Asean

ASEAN, parola d’ordine sviluppo

Mentre continua la guerra in Ucraina, nel centro dei piani dei Paesi del Sud-Est asiatico restano integrazione, cooperazione e crescita

Il 2023 si è aperto come si era chiuso il 2022: con l’Occidente preoccupato per la guerra in Ucraina e l’inflazione da una parte e con l’Asia che cerca di irrobustire la sua crescita dall’altra. Ed è proprio l’ASEAN che si propone sempre più come piattaforma di investimento ma anche di dialogo. Una tendenza anticipata in modo evidente da due processi in accelerazione: il flusso di progetti esteri nei Paesi del Sud-Est asiatico e le mosse dei loro governi in apertura al commercio e alla mobilità internazionali. Oltre allo stimolo della domanda interna, che già nel 2022 è tornata a crescere in maniera vibrante, gli esecutivi della regione hanno capito che eliminare barriere di tipo regolatorio, normativo e fiscale consente di rilanciare l’impegno sui due concetti chiave di apertura e integrazione. Pilastri del miglioramento del dialogo commerciale e politico a livello multilaterale. Il libero scambio è stato un motore fondamentale dello sviluppo dell’Asia negli ultimi decenni ma ora alcune potenze globali stanno adottando posture semi protezionistiche, costringendo diverse  imprese a riconsiderare le loro catene di approvvigionamento. Nonostante questo, l’Asia continua a essere la regione più dinamica del mondo, sostenuta dall’orientamento allo sviluppo della maggior parte dei suoi governi. Dalla Regional Comprehensive Economic Partnership ad altri accordi di libero scambio, gli esempi a supporto di questa prospettiva sono numerosi anche negli ultimi anni di pandemia. I risultati si vedono. Nel 2022 il Vietnam è cresciuto oltre l’8%, un dato record dal 1997 spinto dall’aumento del 13,5% degli investimenti diretti esteri. Non solo da parte di chi sposta parte delle proprie linee di produzione dalla Cina continentale ma anche e soprattutto nell’ambito di nuovi progetti che la regione è sempre più in grado di attirare. Compresi quelli legati all’industria manifatturiera hi-tech. Certo, le incertezze globali hanno portato l’Asian Development Bank a ridurre le sue previsioni di crescita economica per il 2023 per l’Asia in via di sviluppo, che comprende 46 economie, dal 4,9% al 4,6%. Escludendo la Cina, il tasso di crescita è stato ridotto dal 5,3% al 5%. Un’espansione di circa il 5% sarebbe comunque la più veloce di qualsiasi altra regione del mondo. La regione del Sud-Est asiatico è d’altronde destinata a diventare il più grande mercato unico del mondo entro il 2030. 

ASEAN epicentro della crescita nel 2023

L’anno appena iniziato presenta diverse incognite, dalla guerra in Ucraina all’inflazione, ma anche una certezza: il ruolo fondamentale del Sud-Est asiatico

“ASEAN Matters: Epicentrum of Growth”. Ossia “L’ASEAN conta: epicentro della crescita”. È questo l’azzeccato slogan scelto dall’Indonesia per la presidenza di turno del 2023 del blocco dei Paesi del Sud-Est asiatico. Dopo aver ospitato con successo il summit del G20 a Bali, il governo indonesiano si lancia con fiducia sul prossimo obiettivo: coordinare le diverse posizioni e gli interessi dei Paesi membri dell’ASEAN, mantenere l’unità del blocco ed elevare ulteriormente la statura del Sud-Est asiatico a centro di crescita globale. Una missione resa meno complicata dalla tendenza che ha visto protagonista l’area già negli scorsi anni. Nonostante tutte le difficoltà create prima dalla pandemia di Covid-19 e poi dalla guerra in Ucraina coi suoi numerosi effetti collaterali a partire dall’inflazione, la regione ha resistito in maniera brillante. Una delle storie più interessanti da raccontare è forse quella del Vietnam, che nel 2022 è cresciuto sopra l’8 per cento, il dato più alto degli ultimi 25 anni. Ma non si tratta solo di dati e di punti percentuali di prodotto interno lordo. A contare in modo positivo anche la predisposizione all’apertura sempre mantenuta dal blocco, pur con le dovute differenze e discontinuità tra i vari Stati membri. Nel 2023, l’Indonesia proverà a far “pesare” ancora di più tutti questi elementi sul piano internazionale, mentre su quello regionale intende mantenere l’attenzione sull’espansione della cooperazione economica a livello di blocco. Giacarta cercherà inoltre di costruire un consenso sulla sicurezza alimentare ed energetica, rafforzando le catene di approvvigionamento. Non mancano sfide complicate anche sul fronte interno, su tutte la crisi in Myanmar, tema su cui la presidenza indonesiana proverà a fare passi avanti significativi. Senza mai perdere di vista il fatto che il libero scambio è stato un motore fondamentale dello sviluppo dell’Asia negli ultimi decenni e il Sud-Est asiatico sta mostrando da tempo di voler evitare a tutti i costi non solo il cosiddetto disaccoppiamento economico ma anche una nuova guerra fredda in cui grandi potenze spingono tutti gli altri a scegliere da che parte stare. Il motto della presidenza indonesiana ribadisce che la scelta dell’ASEAN è quella della crescita economica e dell’integrazione commerciale.

Timor Leste verso l’ingresso in ASEAN

Dopo più di dieci anni dalla candidatura, Dili si appresta a diventare l’undicesimo Stato membro del blocco del Sud-Est asiatico

Siglato al termine del 40° ASEAN Summit tenutosi a Phnom Penh, l’accordo in linea di principio ha concesso a Timor Leste lo status di osservatore e la partecipazione a tutte le riunioni dell’ASEAN, comprese le plenarie del vertice. Il Paese sarebbe il primo nuovo membro ASEAN dopo più di due decenni dall’ammissione della Cambogia nel 1999.

L’attesa decisione arriva dopo anni di dibattiti, che includono le iniziali riserve da parte di Singapore. Il Presidente Ramos-Horta presentò la candidatura di Timor Leste per l’adesione all’ASEAN nel 2011, un anno prima di completare il suo primo mandato quinquennale. Allora la richiesta fece emergere non poche resistenze anche in patria, a causa della mancanza di risorse umane ed economiche del Paese per adattarsi ai programmi dell’ASEAN, e soprattutto degli obblighi finanziari che i membri sono tenuti a pagare per gestire l’organizzazione regionale. La decisione è, quindi, un grande traguardo per Ramos-Horta, che vinse il premio Nobel per la pace nel 1996, insieme all’allora vescovo di Dili Carlos Ximenes Belo, per le loro campagne pacifiche a favore dell’indipendenza dall’Indonesia. L’inclusione nel blocco regionale sembrerebbe infatti l’inizio di un mea culpa dell’Indonesia nei confronti della sua ex colonia. 

La storia delle due nazioni è macchiata dalla perdita di migliaia di vite e dai terribili atti di violenza, che hanno segnato i 24 anni di occupazione indonesiana dell’allora Timor orientale. Molti altri sono stati uccisi all’indomani del referendum approvato dalle Nazioni Unite il 30 agosto 1999, quando i timoresi orientali hanno votato per l’indipendenza dall’Indonesia.

Nel dicembre 1975, con la piena approvazione del presidente degli Stati Uniti Gerald Ford e del primo ministro australiano Gough Whitlam, l’allora presidente Suharto invase Timor Est, dopo che fu abbandonato dal Portogallo, controllato dai comunisti. Per più di un ventennio l’Indonesia ha agito come padrona coloniale di Timor Est, che fu nominata ventisettesima provincia della Repubblica. Tuttavia, le Nazioni Unite non hanno mai riconosciuto la sovranità dell’Indonesia su Timor Est, anche grazie alla campagna globale di Ramos-Horta. Nell’ondata di cambiamento che ha portato alla caduta del regime di Suharto, il suo successore BJ Habibie decise di far scegliere al popolo di Timor Est il futuro del loro Paese, tramite un referendum che sancì l’indipendenza dall’Indonesia, con quasi l’80% dei voti. Non potendo accettare una tale sconfitta, l’esercito indonesiano e le sue milizie iniziarono una distruzione senza eguali, costringendo centinaia di migliaia di persone a fuggire. La pace fu ripristinata solo dopo che le Nazioni Unite inviarono truppe multinazionali e l’esercito indonesiano accettò di collaborare. Timor Leste venne scelto come nome ufficiale della nuova Repubblica, che dichiarò la sua piena indipendenza il 30 maggio 2002. 

Timor Leste, che condivide le isole di Nusa Tenggara con l’Indonesia, è ora tra le nazioni più povere del mondo, il motivo principale per cui Singapore si era opposto al suo ingresso nel blocco. In tutti questi anni, è stato il presidente Joko Widodo a spingere i colleghi leader regionali ad accettare Timor Leste come parte del gruppo. Fin dall’inizio Singapore ha messo in dubbio la capacità di Timor Leste di aderire al blocco commerciale, temendo che uno Stato così impoverito diventerebbe solo un onere inutile per l’ASEAN.

Tuttavia, l’ASEAN ha ammesso nuovi membri nonostante le scarse risorse umane ed economiche. Timor Leste rimane un Paese a basso reddito, ma il suo benessere è migliore di quello del Myanmar di oggi. Gode di enormi riserve di petrolio e gas, e nel 2021 il reddito pro-capite è stato pari a 1.400 dollari. 

Aiutare i nuovi Stati membri è una procedura standard per l’ASEAN. La sua storia lo dimostra prima con Laos e Myanmar nel 1997 e poi la Cambogia nel 1999. Ai nuovi membri del blocco è stato anche concesso un trattamento speciale per mettersi al passo con i membri economicamente più forti come Indonesia, Vietnam, Thailandia.  

Nell’attesa di ricevere le stesse agevolazioni, i presupposti sono davanti agli occhi di tutti. L’ingresso in ASEAN darebbe finalmente a Timor Leste condizioni di parità all’interno del gruppo e l’accesso a un enorme mercato, che aiuterebbe il Paese a crescere più velocemente e a far parte dei processi decisionali. L’Indonesia non riuscirà a ripagare il suo debito, ma è pronta a scrivere un nuovo futuro.

ASEAN, un 2023 tra sfide e opportunità

L’anno che si apre può ulteriormente rafforzare il ruolo economico e diplomatico del blocco dei Paesi Sud-Est asiatico, che potrebbe anche accogliere un nuovo membro

Il 2022 è stato l’anno in cui l’ASEAN e il Sud-Est asiatico hanno dimostrato di essere una piattaforma, anzi “la” piattaforma per eccellenza, della ripartenza economica e diplomatica a livello globale. Non solo una maggiore resistenza alle spinte inflazionistiche, la regione ha fatto segnare ottimi numeri di ripresa economica nonostante tutte le difficoltà legate alla coda della pandemia di Covid-19 e alla guerra in Ucraina. Di più. Il successo dei vari summit multilaterali che si sono svolti nell’area, tra G20 in Indonesia e APEC in Bangkok, conferma la capacità dell’ASEAN di essere considerata un’interlocutrice diplomatica affidabile.  Questo nonostante alcune zone d’ombra e problemi irrisolti, primo fra tutti la crisi in Myanmar sulla quale la presidenza di turno cambogiana, nonostante diversi tentativi, non è riuscita a compiere passi avanti significativi. Nel 2023 le sfide non mancheranno, ma la sensazione è che la presidenza indonesiana farà di tutto per cogliere le opportunità. Dopo aver ospitato il G20 a Bali, la principale economia del blocco si proietta con forza sul suo ruolo di leader regionale. Giacarta mirerà dunque alla creazione di una rete di cooperazione intraregionale che vada dal cambiamento climatico alla difesa informatica, passando per l’economia digitale e la sicurezza alimentare, quest’ultima posta tra le priorità del 2023. Possibile anche che arrivi un impulso decisivo all’ingresso di un undicesimo membro nell’Associazione: Timor Est. C’è chi avanza perplessità sulle diverse condizioni dell’economia di Dili con quella dei Paesi più avanzati del blocco, ma l’ASEAN non supererà mai del tutto la sua intrinseca diversità, che però si sta dimostrando in grado di sfruttare come punto di forza e di orgoglio. L’ASEAN è riuscita a prevenire l’emergere di conflitti tra grandi potenze e guerre regionali dalla fine della guerra fredda, quando le truppe vietnamite si ritirarono dalla Cambogia nel 1989, aprendo la strada agli accordi di pace di Parigi del 1991. Il blocco ha superato la crisi finanziaria asiatica espandendo il commercio intraregionale e promuovendo un regime di cambio comune. Più di recente, il Vertice dell’Asia orientale ha portato con successo al suo tavolo potenze esterne, tra cui Stati Uniti, Cina, Russia, Giappone e Australia, rafforzando il potere diplomatico del blocco. La “third way” dell’ASEAN pare una via da percorrere in maniera sempre più decisa.

La rivoluzione fintech nel Sud-Est asiatico

A Singapore il mercato digitalesta trasformando il settore bancario, con la recente apertura della città-stato asiatica alle banche digitali che minacciano il monopolio delle banche tradizionali. Una tendenza regionale

Il mercato dei pagamenti digitali nel Sud-Est asiatico in espansione dovrebbe raggiungere un volume di 2.000 miliardi di dollari nel 2030. Secondo un rapporto prodotto da Google, le transazioni entro quella data dovrebbero triplicare rispetto al decennio precedente, grazie alla forza trainante delle fintech e delle banche digitali in crescita nella regione. Questo studio annuale è stato promosso in collaborazione con Temasek Holdings, l’investitore statale di Singapore, insieme ad altre società di consulenza, e osserva l’andamento del mercato digitale in sei Paesi: Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore, Thailandia e Vietnam. Un altro vettore di crescita secondo il report è l’ingente aumento di utenti di Internet, che nel 2022 dovrebbero raggiungere i 460 milioni. Questi numeri sono probabilmente destinati a moltiplicarsi nei prossimi anni, in linea con le dinamiche di sviluppo demografico di tutta la regione del Sud-Est asiatico. Se durante la pandemia l’adozione del digitale ha visto una crescita repentina in tutta l’area, ora la gran parte delle aziende sta rallentando la fase di acquisizione di nuovi clienti per migliorare l’engagement di quelli già raggiunti negli scorsi anni. Ecco perché, secondo il rapporto, la rapida accelerazione registrata negli scorsi anni sta imboccando un processo di normalizzazione, con un modesto totale di 20 milioni di nuovi utenti previsti per il 2022 che rappresentano la metà di quelli raggiunti tra il 2020 e il 2021. A Singapore il mercato digitale sta trasformando il settore bancario, con la recente apertura della città-stato asiatica alle banche digitali che minacciano il monopolio delle banche tradizionali. Secondo Tsubasa Suruga di Nikkei Asia, per il momento i grandi gruppi bancari possono dormire sonni tranquilli: la loro posizione dominante li mantiene comunque in vantaggio, con la loro ampia gamma di servizi e l’ampia base di clienti al seguito. Perché le banche virtuali riescano ad eguagliare la redditività di questi operatori ci vorrà ancora tempo.

I risultati del vertice UE-ASEAN

Editoriale a cura di: Alessandra Schiavo, Vice Direttrice Generale/Direttrice Centrale per i Paesi Asia e Oceania del MAECI

Il 14 dicembre si è tenuto a Bruxelles il I Vertice UE-ASEAN a livello di Capi di Stato e di Governo. L’evento ha celebrato il 45° anniversario del Partenariato di Dialogo tra l’allora CEE e l’ASEAN, nonché il suo progressivo rafforzamento. Dal 1977, il rapporto bi-regionale è cresciuto esponenzialmente, con i rispettivi membri oggi confrontati a molteplici rischi e a un quadro internazionale radicalmente mutato: il cambiamento climatico, la vulnerabilità sanitaria, la ripresa post-Covid, la crisi energetica, la sicurezza alimentare, nonché un’intensa competizione sul fronte politico e securitario.

In questo scenario, l’ASEAN si è affermato come attore chiave per l’Unione Europea, interessata a promuovere i valori del pluralismo e della tolleranza contro le crisi che minano la stabilità, come l’aggressione in Ucraina e l’efferato colpo di Stato in Myanmar.

L’acquisita consapevolezza che solo lavorando insieme è possibile preservare la pace e generare una prosperità condivisa, ha fatto sì che nel 2020 l’UE divenisse Partner Strategico dell’ASEAN, con un sempre più proficuo dialogo in materia securitaria. L’UE è anche il terzo partner commerciale dell’Associazione. A ottobre è stato firmato il Comprehensive Air Transport Agreement UE-ASEAN, primo accordo di trasporto aereo interregionale. In occasione del Summit, è stata presentata la Team Europe Initiative sulla connettività sostenibile con l’ASEAN (cui aderisce per l’Italia CDP); firmati anche i Partnership Comprehensive Agreements con Thailandia e Malesia.

Il Vertice si è concluso con un Comunicato Finale Congiunto, che ha dato rilievo alla cooperazione economica e in materia di connettività, sviluppo sostenibile, transizione verde e digitale, e individuato un punto di consenso su alcuni dei più spinosi temi internazionali. Vi hanno preso parte i Presidenti e i Primi Ministri dei Paesi UE e ASEAN (tranne il Myanmar), oltre ai vertici delle due Organizzazioni regionali. Con la partecipazione del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, l’Italia ha inteso rinnovare la crescente attenzione all’ASEAN, perno della stabilità nell’Indo-Pacifico e di una parte del mondo sempre più essenziale per gli equilibri geostrategici e che ci vede sempre più impegnati. Non a caso, il Vertice è stato anche l’occasione per valorizzare il Partenariato di Sviluppo tra l’Italia e l’ASEAN (nei suoi volet politico-securitario, economico, culturale e di cooperazione allo sviluppo). Un legame che viene coltivato tramite iniziative concrete e di capacity building, e che trova nell’annuale “High Level Dialogue on ASEAN-Italy economic relations” (la cui prossima edizione, nel 2023, sarà ospitata dalla Thailandia) un momento di sintesi cruciale.

Accordi commerciali UE-Paesi ASEAN: a che punto siamo?

A Bruxelles c’è interesse per la conclusione di nuovi accordi di libero scambio, anche se la strada è in salita per i negoziati con i partner ASEAN. Le tensioni internazionali e le preoccupazioni domestiche (da entrambi i lati) rendono i negoziati più complessi. Ma il commercio internazionale rimane vitale per l’economia di entrambi i blocchi.

La Presidenza ceca del Consiglio UE aveva individuato a metà 2022, come sue priorità, la conclusione di nuovi free trade agreement (FTA) ‘in particolare in America Latina e nell’Indo-pacifico (…) con i partner like-minded’. Una priorità condivisa dai membri del Parlamento europeo che, durante le riunioni con i delegati di Praga che durante le prime settimane di Presidenza, hanno espresso l’urgenza di concludere gli accordi con Nuova Zelanda, Messico, Cile, Australia, India e MERCOSUR. In altre parole, a Bruxelles è vivo il desiderio aprirsi a nuovi mercati attraverso accordi bilaterali, ma si guarda ai differenti tavoli negoziali con diversi gradi di ottimismo. I trattati con Paesi ASEAN in discussione al momento – con Indonesia e Filippine – sembrano più difficili da concludere. I negoziati con Malesia e Thailandia sono rimasti bloccati per anni a causa delle vicende politiche interne dei due Paesi – se le trattative con Bangkok stanno ripartendo, quelle con Kuala Lumpur dovranno fare i conti con la crescente instabilità della politica nazionale. Tutto ciò nonostante l’UE abbia conseguito due recenti successi – i FTA con Vietnam e Singapore – proprio in questa regione.

Il negoziato in fase più avanzata è quello con l’Indonesia. Giacarta è un interlocutore essenziale per Bruxelles, e non solo sul piano commerciale. Il Paese è un attore fondamentale nell’ASEAN e anche nel G20, come ha dimostrato durante la sua recente Presidenza del Summit. Entrambi i partner sono interessati a rafforzare i rapporti commerciali, ma ci sono ancora dei nodi da sciogliere – in particolare, la tutela dei diritti di proprietà intellettuale (capitolo che abbraccia anche la protezione delle indicazioni geografiche) e l’annosa questione dell’olio di palma. La guerra russo-ucraina potrebbe incidere su questo punto dato che, da parte europea, la domanda di olii vegetali indonesiani sta crescendo – a causa della necessità di sostituire i fornitori nei Paesi coinvolti nel conflitto. Un altro tassello importante dell’accordo riguarderà gli investimenti. Anche in questo caso, l’opportunità economica si intreccia con quella politica. L’UE – come anche gli USA – si vuole presentare come un partner alternativo alla Cina nei progetti infrastrutturali strategici attraverso la strategia Global Gateway, pensata per rispondere alla Belt and Road Initiative di Pechino. Considerando che i rapporti commerciali Cina-Indonesia si stanno rafforzando anche grazie all’accordo RCEP, la conclusione di un FTA potrebbe aiutare Bruxelles a non perdere terreno rispetto a Pechino.

La tutela della proprietà intellettuale – in particolare quando riguarda il settore farmaceutico – è terreno di confronto anche nelle trattative con le Filippine. La percezione di Manila è che i negoziatori europei diano troppa priorità agli interessi dei detentori dei brevetti a discapito dell’interesse generale di accesso ai medicinali. Negli scorsi anni i negoziati erano andati a rilento anche a causa delle preoccupazioni dei MEP circa il rispetto dei diritti umani nel Paese – durante la campagna dell’ex presidente Rodrigo Duterte contro il traffico di droga avevano fatto scalpore le esecuzioni sommarie perpetrate dalle forze di sicurezza nazionali – e Strasburgo era arrivata a chiedere la sospensione del regime commerciale di favore GSP+. Il rispetto dei diritti umani, civili e politici è un requisito necessario per il proseguimento dell’iter negoziale dal punto di vista dell’UE – a riprova di questo, i negoziati con la Thailandia si erano interrotti nel 2014 a causa del golpe militare.

Anche questioni domestiche meno “sinistre” possono bloccare l’avanzamento delle trattative. Ad esempio, il dialogo con la Malesia si è interrotto a causa dell’incertezza politica nel parlamento di Kuala Lumpur: i recenti governi sono stati tutti sostenuti da maggioranze traballanti e mutevoli. E rimane difficile mettere d’accordo tutti gli stakeholder su temi complessi come i trattati commerciali. Per tornare al tema dell’olio di palma, gli agricoltori del settore sono un gruppo di pressione molto influente in Malesia e guardano con un certo fastidio alle politiche UE sul tema – e infatti i recenti governi nazionali sono stati molto duri verso Bruxelles, sollevando la questione anche in sede WTO, insieme all’Indonesia. D’altronde, anche la società civile europea ho opinioni forti, e di segno opposto, sul tema e influenza in questo senso le Istituzioni europee. I negoziatori europei si trovano a doversi destreggiare tra le richieste dei loro concittadini e quelle delle delegazioni dei partner, a volte anche divise al loro interno – in certi Paesi ASEAN, ministeri dello stesso governo sono in competizione tra loro per far prevalere gli interessi dei gruppi di pressione a cui sono più legati, a discapito di altre porzioni dell’economia o della società. 

Nonostante le difficoltà, proseguire nella liberalizzazione dei rapporti commerciali può portare grandi benefici a entrambi i blocchi, i quali devono all’export buona parte del loro dinamismo economico. La conclusione di accordi bilaterali tra l’UE e i singoli Paesi ASEAN potrebbe facilitare i negoziati per un futuro FTA region-to-region – questa sembra essere l’obiettivo finale di Bruxelles dopo il fallimento dello stesso progetto nel 2009. Superare le difficoltà tecniche e politiche – che abbiamo solamente tratteggiato in questo articolo – rappresenterebbe un segnale positivo in una fase in cui l’unilateralismo sembra diventare la cifra della politica commerciale internazionale.

ASEAN centro della connettività globale

Diversificazione, integrazione regionale e piano di sviluppo resiliente. Ecco i tre strumenti coi quali il Sud-Est asiatico può rafforzare il suo ruolo

Editoriale a cura di Lorenzo Lamperti

Come sappiamo, l’ASEAN è da sempre un caposaldo di una “terza via” della diplomazia globale, basata su neutralità e pacifismo. In un contesto come quello attuale, tra guerra in Ucraina e turbolenze varie che raggiungono anche l’area dell’Asia-Pacifico, diventa ancora più urgente per il Sud-Est asiatico riuscire a rafforzare quella sua politica di “non allineamento”, o meglio di “non confronto”. Magari legando la propria visione con quella di chi ha le stesse esigenze, cioè quelle di evitare il decoupling o un ritorno di un mondo diviso in blocchi. In che modo i Paesi del gruppo ASEAN stanno provando a perseguire questo obiettivo? Il primo strumento, individuato da Xue Gong della Nanyang Technology University di Singapore, è quello della diversificazione. Nel settore della connettività regionale, ad esempio, il Sud-Est asiatico ha cercato più partner per contribuire a soddisfare il bisogno di infrastrutture regionali. Oltre alla Belt and Road cinese e alla Partnership for Quality Infrastructure giapponese, si stanno esplorando anche altre piattaforme per migliorare l’integrazione regionale, come l’agenda per la connettività ASEAN-Europa e il programma ARISE (Asean Regional Integration Support from the EU). Il secondo strumento è quello del rafforzamento dell’integrazione regionale. Mantenendo aperti i dialoghi regionali e facendo leva sul loro valore strategico per ottenere vantaggi economici, gli Stati membri dell’ASEAN sono stati in grado di collaborare con vari attori regionali per rafforzare l’integrazione economica. Un esempio importante è la Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP). L’ultimo strumento, secondo Xue Gong, è la definizione di un piano di sviluppo resiliente. Rispetto al periodo della Guerra Fredda, oggi i Paesi non allineati avrebbero accesso a maggiori risorse grazie all’interconnessione economica. Poiché hanno prosperato grazie all’integrazione regionale, le élite del Sud-Est asiatico comprendono meglio di chiunque altro l’importanza di un’economia regionale aperta che attragga investimenti privati e relazioni commerciali reciprocamente vantaggiose. Un mercato del Sud-Est asiatico forte, attraente e densamente collegato aumenta la partecipazione degli altri Paesi nella regione, compresa quella delle grandi potenze. E nel mondo più globalizzato del XXI secolo, l’ASEAN può davvero elevare il suo status non solo commerciale ma anche diplomatico favorendo l’interazione tra le potenze.

Il vertice commemorativo UE-ASEAN

I leader dei due blocchi si danno appuntamento a Bruxelles per celebrare la partnership e trovare nuovi spazi di cooperazione

Articolo di Chiara Suprani

Il 14 dicembre i capi di Stato e leader nazionali dei Paesi del blocco ASEAN e dell’Unione Europea si incontreranno a Bruxelles per commemorare il 45esimo anniversario della formalizzazione della partnership bilaterale, elevata a “partnership strategica” come ha ricordato l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza Josep Borell in un discorso del 4 agosto. Tutti i capi di Stato saranno presenti, ad esclusione dei leader birmani, mentre si attende ancora la risposta del neo-premier malese. A fronte degli eventi che hanno caratterizzato gli ultimi anni l’occasione, preceduta da due incontri il 13 dicembre, quello del Summit della Gioventù e il decimo Business summit EU-ASEAN, è di grande rilevanza. Dato il clima internazionale, la sicurezza sarà uno dei temi cardine dell’evento. Bruxelles potrebbe cercare di ottenere una posizione più chiara da parte dei Paesi ASEAN sull’invasione russa dell’Ucraina, al fine di ricevere maggiori garanzie sul rispetto delle sanzioni imposte dall’UE alla Russia. L’evento, co-presieduto dalla Cambogia che ha la presidenza di turno ASEAN fino a fine anno, affronterà snodi chiave della relazione bilaterale tra i Paesi ASEAN e quelli europei come commercio e sostenibilità, energia rinnovabile, investimenti e connettività. Alcuni di questi snodi chiave sono già stati preceduti da accordi bilaterali tra Paesi membri come la “Partnership per la Sostenibilità” tra Svezia ed Indonesia. Giacarta, alla quale spetterà la presidenza ASEAN per il 2023,  ha attraversato 11 round di negoziati per la stesura di un accordo di libero scambio con l’UE, che ancora non è stato raggiunto. Secondo The Diplomat, l’UE dovrebbe puntare a raggiungere un compromesso negoziale per la firma indonesiana del trattato, un compromesso simile a quello concesso a Vietnam e Singapore, Paesi con i quali ha chiuso le negoziazioni, abbassando standard di sviluppo ed ecologici. Tuttavia, il 6 dicembre, Bruxelles ha varato una nuova legge per la prevenzione dell’importazione di beni responsabili per la deforestazione. La legge è stata fortemente criticata da Vietnam, Malesia e Indonesia. Tra questi prodotti sono presenti: caffè, soia e olio di palma, colture che nel 2020 hanno registrato un export rispettivamente di 2, 17 e 27 miliardi di dollari americani. Secondo Nikkei Asia, l’UE durante il Summit per il 45esimo anniversario, incoraggerà il Sud-Est asiatico ad incaricarsi di importanti ruoli nelle catene di approvvigionamento globali, seguendo la logica del “friend-shoring”. Il neologismo del “friend-shoring” riprende l’idea dei precedenti on-shoring e off-shoring, legando però la rilocalizzazione in Paesi che sono considerati amici. ASEAN e UE ad ottobre hanno siglato un nuovo livello di cooperazione di connettività con la firma dell’Accordo Comprensivo sui Trasporti Aerei (AE CATA), la prima intesa al mondo di questo tipo. L’accordo beneficia non solo i viaggiatori dell’accesso diretto a nuove destinazioni, ma auspica ad un maggior livello di coordinamento, anche manageriale, tra i Paesi Membri dell’ASEAN. Con il 2023 alle porte, un generale allentamento delle misure di contenimento della pandemia, e con la firma dell’AE CATA, ci sono le premesse per nuove opportunità commerciali per le imprese europee, che garantiscano condizioni di mercato eque e trasparenti. Trovare il giusto canale di comunicazione tra interessi particolari, necessità e standard sostenibili potrebbe essere uno dei punti caldi del dialogo del 14 dicembre. Eppure, tra la pandemia da Covid-19 e la guerra russo-ucraina, tra i rallentamenti delle catene di approvvigionamento, i divieti di esportazione strategici dei singoli Paesi membri atti a prevenire ulteriori crisi economiche sembra che le percezioni sulla relazione bilaterale siano tutto sommato positive. Secondo il sondaggio EU-ASEAN Business Sentiment Survey, la regione del Sud-Est asiatico è prima per migliori opportunità economiche nei prossimi 5 anni. Non solo, in generale tutte le prospettive nei confronti di commercio ed investimenti hanno ottenuto nel sondaggio aspettative di crescita positiva. In conclusione, il 14 Dicembre gli occhi saranno puntati a Bruxelles e al potenziale ancora inesplorato della relazione bilaterale ASEAN-UE.

ASEAN, l’amico di cui tutti hanno bisogno

In un momento in cui le turbolenze economiche, commerciali e geopolitiche sono molto diffuse, la regione del Sud-Est asiatico si sta confermando un porto sicuro per gli investimenti.

Editoriale a cura di Alessio Piazza

La coda della pandemia di Covid-19, la crisi energetica globale, l’inflazione galoppante, l’aumento del dollaro, l’indebolimento della domanda cinese. Solo per restare sul versante economico e finanziario. Per non parlare di quello geopolitico, tra guerra in Ucraina e vari altri fronti di tensione. Insomma, il mondo non sta passando un periodo particolarmente sereno. Eppure, c’è una regione che si sta dimostrando più resiliente di altre. Un termine di cui si è forse abusato di recente ma che sembra calzare a pennello per le economie dell’area ASEAN. Le sei maggiori economie del blocco- Indonesia, Thailandia, Filippine, Singapore, Malesia e Vietnam – si stanno rivelando tutt’altro che fragili di fronte agli shock globali degli ultimi mesi e ultimi anni. Singapore sta guadagnando terreno nei servizi finanziari e nell’alta tecnologia, il Vietnam e la Malesia stanno ricevendo maggiori afflussi di investimenti diretti esteri nel settore manifatturiero e l’Indonesia sta ricevendo fondi record per sfruttare le sue risorse minerarie, in particolare il nichel. Non solo. Oltre agli investimenti greenfield, il Sud-Est asiatico è stato il maggior destinatario di fusioni e acquisizioni completate in Asia nella prima metà del 2022, avendo ricevuto addirittura il 56% del totale dei flussi in entrata. Le transazioni in entrata nella sola Indonesia sono state due volte superiori a quelle della Cina continentale, ancora frenata dalle restrizioni anti Covid. È interessante notare come non sia solo l’Occidente a dispiegare più capitali nell’ASEAN, ma anche la Cina, che ha ridotto le operazioni offshore in altre regioni per concentrarsi proprio sul Sud-Est asiatico. L’Associazione di 10 membri e 680 milioni di persone rappresenta già il 3,4% del prodotto interno lordo globale e il 7,7% delle esportazioni mondiali. E la sua centralità è destinata a crescere. Ma anche sul fronte politico, la regione si è rivelata una irrinunciabile piattaforma di dialogo, come dimostrato durante i recenti summit multilaterali tenuti e conclusi con successo tra Cambogia (summit ASEAN), Indonesia (vertice del G20), e Thailandia (summit APEC). Non è un caso che il Financial Times abbia di recente definito l’area ASEAN come “l’amico diplomatico e commerciale di cui tutti hanno bisogno”.

Il dialogo globale riparte dall’ASEAN

Cambogia, Indonesia e Thailandia i tre punti cardinali dei vertici multilaterali che hanno segnato il ritorno della diplomazia in coda a un anno a dir poco turbolento

La difficile ripresa dalla pandemia di Covid-19, l’aumento a ritmo record dell’inflazione, la guerra in Ucraina, le tensioni tra Stati Uniti e Cina. Insomma, c’erano tutti gli ingredienti per un enorme buco nell’acqua. E invece le due settimane di vertici multilaterali nel Sud-Est asiatico si sono chiuse con ottimi risultati. La Cambogia può tirare un sospiro di sollievo dopo aver ospitato il summit dell’ASEAN senza intoppi. Le preoccupazioni per l’economia globale, le minacce di recessione e la sicurezza alimentare ed energetica sono state messe in primo piano rispetto all’impasse del conflitto tra Russia e Ucraina e al problema del Myanmar. Non solo: i 10 membri dell’ASEAN sono riusciti a prendere alcune decisioni difficili su questioni di vecchia data. A partire dall’annuncio del blocco di aver accettato “in linea di principio” Timor Est come 11° membro del blocco, dopo oltre 10 anni di riflessione. Mentre per l’eventuale adesione a pieno titolo sarà necessaria una “road map basata su criteri”, Timor Est potrà partecipare a tutte le riunioni in qualità di membro osservatore, anche se senza diritti decisionali. I rapporti con Stati Uniti e India sono stati elevati a Partenariati Strategici Complessivi dell’ASEAN, diventando così il terzo e il quarto partner di dialogo a cui viene riconosciuto questo status, dopo la Cina e l’Australia. Phnom Penh ha dimostrato la sua abilità nel gestire la rivalità tra grandi potenze. Ha partecipato e co-presieduto due vertici con gli Stati Uniti, nonostante le scarse relazioni bilaterali, mostrando la capacità di gestire situazioni difficili. Stesso risultato ottenuto da Indonesia e Thailandia, che hanno ottenuto una dichiarazione congiunta finale con cui è stata condannata la guerra in Ucraina ma con un testo equilibrato accettato come “costruttivo” anche dalla controparte russa. Soprattutto, i summit di G20 e APEC sono serviti come trampolino di un dialogo ritrovato tra Washington e Pechino, con l’importante faccia a faccia tra Joe Biden e Xi Jinping di Bali. Incontro a cui ha fatto seguito un’intensa attività diplomatica dove Occidente, Asia e Pacifico sono sembrati volenterosi nel costruire ponti nelle relazioni. Per il Sud-Est asiatico e l’ASEAN una prova di maturità superata a pieni voti.

I risultati del summit dell’APEC a Bangkok

Il vertice dei leader APEC 2022 a Bangkok si è chiuso con una dichiarazione congiunta, risultato inaspettato all’apertura degli incontri. Per la Thailandia è un successo. Il resoconto di quello che è accaduto dal punto di vista diplomatico (con Cina e Stati Uniti protagonisti) e i risultati del summit

Articolo di Francesco Mattogno

Si sono visti tempi migliori, questo è certo. Ma il vertice annuale della Cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC), in scena a Bangkok dal 14 al 19 novembre, è filato meglio del previsto e si è chiuso con una dichiarazione congiunta dei leader delle 21 economie del gruppo. Risultato non banale: il fallimento annunciato è stato a lungo dietro l’angolo. Con un sospiro di sollievo finale, il primo ministro thailandese Prayut Chan-o-cha (a cui spettava la presidenza 2022 del forum economico) ha definito il summit “un successo”.

Venerdì, poche ore prima dell’apertura ufficiale delle riunioni tra i leader – che erano attesi negli ultimi due giorni di meeting APEC –, è arrivata in Thailandia la notizia del lancio di un missile balistico intercontinentale da parte della Corea del Nord. La vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris, presente in supplenza del presidente Joe Biden, ha convocato una riunione di emergenza con i numeri uno di Giappone, Corea del Sud, Australia, Canada e Nuova Zelanda per “condannare fermamente” le azioni di Pyongyang.

Per tre giorni, Xi Jinping è stato protagonista indiscusso a Bangkok. Reduce da un vertice G20 carico di impegni e colloqui bilaterali, Xi ha confermato il proprio ritorno sulla scena diplomatica mondiale facendo altrettanto in Thailandia. “L’Asia-Pacifico non è il cortile di nessuno e non dovrebbe diventare un’arena per la competizione tra grandi potenze”, ha esordito con una lettera presentata alla riunione tra i rappresentanti dei paesi APEC. Ribadendo il no a una nuova “guerra fredda”, Xi ha rassicurato i partner sulla volontà della Cina nel perseguire la “cooperazione economica” e rigettato il “protezionismo” e la “politicizzazione delle relazioni commerciali”. Poi è passato ai faccia a faccia.

Il più significativo, anche se non il più importante in termini di contenuti, è stato quello (breve) di sabato con Kamala Harris. È servito per confermare quanto detto con Biden a Bali: Cina e USA devono “mantenere aperte le linee di comunicazione”. Più denso invece l’incontro con il premier giapponese Fumio Kishida. Al di là dei convenevoli diplomatici, durante il loro primo colloquio di persona i due leader hanno discusso di sicurezza e delle preoccupazioni di Tokyo riguardo il mar Cinese meridionale, le isole Senkaku (che la Cina rivendica come proprie chiamandole Diaoyu) e Taiwan. Se Kishida ha ribadito l’importanza di mantenere la “pace” sullo stretto, Xi ha confermato che la Cina non accetta “ingerenze esterne”.

Le stesse preoccupazioni dell’omologo giapponese le ha sollevate anche la premier della Nuova Zelanda, Jacinda Ardern, nel suo colloquio con il leader cinese. Sul tema Taiwan interessante lo scambio di battute che Xi Jinping ha avuto con il rappresentante di Taipei al vertice, il fondatore di TSMC Morris Chang. Una conversazione lampo ma “piacevole ed educata”, ha dichiarato Chang in conferenza stampa. Oltre che con il padrone di casa Prayut, Xi si è poi intrattenuto per parlare di “affari” con i primi ministri di Singapore (Lee Hsien Loong) e Papua Nuova Guinea (James Marape), e con i presidenti di Cile e Filippine, rispettivamente Gabriel Boric e Ferdinand Marcos Jr.

Le Filippine sono uno dei paesi con i quali la Cina ha delle contese aperte sul mar Cinese meridionale. Il segretario generale del Pcc ha chiesto a Marcos di “non schierarsi” e di non scegliere tra Washington e Pechino, ma su questo fronte Harris ha segnato un punto. A seguito del vertice APEC, la vice di Biden è partita per Manila. Lì ha messo in programma degli incontri con Marcos Jr. e la sua vicepresidente, Sara Duterte, prima di viaggiare martedì 22 nella provincia di Palawan, proprio a ridosso della zona di mar Cinese meridionale contesa con Pechino. 

Durante i due giorni a Bangkok, Harris ha cercato di sfidare Xi sia sul piano della diplomazia (tanti i bilaterali anche per lei, che ha parlato di semiconduttori con lo stesso Morris Chang) che della retorica. “Gli Stati Uniti sono un’orgogliosa potenza del Pacifico”, ha dichiarato al summit, “e hanno un impegno economico duraturo con la regione”. Insomma: siamo qui per restare. La numero due americana è stata accompagnata dalla rappresentante per il commercio Katherine Tai – che ha parlato con i ministri omologhi di Corea del Sud e Cina – e dal segretario di stato Antony Blinken.

Dopo aver ricevuto da Prayut il testimone della presidenza APEC (il prossimo vertice si terrà a San Francisco nel 2023), Harris ha impegnato gli USA nello sviluppo del nucleare thailandese. “I nostri investimenti sono trasparenti, rispettosi del clima” e non “indebitano” i paesi, ha detto con chiara allusione alla Cina.

Nonostante gli inviti alla cooperazione e alla liberalizzazione commerciale, il sottotesto sembra sempre essere quindi quello del confronto/scontro Washington-Pechino. Per il presidente francese Emmanuel Macron, ospite esterno del summit, evitare questo tipo di “scelta tra le due superpotenze” è fondamentale per garantire lo sviluppo economico della regione. Ed è anche quanto emerge dalla dichiarazione congiunta finale dei leader.

Non era il rafforzamento dei legami commerciali, però, il motivo per il quale si è rischiato di non produrre il documento conclusivo del vertice. A fare da ago della bilancia restavano i disaccordi sulla guerra in Ucraina, risolti con un compromesso in linea con quello già raggiunto al G20. Pur “riconoscendo che l’APEC non è il forum [adatto] per i problemi di sicurezza, i problemi di sicurezza possono avere conseguenze significative per l’economia globale”, si legge nella dichiarazione. Ecco quindi che si è deciso di inserire che “la maggior parte dei membri ha condannato fermamente la guerra in Ucraina”, fermo restando che esistono “altri punti di vista” sul conflitto.

Un equilibrismo linguistico che ha permesso alla Thailandia di portare a casa la dichiarazione, e dunque di far condividere anche dalle altre 20 economie del gruppo la propria agenda. I leader hanno approvato un piano di lavoro per un futuro accordo di libero scambio regionale – che si basi sui già esistenti RCEP e CPTPP – e per l’agevolazione dei viaggi transfrontalieri, resi più complicati dal covid. Soprattutto, con la dichiarazione i paesi APEC hanno di fatto adottato il progetto Bio-Circolare-Verde (BCG) di Bangkok, con il quale i membri si impegnano a investire in attività economiche che tutelano la sostenibilità ambientale. Quelle sull’effettiva sostenibilità dei progetti APEC e l’integrazione economica regionale saranno tutte questioni delegate al futuro. Si è visto qualche segno di disgelo, ma le divisioni tra Cina e USA restano, sul commercio e sulla guerra in Ucraina: in generale, sul destino dell’attuale sistema internazionale. Probabilmente, solo l’assenza di un profilo veramente di peso a rappresentare la Russia a Bangkok (c’era il vice primo ministro Andrei Belousov) ha permesso di evitare il fallimento del vertice. Di questi tempi, un successo.