il passaggio a un’economia circolare nei Paesi ASEAN è guidato da una combinazione di fattori geopolitici, politici e di riconoscimento della tendenza globale verso la sostenibilità. Tendenza che si concretizza nel Forum Globale sulla Economia Circolare (WCEF), ovvero uno dei principali eventi al mondo dedicato al progresso della circolarità che riunisce leader aziendali, politici ed esperti per presentare le migliori soluzioni di economia circolare del mondo volte ad affrontare le crisi planetarie. A livello regionale, l’ASEAN ha compiuto passi significativi per promuovere la collaborazione sulla transizione all’economia circolare. Ne sono un esempio le seguenti iniziative: il Quadro per l’Economia Circolare per la Comunità economica dell’ASEAN (2021), integrato da un Piano di attuazione e da un Programma di lavoro; il Quadro per il Consumo e la Produzione sostenibili dell’ASEAN (2022); la Piattaforma delle parti interessate all’economia circolare (2023); infine, le Linee guida sul cambiamento climatico per le PMI (2023). Definire soluzioni che aumentino la resilienza delle PMI rispetto ai cambiamenti climatici e accelerare il passaggio ad una crescita sostenibile sono alla base degli sforzi a livello regionale, come lo ha enfatizzato il primo forum dell’ASEAN sulla Economia Circolare tenutosi l’8-9 novembre 2023 a Giacarta che ha riunito rappresentanti del mondo politico, imprenditoriale, accademico e del terzo settore. Come si può notare, si tratta di iniziative alquanto recenti verso le quali sforzi congiunti di vari stakeholders si stanno concentrando per spingere la transizione alla circular economy e creare sinergie tra di esse. I tentativi di innovare l’intero processo produttivo arrivano anche dal basso. Di fatto, negli ultimi tempi sono nate varie imprese sociali, come Bambuhay (Filippine) che produce cannucce e spazzolini da denti in bambù per sostituire i prodotti in plastica, o CoFarm (Laos) piattaforma agricola che mette in contatto gli agricoltori urbani direttamente con i ristoranti, rivoluzionando la catena di approvvigionamento di verdure fresche. O ancora, Rubysh (Indonesia) che ha utilizzato centinaia di kg di rifiuti come materiale di ricambio per i gioielli. Infine, per elencare un’ulteriore azienda tra le tante esistenti, MoreLoop (Thailandia) vende tessuti in eccedenza che altrimenti andrebbero sprecati e, mediante l’upcycling, prende i tessuti in eccesso e li trasforma in prodotti nuovi, dando loro una seconda vita quindi riducendo l’impatto ambientale. In conclusione, ciò che forse da più speranza e ottimismo, al di là di tutte le iniziative politiche, è proprio la forte ascesa di una nuova generazione di imprenditori appassionati e orientati ai principi green, e seriamente intenzionati a cambiare la rotta dell’economia mondiale, quindi le sorti del nostro pianeta.

Italia e ASEAN, Partenariato sempre più forte

Alla Farnesina nuovo incontro di alto livello con la leadership del blocco dei Paesi del Sud-Est asiatico

Editoriale di Maria Tripodi, Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri e alla Cooperazione Internazionale

Il 7 dicembre ho ricevuto alla Farnesina il Vice Segretario Generale dell’ASEAN, Michael Tene. Il colloquio si inserisce nell’ambito della costante collaborazione del nostro paese con l’ASEAN per l’attuazione del Partenariato di Sviluppo avviato alla fine del 2020.  In poco più di tre anni, il nostro Partenariato con l’ASEAN ha fatto registrare significativi risultati, permettendo di realizzare molteplici iniziative di formazione a favore dei Paesi del Sud-Est asiatico in un’ampia gamma di settori strategici: dalla sicurezza all’ambiente, e dalla tutela del patrimonio culturale allo sviluppo sostenibile. Con il Vice Segretario Generale Tene ho rinnovato il comune impegno ad arricchire il Partenariato di nuove progettualità – molte delle quali già oggetto di negoziato con il Segretariato e gli Stati membri -, con una modalità di ownership condivisa e in ambiti di comune interesse. Tra questi, molti campi essenziali per la stabilità e la sicurezza degli Stati nella realtà contemporanea: cybercrime, lotta al crimine transnazionale, promozione della legalità, spazio, sicurezza alimentare, transizione energetica, prevenzione e gestione dei disastri naturali. Ciò nella consapevolezza che solamente insieme si potranno affrontare in modo efficace le crescenti minacce alla pace, alla tutela dell’ordine internazionale basato sulle regole e allo sviluppo sostenibile, alimentate anche dal moltiplicarsi dei teatri di crisi nel mondo. L’ASEAN rappresenta infatti un modello di integrazione regionale in una posizione geo-strategica chiave per il mantenimento della pace e di una prosperità condivisa nell’Indo-Pacifico. In tale contesto, l’Italia è pronta a collaborare con la prossima Presidenza laotiana dell’ASEAN, incentrata sui temi della connettività e della resilienza, con l’auspicio che il Paese possa mettere a frutto gli importanti risultati ottenuti dall’attuale Presidenza indonesiana, soprattutto in materia di integrazione regionale e di investimenti. Confidiamo che il Laos assicuri continuità anche agli sforzi compiuti dall’Indonesia nella gestione della grave crisi che da quasi tre anni affligge il Myanmar, dopo il colpo di Stato del 1° febbraio 2021, con possibili ripercussioni sulla stabilità dell’area.

L’ASEAN e il vantaggio strategico delle terre rare

Il Sud-Est asiatico è ricco di componenti necessari per la transizione energetica, tra cui nichel, rame e stagno. L’attenzione internazionale verso il settore è sempre più forte

Di Tommaso Magrini

Non solo la Cina. Anche il Sud-Est asiatico ha un grande vantaggio strategico dalla sua parte: il possesso di una grande quantità di terre rare e risorse minerarie. Si tratta di componenti necessari per la transizione energetica globale, tra cui nichel, rame e stagno, ma l’area ASEAN ha un elevato potenziale per produrne altri. Non solo. Le terre rare di cui è ricca la zona sono cruciali anche per la produzione di batterie per veicoli elettrici, una delle aree di contesa più sensibili del prossimo futuro.

Basti pensare a un dato. Nel 2022, le miniere dell’Indonesia hanno prodotto circa 1,6 milioni di tonnellate di nichel. Questa cifra fa dell’immenso arcipelago del Sud-Est asiatico il principale produttore di nichel dalle miniere di tutto il mondo. Tanto da rendere quelle risorse particolarmente ambite alle grandi potenze come Cina e Stati Uniti, che come dimostrato dal recente ricevimento del Presidente Joko Widodo alla Casa Bianca stanno provando a raggiungere un accordo di estrazione.

Si stima che le imprese cinesi abbiano investito qualcosa come circa 30 miliardi di dollari nella catena di approvvigionamento del nichel in Indonesia. Il tutto nel giro di un decennio. Nelle isole indonesiane di Sulawesi e Halmahera le aziende di Pechino hanno costruito raffinerie, fonderie, una nuova scuola di metallurgia e anche un museo del nichel. Per Giacarta sarebbe funzionale una diversificazione della fonte di investimenti e gli Stati Uniti hanno deciso di accorciare le distanze, ma secondo qualcuno potrebbe essere già tardi.

Nel tentativo di aumentare gli investimenti nel settore minerario, nell’ottobre 2021 i ministri minerari dell’ASEAN hanno adottato un Piano d’azione per la cooperazione mineraria dell’ASEAN per il periodo 2021-2025 (AMCAP-III). L’obiettivo è quello di “creare un settore minerario ASEAN vivace e competitivo per il benessere dei popoli ASEAN”. L’AMCAP-III stabilisce come i dieci Paesi dell’ASEAN lavoreranno insieme per costruire uno sviluppo minerario sostenibile, la promozione degli investimenti minerari e le capacità umane e istituzionali. L’AMCAP-III è stato attuato riconoscendo il ruolo fondamentale dei minerali di tutti i tipi nelle economie dell’ASEAN e nello sviluppo sostenibile, nonché nello stimolare e potenziare l’integrazione commerciale nell’ASEAN.

Come spiega un report del Lowy Institute, anche l’Australia è particolarmente interessat ad approfondire le relazioni in materia col Sud-Est asiatico. A metà del 2022 è stato lanciato un nuovo programma, Australia ASEAN Futures Initiative, il cui primo sottoprogramma è “Economic and Connectivity (ECON)”. Le aziende australiane sono il più grande investitore nell’esplorazione mineraria nel Sud-Est asiatico e nel Pacifico. Nel 2022, le società quotate all’ASX hanno speso circa 100 milioni di dollari per l’esplorazione di minerali, pari al 28% di tutti gli investimenti per l’esplorazione nella regione. Solo nel Sud-est asiatico, le società australiane hanno identificato riserve minerarie per un valore di 220 miliardi di dollari e hanno investito capitali per 2,6 miliardi di dollari nell’estrazione mineraria, secondo un’analisi basata sul database minerario di S&P Global.

Oltre alle iniziative di sviluppo ASEAN di lunga data, l’Australia sta attuando impegni di cooperazione allo sviluppo economico con l’Indonesia e altri Paesi del Sud-Est asiatico nell’ambito di due accordi commerciali e di investimento. Sia l’Indonesia-Australia Comprehensive Economic Partnership Agreement (IA-CEPA) che il Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) contengono interi capitoli sulla “cooperazione economica” per contribuire a creare capacità per il commercio e gli investimenti.

Intanto Canada, Germania, Giappone, Corea, Stati Uniti e Cina stanno già aiutando l’ASEAN e i suoi Stati membri nell’attuazione del piano d’azione per i minerali e del sistema informativo, nonché nella costruzione di catene di approvvigionamento di minerali critici. Per il Sud-Est asiatico un’opportunità per mettere a frutto un importante vantaggio strategico.

Nessun decoupling tra Sud-Est e Cina

Nonostante le tensioni politiche, nessuno vuole fare a meno dei rapporti commerciali con Pechino

Di Tommaso Magrini

Una nuova indagine pubblicata da HSBC ha dimostrato che quasi la metà, per la precisione il 45%, delle aziende del Sud-est asiatico ha in programma di espandere la propria catena di fornitura in Cina nei prossimi 12 mesi. Il 92% delle aziende indonesiane ha espresso il proprio interesse ad espandere la propria rete di fornitori in Cina nei prossimi tre anni, un dato di poco superiore all’89% delle aziende vietnamite e all’87% di quelle filippine. 

I risultati dell’indagine sono stati resi noti in concomitanza con la China International Import Expo (CIIE) di Shanghai, a cui hanno partecipato nutrite delegazioni dei Paesi del Sud-Est asiatico ma anche la più corposa spedizione degli Stati Uniti dal lancio dell’evento. Questa sesta edizione del sondaggio è stata la prima ad essere condotta dopo la revoca delle restrizioni Covid-19 in Cina nel gennaio di quest’anno, con la partecipazione di oltre 3.300 aziende di 16 Paesi tra cui Stati Uniti, Corea del Sud, Canada, Regno Unito, Francia e Germania. Complessivamente, circa tre quarti (73%) degli intervistati prevede di aumentare l’impronta della propria catena di fornitura in Cina nei prossimi tre anni, e circa il 25% indica che l’aumento sarà “significativo”. HSBC ha dichiarato che i risultati dell’indagine suggeriscono che molti dei fondamenti di lunga data della Cina, tra cui le sue reti di filiera profondamente integrate, continuano ad attrarre le imprese internazionali. Le importazioni e le esportazioni della Cina verso l’ASEAN hanno raggiunto i 6,52 trilioni di yuan (970 miliardi di dollari) nel 2022, con un significativo aumento del 15%. Di questi, le esportazioni hanno rappresentato 3,79 trilioni di yuan, con un aumento del 21,7%, e le importazioni 2,73 trilioni di yuan, con un aumento del 6,8%. I dati mostrano che gli investimenti cumulativi della Cina in Asia meridionale hanno raggiunto quasi 15 miliardi di dollari.

Il ruolo critico di ASEAN e UE tra USA e Cina

Nel nuovo contesto internazionale caratterizzato dal confronto tra USA e Cina, ASEAN e UE possono svolgere un ruolo cruciale per evitare lo scontro e favorire la cooperazione globale

L’attuale panorama internazionale è fortemente influenzato dalla crescente competizione tra gli Stati Uniti e la Cina. Questa rivalità si estende oltre il commercio e l’economia in aree come la tecnologia, la potenza militare e l’influenza geopolitica.

Il recente vertice in California ha messo in mostra la natura radicata e complessa delle relazioni USA-Cina. I Presidenti Xi e Biden, rappresentanti delle due maggiori economie mondiali, hanno discusso su una serie di temi controversi. Tuttavia, il vertice si è concluso con diverse questioni chiave irrisolte, evidenziando l’attrito persistente tra le due nazioni, in particolare sul commercio e le vicende geopolitiche, con riferimento alla situazione a Taiwan e nel Mar Cinese Meridionale.

La rivalità tra USA e Cina si sviluppa su uno sfondo di instabilità globale segnato da conflitti come la guerra in Ucraina e nel Medio Oriente. Questo complesso contesto ha portato a un declino della fiducia e della cooperazione internazionale, suscitando preoccupazioni per un potenziale ritorno alla logica dei blocchi dell’era della Guerra Fredda. Una tale divisione in sfere di influenza sarebbe dannosa, in particolare per l’UE e l’ASEAN, che si sono sviluppate in un sistema internazionale più aperto e cooperativo.

L’UE e l’ASEAN, infatti, pur con una storia e un contesto socio politico molto diverso, condividono un obiettivo fondamentale: promuovere l’integrazione dei mercati regionali per raggiungere pace, stabilità e prosperità. Tuttavia, il modello integrativo che sostengono è ora sotto minaccia dalle tensioni globali che mettono in discussione l’integrità dei mercati comuni e la coesione del modello di sviluppo di queste organizzazioni. La guerra commerciale in corso tra USA e Cina, segnata dall’imposizione di tariffe e barriere commerciali, dimostra che tensioni geopolitiche esterne possono avere un’influenza significativa sulle dinamiche di mercato interne all’UE e all’ASEAN. 

Nonostante queste prospettive difficili, nell’attuale scenario geopolitico ci sono anche notevoli opportunità sia per l’UE che per l’ASEAN. Entrambi, infatti, possiedono un’attrattiva di mercato significativa che può essere sfruttata per influenzare la dinamica politica e commerciale tra USA e Cina. L’UE, con il suo PIL di oltre 15 trilioni di dollari e una popolazione di circa 450 milioni (con un allargamento in vista), rappresenta uno dei più grandi mercati singoli al mondo. D’altra parte, l’ASEAN, con un PIL combinato di circa 3 trilioni di dollari e una popolazione che supera i 650 milioni (di cui circa il 60% è under 35), è una delle regioni in più rapida crescita a livello globale. Queste condizioni economiche mettono sia l’UE che l’ASEAN in una posizione privilegiata per mediare e potenzialmente influenzare le decisioni strategiche degli Stati Uniti e della Cina, specialmente in aree come la politica commerciale e la sicurezza regionale.

L’UE e l’ASEAN possono svolgere un ruolo cruciale nello sviluppo di un ordine mondiale multipolare più stabile, allontanando le tensioni bipolari. Ciò implica non solo rafforzare la loro coesione interna, ma anche migliorare la cooperazione interregionale tra le due organizzazioni. Consolidando le loro relazioni e investendo sull’integrazione dei mercati, questi due blocchi possono svolgere un ruolo cruciale e influente negli affari internazionali.

Iniziative diplomatiche e commerciali congiunte tra l’UE e l’ASEAN possono essere fondamentali per bilanciare l’influenza degli USA e della Cina, concentrandosi principalmente sul potenziamento del commercio e dell’integrazione economica. L’UE e l’ASEAN dovrebbero iniziare a lavorare su un quadro commerciale completo con l’obiettivo di ridurre tariffe e barriere normative. Un tale accordo, esteso a coprire l’intera regione ASEAN, creerebbe una delle più grandi aree di libero scambio al mondo, diversificando le relazioni commerciali e riducendo la dipendenza eccessiva dagli USA e dalla Cina. Stabilire standard congiunti in aree come la sicurezza dei prodotti, la proprietà intellettuale e le pratiche commerciali sostenibili potrebbe essere strategicamente molto utile. Ciò non solo allineerebbe più da vicino i mercati dell’UE e dell’ASEAN, ma potrebbe stabilire anche standard commerciali globali ambiziosi, indipendentemente dall’influenza di USA e Cina, e potrebbe potenziare il loro potere contrattuale collettivo e la loro posizione strategica nel mercato globale.

In conclusione, l’Unione Europea e l’ASEAN si trovano a un crocevia importante per la loro futura evoluzione, in un contesto di instabilità globale segnato dalla rivalità USA-Cina e da più ampie e profonde tensioni internazionali. Sebbene affrontino sfide significative, questi blocchi regionali possiedono anche opportunità uniche per influenzare l’ordine globale. Sfruttando la loro forza economica, e migliorando la cooperazione interregionale, l’UE e l’ASEAN possono svolgere un ruolo vitale nel favorire un sistema internazionale più equilibrato e pacifico. Le loro azioni e decisioni nei prossimi anni saranno cruciali nel plasmare la traiettoria della politica globale e nel garantire la stabilità e la prosperità delle loro rispettive regioni.

L’ASEAN punta sull’economia blu

L’ASEAN ha recentemente adottato il Blue Economy Framework per coordinare lo sfruttamento sostenibile delle risorse marine. Il mare è una risorsa vitale, ma poggia su un equilibrio delicato. Ambientale… e politico.

Il mare ha un ruolo essenziale nella storia del Sud Est asiatico. La pesca e i commerci marittimi sono da secoli attività chiave dell’economia regionale. Tutti i Paesi ASEAN, eccetto il Laos, si affacciano sul mare. Persone, merci e idee, circolando per nave, hanno reso la regione molto più che una mera espressione geografica, creando legami culturali e politici tra questi Paesi. Negli ultimi decenni, oltre a una crescita senza precedenti del commercio marittimo, si sono anche affermate nuove forme di sfruttamento economico del mare – il turismo ma anche l’estrazione di risorse come il petrolio e il gas naturale. Allo stesso tempo, a causa del cambiamento climatico e dell’innalzamento del livello degli oceani, il mare è diventato anche una minaccia. Aree e città densamente abitate come Giacarta rischiano di essere sommerse nel corso dei prossimi decenni, con costi sociali ed economici immensi. Non a caso, il Governo indonesiano ha spinto per l’approvazione di un Blue Economy Framework durante la sua presidenza dell’ASEAN con l’obiettivo di rendere lo sfruttamento delle risorse marine più sostenibile ed efficace. 

Ma cos’è la blue economy? La Banca Mondiale la definisce come “l’uso sostenibile delle risorse dell’oceano per la crescita economica, un migliore tenore di vita, posti di lavoro e la salute dell’ecosistema oceanico”. Il concetto di “sostenibilità” si deve intendere in modo tripartito e unisce la sostenibilità economica, sociale ed ambientale. Sul piano concreto, il modello dell’economia blu spinge i governi a progettare in modo integrato le loro politiche, agendo su settori economici diversi.  Ad esempio, il Framework ASEAN prevede interventi per raggiungere la neutralità carbonica delle attività marittime, migliorare la capacità di risposta ai disastri naturali, favorire lo sviluppo di nuove tecnologie per i settori coinvolti, facilitare la cooperazione e il coordinamento tra governi nazionali per monitorare il consumo delle risorse. Sono inoltre incluse iniziative per ridurre l’inquinamento da rifiuti e sviluppare il turismo sostenibile legato al patrimonio paesaggistico. 

Uno dei principali elementi di novità del Framework è l’inclusione delle risorse acquatiche terrestri, ossia fiumi, laghi e bacini artificiali. D’altronde la regione è attraversata da grandissimi fiumi – come il Mekong, l’Irrawaddy e il Chao Phraya – che ne hanno plasmato la storia e che continuano a sostenere la vita di milioni di persone. Alla luce di questa innovazione, la blue economy torna utile anche per uno Stato senza sbocchi sul mare come il Laos. Altro elemento d’interesse è che l’ASEAN è il secondo blocco di Paesi, dopo l’Unione Europea, a iniziare coordinare le proprie politiche verso le risorse acquatiche al di sopra del livello nazionale. La cooperazione in questo campo è necessaria, visto che le scelte dei singoli Stati hanno un impatto limitato sulla salute degli oceani. Negoziare a livello multilaterale è più complicato, come dimostra l’accordo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) sui sussidi alla pesca che favoriscono l’esaurimento delle risorse alieutiche. Raggiungere un accordo tra così tanti Paesi, con interessi molto diversi, ha richiesto negoziati difficili e 21 anni di trattative – il tempo trascorso tra la quarta Conferenza Ministeriale OMC di Doha del 2001 e la dodicesima tenutasi a Ginevra nel 2022, dove è stato concluso l’accordo. 

Trovare un accordo tra membri ASEAN può essere più facile, ma può essere comunque difficile da mettere in pratica. Innanzitutto, il Framework non è vincolante e stabilisce strategie di ampio respiro che dovranno poi essere concretizzate in numerose politiche a livello regionale e nazionale. Queste politiche richiedono know-how, risorse amministrative e condivisione d’intenti tra i diversi gruppi di interesse. Gli Stati ASEAN dispongono già di una buona rete di cooperazione internazionale da cui possono ricevere supporto nella definizione di tali politiche: l’UE potrebbe essere un partner essenziale, dato che è l’attore internazionale più simile all’ASEAN e ha già sviluppato un suo approccio all’economia blu. Inoltre, gli Stati che si affacciano sullo stesso mare devono rispettare gli interessi e la sovranità dei vicini. Un tema delicato per i membri ASEAN rivolti verso il Mar Cinese Meridionale, le cui acque sono rivendicate anche da Cina e Taiwan. Non a caso, il Framework ripete con una certa insistenza che la UNCLOS, la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare che stabilisce i confini delle acque territoriali, costituisce una delle sue basi legali essenziali. Per poter cooperare nella protezione dei mari, gli Stati ASEAN devono prima mettere da parte eventuali rivalità residue sul loro controllo.

Climate Finance: la COP28 vista dall’ASEAN

Nel tentativo di rispondere alle esigenze regionali, i 10 membri dell’Organizzazione stanno attualmente sviluppando l’ASEAN Climate Finance Access and Mobilization Strategy, strumento volto ad armonizzare l’uso di strutture e quadri di riferimento per il monitoraggio dei flussi finanziari

Di Sibeles Chiari

A meno di un mese dalla COP28 di Dubai, aumentano le aspettative sul raggiungimento di un accordo trasformativo che allontani l’umanità da scenari catastrofici. Allarma notevolmente la situazione nella regione del Sud-Est asiatico, dove si trovano ben 6 dei 20 Stati identificati come i più vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico: Filippine, Indonesia, Malesia, Myanmar, Thailandia e Vietnam. Preoccupazioni basate su previsioni che annunciano perdite economiche maggiori rispetto a qualsiasi altra parte del mondo, con una diminuzione del PIL stimata all’11% entro il 2100. Di fatto, solo con un incremento copioso dei finanziamenti per il clima e uno sforzo congiunto da parte dei governi, investitori, banche centrali e autorità di regolamentazione finanziaria, si riusciranno a limitare perdite di natura economica e umana. Uno sforzo che, a livello globale, dovrà generare circa 2.400 miliardi di dollari di investimenti totali annui entro il 2030 per riuscire a sostenere i mercati emergenti. In effetti, al vertice di Dubai, la finanza climatica sarà al centro del dibattito politico in quanto, la mobilitazione delle risorse finanziarie e l’attivazione dei meccanismi di finanziamento innovativi (p.e Loss and Damage fund) svolgeranno un ruolo fondamentale nella lotta al cambiamento climatico e nell’accelerazione verso un’economia più sostenibile. Ciò posto, non sorprende il fatto che le dinamiche connesse alla disciplina del climate finance avranno un impatto sempre più consistente sull’andamento delle economie dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico (ASEAN). 

Durante le varie COP del UNFCCC, le nazioni ASEAN hanno continuamente sollecitato i Paesi più industrializzati a rispettare l’impegno preso nel 2009 di fornire 100 miliardi di dollari all’anno ai Paesi in via di sviluppo entro il 2020. Un impegno che è stato più verbale che reale, considerando che, tra il 2000 e il 2019, i Paesi ASEAN hanno ricevuto 56 miliardi di dollari dai Paesi sviluppati. Se da un lato, Stati europei come la Germania e la Francia hanno contribuito rispettivamente per l’11,8% e per l’8,4% del totale dei finanziamenti bilaterali per il clima alla regione, dall’altro il Giappone ha destinato ben il 65%. Spicca, infatti, l’influenza del Paese nipponico che ha lanciato congiuntamente ai membri ASEAN il programma SPACE per contrastare il cambiamento climatico, l’inquinamento e la perdita della biodiversità. Ulteriori finanziamenti per il clima arrivano anche dalla Cina che si posiziona come principale fornitore dei flussi Sud-Sud, seguita dall’India. Così come dagli stessi Paesi ASEAN con i loro contributi alla mobilitazione delle risorse del Green Climate Fund (GCF). Ovviamente, nel contesto di finanza climatica, non manca il consistente supporto proveniente dalla Banca Mondiale e dalla Banca asiatica di Sviluppo (AIB), quale più grande fornitore multilaterale di finanziamenti per il clima alla regione. 

In quest’ultimo decennio, più della metà di tutti i finanziamenti per il clima erogati alla regione sono stati destinati ai settori di trasporti e dello stoccaggio (32%), energia (26%) e agricoltura, silvicoltura e pesca (9%). Preme anche evidenziare le crescite elevate registrate in altri settori, quali la sanità (+427%), le imprese e vari servizi (+336%) e la risposta alle emergenze (+218%). Considerando lo spazio ASEAN, l’Indonesia, le Filippine e il Vietnam hanno ricevuto la quota più alta di finanziamenti e, in effetti, la maggior parte dei fondi è stata destinata ai settori dei trasporti, dell’energia e dell’agricoltura. Per esempio: il Vietnam ha attratto investimenti significativi in campo d’energia eolica e solare; l’Indonesia ha ricevuto finanziamenti e sostegno internazionale alle iniziative per combattere la deforestazione e promuovere la riforestazione attraverso il programma REDD+; così come gli accordi di prestito stipulati recentemente tra le Filippine e la Banca Mondiale per un valore di 876 milioni di dollari volti a finanziare tre progetti di agricoltura sostenibile (MIADP, FISHCORE e PRDP). Con dati alla mano, l’Asia riceve la quota più alta di finanziamenti per il clima tra tutte le regioni del mondo. Senza dubbio è un dato che ispira ottimismo, sebbene la quota pro-capite dei Paesi del Sud-Est asiatico rimanga la più bassa.Infine, nel tentativo di rispondere alle esigenze regionali, i 10 membri dell’Organizzazione stanno attualmente sviluppando l’ASEANClimate Finance Access and Mobilization Strategy, strumento volto ad armonizzare l’uso di strutture e quadri di riferimento per il monitoraggio dei flussi finanziari. Pertanto, tale strategia accelererà gli investimenti per l’attuazione delle azioni di mitigazione e adattamento basate sulle esigenze identificate dagli Stati membri. Un’iniziativa che favorirà l’accesso ai finanziamenti per il clima perseguendo come obiettivo finale, nonché speranza comune tra tutti noi, la salute del nostro caro pianeta.

Più cooperazione tra ASEAN e Paesi del Golfo

ASEAN e Consiglio di Cooperazione del Golfo stanno valutando un potenziale accordo di libero scambio, tema peraltro affrontato due anni fa dall’Associazione Italia-ASEAN a Dubai. Qui pubblichiamo uno stralcio del comunicato congiunto pubblicato al termine del vertice bilaterale di venerdì 20 ottobre

Ispirati dagli interessi comuni e dai legami storici profondamente radicati tra le due parti, i leader hanno scambiato opinioni su questioni regionali e internazionali comuni e hanno discusso i modi per migliorare e sviluppare la loro partnership per trarre vantaggio dalle opportunità di crescita che possono essere sfruttate attraverso la cooperazione tra le due regioni, sulla base delle visioni condivise per il futuro del loro partenariato e dei valori incarnati nella Carta delle Nazioni Unite. I leader si impegnano a:

  1. Unire gli sforzi per promuovere la pace, la sicurezza, la stabilità e la prosperità, attraverso il rispetto reciproco e la cooperazione tra i Paesi e le regioni per raggiungere lo sviluppo e il progresso e mantenere l’ordine internazionale basato sulle regole e sull’adesione alla Carta delle Nazioni Unite.
  2. Intraprendere consultazioni ed esplorare la cooperazione su aree specifiche di interesse comune per attuare le quattro aree prioritarie dell’ASEAN Outlook on the Indo-Pacific (AOIP): cooperazione marittima, connettività, Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs), economica.
  3. Riconoscere l’importanza degli oceani e dei mari come fattori chiave per la crescita e la prosperità della regione e riaffermare l’importanza di mantenere e promuovere la pace, stabilità, sicurezza marittima, libertà di navigazione e di sorvolo nella regione, e di altri usi legittimi dei mari e di un commercio marittimo legittimo e senza ostacoli, nonché di promuovere la risoluzione pacifica delle controversie, in conformità con i principi universalmente riconosciuti del diritto internazionale, tra cui la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) del 1982.
  4. Rafforzare i legami tra le due parti, a livello multilaterale e bilaterale, e in forum globali, perseguendo opportunità per lo sviluppo sostenibile, la pace, la sicurezza e la stabilità e per affrontare le sfide e i rischi globali e regionali; per garantire catene di approvvigionamento sostenibili, interconnessione dei trasporti e rafforzare la sicurezza alimentare, energetica e idrica, nonché costruire una cooperazione in materia di fonti e tecnologie energetiche verdi e rinnovabili, infrastrutture turistiche, creazione di fonti energetiche.
  5. Condurre ulteriori consultazioni per esplorare nuove opportunità di commercio, investimenti e cooperazione tecnica tra l’ASEAN e il CCG, compresa la possibilità di sviluppare un accordo quadro sulla cooperazione economica, commerciale e di investimento.

Testo integrale qui.

Così l’ASEAN può sconfiggere l’oceano di plastica

L’inquinamento da plastica è una sfida cruciale per il futuro della regione ASEAN, con oltre 31 milioni di tonnellate di rifiuti plastici generati ogni anno in 6 Paesi su 10. Ma ci sono le potenzialità per risolvere il problema

Di Tommaso Magrini

La plastica è uno dei principali problemi del Sud-Est asiatico e uno dei principali ostacoli alla transizione della regione verso un’economia green. Dei dieci Paesi più inquinanti, sei si trovano nel Sud-est asiatico, secondo i dati del World Economic Forum. Le Filippine da sole hanno riversato nell’oceano 356.371 tonnellate metriche di rifiuti plastici in un anno, circa il 35% della cifra globale. Seguono Malesia (73.098), Indonesia (56.333), Myanmar (40.000), Vietnam (28.221) e Thailandia (22.806). Insieme, questi Paesi sono responsabili di oltre la metà dell’inquinamento da plastica negli oceani. 

L’ASEAN sembra comunque decisa ad affrontare il problema con decisione. Gli Stati membri hanno riconosciuto il loro dovere di collaborare per proteggere le loro coste, i loro mari e i loro mezzi di sussistenza dall’inquinamento marino da plastica già nel 2019, quando hanno adottato la Dichiarazione di Bangkok sulla lotta ai detriti marini nella regione ASEAN. Sulla base di questo impegno, nel 2021 hanno lanciato il Piano d’azione regionale per la lotta ai detriti marini. Questo piano quinquennale mira a sostenere le politiche regionali e a migliorare il coordinamento in tre aree principali: ridurre l’uso e la produzione di plastica, migliorare la raccolta e il riciclaggio e promuovere il riutilizzo.

Nelle scorse settimane è stato fatto un passo ulteriore, per la precisione al summit ASEAN di settembre in Indonesia, al termine del quale è arrivata la pubblicazione dell’ASEAN Blue Economy Framework. I divieti sui prodotti di plastica monouso sono un esempio di politiche nazionali che vengono sviluppate da un numero sempre maggiore di Paesi della regione. 

Un altro strumento politico che si sta introducendo è costituito dagli schemi di “responsabilità estesa del produttore” (EPR). Questi richiedono ai produttori di ripensare il modo in cui progettano e sviluppano i prodotti, assumendosi la responsabilità dell’intero ciclo di vita, compreso lo smaltimento e il riciclaggio. I produttori sono chiamati a rispettare gli obiettivi di riduzione dei rifiuti e a pagare tasse che finanzieranno il sistema di raccolta e riciclaggio dei rifiuti in plastica.

Nel 2022, il Vietnam è stato il primo Paese del Sud-Est asiatico a emanare un decreto che impone obblighi di imballaggio, riciclo e trattamento dei rifiuti a produttori e importatori. Le Filippine hanno seguito, emanando la legge sull’EPR nel luglio 2022. In molti casi, le iniziative sono solo volontarie, come nel caso della Thailandia. Le aziende sono anche sollecitate a sviluppare prodotti riutilizzabili, a ridurre l’uso di plastica vergine da un lato e a contribuire alla raccolta e al riciclaggio post-consumo dall’altro. Affinché gli obiettivi siano ambiziosi e raggiungibili, è importante considerare il contesto locale, assicurandosi che tutti gli attori della catena del valore della plastica siano in grado di rispettarli.

La collaborazione regionale, come sottolinea sempre il World Economic Forum, diventa fondamentale per sviluppare politiche migliori. Facilitare il dialogo tra i Paesi è vantaggioso per i governi e le imprese. Offre l’opportunità di condividere gli insegnamenti tratti dai progetti pilota e di diffondere le soluzioni di successo sviluppate a livello locale. Una forte azione integrata per combattere l’inquinamento da plastica può aprire la strada a una nuova era per l’ASEAN: dall’essere conosciuta come la regione più colpita dall’inquinamento da plastica negli oceani, può diventare la regione con le più audaci ambizioni verdi.

L’Australia si butta sull’ASEAN

L’anno scorso gli investimenti diretti dell’Australia nel Sud-Est asiatico sono stati pari a 28 miliardi di dollari australiani, una cifra che Canberra vuole nettamente aumentare

Di Tommaso Magrini

Al recente summit ASEAN hanno partecipato anche diversi partner, molti dei quali hanno sottoscritto importanti accordi di cooperazione col blocco dei Paesi del Sud-Est asiatico. Tra questi c’è senz’altro l’Australia. A Giacarta, sede del vertice, Canberra ha presentato un piano economico per incrementare gli affari con l’area ASEAN, che comprende un impegno immediato di 44,7 milioni di dollari per la creazione di un nuovo “team per gli affari” australiano con sede nella regione. Il piano, intitolato “Invested: Australia’s Southeast Asia Economic Strategy to 2040” afferma che gli investimenti australiani nella regione sono “sottopesati”. Scritto dall’inviato speciale dell’Australia nel Sud-Est asiatico, Nicholas Moore, contiene 75 raccomandazioni, tra cui l’istituzione di un gruppo di lavoro per individuare e facilitare un maggior numero di investimenti reciproci. Il Primo Ministro Anthony Albanese lo ha definito “un rafforzamento del nostro impegno, atteso da tempo, che riflette la velocità della trasformazione in atto e la portata delle opportunità che ci attendono”. Canberra ha inoltre immediatamente stanziato quasi 20 milioni di dollari australiani per una Southeast Asia Business Exchange che incrementerà gli scambi commerciali, nonché 6 milioni di dollari australiani per un programma pilota di collocamento e tirocinio per i giovani professionisti della regione. “Entro il 2040, l’ASEAN sarà il quarto mercato più grande dopo Stati Uniti, Cina e India. È un’opportunità enorme per il Sud-Est asiatico, è un’opportunità enorme per l’Australia”, ha dichiarato la Ministra degli Esteri Penny Wong. L’anno scorso gli investimenti diretti dell’Australia nel Sud-Est asiatico sono stati pari a 28 miliardi di dollari australiani, una cifra che Canberra vuole nettamente aumentare. I nuovi progetti appena annunciati individuano anche alcuni settori specifici su cui si intende rafforzare i legami: agricoltura e alimentazione, risorse, transizione energetica verde, infrastrutture, istruzione e competenze, economia dei visitatori, sanità, economia digitale, servizi professionali e finanziari e industrie creative.