Filippine

Filippine, cooperazione con USA E Giappone

Joe Biden ospita Fumio Kishida e Ferdinand Marcos Junior per un inedito summit trilaterale. Ecco il significato del rapporto trilaterale per Manila

Di Walter Minutella

Negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno costantemente cercato di approfondire i propri rapporti diplomatici e di sicurezza in Asia. In questo contesto, si svolge giovedì 11 aprile un inedito summit trilaterale fra il Presidente statunitense Joe Biden, il Primo Ministro giapponese Fumio Kishida e il Presidente filippino Ferdinand Marcos Junior. Il vertice offre un’occasione unica per analizzare più approfonditamente la natura dei rapporti tra questi tre Paesi e delineare le prospettive future di cooperazione, a partire da quella nel contesto del Mar Cinese Meridionale.

Quest’area si è trasformata in un cruciale teatro geopolitico, con diversi Paesi che rivendicano la sovranità su isole e formazioni rocciose sparse in tutta la regione. La Cina ha avanzato rivendicazioni territoriali decise, militarizzando isole contese e conducendo operazioni marittime sempre più assertive. D’altro canto, anche le conseguenze della guerra in Ucraina hanno portato a un rafforzamento della cooperazione in materia di sicurezza e difesa tra gli Stati Uniti e diversi Paesi della regione.

Giappone e Filippine occupano un ruolo particolare, visto che sono da sempre i pilastri della strategia di sicurezza degli Stati Uniti in Asia-Pacifico. La decisione di organizzare questo summit trilaterale ha radici nella necessità di coordinare le risposte alle sfide nel Mar Cinese Meridionale. 

Oltre alla dimensione geopolitica, la cooperazione economica rappresenta un altro pilastro fondamentale del rapporto trilaterale. Stati Uniti, Giappone e Filippine possono unire le loro forze per favorire la crescita economica attraverso lo sviluppo di infrastrutture, la facilitazione degli scambi commerciali e degli investimenti e la promozione di politiche economiche inclusive. Inoltre, la collaborazione tra questi Paesi può aiutare ad affrontare le nuove sfide emergenti, come la digitalizzazione dell’economia, aprendo nuove opportunità per la crescita e lo sviluppo sostenibile nella regione.

L’innovazione e la tecnologia svolgono un ruolo sempre più significativo nella competitività economica e nella risoluzione delle sfide globali. Stati Uniti, Giappone e Filippine possono collaborare per promuovere lo sviluppo di tecnologie avanzate, garantendo nel contempo la sicurezza delle infrastrutture digitali e l’adozione responsabile delle nuove tecnologie. Attraverso la ricerca congiunta e lo scambio di conoscenze, è possibile affrontare sfide cruciali come il cambiamento climatico e la sicurezza alimentare, contribuendo così alla prosperità e al benessere nella regione.

Il cambiamento climatico e la conservazione dell’ambiente marino sono sfide urgenti che richiedono una risposta globale e coordinata. Stati Uniti, Giappone e Filippine possono unire le forze per promuovere politiche e iniziative volte a mitigare gli effetti del cambiamento climatico, proteggere gli ecosistemi marini e incentivare la sostenibilità ambientale. Questo potrebbe includere la promozione di energie rinnovabili, la gestione responsabile delle risorse ittiche e la conservazione degli ecosistemi marini, contribuendo così a preservare l’ambiente per le future generazioni.

Infine, la sicurezza regionale rimane una priorità essenziale per tutti e tre i Paesi. Stati Uniti, Giappone e Filippine intendono potenziare la loro cooperazione in materia di sicurezza e difesa, attraverso esercitazioni militari congiunte, scambio di intelligence e promozione della sicurezza marittima. Questo può contribuire a rafforzare la deterrenza nella regione, cercando al contempo di preservare il cruciale obiettivo della crescita economica.

Libero scambio UE-Filippine, scambi su fino a 6 miliardi

Lo scorso 18 marzo, l’UE e le Filippine hanno annunciato la ripresa ufficiale dei negoziati, sospesi nel 2017. L’Accordo potrebbe aumentare in modo netto gli scambi bilaterali. Per Bruxelles, l’accordo si inserisce in una strategia politica e commerciale più ampia

Articolo di Sophia Ordoña (European Chamber of Commerce of the Philippines – ECCP), Pierfrancesco Mattiolo, Università di Anversa

In seguito a un incontro a Bruxelles il 18 marzo, il Vicepresidente della Commissione Europea e Commissario al Commercio, Valdis Dombrovskis, insieme al Segretario del Dipartimento del Commercio e dell’Industria delle Filippine, Alfredo Pascual, hanno annunciato la ripresa ufficiale dei negoziati per l’Accordo di Libero Scambio (ALS) tra l’UE e le Filippine. I partner inizieranno ora a preparare il primo round dei nuovi negoziati, previsto nel secondo semestre del 2024. 

L’annuncio non sorprende visto che la volontà di riprendere i negoziati era stata solennemente espressa a livello di leadership nel luglio 2023. La Presidente della Commissione Ursula Von der Leyen, nel corso di una visita ufficiale alle Filippine, aveva manifestato l’interesse del blocco nell’alzare il livello della cooperazione con Manila. Il presidente delle Filippine Ferdinand Marcos Jr. aveva a sua volta espresso il suo appoggio a una rapida conclusione del trattato prima del termine del suo mandato, nel 2028. L’agenda economica di Marcos è orientata verso una decisa apertura del mercato nazionale: dopo aver liberalizzato le telecomunicazioni, i traporti e le energie rinnovabili, la conclusione dell’ALS segnerebbe un ulteriore, deciso, passo in questa direzione. In occasione dell’annuncio, il Vicepresidente Dombrovskis ha osservato che l’accordo commerciale potrebbe aumentare il commercio bilaterale fino a 6 miliardi di euro.

Il potenziale impatto dell’ALS però va ben oltre la sola dimensione dei rapporti commerciali bilaterali. Per l’UE la posta in gioco è anche politica. I negoziati con Manila si inseriscono in due più ampie strategie dell’Unione. Da un lato, Bruxelles vuole rafforzare il proprio ruolo nell’Indo-pacifico, una regione particolarmente delicata per i suoi interessi economici e strategici. La strategia europea conta di riuscire a concludere sia nuovi accordi di cooperazione politica con i Paesi ASEAN, sia nuovi ALS con Filippine, Indonesia e Tailandia, sulla scia di quelli già in vigore con Singapore and Vietnam. L’UE riconosce nelle Filippine un like-minded partner sul piano dei valori democratici, ma anche dello sviluppo sostenibile: i negoziati con Manila saranno meno condizionati da questioni legate alla sostenibilità, come la disputa sull’olio di palma, causa di forti tensioni tra Bruxelles e alcuni altri Paesi ASEAN. Inoltre, nel marzo 2024, l’UE ha ufficialmente avviato uno dei progetti principali del Global Gateway: il Programma per l’Economia Verde nelle Filippine (Green Economy Programme in the Philippines, GEPP). Questa iniziativa promuove l’economia circolare e le energie rinnovabili, sottolineando ulteriormente l’impegno di entrambe le parti nel promuovere la sostenibilità e la transizione verso un’economia verde.

Approfondire i legami con le Filippine – e con altri partner ASEAN – permette all’UE di proseguire nel suo sforzo di de-risking, ossia coltivare i rapporti con nuovi partner commerciali e mitigare i rischi politici ed economici legati al dipendere troppo da Paesi percepiti come ‘rivali’. Un altro quadro concettuale per leggere queste recenti mosse dell’UE è la dottrina dell’autonomia strategica aperta. Bruxelles cerca, anche con la sua politica commerciale, di proteggersi dalle ingerenze esterne, ma anche di far rispettare, sviluppando e impiegando le cosiddette ‘politiche autonome’, gli obblighi assunti dai partner a livello bilaterale e multilaterale, come l’Accordo di Parigi o i trattati OMC.  Allo stesso tempo, l’Europa vuole rimanere aperte alla cooperazione politica ed economica, per quanto possibile.

Per l’amministrazione Marcos concludere il trattato è una priorità. Attualmente il Paese beneficia dello Schema Generale di Preferenze Plus (GSP+), che garantisce maggiore accesso al mercato europeo a 6274 prodotti filippini azzerando i dazi all’ingresso. Questo regime preferenziale è stato esteso fino alla fine del 2027. Si prevede che le Filippine diventeranno un’economia a reddito medio-alto intorno al 2025. Tale “promozione” avvierebbe un periodo di transizione di tre anni, dopo il quale Manila perderebbe i benefici del GSP+. Se concluso prima del 2028, l’ALS sostituirebbe il GSP+ e consentirebbe quindi alle aziende filippine di mantenere l’accesso al mercato europeo senza dazi sui prodotti coperti dal trattato.

Dal punto di vista filippino, i settori che trarrebbero beneficio dall’accordo sono molti, ad esempio l’agricoltura e l’energia. Più nello specifico, l’abbigliamento vedrebbe un aumento degli impiegati tra i 120.000 e i 250.000 e delle esportazioni per 600 milioni di dollari nei primi due anni dall’attuazione dell’accordo. L’arcipelago è anche ricco di materie prime essenziali (ad esempio, nickel, rame e cromite) di importanza cruciale per le tecnologie verdi. Ma anche lo scambio di servizi potrebbe aumentare. Il settore IT filippino vale 50 miliardi di dollari ed è molto dinamico, quindi potrebbe espandere le sue quote di mercato in Europa.

Per le aziende europee, sarebbe conveniente avere maggiore accesso a un Paese è in crescita sotto ogni punto di vista: economico (il PIL è cresciuto del 7,6% nel 2022), demografico e sociale, con una classe media giovane e sempre più numerosa. L’Accordo potrebbe finalmente sbloccare un potenziale economico ancora inespresso: gli scambi bilaterali Bruxelles-Manila sono relativamente bassi quando confrontati a quelli tra Europa e altri Paesi ASEAN e solo il 4% degli investimenti europei nelle economie ASEAN è diretto verso le Filippine. Anche l’Italia ha un forte interesse alla conclusione del trattato. Le relazioni economiche tra Roma e Manila sono solide, nel 2022 valevano 1.24 miliardi di euro, e l’ALS aumenterebbe le opportunità in settori chiave come i macchinari agricoli, le infrastrutture e il tessile. 

I negoziati per l’ALS dovranno anche superare alcuni ostacoli. La tutela dei diritti di proprietà intellettuale è stato uno dei capitoli più delicati dei precedenti round negoziali tra Bruxelles e Manila, ma ora potrebbe essere più facile trovare un punto di incontro, dato che le Filippine non sono più nella watch list sulla proprietà intellettuale della Commissione Europea dal 2019. Il capitolo sulla proprietà intellettuale nel futuro ALS includerebbe, con ogni probabilità, regole più forti sulla tutela delle indicazioni geografiche (DOP, IGP,…) dei prodotti alimentari europei e italiani. Infine, nel corso della sua visita ufficiale Von der Leyen aveva indicato la necessità di un più profondo allineamento tra i due partner in materia di protezione ambientale e dei lavoratori. La Presidente della Commissione, e più recentemente il Vicepresidente Dombrovskis, hanno anche riconosciuto i progressi compiuti dal Paese sulla tutela dei diritti umani, e il dialogo bilaterale in corso mira ad affrontare le questioni ancora irrisolte. Questi ostacoli possono trasformarsi in opportunità se l’ALS riuscirà a includere regole efficaci in queste aree. Un accordo rappresenterebbe non solo una significativa opportunità economica, ma anche politica e sociale per entrambi i partner.

UE-Filippine verso un accordo di libero scambio

Riprendono ufficialmente i colloqui tra il blocco dei 27 e Manila. Ecco su quali basi


Luned’ 18 marzo, l’Unione Europea e le Filippine hanno annunciato ufficialmente la ripresa dei negoziati per un accordo di libero scambio. La Commissione Europea ha parlato di progetto “ambizioso, moderno ed equilibrato, con la sostenibilità al centro”. Aggiungendo che “accordi commerciali come questo sono una pietra miliare della sicurezza economica dell’UE, in quanto aprono nuove opportunità per le imprese e i consumatori, rafforzano le catene di approvvigionamento e promuovono pratiche commerciali sostenibili”. Un accordo di libero scambio con le Filippine, un’economia in espansione di 115 milioni di persone nel cuore della regione indo-pacifica, strategicamente importante, sarebbe un’aggiunta preziosa alla rete di accordi commerciali dell’UE. Il blocco dei 27 e Manila hanno già relazioni commerciali consolidate, con un chiaro potenziale per un rapporto ancora più stretto: secondo i dati ufficiali diffusi da Bruxelles, gli scambi di merci hanno raggiunto un valore di oltre 18,4 miliardi di euro nel 2022, mentre gli scambi di servizi hanno raggiunto un valore di 4,7 miliardi di euro nel 2021. L’UE è anche uno dei maggiori investitori nelle Filippine, con uno stock di investimenti diretti esteri dell’UE nelle Filippine che raggiungerà i 13,7 miliardi di euro nel 2021. Oltre a essere un’economia importante e in crescita, le Filippine possiedono anche importanti riserve di materie prime critiche, tra cui nichel, rame e cromite. “Insieme ai rinnovati sforzi delle Filippine per sfruttare il proprio potenziale di energia rinnovabile e alla recente liberalizzazione per gli investitori stranieri nel settore, le Filippine sono un partner importante nella transizione green”, sottolinea la Commissione Europea. L’UE e le Filippine faranno ora i rispettivi preparativi tecnici per il primo round della ripresa dei negoziati, previsto per la fine dell’anno. L’UE ha già concluso accordi di libero scambio all’avanguardia con due Paesi dell’ASEAN (Singapore e Vietnam), sta negoziando accordi di libero scambio con l’Indonesia e la Thailandia e sta effettuando una valutazione per un ulteriore accordo con la Malesia. Le Filippine godono attualmente di preferenze commerciali nell’ambito del Sistema di preferenze generalizzate + dell’UE, un regime speciale di incentivi per lo sviluppo sostenibile e il buon governo che garantisce l’accesso in esenzione doganale al mercato dell’UE per due terzi delle linee tariffarie.

Negoziati per l’accordo di libero scambio UE-Filippine: una priorità per entrambi

Nel summit bilaterale dello scorso luglio, Von der Leyen e Marcos hanno espresso l’intenzione di concludere un accordo commerciale “il prima possibile”. Manila intende raggiungere l’obiettivo prima del 2028. L’accordo permetterebbe di sbloccare il potenziale ancora inespresso dei rapporti economici tra i due partner.

Articolo di Sophia Ordoña (European Chamber of Commerce of the Philippines – ECCP) e Pierfrancesco Mattiolo 

La Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen, nella sua recente e importante visita alle Filippine di fine luglio, ha espresso la volontà di riprendere i negoziati per l’accordo di libero scambio (ALS) tra l’UE e la nazione asiatica. Il presidente delle Filippine Ferdinand Marcos Jr. ha a sua volta espresso il suo appoggio a una rapida conclusione del trattato prima del termine del suo mandato, nel 2028. L’agenda economica di Marcos è orientata verso una decisa apertura del mercato nazionale: dopo aver liberalizzato le telecomunicazioni, i traporti e le energie rinnovabili, la conclusione dell’ALS segnerebbe un ulteriore, deciso, passo in questa direzione. Le Filippine sono un partner strategico per l’Europa e l’Italia. Le relazioni economiche tra Roma e Manila sono solide, nel 2022 valevano 1.24 miliardi di euro, e l’ALS aumenterebbe le opportunità in settori chiave come i macchinari agricoli, le infrastrutture e il tessile. A conferma del cordiale clima di collaborazione tra i due Paesi, lo scorso anno i Ministeri del Turismo italiano e filippino hanno iniziato a lavorare su un accordo di cooperazione turistica.

L’ALS rappresenta un opportunità sia per Bruxelles che per Manila. L’UE riconosce nelle Filippine un like-minded partner sul piano dei valori democratici e dello sviluppo sostenibile, collocato in una regione, l’Indo-Pacifico, particolarmente delicata per gli interessi economici e strategici dell’Unione.  Approfondire i legami con le Filippine – e tutti gli altri partner ASEAN – rientra nella strategia di de-risking adottata dall’UE, ossia coltivare i rapporti con nuovi partner commerciali e mitigare i rischi politici ed economici legati al dipendere troppo da Paesi come la Cina. Per l’amministrazione Marcos, stipulare il trattato prima del 2028 è una priorità non solo sul piano politico, ma anche commerciale. Il Paese infatti, per il momento, gode dello Schema di Preferenze Generalizzate Plus (GSP+) che garantisce a molti prodotti filippini di accedere al mercato europeo senza alcun dazio. Questo regime di favore scadrà a fine 2023. Anche se la Commissione ha proposto di estenderlo fino al 2027, le Filippine sono comunque in procinto di diventare un’economia a reddito medio-alto intorno al 2025. Tale “promozione” farebbe iniziare un periodo di transizione di tre anni, dopo il quale Manila perderebbe i vantaggi del GSP+, dato che questo ha come scopo il supporto dei Paesi con redditi più bassi. Se concluso prima del 2028, l’ALS sostituirebbe il GSP+ e permetterebbe quindi alle aziende filippine di mantenere l’accesso al mercato europeo senza tariffe sui prodotti coperti dal trattato.

Dal punto di vista filippino, i settori che trarrebbero beneficio dall’accordo sono molti, ad esempio l’agricoltura e l’energia. Più nello specifico, l’abbigliamento vedrebbe un aumento degli impiegati tra i 120.000 e i 250.000 e delle esportazioni per 600 milioni di dollari nei primi due anni dall’attuazione dell’accordo. L’arcipelago è anche ricco di materie prime essenziali (ad esempio, nickel, rame e cromite) di importanza cruciale per le tecnologie verdi. Ma anche lo scambio di servizi potrebbe aumentare. Il settore IT filippino vale 50 miliardi di dollari ed è molto dinamico, quindi potrebbe espandere le sue quote di mercato in Europa. Per le aziende europee, sarebbe conveniente avere maggiore accesso a un Paese è in crescita sotto ogni punto di vista: economico (il PIL è cresciuto del 7,6% nel 2022), demografico e sociale, con una classe media giovane e sempre più numerosa. L’accordo potrebbe finalmente sbloccare un potenziale economico ancora inespresso: gli scambi bilaterali Bruxelles-Manila sono relativamente bassi quando confrontati a quelli tra Europa e altri Paesi ASEAN e solo il 4% degli investimenti europei nelle economie ASEAN è diretto verso le Filippine.

I negoziati per l’ALS dovranno anche superare alcuni ostacoli. La tutela dei diritti di proprietà intellettuale è stato uno dei capitoli più delicati dei precedenti round negoziali tra i due partner, ma ora potrebbe essere più facile trovare un punto di incontro, dato che le Filippine non sono più nella watch list sulla proprietà intellettuale della Commissione Europea dal 2019. Il capitolo sulla proprietà intellettuale nel futuro ALS includerebbe, con ogni probabilità, regole più forti sulla tutela delle indicazioni geografiche (DOP, IGP,…) dei prodotti alimentari europei e italiani. Infine, Von der Leyen ha indicato la necessità di un più profondo allineamento tra i due partner in materia di protezione ambientale e dei lavoratori. La Presidente della Commissione ha anche riconosciuto i passi avanti fatti dal Paese in materia di diritti umani e il dialogo bilaterale tuttora in corso intende affrontare le questioni ancora aperte. Tali ostacoli possono divenire opportunità, se l’ALS riuscirà a includere regole efficaci in queste materie. Un accordo rappresenterebbe un’opportunità di crescita non solo economica, ma anche politica e sociale per entrambi i partner. 

UE e Filippine verso il libero scambio

Importante visita a Manila della Presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen. Si va verso un accordo di libero scambio

Articolo di Tommaso Magrini

Si è svolta nei giorni scorsi un’importante visita nelle Filippine di Ursula Von der Leyen. La Presidente della Commissione Europea ha incontrato il Presidente Ferdinand Marcos Junior nel palazzo presidenziale di Malacañang. Qui Von der Leyen ha manifestato l’intenzione di dare “un nuovo slancio alle relazioni bilaterali tra Unione europea e Filippine”. In cima all’agenda: commercio, transizione ecologica, innovazione digitale e sicurezza. Sul primo punto i due leader hanno annunciato l’intenzione di perseguire il rilancio dei negoziati per un accordo di libero scambio “ambizioso, moderno ed equilibrato, incentrato sulla sostenibilità”. Piano ambizioso, che segue gli accordi di libero scambio conclusi dall’Unione europea con Singapore e Vietnam negli scorsi anni. A testimonianza del fatto che Bruxelles punta molto sul Sud-Est asiatico, area in grande ascesa che consente anche una diversificazione dei rapporti commerciali e diplomatici nella regione asiatica rispetto alla Cina. “Le Filippine sono per noi un partner fondamentale nella regione indo-pacifica e con l’avvio di questo processo di valutazione stiamo aprendo la strada per portare il nostro partenariato al livello successivo”, ha detto von der Leyen. “Insieme, realizzeremo il pieno potenziale della nostra relazione, creando nuove opportunità per le nostre aziende e i consumatori, sostenendo anche la transizione verde e promuovendo un’economia giusta”. Per la Presidente della Commissione europea, il futuro accordo di libero scambio comprenderà impegni ambiziosi in materia di accesso al mercato, procedure sanitarie e fitosanitarie rapide ed efficaci, nonché la protezione dei diritti di proprietà intellettuale, comprese le indicazioni geografiche”. Al centro però anche il tema della sostenibilità, dossier su cui è già arrivato un annuncio durante la visita. Von der Leyen e Marcos hanno infatti lanciato l’iniziativa Team Europe sulla green economy, che prevede un contributo Ue di 466 milioni di euro per la gestione “verde” dei rifiuti. Il tutto nell’ambito del programma Global Gateway lanciato dalla Commissione europea. Previsto anche il trasferimento di competenze, formazione e tecnologie volte a costruire un modello alternativo di gestione dei rifiuti di plastica. “Le Filippine e l’Ue sono partner affini grazie ai nostri valori condivisi di democrazia, prosperità sostenibile e inclusiva, Stato di diritto, pace e stabilità e diritti umani”, ha detto invece Marcos. “I continui scambi tra me e la presidente von der Leyen, iniziati a Bruxelles l’anno scorso, testimoniano il nostro comune desiderio di portare le nostre relazioni bilaterali a livelli più alti”, ha aggiunto.

Filippine, crescita da record

Manila ha registrato nel 2022 il più rapido aumento del PIL degli ultimi decenni. E la tendenza potrebbe continuare anche nel 2023

Articolo di Geraldine Ramilo

Dopo aver appena registrato la crescita più rapida degli ultimi 40 anni (+7,6%) il Presidente filippino Ferdinand Marcos Jr. ritiene che l’economia del Paese registrerà la crescita più rapida in Asia nel 2023, con stime intorno al 7%. Tale espansione si deve, come afferma il Presidente stesso, a delle basi solide presenti in tutto il Paese. L’economia filippina è stata infatti stabile tutto lo scorso anno, con una continua espansione del PIL verso gli ultimi mesi del 2022, ed una disoccupazione in continua diminuzione. L’anno passato l’economia è cresciuta a ritmi veloci e inaspettati e la principale fonte di crescita dal lato della domanda è rappresentata dalla spesa per i consumi delle famiglie. Nulla fa escludere alle autorità statistiche di Manila che questa tendenza continuerà anche nel 2023. La rapida crescita registrata negli ultimi mesi è ancora più notevole se inserita nel contesto globale debole e di incertezza che la maggior parte dei aesi si trova ad affrontare. Ma nonostante queste previsioni positive, la crescita delle Filippine non è stata esente da ostacoli. Ad esempio, nei suoi primi sei mesi alla guida del Paese, Marcos ha dovuto affrontare numerose sfide economiche, tra cui la ristrettezza delle finanze pubbliche e l’aumento dei prestiti. In aggiunta, l’impennata dei prezzi dei beni di prima necessità ha portato l’inflazione ai massimi da 14 anni a questa parte. Alle sfide economiche si aggiungono anche sfide nel campo politico e diplomatico. Come tanti altri nel Sud-est asiatico, Marcos ha infatti cercato di bilanciare gli interessi del Paese tra Stati Uniti e Cina, cooperando con quest’ultima a livello economico, a partire dai settori dell’agricoltura e delle infrastrutture. Ha incontrato anche all’inizio del mese il Presidente cinese Xi Jinping, concordando di proseguire i colloqui per l’esplorazione energetica del Mar Cinese Meridionale. Nonostante alcune problematiche, compresa l’inflazione dei prodotti alimentari alla quale Marcos intende rispondere con un aumento delle importazioni, Manila sembra destinata però ad accelerare significativamente la sua crescita.

Acqua bene comune? La privatizzazione a Giacarta e Manila

Per rimediare ai problemi dei sistemi idrici delle due capitali, negli anni novanta le municipalità hanno scelto di concedere la gestione a società private. Nonostante le premesse simili, però, l’esperimento delle due città non si è svolto allo stesso modo

La privatizzazione del servizio pubblico dell’acqua nelle due megalopoli del Sud Est Asiatico risale agli anni ’90 del secolo scorso. In quel periodo, istituzioni di peso come la Banca Mondiale e molti economisti avevano riposto grandi speranze nel ruolo che il libero mercato avrebbe potuto giocare nei paesi in via di sviluppo, e in settori strategici come l’acqua era opinione prevalente che la privatizzazione fosse la strada giusta da percorrere. Ed è stato così che molte aziende di servizi pubblici sono state completamente o parzialmente privatizzate, spesso con il sostegno degli Stati Uniti o di istituzioni multilaterali di sviluppo. 

Fino a quel momento, i sistemi idrici di Giacarta e Manila erano affidati alle rispettive municipalità e versavano in condizioni molto precarie, con un tasso di utenza tra la popolazione molto basso. Il sistema di acquedotti di Giacarta era stato originariamente costruito dagli olandesi all’epoca del loro dominio nel Paese e, ovviamente, non ha tenuto il passo con la rapida crescita dell’area metropolitana, che oggi conta 11 milioni di abitanti. Il sistema idrico e fognario di Manila è ancora più vecchio di quello di Giacarta, creato nel 1878 dai colonialisti spagnoli e progettato per una città di 300.000 abitanti, che invece oggi ne conta più di 14 milioni.

Gli schemi di privatizzazione dei sistemi idrici delle due città, inizialmente, erano molto simili. In entrambe le città infatti, l’area metropolitana era stata divisa in due settori assegnati a società differenti, ed in entrambi i casi la concessione prevedeva una durata iniziale di 25 anni. Furono coinvolte le più grandi aziende idriche internazionali per offrire assistenza tecnica e schemi di finanziamento alle agenzie governative indonesiane e filippine a sostegno dei programmi di privatizzazione, mentre la fornitura di servizi fu assegnata a grossi conglomerati internazionali assieme a gruppi locali di rilievo e politicamente ben collegati, elemento essenziale per ottenere i contratti di privatizzazione. 

La privatizzazione dell’acqua a Manila iniziò quando l’allora presidente delle Filippine, Fidel Ramos, per combattere la crisi idrica che stava colpendo la capitale bandì una gara d’appalto che fu vinta da due società: Maynilad Water Services a Manila Ovest e Manila Water a Manila Est. Nonostante alcune difficoltà iniziali, aggravate dalla crisi finanziaria che aveva colpito l’Asia in quegli anni, le due società hanno raggiunto ad oggi più del 94% di copertura del servizio nella città rispetto al 58% prima della privatizzazione, e le dispersioni idriche sono state ricondotte al 27% rispetto al 67% circa pre-privatizzazione. Per questi motivi, la privatizzazione dell’acqua nelle Filippine è considerata da molti uno dei partenariati pubblico-privati di maggior successo al mondo.

Diversamente è stato, ahimè, per la capitale indonesiana. Qui l’allora presidente Suharto, cercando di rimediare alla scarsa efficienza del sistema di erogazione pubblico dell’acqua a Giacarta, che non consentiva un equo accesso all’acqua per tutti i cittadini, concesse la gestione della rete idrica a due società straniere senza alcuna gara d’appalto. Si trattava della francese Suez Environment, che insieme al gruppo Salim (di proprietà di un magnate fedelissimo al presidente), aveva costituito la PT PAM Lyonnaise Jaya (Palyja). L’altra società, invece, PT Aetra Air Jakarta, era costituita dalla britannica Thames Water assieme al figlio di Suharto. Nei 25 anni di concessione, le due società hanno subito numerose modifiche societarie e cessioni di quote, e hanno fatto ben pochi progressi nell’espansione della copertura del servizio, come anche nell’aumento dell’efficienza ma soprattutto nell’equità in termini di accesso all’acqua tra i diversi strati della popolazione. Secondo il Jakarta Post, dopo quasi due decenni la copertura ha raggiunto solo il 59% degli abitanti della città, nonostante le tariffe medie dell’acqua siano piuttosto simili a quelle di Manila. Nel 2017 dunque, le due società idriche sono state citate in giudizio per il mancato rispetto dei loro obblighi contrattuali e il tribunale si è pronunciato contro di loro, minacciando la fine dell’esperimento di privatizzazione dell’acqua a Giacarta. Tuttavia, è molto probabile che si proseguirà lungo la strada della privatizzazione, mantenendo le due concessioni, seppur riformulando i termini. 

Resta da vedere, però, se la capitale indonesiana riuscirà, seppur con un po’ di ritardo, a replicare l’esempio di successo del modello filippino.

Filippine: nuovo Marcos, vecchia diplomazia

Il figlio dell’ex dittatore di Manila ha dichiarato di essere a favore di una “politica estera indipendente”, usando un’espressione coniata da Duterte, traducibile in un’ambiguità strategica dalle sfumature filo-cinesi

Articolo di Lucia Gragnani

Si è conclusa l’era di Rodrigo Duterte alla presidenza delle Filippine. Dopo sei anni, caratterizzati dalla lotta alla droga sul piano domestico e da una politica ambigua a livello internazionale, l’ex-presidente si è ritirato ufficialmente dalla vita politica. Con le elezioni di maggio 2022, gli è subentrato Ferdinand Marcos Jr. detto Bongbong. Nonostante la storia truce della famiglia Marcos, segnata da 14 anni di dittatura militare a guida del padre Ferdinand Marcos, Bongbong è riuscito a portare a casa una vittoria senza precedenti dai tempi della fine della dittatura. 

I 90 giorni di campagna elettorale, caratterizzati da uno sforzo di stampo orwelliano per riabilitare l’immagine della famiglia Marcos, hanno dato i loro frutti. Con Sara Duterte alla vicepresidenza, le elezioni del 2022 si sono confermate una vittoria per le dinastie politiche filippine e un autogol per la democrazia di Manila.

Durante la sua campagna elettorale, Duterte aveva dichiarato prioritarie le questioni del Mar Cinese Meridionale, mettendole a dettare i rapporti con la Cina. In realtà, i rapporti tra Filippine e Cina si sono sviluppati in modo relativamente positivo, con Manila rivolgendo lo sguardo strategico più verso Pechino e meno verso Washington nei primi anni di presidenza.

La politica estera del neoeletto Marcos si presenta della stessa matrice. Anche lui ha infatti dichiarato di essere a favore di una “politica estera indipendente”, usando un’espressione coniata da Duterte, traducibile in un’ambiguità strategica dalle sfumature filo-pechinesi. In campagna elettorale, Bongbong ha annunciato di voler intensificare i rapporti bilaterali con la Cina, e di voler negoziare un accordo per superare le dispute nel Mar Cinese Meridionale, in stallo dall’arbitrato del 2016. 

Il tribunale, interpellato nel 2013 dalle Filippine contro la Cina al tribunale della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), aveva dichiarato le rivendicazioni storiche di Pechino come illecite, e denunciato il comportamento belligerante della Cina nel Mar Cinese Meridionale. Il risultato, visto dalle Filippine come una vittoria, era stato prontamente rifiutato dalla controparte.

Le controversie riguardanti la sovranità sulle formazioni del Mar Cinese Meridionale rimangono l’ostacolo principale nei rapporti tra Manila e Pechino, e hanno contribuito a rendere Duterte più amichevole nei confronti di Washington durante gli ultimi anni di presidenza. Tra i paesi dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN) che rivendicano le acque e le isole di questo bacino marittimo, le Filippine e il Vietnam sono i più esposti al confronto con la Cina.

Ad aprile Manila e Washington hanno condotto l’esercitazione militare più massiccia degli ultimi sette anni. Il Balikatan, in tagalog “spalla a spalla”, ha mobilitato circa 9 mila membri tra personale militare filippino e americano nell’area di Luzon. Oltre agli Stati Uniti, un altro partner strategico è l’India, paese rivale di Pechino, con cui le Filippine hanno tenuto esercitazioni navali nel Mar Cinese Meridionale nel 2021.

Per attenuare le tensioni tra ASEAN e Pechino, il 2022 dovrebbe vedere la firma dell’atteso Codice di condotta per il Mar Cinese Meridionale. Il documento ha lo scopo di ridurre le probabilità di conflitto tra le parti, creando una linea guida per il comportamento degli stati nelle acque contese. Tra le conseguenze, avrebbe anche il facilitare l’esclusione dei paesi terzi dal dibattito, principalmente Stati Uniti e India.

L’impegno di Washington nell’Indo-Pacifico, intensificatosi negli ultimi mesi, getta dubbi sul rispetto della scadenza del 2022. La presenza delle Filippine (e di altri paesi ASEAN) all’interno dell’Indo-Pacific Economic Framework (IPEF) riduce la probabilità che il codice di condotta venga reso giuridicamente vincolante, e contribuisce a rendere la politica estera di Marcos ulteriormente ambivalente. 

Filippine, vince Marcos Jr.: quali prospettive per Manila?

Il figlio dell’ex dittatore conquista una maggioranza schiacciante. Che cosa significa la sua ascesa al potere per il Paese del Sud-Est asiatico?

Il 9 maggio 2022 le Filippine hanno rimesso un Marcos alla guida del Paese. E con risultati inequivocabili: poche ore dopo la chiusura dei seggi, Ferdinand Marcos Jr. aveva già ottenuto un distacco netto nei confronti dell’altra candidata di punta, Leni Robredo. A dettare il successo di “Bongbong” anche la scelta di Sara Duterte come sua candidata alla vicepresidenza. Si tratta del successo elettorale più ampio mai registrato da un candidato dal 1989, quando Corazon Aquino ha ottenuto la carica sulla spinta delle rivolte contro Marcos padre. 

Ferdinand “Bongbong” Marcos Jr.: chi è

Classe 1957, Ferdinand Marcos Jr. è l’unico figlio maschio dell’ex dittatore filippino. Esiliato con la famiglia a Honolulu dopo il crollo del regime, è rientrato nelle Filippine nel 1991, due anni dopo la morte del padre. Dal rientro in patria all’entrata in politica sono passati solo pochi mesi: la Presidente Aquino aveva infatti concesso sia il ritorno nelle Filippine che la possibilità di rientrare in politica. Ferdinand “Bongbong” Marcos Jr. è stato prima deputato, poi governatore di Ilocos Norte (storico feudo della dinastia Marcos), e infine membro del Congresso e senatore tra il 2010 e i 2016.  A Ilocos Norte, ciononostante, alcuni lo ricordano come un governatore assente: si era iscritto a Oxford ed era spesso negli States, ma non ha mai concluso la sua carriera accademica oltre il diploma.

Nel 2016 si è candidato alla vicepresidenza, ma ha perso contro la candidata Leni Robredo – nota successivamente per la sua opposizione alle politiche di Duterte. Non è quindi un caso che Marcos Jr. abbia presto ereditato il bacino elettorale di Duterte (nonostante alcuni screzi tra i due).  La sua vittoria era prevista dai sondaggi, dove superava il 55% delle preferenze. Le promesse in campagna elettorale sono state definite dagli osservatori come “vaghe”, ma ciò non ha impedito a Bongbong di portare a casa un successo inaspettato, il più eclatante dai tempi dell’elezione di Aquino.

Disillusione e social media

La disillusione nei confronti della classe politica ha contribuito in buona parte all’ascesa incontrastata di Marcos Jr. Nonostante le promesse vaghe, il neoeletto Presidente ha sempre giocato sulla necessità di ricreare un Paese più giusto, dove non dilaghino la corruzione e il separatismo (che non ha mancato di farsi sentire anche in occasione delle elezioni 2022). Inoltre, l’immagine “ripulita” dei Marcos sui social media ha contribuito a creare la narrazione di “un’epoca d’oro” che si era realizzata sotto il dominio di Marcos padre. Secondo i sostenitori del nuovo Presidente, infatti, sotto il regime di Marcos non sarebbe esistita una corruzione così dilagante, né i clan familiari avrebbero avuto tanto potere nei confronti della politica.

L’elezione di Marcos Jr. attira, come accaduto anche con Duterte, profonde riflessioni intorno al ruolo dei social. Le Filippine sono considerate uno dei Paesi più “social” in Asia, con ben 80 milioni di utenti online. Secondo un’indagine di Rappler, il punto di svolta di questo trend è stato il 2016, quando l’elezione di Duterte ha ricordato a molti il populismo dello statunitense Donald Trump. Almeno un milione di persone sono state esposte a notizie false o fuorvianti grazie alla diffusione di contenuti virali. Le Filippine hanno approvato una legge contro le fake news nel 2017 ma, come afferma lo stesso Marcos Jr., “è molto difficile per i governi gestire queste dinamiche”.

L’impatto delle presidenziali sull’ASEAN

Dal punto di vista dell’ASEAN un governo filippino potenzialmente debole potrebbe rappresentare un’altra questione con riflessi interni ed esterni. Il dossier sui territori contesi nel Mar cinese meridionale non è ancora risolto e il Codice di condotta promesso per gestire l’assertività cinese ancora irrealizzato. Se con Duterte la decisione di allontanarsi dagli Stati Uniti aveva l’apparenza di una strategia, con Marcos Jr. potrebbe trattarsi di una scelta obbligata dagli eventi. Sulla bilancia delle sfide per l’ASEAN Manila gioca un ruolo cruciale. A metà strada tra Washington e Pechino, le Filippine di Marcos Jr. potrebbero rimettere in primo piano le priorità del gruppo. Ma l’atteggiamento schivo di Bongbong, che ha evitato molte occasioni di dibattito pubblico, non aiuta a comprenderne la strategia diplomatica.

Secondo gli analisti, la presenza di un Marcos alla presidenza non favorisce il riallacciamento delle relazioni con Washington: un tribunale delle Hawaii nel 2011 ha condannato i Marcos a pagare una multa da 353,6 milioni di dollari per non aver dichiarato il proprio patrimonio. La somma non è stata mai pagata, e per questo motivo Marcos è teoricamente un ricercato che potrebbe andare incontro a una causa penale qualora mettesse piede negli Usa. Un problema non indifferente sia nel contesto delle visite presidenziali, che in occasione di summit multilaterali con l’ASEAN. Spinto dagli eventi, Bongbong potrebbe trovarsi sulla strada aperta da Rodrigo Duterte alla Cina (e ai suoi capitali): un percorso che, a seconda di come si muoverà il nuovo presidente, potrebbe trovare spazio grazie alla spinta della Vicepresidente Sara Duterte.

Elezioni nelle Filippine: gli sfidanti e i temi del voto

Lunedì 9 maggio, l’arcipelago del sud-est asiatico sceglie il suo nuovo presidente. Alcune informazioni per capire la sfida elettorale e le sfide che attendono la leadership entrante.

Manca poco al giorno delle elezioni nelle Filippine. Il 9 maggio i cittadini votano per le presidenziali, oltre a esprimere la preferenza per legislatura ed esecutivo a livello nazionale e provinciale. Una sfida che vede soprattutto i cinque candidati per la presidenza protagonisti di una fase complessa per il destino dell’arcipelago. Tra i fattori che erediterà la nuova dirigenza: sei anni di amministrazione Duterte segnati dalla lotta alla criminalità senza compromessi, l’emergenza Covid-19, il rallentamento dell’economia e una crescente instabilità geopolitica nel Pacifico. Come vengono trattati questi temi oggi, quali misure verranno effettivamente prese dal nuovo governo, sarà decisivo per il futuro dei suoi cittadini e dell’ASEAN. Lo stesso presidente uscente, Rodrigo Duterte, non parteciperà al summit USA-ASEAN del 12-13 maggio a Washington per “non prendere posizioni che potrebbero risultare inaccettabili alla nuova amministrazione”.

Sfide e opportunità 

Il nuovo corso degli eventi non potrà prescindere da quelli che sono i temi del momento. Il nuovo presidente ha solo un mandato a disposizione per agire nei confronti degli elettori e preparare la strada per favorire la continuità delle riforme. Tra questi, proprio l’immobilità della classe politica rimane una delle maggiori preoccupazioni per la salute della democrazia filippina: qualsiasi carriera importante ha radici nel network di conoscenze (fino al nepotismo e all’esistenza di vere e proprie dinastie politiche) e nella corruzione. Da qui una certa frustrazione e disillusione nei confronti della classe politica, poiché la percezione generale è che chi possiede denaro e contatti ha già in mano un grande potere sulla politica locale e nazionale. Secondo il Corruption perception index del 2021, l’81% dei filippini pensa che la corruzione sia un serio problema interno all’élite politica del paese, mentre il 19% dei funzionari pubblici avrebbe ricevuto almeno una volta all’anno delle tangenti. 

A questo clima socio politico si aggiunge il problema sempre più grave della disinformazione. La famiglia dell’ex dittatore Marcos e dell’attuale candidato Ferdinand ‘Bongbong’ Marcos Jr., per esempio, ha lavorato assiduamente per “ripulire” la propria immagine. Oggi i social media offrono un’ampia varietà di contenuti propagandistici su Marcos Jr., o inneggiano a un passato glorioso attraverso gli inni e i simboli del regime del 1965. Quasi l’intera popolazione è esposta all’informazione su Facebook, YouTube e TikTok e la maggior parte di questi utenti sono giovani nati negli anni successivi alla caduta dell’autocrate (1986). Gli stessi giovani che, oggi, costituiscono un terzo dell’elettorato.

Una ricerca pubblicata da Publicus Asia segnala, inoltre, che il 51% dei rispondenti ritiene la campagna vaccinale e la crisi economica post-Covid i due principali problemi delle Filippine. Secondo gli ultimi dati sulla pandemia, i casi sono stabili e le vaccinazioni sembrano procedere di buon passo (il 74,3% della popolazione vaccinabile ha ricevuto almeno due dosi). Per quanto riguarda l’economia, le stime della Asia Development Bank (ADB) prevedono un trend positivo di crescita al 6% per il 2022, ma la guerra in Ucraina e i rallentamenti lungo le catene di approvvigionamento (soprattutto a causa del lockdown cinese) potrebbero cambiare le carte in tavola.

Ma le elezioni del 2022 potrebbero essere decisive anche per il futuro della politica estera filippina. Situate in un contesto geografico sempre più teso tra Cina e Stati Uniti, le Filippine sono da tempo combattute tra i vantaggi della partnership commerciale con Pechino e l’assertività delle sue navi nel mar Cinese meridionale. Se Marcos Jr. vincesse le elezioni, in molti ritengono ci si possa aspettare un allineamento verso la Repubblica popolare. Da un punto di vista dei valori alla base della sua campagna elettorale, invece, Leni Robredo otterrebbe un supporto maggiore dagli Usa nella sua lotta alla sopravvivenza delle istituzioni democratiche nel Sud-Est asiatico.

Chi sono i candidati

I candidati alle elezioni presidenziali nelle Filippine sono cinque, ma secondo i sondaggi il testa-a-testa decisivo sarà tra Ferdinand ‘Bongbong’ Marcos Jr. e Maria Leonor “Leni” Gerona Robredo. I due si trovano ancora una volta rivali davanti all’elettorato, che li aveva visti correre per la vicepresidenza nel 2016, quando Robredo vinse con solo lo 0,34% di vantaggio contro Marcos.

Il primo, come anticipato, è figlio del dittatore che ha guidato il Paese per oltre vent’anni (1965-1986) – undici dei quali imponendo la legge marziale. Lo spettro di Marcos padre non oscura la fama del figlio: per molti, al contrario, i Marcos rappresentano un’istituzione. A favorirlo potrebbe essere il nord (la regione di Ilocos Norte è storicamente considerata il “feudo” dell’ex famiglia presidenziale, e proprio lì si è consolidata la carriera politica di Marcos Jr.), che anche nel 2016 aveva preferito la coalizione d’opposizione di Jejomar Binay. Al momento sembra essere il favorito dai sondaggi. La sua candidata alla vicepresidenza è nientemeno che Sara Duterte, figlia del presidente uscente che ha rinunciato alla corsa per il posto del padre (nonostante le analisi e il sentiment popolare l’avessero messa al primo posto tra i favoritissimi per la corsa alla presidenza).

Maria Leonor “Leni” Gerona Robredo, dei Liberali, ha fatto della difesa della democrazia e della lotta al nepotismo le sue armi in campagna elettorale. Avvocata per i diritti umani, si è presto distaccata dal presidente Duterte durante la sua vicepresidenza, complice la sanguinosa campagna contro la droga che ha portato alla morte di oltre seimila persone dall’inizio del suo mandato. È la seconda candidata favorita dai sondaggi, attestandosi intorno al 24% e ottenendo una discreta ripresa su Marcos Jr. Sta avendo successo su parte dell’elettorato per i suoi atteggiamenti di “umiltà” in un paese dove l’accesso alla politica si ottiene spesso con il denaro e le conoscenze: tra questi, l’aver tolto i tacchi alti in pubblico e l’utilizzo dei mezzi pubblici per spostarsi. Alcune recenti analisi sembrano inoltre vederla in vantaggio tra gli investitori, che diffidano della capacità di Marcos Jr. nel portare avanti politiche economiche e fiscali efficaci. Se eletta, sarebbe la terza presidente donna del paese dopo Corazon Aquino e Gloria Macapagal Arroyo.

Gli altri candidati alle presidenziali sono il sindaco di Manila e attore Isko Moreno, l’ex campione di pugilato e senatore Manny “PacMan” Pacquiao e l’ex dirigente della Polizia nazionale delle Filippine Panfilo Lacson.

Le elezioni e l’ASEAN

L’elezione di un nuovo capo di stato è sempre determinante nel contesto delle relazioni regionali. Nel caso delle Filippine, il problema diventa ancora più urgente davanti a un panorama geopolitico in mutazione. Un ambiente, quello odierno, che per la sua complessità necessiterebbe della massima coesione interna al gruppo ASEAN.
In uno degli ultimi dibattiti della campagna elettorale in corso, Leni Robredo ha sottolineato la necessità per Manila di guidare il dialogo ASEAN sull’assertività cinese nel tratto di mare comune. Per Robredo, il Codice di condotta per il Mar cinese meridionale non può essere posticipato ulteriormente. E le Filippine “devono spingere gli altri Paesi membri” ad approvarlo in modo da consolidare la propria posizione davanti alle rivendicazioni territoriali cinesi. L’Associazione osserva con attenzione quanto accadrà nelle urne filippine anche per il proprio bilanciamento interno, quanto mai fondamentale in un momento globale così delicato tra coda pandemica e guerra in Ucraina.

L’effetto della crisi climatica sulle elezioni delle Filippine

È chiaro a tutti che il Paese è particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici e necessita, quindi, di un ricorso alle energie rinnovabili.

Quando il tifone Rai ha devastato le Filippine centrali nel dicembre 2021, lasciando quasi 400 città senza energia elettrica per settimane, ciò che più ha irritato la popolazione è stata l’incapacità del governo di prevedere le conseguenze del disastro naturale.

Un arcipelago nel mezzo del Pacifico, ogni anno le Filippine vengono colpite da almeno 20 tempeste, che sembrano peggiorare esponenzialmente. Il tifone Rai è stato più distruttivo dell’Haiyan (2013) e le stime dei danni che ha causato in tutto il Paese ammontano a 800 milioni di dollari.

È chiaro a tutti che il Paese è particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici e necessita, quindi, di un ricorso alle energie rinnovabili. Tuttavia, pare che Manila non la pensi allo stesso modo. Da inizio febbraio, la capitale è in preda alla “febbre da elezioni” e i politici sembrano vedere la questione del clima come una problematica alla quale solo le nazioni più grandi possono far fronte. Per la classe politica filippina l’obiettivo principale è la sopravvivenza e  non vi è alcuna apparente preoccupazione di affrontare le conseguenze disastrose provocate dai disastri naturali che colpiscono il Paese da anni. 

In vista delle elezioni del 9 maggio, che misureranno l’appetito dei filippini per il cambiamento, Ferdinand Marcos Jr., figlio e omonimo del defunto dittatore, è il favorito per vincere la presidenza. Il sindaco di Davao, Sara Duterte, figlia dell’attuale leader, sta guidando la corsa per la vicepresidenza. Tutti gli occhi sono puntati sulla corsa alla successione del presidente Rodrigo Duterte, a cui è costituzionalmente vietato cercare un secondo mandato e non ha nominato pubblicamente un successore preferito.

Sulla scheda elettorale si compirà una scelta tra dieci candidati alla presidenza e nove alla vicepresidenza. Ciò che il popolo si aspetta non sono solo delle risposte concrete alla pandemia e dei forti programmi di ripresa economica, ma sono osservate da vicino anche le posizioni di ciascun candidato in merito alle politiche dell’era Duterte, la sanguinosa guerra alla droga, la politica estera verso la Cina e la sua spinta infrastrutturale sostenuta dal debito.

In sintesi, la questione climatica e il passaggio ad un maggiore uso delle fonti di energia rinnovabile, non sembrano le priorità della classe politica filippina.

Secondo il professor Antonio La Vina, ex direttore esecutivo dell’Osservatorio di Manila, un istituto di ricerca senza scopo di lucro con sede presso l’Ateneo de Manila University: “Tifoni della portata di Haiyan e Rai continueranno a presentarsi sempre più frequentemente; senza un piano che preveda questi eventi, si arriverà ad un punto critico in cui non avremo il tempo necessario per ricostruire”. 

Se il Governo promuovesse un maggiore uso dell’energia rinnovabile, sostituendo i combustibili fossili che contribuiscono al peggioramento del cambiamento climatico, le drammatiche conseguenze delle tempeste annuali potrebbero essere evitate.

Perché allora alla COP26 di Glasgow l’anno scorso, le Filippine hanno concordato solo parzialmente sulla graduale eliminazione del carbone? Perché i grandi attori della produzione di energia hanno investito così tanto nel carbone che non vogliono vedere i loro soldi sprecati. Manila potrebbe aver recentemente imposto un divieto sulle nuove centrali elettriche a carbone, ma quelle esistenti potranno continuare a produrre per decenni.

Secondo le ultime statistiche, il 42% dell’elettricità filippina proviene ancora dal carbone, mentre le energie rinnovabili rappresentano solo il 29%. Per poter sperare di evitare le drammatiche conseguenze causate dai disastri ambientali, le Filippine dovranno aumentare l’uso di energia rinnovabile del 35% entro il 2030 e oltre il 50% entro il 2040. 

Nel 2016 si è registrato un picco nelle costruzioni di infrastrutture volte ad ospitare la produzione di energia rinnovabile (in particolare quella solare), ma da quel momento in poi c’è stato un calo e non se n’è più parlato. Nonostante ogni mese ogni famiglia veda sulla propria bolletta una piccola tariffa aggiunta per aiutare a finanziare queste nuove infrastrutture, l’energia rinnovabile rimane un tema ancora poco conosciuto dalla popolazione dell’arcipelago. 

La chiave è educare le comunità che, a loro volta, dovranno chiedere alle loro unità governative locali di destinare una maggiore quantità dei loro bilanci alle energie rinnovabili. Questo tipo di cambiamento parte dal basso verso l’alto e non aspetta che i “piani alti” intervengano. La via da seguire potrebbe essere quella di sfruttare le risorse naturali per ogni isola dell’arcipelago e ovviare alla tecnologia diesel che è costosa, importata, inaffidabile e troppo spesso non in grado di soddisfare il fabbisogno energetico giornaliero sulle isole più remote.

Gli elettori filippini dovrebbero forse chiedere di più alla loro prossima amministrazione presidenziale per evitare di fare di questo Paese un poster pubblicitario per la resilienza ai disastri.

Filippine, ritorno al futuro: Marcos Jr dopo Duterte?

A maggio sono in calendario le attese elezioni presidenziali nell’arcipelago del Sud-Est asiatico, strategico nella contesa tra Stati Uniti e Cina. Manila cerca di dare un volto al dopo Duterte, anche se la figlia Sara potrebbe occupare un posto di primo piano al fianco di un altro figlio, quello dell’ex dittatore che controllò il Paese tra il 1972 e il 1986. Dal mini e-book di China Files “In Cina e Asia 2022”, realizzato in collaborazione con Associazione Italia-ASEAN.

Articolo a cura di Luca Sebastiani

Ex pugili, figli di dittatori e presidenti, attivisti e attori. La corsa alla presidenza delle Filippine che si terrà il 9 maggio 2022 è accesissima. La popolazione del paese del Sud-Est asiatico il prossimo anno andrà alle urne per decidere chi governerà per i prossimi anni, sia a livello nazionale che locale. In tutto, gli aventi diritto di voto saranno circa 67 milioni, per una tornata elettorale particolarmente importante. L’attesa è molto alta per la corsa alla successione di Rodrigo Duterte, presidente dal 2016 a cui la Costituzione nega la possibilità di ricandidarsi e che quindi ha ripiegato sulla candidatura per un posto al Senato.

I pretendenti

Al momento più di 90 candidati si sono presentati con la speranza di ricoprire la carica più alta delle Filippine. Il favorito dai sondaggi è per ora Ferdinand “Bongbong” Marcos Jr., figlio del defunto omonimo dittatore Ferdinand Marcos, che controllò il paese tra il 1972 e il 1986. Marcos, senatore fino al 2016, corre con il partito Pfp (Partido Federal ng Pilipinas) e, in caso di una sua vittoria, gli analisti ritengono possa verificarsi una sostanziale continuità con Duterte (nonostante quest’ultimo non lo appoggi). Tra l’altro, come sua vicepresidente, si dovrebbe candidare la figlia maggiore dello stesso Duterte, Sara, che dopo mesi di indiscrezioni su una sua discesa in campo per succedere al padre, ha deciso di sostenere Marcos. Un’intesa che potrebbe rafforzare l’asse tra due delle dinastie politiche più importanti delle Filippine ed esponenti del nord e del sud del paese. Il cambio di passo più evidente potrebbe verificarsi in politica internazionale, con un maggior equilibrio delle Filippine tra Cina e Stati Uniti, rispetto a quanto avvenuto con Duterte, più proteso verso Pechino, soprattutto nella prima parte del suo mandato.

La principale sfidante di Marcos Jr sembrerebbe poter essere l’attuale vicepresidente Leni Robredo, un’attivista per i diritti civili che punta a intercettare il voto di chi vuole un forte cambiamento dopo gli ultimi anni. Si tratta di una figura contrapposta rispetto a quella di Duterte e contraria alla violenta “guerra alla droga” condotta dal presidente, in cui sono state uccise migliaia di persone dalle forze di polizia (più o meno regolari) con omicidi extragiudiziali. Robredo ha dichiarato, in modo diplomatico, che in caso di vittoria collaborerà con la Cina solo nelle aree e nei dossier dove non ci sono tensioni esistenti, sottintendendo comunque l’importanza dei rapporti commerciali con Pechino. A correre per la presidenza anche il senatore Panfilo Lacson, già capo della polizia delle Filippine, e l’ex ministro della Difesa Norberto Gonzales.

Tra i nomi di peso presenti ai nastri di partenza c’è quello del sindaco di Manila, l’ex attore Francisco “Isko Moreno” Domagoso, che spera nel sostegno ufficiale di Duterte, ma anche Manny Pacquiao, tra i più grandi pugili di tutti i tempi e attualmente senatore, che ha deciso di candidarsi alla presidenza dopo aver appeso i guantoni al chiodo a settembre. Negli scorsi mesi Pacquiao si è scontrato in maniera aspra con Duterte – nonostante siano entrambi esponenti del Pdp-Laban (Partido Demokratiko Pilipino-Lakas ng Bayan) – criticandolo per l’approccio troppo accondiscendente con Pechino. La sua campagna elettorale si baserà sulla lotta alla corruzione nel paese e un atteggiamento più intransigente con la Cina. Insieme a loro sono decine i candidati, alcuni inevitabilmente in cerca di visibilità e notorietà in un paese duramente colpito dalla pandemia e con l’economia in difficoltà.

L’equilibrio tra Stati Uniti e Cina

A prescindere dalle priorità di politica interna su cui i diversi candidati discuteranno da qui fino alle elezioni, emerge con forza un tema cardine del prossimo futuro per le Filippine: il proprio posizionamento nella contesa tra Cina e Stati Uniti. Il Covid-19 ha accelerato il processo competitivo tra le due potenze, evidenziando la centralità strategica della regione indo-pacifica. Dall’inizio della presidenza di Duterte i rapporti economici e politici tra Manila e Pechino sono andati via via rafforzandosi, indebolendo di conseguenza l’intesa con gli Usa dell’allora presidente Donald Trump. Una tendenza durata fino allo scontro diplomatico della scorsa primavera quando le Filippine e la Cina sono arrivate ai ferri corti a causa della vicenda delle isole Spratly/Kalayaan, storica controversia territoriale tra i due paesi.

In quell’occasione Pechino inviò più di 200 pescherecci nelle acque dell’atollo Juan Felipe (o “Whitsun Reef” per usare il nome internazionale), definite vere “milizie marittime” da parte delle Filippine. Il rifiuto cinese di abbandonare le acque fece salire la tensione. Per Manila fu una chiara manifestazione delle volontà cinesi di occupare territori in quella zona, tanto che il ministro degli Esteri delle Filippine, Teodoro Locsin Jr. reagì rivolgendosi ai cinesi con parole molto dure: “Get the fuck out”. Nonostante queste dichiarazioni, Duterte ha sempre cercato di tenere basso il livello di tensione con la Cina. D’altronde da Pechino giungevano milioni di dosi di vaccino essenziali per il paese. Anche a novembre è avvenuto un incidente nel Mar cinese meridionale, con le navi della Repubblica Popolare che hanno sparato colpi di avvertimento vicino a imbarcazioni delle Filippine.

Gli Stati Uniti hanno subito sfruttato la questione per dare il pieno sostegno a Manila, cercando di ampliare la distanza tra le Filippine e Pechino. Per Washington l’arcipelago è fondamentale, visti la vicinanza geografica con Taiwan e il legame storico che lega gli Usa e Manila. Anche per questo che con Joe Biden alla Casa Bianca, l’amministrazione americana si è mostrata più attenta verso il paese del Sud-Est asiatico, che dopo le ripetute dichiarazioni in senso contrario ha rinnovato il Visiting Forces Agreement.

Le recenti tensioni con la Cina hanno scaldato gli animi della popolazione delle Filippine, che potrebbero ricordarsene quando si recheranno alle urne. Sebbene, non ci siano tra i principali pretendenti, candidati che sono dirette espressioni di Pechino o Washington, è certo che in questi mesi di campagna elettorale verrà dedicato ampio spazio alle relazioni del paese asiatico con le due superpotenze. E nel frattempo Cina e Stati Uniti osservano.