Il voto del 12 maggio sembra quasi un referendum sulla lotta tra Marcos e la famiglia Duterte
Di Luca Menghini
Il 12 maggio, quasi 70 milioni di filippini si recheranno alle urne per quello che si preannuncia come il più importante voto di metà mandato della storia recente. In palio ci sono oltre 18.000 cariche, tra cui 12 seggi del Senato e tutti i 317 della Camera dei Rappresentanti, ma al di là dei numeri, questo voto è ampiamente considerato un referendum sulla leadership del presidente Ferdinand “Bongbong” Marcos Jr. e sul futuro della vicepresidente Sara Duterte. Il crollo dell’ex potente coalizione “UniTeam” tra Marcos e Duterte ha trasformato queste elezioni in una guerra per procura ad alta tensione, con ciascuna dinastia politica intenta a consolidare il proprio potere e a plasmare il cammino verso le presidenziali del 2028.
Quando Marcos e Duterte si allearono nel 2022, la loro coalizione li portò a una schiacciante vittoria elettorale. Ma le divergenze emersero presto. Marcos riorientò la politica estera del Paese, allontanandola da Pechino e riavvicinandola a Washington, concedendo maggiore accesso militare agli Stati Uniti attraverso nuovi siti previsti dall’Enhanced Defense Cooperation Agreement (EDCA) e rafforzando i legami con alleati come il Canada e il Giappone. Duterte, al contrario, è rimasta relativamente silenziosa sulla Cina, criticando invece l’approccio di Marcos alle dispute marittime, arrivando a definire la sua gestione del Mar Cinese Meridionale (West Philippine Sea) come un “fiasco”. Le tensioni sono esplose nel 2024, quando Sara Duterte si è dimessa dai suoi incarichi di governo e suo padre, l’ex presidente Rodrigo Duterte, è stato arrestato e consegnato alla Corte Penale Internazionale (CPI) con l’accusa di crimini contro l’umanità. L’arresto, che molti ritengono sia stato reso possibile dall’amministrazione Marcos, ha infranto ogni residua illusione di unità tra i due schieramenti.
Queste elezioni non sono solo un termometro del sentimento popolare, ma anche una battaglia per la sopravvivenza politica. Per Marcos, un buon risultato della sua lista di candidati al Senato garantirebbe il sostegno legislativo necessario per portare avanti le tanto attese riforme costituzionali, tra cui l’allentamento delle restrizioni economiche. Per Sara Duterte, la posta in gioco è ancora più esistenziale. Messa in stato di accusa dalla Camera dei Rappresentanti, affronterà un processo al Senato dopo le elezioni di metà mandato. Per evitare la condanna, e mantenere viva la sua possibilità di candidarsi alla presidenza nel 2028, dovrà assicurarsi che almeno otto dei 24 senatori siano a lei fedeli. Un cattivo risultato dei suoi alleati non solo indebolirebbe la sua difesa legale, ma ridurrebbe ulteriormente l’influenza della famiglia Duterte sulla scena politica nazionale.
La battaglia si sta combattendo non solo nei tradizionali luoghi della campagna elettorale, ma anche nelle trincee digitali. Le Filippine, pioniere della guerra dell’informazione sin dal 2016, stanno assistendo a un’ondata di deepfake, contenuti generati dall’intelligenza artificiale e disinformazione. Sia il campo di Marcos che quello di Duterte hanno storicamente fatto affidamento su reti di troll online e operazioni di messaggistica coordinata, ma con la frattura dell’ex alleanza “UniTeam”, questi strumenti vengono ora usati l’uno contro l’altro. Un video deepfake diventato virale in cui Marcos appare mentre sniffa cocaina, un chiaro riferimento alle accuse di lunga data mosse da Rodrigo Duterte, è solo uno degli esempi del fango digitale che caratterizza la campagna. In risposta, la Commission on Elections (COMELEC) e alcuni parlamentari hanno richiesto nuove regole per regolamentare l’uso dell’intelligenza artificiale nelle campagne elettorali, ma l’applicazione resta una sfida.
Le preoccupazioni legate alla sicurezza complicano ulteriormente il panorama elettorale. Almeno 36 aree sono state classificate come “zone rosse” a causa del rischio elevato di violenze legate al voto, e si sono già verificati oltre due dozzine di omicidi a sfondo politico da quando sono state depositate le candidature. La COMELEC ha introdotto nuove misure per ridurre il rischio di violenze, tra cui un divieto di porto d’armi, orari speciali di voto per anziani e persone con disabilità, e seggi elettorali accessibili in emergenza, noti come Emergency Accessible Polling Places (EAPP). Inoltre, ha avviato una collaborazione con piattaforme finanziarie come GCash per individuare e bloccare tentativi di compravendita di voti, un problema ricorrente nelle elezioni filippine.
La politica estera occupa un posto centrale in queste elezioni. L’allineamento di Marcos con gli Stati Uniti, il Canada e alleati regionali come il Giappone e l’Australia ha ricevuto elogi a livello internazionale, ma continua a suscitare controversie in patria. Tuttavia, il sentimento pubblico sembra essersi spostato a suo favore su questo fronte. Un sondaggio del 2024 ha mostrato che il 73% dei filippini sostiene un aumento delle misure militari per affermare la sovranità nel Mar Cinese Meridionale (noto localmente come West Philippine Sea). Al contrario, i candidati filo-cinesi, spesso associati al campo di Duterte, sono guardati con crescente sospetto: oltre il 70% degli elettori ha dichiarato che non voterebbe per un politico considerato vicino alla Cina. Questo riallineamento strategico riflette anche dinamiche geopolitiche più ampie, con Pechino che intensifica le sue campagne di influenza nel Sud-Est asiatico e Washington che cerca di rafforzare le proprie alleanze nella regione indo-pacifica.
Tuttavia, la politica estera da sola difficilmente sarà decisiva per il voto. Le difficoltà economiche restano la principale preoccupazione per la maggior parte degli elettori. Nonostante un calo dell’inflazione all’1,8% nel marzo 2025, il tasso più basso degli ultimi cinque anni, la frustrazione dell’opinione pubblica persiste. La promessa simbolo del presidente Marcos di ridurre il prezzo del riso a ₱20 al chilo è stata ampiamente percepita come un fallimento: solo il 4% dei filippini ritiene che l’obiettivo sia stato raggiunto. Nel frattempo, l’inflazione, l’insicurezza lavorativa e l’aumento del costo dei beni di prima necessità continuano a dominare le preoccupazioni degli elettori, in particolare tra le fasce a basso reddito. Un recente sondaggio di Pulse Asia ha mostrato che il 72% dei filippini desidera che Marcos affronti l’inflazione nel suo prossimo discorso sullo stato della nazione, molto più di qualsiasi altra questione.
Con l’avvicinarsi delle elezioni di metà mandato, la partecipazione degli elettori sarà fondamentale. La COMELEC ha espresso preoccupazione per l’affluenza alle urne, in particolare tra i giovani, che rappresentano quasi il 40% dell’elettorato. Le campagne di educazione al voto sono state intensificate in collaborazione con gruppi della società civile, la Chiesa cattolica e le università. Tuttavia, persistono disillusione e apatia, alimentate da un ambiente informativo tossico e dallo scetticismo nei confronti dell’integrità del sistema politico.
L’esito delle elezioni avrà implicazioni profonde, non solo per le Filippine, ma per l’intero Sud-est asiatico. I vicini dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN), gli osservatori internazionali e alleati come gli Stati Uniti e il Canada stanno seguendo da vicino il voto, che determinerà se Manila continuerà a svolgere un ruolo regionale assertivo o se tornerà verso l’instabilità interna. Le elezioni influenzeranno anche il modo in cui le Filippine si rapporteranno con Pechino, soprattutto mentre le tensioni nel Mar Cinese Meridionale continuano ad aumentare a causa delle dispute territoriali e degli scontri con la Guardia Costiera cinese.
In questo contesto, il voto del 12 maggio rappresenta molto più di un semplice rinnovo delle cariche legislative. È un momento di resa dei conti per l’orientamento politico del Paese e per gli equilibri di potere tra le sue due dinastie dominanti. Con le fazioni dei Marcos e dei Duterte impegnate in una lotta per il controllo, il popolo filippino si trova ora davanti a una scelta che definirà il futuro della nazione, non solo in termini di governo, ma anche rispetto alla posizione che le Filippine assumeranno in una regione indo-pacifica sempre più contesa.