Indonesia

La fluidità dell’Islam indonesiano

A chiedere l’istituzione della sharia sono solo dei gruppi minoritari, che alle ultime elezioni del 14 febbraio hanno contato molto meno che in passato. Questo è probabilmente dovuto alla fluidità con la quale la fede islamica si è imposta in Indonesia e all’impostazione costituzionale contenuta nella Pancasila – Dall’ebook “Indonesia” pubblicato con China Files

Articolo di Francesco Mattogno

Essere islamici, in Indonesia, è da sempre una scelta strategica. O almeno lo è secondo le teorie di alcuni storici. C’è chi sostiene che l’Islam si sia diffuso nel paese a partire dal tredicesimo secolo come conseguenza dei rapporti commerciali con i mercanti dell’Asia Meridionale e della penisola araba, provenienti in particolare dal Gujarat indiano e dallo Yemen. Altri che abbia contribuito alla sua espansione anche l’ammiraglio cinese musulmano Cheng Ho, approdato a Giava nel quindicesimo secolo. Ma, al di là del proselitismo, buona parte del successo dell’islam in Indonesia potrebbe essere dovuto alla geografia.

Quello indonesiano è un territorio distribuito su 17 mila isole, totalmente circondato dall’acqua, non particolarmente famoso per la qualità dei suoi terreni e dunque costretto al commercio. «Stanchi di pagare i tributi ai grandi e prosperi imperi indù e buddhisti della regione», ha detto a TRT World lo storico Carool Kersten, molti sovrani indonesiani videro come un’opportunità quella di convertirsi all’islam e di «cercare alleati in Africa e Medio Oriente» in un’epoca nella quale i musulmani, dopo la caduta di Costantinopoli nel quindicesimo secolo, controllavano le rotte marittime mondiali.

Non fu la conseguenza di una conquista straniera, né frutto dell’opera di ondate di predicatori. L’Islam in Indonesia si diffuse attraverso un processo fluido, lento, diversificato e probabilmente pacifico. Oggi quasi il 90% degli oltre 275 milioni di indonesiani è musulmano, statistica che rende il paese lo Stato a maggioranza islamica più grande del mondo. Un paese non pienamente laico, ma comunque democratico e tollerante. 

Nel preambolo della costituzione è ancora presente la Pancasila, ovvero i cinque principi fondamentali sui quali si fonda lo Stato indonesiano, stipulati nel 1945. Il primo afferma la “fede in un unico Dio”, ed è un concetto volutamente vago. Nelle prime bozze del testo si parlava esplicitamente di introdurre nella costituzione la sharia, cioè la legge islamica, possibilità poi accantonata in favore di una maggiore apertura religiosa. Di fatto, in Indonesia non si può dichiarare di essere atei, ma la costituzione riconosce altre sei grandi religioni (tra cui il cattolicesimo) e le minoranze religiose sono integrate nelle discussioni di interesse nazionale.

La grande maggioranza degli indonesiani, figlia di questa impostazione culturale e costituzionale, è prima di tutto nazionalista e rifiuta le correnti estremiste che disconoscono il concetto di appartenenza allo Stato-nazione indonesiano. Il radicalismo islamico è presente, ma minoritario, e le ultime elezioni del 14 febbraio hanno certificato la marginalità del mondo musulmano in quanto tale all’interno del sistema democratico di Giacarta.

Raramente i gruppi islamici estremisti hanno contato davvero a livello politico, ma nel 2014 e nel 2019 il duplice scontro tra Joko Widodo e Prabowo Subianto si era giocato anche sul piano della polarizzazione religiosa. Se Jokowi poteva contare sul sostegno dell’Islam moderato, nella seconda corsa alla presidenza Prabowo aveva portato dalla sua parte le organizzazioni islamiste che si erano sviluppate a partire dal movimento “212”, nato tra il 2016 e il 2017 durante la campagna elettorale per il posto di governatore di Giacarta tra Anies Baswedan e Basuki Tjahaja Purnama (“Ahok”). Ahok, cristiano di etnia cinese e favorito per la rielezione, venne accusato di blasfemia da Anies, che aizzò i suoi sostenitori più radicali contro di lui e di fatto diede il via al processo che portò il suo avversario alla condanna a due anni di carcere.

Sull’onda di una maggiore rilevanza politica, i gruppi nati dal movimento “212” avevano scelto Prabowo come portavoce della proprie istanze per le presidenziali del 2019. Questo nonostante la storia dell’ex generale e del Gerindra, il suo partito di destra nazionalista, fosse totalmente estranea all’estremismo religioso. Si trattava di reciproco opportunismo politico. Prabowo cercava elettori, gli islamisti un appoggio per entrare nelle istituzioni statali. La vittoria di Jokowi spense le loro speranze.

Dopo il caso Ahok, il presidente indonesiano aveva già sciolto il gruppo radicale Hizbut Tahrir Indonesia, nel 2017, facendo poi lo stesso con il Fronte dei Difensori Islamici (FDI) nel 2020. Durante il secondo mandato di Jokowi l’ascesa delle organizzazioni estremiste ha progressivamente perso slancio, a causa della repressione governativa e del ridotto sostegno popolare, mentre le associazioni moderate hanno finito con il legarsi ancora di più alle istituzioni. 

Le due più importanti organizzazioni moderate islamiche non politiche sono il Nahdlatul Ulama (NU) e il Muhammadiyah, alle quali aderiscono decine di milioni di persone. A loro sono connessi vari esponenti della società civile e della classe politica indonesiana, distribuiti abbastanza uniformemente nelle varie forze politiche, non solo in quelle prettamente islamiche, anzi. Fin dalle prime elezioni del 1955 i partiti musulmani non sono mai stati abbastanza forti per governare da soli, e anche i risultati preliminari del voto parlamentare del 14 febbraio hanno confermato la loro secondarietà. Per poter entrare nelle istituzioni, dunque, l’Islam moderato è sempre stato costretto a distribuire il proprio sostegno tra vari leader politici, soprattutto dopo le riforme democratiche del 1998 e la fine dell’era Suharto.

Pur mantenendo una facciata di neutralità, il supporto ai giusti candidati garantisce a NU e Muhammadiyah l’accesso agli incarichi pubblici. Ad esempio, nell’ultimo governo Jokowi il NU ha espresso il vicepresidente Ma’Ruf Amin e quattro ministri, tra cui quello degli Affari religiosi. Di fronte alla sempre minore rilevanza dell’aspetto ideologico, il pragmatismo e l’opportunismo politico hanno portato i due maggiori gruppi islamici moderati indonesiani a sostenere con diversi esponenti di spicco tutti e tre i candidati alle ultime elezioni: il vincitore Prabowo Subianto, Anies Baswedan e Ganjar Pranowo.

Il processo di depolarizzazione ha dunque ridotto il valore di un appoggio politico da parte delle associazioni religiose, rendendo marginale il ruolo dell’Islam nel determinare l’esito delle elezioni del 2024. Per Anies, che visto il precedente con Ahok era ritenuto il candidato più radicale, il supporto pubblico da parte di Abu Bakar Bashir – leader spirituale del Jemaah Islamiyah, il gruppo terroristico affiliato ad Al-Qaeda che ha organizzato gli attentati di Bali del 2002, dove sono morte 202 persone – stava anzi rischiando di minare la sua immagine ripulita di politico moderato. 

Più che il fine ultimo, con l’istituzione della sharia, l’Islam in Indonesia conta sempre di più come mezzo per il raggiungimento di obiettivi politici e come strumento di posizionamento, interno e internazionale. Per quanto ormai esteso a quasi tutte le forze politiche, il sostegno di almeno una parte dell’Islam moderato è una condizione di legittimità essenziale per qualunque candidato che punti a governare il paese, ed è per questo che a NU e Muhammadiyah (ultimamente più in difficoltà) vengono riservati ruoli di spicco nell’esecutivo. In politica estera, inoltre, la fede islamica è utilizzata come leva diplomatica per elevare l’Indonesia a uno dei paesi leader del mondo musulmano, e generalmente il governo è più incline a tollerare la mobilitazione islamica della propria società civile quando al centro del discorso pubblico ci sono questioni internazionali.


Il sostegno universale alla Palestina in questi mesi di escalation del conflitto con Israele, sia da parte della classe politica che dell’opinione pubblica, mostra come l’Islam rimanga una componente identitaria molto importante per la gran parte degli indonesiani. Alcuni osservatori ritengono che nei prossimi anni si potrebbe assistere a un ritorno dei gruppi conservatori, che durante il secondo mandato di Jokowi avrebbero solo abbassato i toni in attesa di condizioni politiche più favorevoli. Ma resta un’ipotesi remota. L’Islam indonesiano non è mai stato monolitico e, dopo aver superato una fase di polarizzazione, sembra essere tornato a quello stato fluido e opportunista che gli ha permesso di penetrare nel paese tra il tredicesimo e il quindicesimo secolo.

Nusantara, la scommessa della nuova capitale

Il governo si è impegnato a finanziare il 20% dei costi dal bilancio statale, e per il resto punta su capitali privati, anche esteri. Ma la nuova capitale tarda ad attrarre investitori, sia nazionali che esteri

A cura di Annalisa Manzo 

Nel 2019 il presidente Joko Widodo “Jokowi” annuncia l’ubicazione della nuova capitale dell’Indonesia nella provincia di Kalimantan orientale, la parte indonesiana dell’isola del Borneo. Sarà costruita su 180.000 ettari di terreno già di proprietà del governo, riducendo così al minimo i costi di acquisizione, a cavallo di due distretti, Penajam Paser Utara e Kutai Kartanegara, vicino a Balikpapan e Samarinda, le due città più grandi della provincia. Balikpapan ospita raffinerie di petrolio e un porto, rendendolo uno dei principali centri economici. Samarinda è la capitale della provincia del Kalimantan orientale. Rispetto ad altre zone di Kalimantan precedentemente considerate, gran parte delle infrastrutture necessarie sono già presenti. Entrambe le città dispongono di un aeroporto internazionale e potrebbero essere collegate al resto dell’isola tramite autostrade e ferrovie. Kalimantan si trova geograficamente al centro del Paese ed è meno esposto a eruzioni vulcaniche, terremoti e inondazioni.
“Non possiamo lasciare che Giacarta e l’isola di Giava continuino a sopportare il peso sempre più grave della densità di popolazione, della subsidenza, del traffico e dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua”, ha detto Jokowi in un discorso trasmesso in diretta televisiva. “Il divario economico tra Giava e le altre isole dell’arcipelago ha continuato ad ampliarsi nonostante la politica di autonomia regionale lanciata nel 2001”, ha aggiunto. Il 54% degli oltre 260 milioni di abitanti dell’Indonesia risiedono a Giava e il 58% del PIL del Paese viene prodotto sull’isola, nonostante sia la più piccola delle cinque isole principali dell’Indonesia.

Il megaprogetto da 32 miliardi di dollari mira a creare una nuova capitale dal nulla. Il suo nome è Nusantara – in indonesiano significa ‘arcipelago’ – proprio per riflettere la geografia dello Stato-arcipelago più grande al mondo. La sua costruzione è stata pianificata in cinque fasi fino al 2045, anno del centesimo anniversario dell’indipendenza indonesiana. I lavori della prima fase sono iniziati nel 2022 e dovrebbero terminare entro quest’anno.

L’obiettivo primario dichiarato nel progetto Ibu Kota Negara Nusantara – in breve IKN – come è ufficialmente noto, è quello di creare un nuovo hub geograficamente più centrale per l’Indonesia e guidare la trasformazione economica della nazione, senza più centralizzare l’Indonesia attorno a Giava. Il governo stima che la popolazione della città raggiungerà i 60 mila abitanti nel 2024, per salire a 2 milioni entro il 2040.

Il trasferimento della capitale è attualmente in fase di sviluppo delle infrastrutture. Il Ministero dei Lavori Pubblici e dell’Edilizia ha garantito che il progetto dell’IKN sta procedendo secondo i piani. I lavori si stanno concentrando sullo sviluppo delle infrastrutture di base e degli edifici governativi. Lo sviluppo dell’area del governo centrale (KIPP, Kawasan Inti Pusat Pemerintahan), in particolare il Palazzo Presidenziale, che sarà il più grande complesso del KIPP, è fondamentale per costruire la fiducia del pubblico e attrarre investitori. Il palazzo coprirà il doppio della superficie occupata a Gicarta e sarà in grado di ospitare fino a ottomila persone per le attività cerimoniali del 17 agosto. Verranno poi costruite anche infrastrutture pubbliche, come luoghi di culto, strutture sanitarie, parchi, aree sportive, educative e commerciali, e gli alloggi per i funzionari. Questa zona sarà inoltre circondata da cinture verdi in linea con l’obiettivo di rendere la capitale una “smart forest city”, con il 65% del territorio ricoperto da foreste urbane, che contribuirà a raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2045 attraverso l’utilizzo di energia rinnovabile. A partire da agosto, molti ministeri e agenzie governative apriranno uffici lì, e il governo prevede di trasferire 3mila dipendenti pubblici da luglio a novembre. Invece, le ambasciate e le sedi centrali delle imprese straniere situate a Giacarta si sono mostrate riluttanti a discutere il trasferimento. 

Riguardo gli investimenti, il governo si è impegnato a finanziare il 20% dei costi dal bilancio statale, e per il resto punta su capitali privati, anche esteri. Ma Nusantara ha tardato ad attrarre investitori, sia nazionali che esteri. SoftBank ha ritirato i piani citando preoccupazioni sulla sostenibilità economica. Il governo rivendica gli interessi di quasi 300 aziende in tutto il mondo, ma le trattative devono ancora concludersi. Pochi investitori sono disposti a impegnare fondi finché il successore di Jokowi – e le sue opinioni sulla nuova capitale – non saranno chiari. Anche per gli investitori stranieri è necessario assicurarsi che i piani di Nusantara vadano avanti dopo le elezioni. 

Jokowi ha fatto ogni sforzo per garantire che il suo successore continui il progetto, arrivando al punto di approvare una legge sulla nuova capitale all’inizio del 2022, sostenuta dal 93% dei partiti della Camera dei Rappresentanti. Un’altra garanzia è diventata chiara lo scorso ottobre, quando Prabowo Subianto, il 72enne Ministro della Difesa ed ex generale dell’esercito, ora alla guida del risultato preliminare delle elezioni presidenziali del 14 febbraio, ha annunciato che il suo compagno di corsa alle prossime elezioni sarebbe stato il figlio 36enne di Jokowi, Gibran Rakabuming, che intende portare avanti l’eredità di suo padre.

Lo scetticismo degli investitori stranieri riflette inoltre la constatazione che storicamente ci sono stati pochi trasferimenti di successo. Molti temono che Nusantara possa condividere il destino dei simili progetti portati avanti dai suoi vicini nel Sud-Est asiatico che hanno trasferito le loro capitali nell’era post coloniale. Nel 1999, ad esempio, la Malesia ha iniziato a trasferire i ministeri federali e le agenzie governative nella nuova capitale amministrativa, Putrajaya, 25 chilometri a sud di Kuala Lumpur, che rimane ancora oggi la capitale finanziaria e commerciale del Paese. Allo stesso modo, il Myanmar nel 2005 ha spostare la sua capitale amministrativa da Yangon a Naypyidaw, ma la maggior parte delle principali ambasciate sono rimaste a Yangon.

Sono in molti a dubitare che Nusantara riuscirà a sostituire rapidamente Jakarta come centro finanziario. Kalimantan ha industrie che potrebbero sostenere lo sviluppo, tra cui la silvicoltura, l’agricoltura e l’estrazione mineraria, ma Giava ha un’economia industriale e basata sui servizi. Non si sa se riuscirà a sostenere il ruolo di una vera capitale: connettività con altre città globali, creazione di conoscenza, servizi amministrativi. 

Nonostante dubbi e forti critiche, Nusantara Capital Authority ha affermato che la metropoli segue i modelli di Shenzhen e Dubai, due centri economici costruiti da zero, oltre agli altri riferimenti di Canberra, Putrajaya o Washington D.C. per diventare un centro dell’economia mondiale, nonché perno del governo e della crescita economica.

Se i piani andranno avanti, Jokowi e il suo successore riusciranno laddove i precedenti leader indonesiani hanno fallito. Tuttavia, l’enorme opera di deforestazione, i rischi per la biodiversità e la fauna selvatica, e l’eccessivo sfruttamento delle risorse minerarie della zona restano le maggiori preoccupazioni, oltre al pericolo della corruzione e dell’eccessivo indebitamento. Come affermato da I. M. Sukma, “un mega progetto infrastrutturale presenta due distinte possibilità: il potenziale di uno spreco di fondi in caso di abbandono completo, con il progetto già in corso, o il rischio di una città fallita, soprattutto date le continue sfide del governo per attrarre gli investimenti necessari per rendere il centro della ‘nuova Indonesia’ una realtà”. Staremo a vedere. Il futuro di Nusantara e del nuovo governo entrante è ancora tutto da scrivere. 

Nichel, l’oro indonesiano

Giacarta ne è ricchissima e l’elemento ha assunto una rilevanza strategica per via dell’avanzamento della produzione di veicoli elettrici. Attirando l’interesse delle grandi potenze

Che vi sia unanimità verso l’esigenza di abbandonare i combustibili fossili entro il 2050 è un fatto ormai assodato, specie in seguito all’accordo storico della COP28. Tuttavia, quando si tratta di considerare il passaggio alle fonti di energia rinnovabile come un’opportunità di crescita sostenibile per le economie in via di sviluppo, l’unanimità lascia spazio ad una visione permeata sia di ottimismo sia di pessimismo. L’Indonesia, con l’utilizzo del nichel come driver della transizione green e il conseguente danno ambientale, ne è un esempio. 

Negli ultimi anni, il nichel (specie quello di classe1) ha assunto una rilevanza strategica per via dell’avanzamento della produzione di veicoli elettrici (EV), le cui vendite annuali raggiungeranno almeno 41 milioni entro il 2030, secondo l’IEA. Grazie alle sue eccezionali proprietà e all’elevata efficienza di riciclaggio, il nichel contribuisce all’economia circolare, e in senso lato al raggiungimento di vari SDGs. Non sorprende che l’Indonesia, quale più grande produttore di nichel al mondo con il 52% delle riserve totali a livello globale, ambisca a diventare un hub indispensabile per l’industria dei EV. In effetti, il paese presenta vantaggi in termini di costi e relativa facilità di sviluppo di nuovi progetti rispetto ad altri paesi produttori di tale metallo, tra cui Filippine, Russia e Australia. Inoltre, con l’adozione di normative che ne hanno vietato l’esportazione, il governo è riuscito ad attirare massicci investimenti, prevalentemente cinesi. 

Tuttavia, se è vero che il progressivo abbandono delle auto a gas è una parte rilevante della transizione energetica, è altrettanto vero che la lavorazione del nichel per l’utilizzo nelle batterie dei EV comporta un significativo impatto ambientale. Preme, infatti, sottolineare che la maggior parte della produzione indonesiana è costituita da nichel di classe2 che necessita processi di lavorazione per essere trasformato in classe1. E, purtroppo, le attività di estrazione e lavorazione hanno generato grandi volumi di rifiuti tossici, causato deforestazione e perdita di biodiversità. Fa discutere il fatto che il danno ambientale sia interamente a carico del luogo in cui si effettua l’estrazione mineraria, e in ultima analisi, delle comunità che vi vivono. Così come fa riflettere che questi impianti siano fortemente energivori, rifornendosi perlopiù da centrali elettriche a carbone. 

Ciò nonostante, lo sfruttamento del nichel rappresenta una significativa opportunità per l’Indonesia ai fini di sostenere la propria crescita economica, consolidare il suo ruolo di leadership nella regione e aspirare ad essere un high-income country. Trattandosi di un settore critico per gli equilibri industriali, il nichel influisce inevitabilmente sulle dinamiche geopolitiche, rendendo Giacarta una preda sempre più ambita da Pechino e Washington. Da un lato, la Cina quale leader mondiale nella produzione di EV, ha investito 8 miliardi di dollari nel 2022 accrescendo la sua influenza nel paese, quale crocevia tra l’Oceano Indiano e Pacifico. Effettivamente, molti operatori di raffinazione del nichel sono di proprietà della società cinese Jiangsu Delong Nickel Industry, così come è di proprietà sino-indonesiana il parco industriale Morowali (IMIP). Dall’altro, i legami strategici tra Washington e Indonesia sono stati elevati a un Comprehensive Strategic Partnership (CSP) nel novembre 2023, anche se rimangono ancora superficiali e mancano di una cooperazione economica. Infatti, l’assenza di accordi bilaterali di libero scambio tra gli USA e Indonesia e le conseguenti barriere commerciali renderanno difficile la realizzazione di programmi chiave per il CSP, tra cui proprio la possibilità di un accordo sui minerali critici. In conclusione, così come la sola transizione verso i EV non basterà a garantire uno sviluppo sostenibile, anche gli atteggiamenti persuasivi delle due grandi potenze nei confronti dell’Indonesia non basteranno ad ottenere l’abbandono della politica di non-allineamento perseguita dal presidente uscente Joko Widodo e, a quanto pare, anche dal prossimo leader Prabowo Subianto.

“Capitalismo con caratteristiche indonesiane”: il ruolo delle aziende di Stato nella politica di Giacarta

L’economia indonesiana cresce a ritmi elevati, seguendo un modello economico che unisce libero mercato e pianificazione. Durante il governo di Jokowi le società statali hanno acquisito ancora più centralità. Come intenderà usare questo strumento il suo successore Prabowo?

Nei prossimi vent’anni, l’Indonesia potrebbe diventare la quarta economia mondiale. Al momento si trova al settimo posto, se misuriamo il suo PIL a parità di potere d’acquisto. L’arcipelago dispone di risorse naturali in abbondanza e di forza lavoro giovane e numerosa. Due fattori chiave per la crescita, ma che da soli non bastano. Serve anche aprire la porta agli investimenti stranieri e rimuovere gli ostacoli all’attività di impresa. L’amministrazione Jokowi ha provato a farlo in un colpo solo, e deciso. Nel 2020 è approvata la Omnibus Law, un testo legislativo monstre di circa mille pagine che ha toccato moltissimi settori. Anche la politica commerciale segue il solco del liberismo economico. Giacarta ha intensificato i suoi sforzi diplomatici per concludere un ambizioso accordo di libero scambio con l’Unione Europea e alza la voce ogni volta che delle misure straniere minacciano i suoi export, come quelle di Bruxelles sull’olio di palma.

Eppure, nonostante la decisa spinta liberalizzatrice, le imprese statali continuano ad avere un ruolo centrale nell’economia indonesiana, un ruolo che si è ulteriormente rafforzato negli ultimi dieci anni. Il Jokowismo, come viene chiamata la dottrina economica del governo uscente, è una fusione di libero mercato e robusto intervento statale. In Europa o negli Stati Uniti, dove il mercato è per principio più efficiente dello Stato, tale mix apparirebbe contraddittorio e persino economicamente irrazionale. Non agli indonesiani e nemmeno agli altri Paesi del Sud Est asiatico. Tale modello economico, premiato negli ultimi decenni da una stabile e vigorosa crescita del PIL, precede Widodo e, come accennato, si manifesta anche nel resto della regione. In forme diverse, come ha descritto Gianmatteo Sabatino, ricercatore della Zhongnan University of Economics and Law di Wuhan, nell’eccellente articolo The emerging trends of the modernization of state-controlled economy in the ASEAN space. The case of Indonesian State-Owned Enterprises (Rivista di Diritti comparati, numero 1/2023). 

Sabatino ricostruisce come il modello indonesiano di impresa statale si sia evoluto partendo dal diritto commerciale dei Paesi Bassi, trapiantato in Indonesia nel periodo coloniale, passando poi dai regimi di opposto segno di Sukarno e Suharto. Il processo di indipendenza, ufficialmente sancito dalla Costituzione del 1945, prevedeva anche la nazionalizzazione delle proprietà del Regno e dei cittadini neerlandesi. L’articolo 33 della Costituzione indonesiana, tuttora in vigore, sancisce che “i settori di produzione (…) importanti per il Paese e (che) influenzano la vita del Popolo devono essere sotto il potere dello Stato”, come anche l’acqua e le risorse naturali, che devono essere “sfruttate per il massimo beneficio del Popolo”. Sempre l’articolo 33 fissa la “democrazia economica” come stella polare dell’economia indonesiana. Per declinare tali principi, Sukarno guardava al modello di pianificazione economica socialista, in linea anche con la sua politica estera di graduale avvicinamento all’Unione Sovietica. Tale corso è bruscamente interrotto dal golpe di Suharto, supportato dagli Stati Uniti per evitare che l’Indonesia entrasse definitivamente nell’orbita sovietica. 

Dopo aver brutalmente eliminato ogni esponente socialista (o presunto tale), Suharto inverte la rotta promuovendo un modello economico liberista, senza però molto successo. Le sue riforme introducono schemi giuridici di governo d’impresa più vicini a quelli europei e americani, ma si scontrano con il corporativismo radicato nella società indonesiana. La caduta di Suharto apre per l’Indonesia la fase di Reformasi politico-economica, con il principio costituzionale della democrazia economica che torna in auge e l’emergere di un nuovo modello di sviluppo “nazionale”. Nonostante le richieste da più parti, in particolare dal Fondo Monetario Internazionale, di proseguire con liberalizzazioni e privatizzazioni, a Giacarta preferiscono mantenere forte il ruolo dello Stato nell’economia. Una azienda pubblica ben amministrata può stimolare lo sviluppo e anche facilitare la nascita di nuove aziende private. Jokowi lo sa bene. La sua carriera di imprenditore di successo è iniziata come manager di una fabbrica statale di cellulosa e, dopo essersi messo in proprio, il futuro presidente è stato più volte aiutato da aziende pubbliche nel momento del bisogno.

Il capitalismo di Stato indonesiano è però esposto a due gravi rischi. Le imprese private hanno bisogno di contatti personali e politici nel governo per poter fare affari e cooperare con le loro controparti statali. Una buona rete di contatti può tenere a galla un’azienda altrimenti destinata a fallire. Questa dinamica produce poi il secondo problema: il rischio che sorgano coalizioni di interessi tra ministeri e aziende che degenerano in corruzione o paralizzano i processi decisionali. Un problema non da poco, visto che un sistema politico corrotto e instabile può dissuadere gli investitori stranieri, così preziosi per il Paese. Un ministero potrebbe dimenticare i suoi obiettivi politici e privilegiare la protezione delle aziende che possiede, anche a costo di scontrarsi con gli altri ministeri. Per esempio, i negoziati con l’UE per l’accordo commerciale sono stati molto rallentati dalle divisioni interne al gabinetto di Widodo, con ciascun ministero schierato pro o contro certe questioni, a sostegno dell’elettorato di riferimento del ministro e delle sue aziende. Magari il ministero dell’agricoltura vorrebbe respingere ogni richiesta europea sull’olio di palma, anche a costo di bloccare interamente i negoziati. Il ministro dell’industria invece avrebbe fretta di chiuderli favorevolmente per conquistare maggiore accesso al mercato europeo per le sue aziende manifatturiere. 

Il successore di Widodo, l’ex generale Prabowo Subianto, potrà contare sulle aziende statali per promuovere le sue politiche, a meno che non intenda cambiare dottrina economica. È improbabile che lo faccia, visto che il Jokowismo è estremamente popolare e permettere di mobilitare le crescenti risorse economiche del Paese per altri scopi. Più difficile anticipare quali saranno tali scopi. Realizzare il principio costituzionale della democrazia economica? Far crescere l’economia, in modo equo e sostenibile oppure badando solo alla crescita percentuale del PIL? O magari, rafforzare il proprio sistema di potere? Il moltiplicarsi delle imprese di Stato sotto Jokowi ricorda la tendenza simile osservata nella Cina di Xi Jinping. Con la differenza chiave che, in Indonesia, l’operato dei ministeri, quindi delle loro aziende, può essere oggetto di dibattito politico e cambiare da una legislatura all’altra. Come rileva sempre Sabatino, i tempi della pianificazione dello sviluppo sono opportunamente sincronizzati dalla legge indonesiana con le elezioni. I risultati elettorali hanno un impatto nelle scelte imprenditoriali delle aziende statali. Prendendo in prestito una celebre espressione legata proprio alla Cina, il “capitalismo con caratteristiche indonesiane” presenta elementi unici e di sicuro interesse, dato che è alternativo e quasi opposto alle pratiche del capitalismo “occidentale”, nonché destinato a guidare l’arcipelago verso il podio delle economie mondiali.

Chi sono i candidati alla presidenza dell’Indonesia

Prabowo, Ministro della Difesa e generale in pensione, è il favorito. Il suo vice è Gibran, figlio del suo storico rivale e Presidente uscente Joko Widodo

Di Tommaso Magrini

Ci siamo. Pochi giorni e si terranno le elezioni presidenziali in Indonesia. Il 14 febbraio una delle più grandi democrazie del mondo va alle urne per scegliere il suo prossimo leader. Secondo la commissione elettorale, circa 205 milioni degli oltre 270 milioni di indonesiani hanno diritto di voto e circa un terzo di questi ha meno di 30 anni. Lo scrutinio presidenziale si terrà lo stesso giorno delle elezioni parlamentari nazionali e gli elettori sceglieranno anche i rappresentanti esecutivi e legislativi a tutti i livelli amministrativi in ​​tutta l’Indonesia.

Il favorito appare Prabowo Subianto. Genero di Suharto e già capo delle forze speciali, il generale in pensione è stato in passato accusato di essere tra i responsabili della repressione delle proteste degli studenti, delle sparizioni e degli omicidi extragiudiziali degli oppositori, delle violazioni dei diritti umani contro le minoranze di Papua e Timor Est. Dopo l’allontanamento dall’esercito e alcuni anni di autoesilio in Giordania per un tentato colpo di Stato, Prabowo è ora convinto che alle elezioni del 14 febbraio riuscirà a diventare presidente della prima economia dell’Asia sud-orientale. Negli ultimi dieci anni, per due volte Prabowo aveva tentato la corsa per il palazzo presidenziale di Giacarta, venendo però sconfitto dal riformatore Joko Widodo.

Stavolta Prabowo ci crede davvero, dopo essere entrato a far parte del governo nel 2019 come ministro della Difesa. Secondo il presidente Widodo, Prabowo è stato scelto come ministro della Difesa perché “ha una vasta esperienza in quel campo”. Come spiega Francesco Radicioni, corrispondente di Radio Radicale da Bangkok, “archiviata la posa machista da militare legge-e-ordine, ora Prabowo condivide con i suoi milioni follower su Instagram e TikTok post dai toni rilassati e accattivanti che gli hanno fatto conquistare una valanga di like e commenti entusiasti: la parola più usata online è «gemoy», un’espressione che suona come «adorabile»”. 

Il vero colpo di scena, però, c’è stato quando Prabowo ha annunciato che il suo candidato alla vice-presidenza sarebbe stato Gibran Rakabuming Raka: classe 1987, giovane sindaco di una piccola città sull’isola di Giava, ma soprattutto figlio dello stesso presidente Widodo. Una mossa davvero a sorpresa, visto che in Indonesia la legge fissa a 40 anni l’età minima per correre alla vice-presidenza. Alla vigilia della presentazione dei candidati, la Corte Costituzionale ha però deciso che quel limite non si doveva applicare a quelli che hanno già vinto un’elezione locale. 

E gli sfidanti? Ganjar Pranowo è il candidato del Partito Democratico di Lotta indonesiano al potere. La sua lunga carriera nel servizio pubblico, più recentemente come governatore di Giava Centrale, gli ha fatto guadagnare un seguito fuori dalla capitale Giacarta. Nei sondaggi di opinione è lui il secondo in classifica dietro Prabowo. E poi c’è la candidatura indipendente di Anies Baswedan, già alla guida del governo della capitale e per qualche mese anche ministro dell’amministrazione di Jokowi, prima di passare all’opposizione. 

Anche se oggi Prabowo è considerato il favorito, gli analisti si interrogano se davvero l’ex-generale riuscirà a conquistare gli elettori che negli ultimi dieci anni hanno voluto premiare l’agenda liberale e riformista di Widodo. Se mercoledì 14 febbraio nessuno riuscirà a ottenere la maggioranza assoluta dei voti, l’Indonesia tornerà alle urne a giugno per il ballottaggio. Ad agosto, invece, la capitale si sposterà da Giacarta a Nusantara, nel Borneo: l’ultima eredità di Widodo, che spera però di vedere continuare la sua dinastia politica col figlio alla vicepresidenza.

Elezioni in Indonesia: i temi del voto

Mercoledì 14 febbraio si svolgono le presidenziali indonesiane. Il voto è molto atteso per capire chi sarà il successore di Joko Widodo

Di Aniello Iannone

Il 12 dicembre, il dibattito presidenziale in Indonesia ha visto riuniti i candidati presidenziali Ganjar Pranowo (PDI-P), Prabowo Subianto (Gerindra) e Anies (coalizione AMIN composta da (PAN): il Partito dell’Impegno Nazionale, un partito nazionalista moderato e islamico, e (PKS): il Partito della Giustizia e della Prosperità, un partito politico islamico che si basa sui principi dell’Islam e cerca di attuare politiche in linea con i valori islamici nella società e nel governo. Il candidato alla vicepresidenza accanto ad Anies Baswedan, Muhaimin Iskandar, è il segretario del partito. Infine, il (PPP): il Partito dell’Unità e dello Sviluppo, è un partito politico formato da organizzazioni islamiche, le cui politiche sono incentrate sui principi dell’Islam e sulla partecipazione attiva alla costruzione e allo sviluppo della nazione. ), i quali hanno dibattuto su questioni politiche indonesiane. Tra i temi discussi la lotta alla corruzione, la protezione delle minoranze, la questione di Papua, l’indice di democrazia e lo sviluppo economico. Sebbene il dibattito abbia evidenziato le differenze nei programmi dei candidati, la questione etica, in particolare legata a Gibran, figlio di Joko Widodo e candidato vicepresidente, ha aggiunto una complessità unica in vista delle imminenti elezioni, tra le più significative post-Soeharto.

Questioni familiari

La scelta del vicepresidente assume un ruolo cruciale nelle elezioni indonesiane, coinvolgendo in particolare coloro che potrebbero non identificarsi completamente con il candidato presidenziale. Tale dinamica è emersa chiaramente durante le elezioni del 2019, soprattutto dopo lo scandalo del caso Ahok, ex governatore di Jakarta che nel 2018 fu accusato di blasfemia, dal quale Joko Widodo ha dovuto affrontare instabilità e critiche politiche, specialmente da parte di gruppi musulmani radicali in Indonesia, come il Fronte di Difesa Musulmano,  che lo accusavano di essere comunista e di discendenza cinese. L’utilizzo dell’identità politica in Indonesia riflette parzialmente il processo storico e politico del paese, non basato su un’ideologia narrativa, bensì sull’identità politica. 

In questo contesto, durante la campagna elettorale del 2019, Jokowi ha scelto Ma’ruf Amin, un alto rappresentante dell’organizzazione musulmana indonesiana, come strategia per guadagnare il sostegno di una popolazione musulmana scettica verso il suo partito. Tale scelta si è rivelata efficace, sebbene abbia suscitato domande da parte di nazionalisti che faticano a identificare una connessione identitaria tra PDI-P e Ma’ruf Amin.

La situazione politica in Indonesia ha raggiunto situazioni in parte paradossali. Dopo la sconfitta alle elezioni del 2019, Prabowo, il candidato sconfitto, ha sorprendentemente assunto l’incarico di Ministro della Difesa nel governo Jokowi 2.0, un ruolo chiave che ha contribuito a ridurre e indebolire l’opposizione. Questo evento, insieme alle manovre strategiche successive durante la campagna elettorale del 2024, ha sollevato sospetti sulla direzione della politica indonesiana. L’ombra di Jokowi si proietta sulle elezioni del vicepresidente, con Gibran, figlio,  attuale sindaco di Surakarta, proposto come candidato vicepresidente.

Gibran, attualmente 36enne, non avrebbe dovuto potersi candidare poiché al di sotto del limite di età consentito dalla costituzione indonesiana per diventare vicepresidente, cioè 40 anni. Tuttavia, attraverso una riforma legislativa, il giudice della Corte Costituzionale Anwar Usman, (marito di Idayati, sorella del Presidente Joko Widodo) ha avviato l’iniziativa di modificare le regole a vantaggio di Joko Widodo e Gibran. Questa manovra ha comportato la riduzione dell’età minima per candidarsi da 40 a 35 anni, con disposizioni speciali che richiedono almeno un mandato come sindaco. Nella pratica, si tratta di una legge ad-hoc progettata appositamente per Gibran. 

A pochi mesi dal 14 febbraio, giorno delle elezioni,  il panorama politico in Indonesia si prepara ad affrontare inevitabili conflitti tra coalizioni e alleanze. Joko Widodo sembra sempre vicino  al partito Gerindra piuttosto che al PDIP. Se Prabowo-Gibran dovessero vincere, è probabile che Joko Widodo assuma un ruolo chiave, forse in un ministero, agendo come mediatore tra Gibran e Prabowo, formando un terzo mandato sfumato. Tuttavia, la prospettiva della vittoria di Prabowo-Gibran solleva domande non solo politiche, ma anche sociali. Sorgono interrogativi su quali fattori spingano la popolazione a votare per un partito composto da una persona accusata di violazioni dei diritti umani e crimini contro l’umanità, come Prabowo, e un giovane cresciuto all’ombra del padre.

Questa situazione pone domande interessanti sulla consapevolezza politica e sociale degli elettori indonesiani. Affidare responsabilità politiche a leader con una storia controversa e la promozione di un erede politico diventano elementi di riflessione profonda nel contesto del quadro democratico del paese. Si auspica che la comunità sia in grado di valutare il peso delle considerazioni morali e dei diritti umani nel contesto delle loro scelte politiche, aprendo forse un nuovo capitolo nella storia politica dell’Indonesia. L’esito delle imminenti elezioni non determinerà solo la composizione del governo, ma potrà anche influenzare la percezione internazionale dell’Indonesia e la sua posizione nel panorama politico globale. Resta ancora un grande punto interrogativo su come la società indonesiana risponderà a questa cruciale sfida e su come i risultati delle elezioni modelleranno il futuro del Paese.

La piramide più antica al mondo? In Indonesia

Un team di ricercatori ha scoperto che Gunung Padang è stata realizzata principalmente da mani umane e hanno trovato prove che la struttura è stata costruita in più fasi, a distanza di migliaia di anni l’una dall’altra

Di Tommaso Magrini

Una piramide nascosta in una collina su un’isola di Giava occidentale, in Indonesia, potrebbe essere la più antica del mondo. Lo ha rivelato un team interdisciplinare di archeologi, geofisici e geologi in un articolo pubblicato sulla rivista archeologica interdisciplinare Archaeological Prospection. Il Gunung Padang, noto anche come “montagna dell’illuminazione”, si trova in cima a un vulcano spento ed è considerato un luogo sacro dalla popolazione locale. Nel 1998, il Gunung Padang è stato dichiarato patrimonio culturale nazionale. Nel corso degli anni, ci sono state divergenze tra gli studiosi sulla natura della collina. Alcuni sostenevano che si trattasse di una piramide costruita dall’uomo, mentre altri affermavano che si trattasse di una formazione geologica naturale. Il team di ricercatori ha scoperto che Gunung Padang è stata realizzata principalmente da mani umane e hanno trovato prove che la struttura è stata costruita in più fasi, a distanza di migliaia di anni l’una dall’altra. Secondo l’équipe, la costruzione più antica della piramide “è probabilmente nata come una collina di lava naturale prima di essere scolpita e poi avvolta architettonicamente” tra il 25.000 a.C. e il 14.000 a.C.. Questo fa sì che Gunung Padang abbia almeno 16.000 anni. Secondo lo studio, la piramide è stata completata tra il 2.000 a.C. e il 1.100 a.C. Il team, che ha documentato lo studio del sito, ha perforato il centro del tumulo, scavato trincee e prelevato campioni di terreno, tra le altre cose. Questo ha aiutato i ricercatori a scavare nei primi strati del Gunung Padang, a più di 30 metri sotto la sua superficie. “Questo studio suggerisce fortemente che il Gunung Padang non è una collina naturale ma una costruzione piramidale”, affermano i ricercatori nel documento. Il team ha anche trovato prove di “una grande cavità”, forse una camera nascosta, all’interno della piramide.

Verso le elezioni Indonesiane

A febbraio 2024, i cittadini indonesiani andranno alle urne. Ma come possiamo immaginarci il futuro post Jokowi?

Di Anna Affranio

Gli assetti politici del Sud-Est Asiatico si trovano sull’orlo di un grande cambiamento, poiché ci  si prepara a dire addio a un decennio di governo di Joko Widodo, il popolarissimo presidente in carica dal 2014. La legge indonesiana, infatti, consente solo due mandati presidenziali, il che significa che Widodo non potrà competere nella tornata elettorale che si terrà il prossimo 14 febbraio. 

Lo scorso 25 ottobre è scaduto il termine ultimo per la registrazione dei candidati presidenziali. Al momento risultano ufficialmente in corsa tre coppie (in Indonesia, i candidati alla presidenza corrono sempre in coppia con i rispettivi vice presidenti), con a capo Prabowo Subianto, Ganjar Pranowo e Anies Baswedan.

Questa campagna elettorale sembra seguire il trend storico indonesiano (e non solo) che vede gli elettori e i media focalizzarsi più sul carisma dei leader e sugli accordi tra oligarchi e capi dei partiti piuttosto che sui dettagli dei programmi politici. Tuttavia, molti analisti hanno osservato come ognuna delle tre coppie rappresenti una visione diversa per quello che potrebbe essere il futuro dell’Indonesia. 

Prabowo Subianto, attuale Ministro della Difesa, è considerato il favorito dagli ultimi sondaggi. Quest’ultimo, 72 anni (il più anziano tra i candidati), proviene da una famiglia elitaria e gode di un ampio seguito nonostante numerose controversie che lo hanno investito. È stato, infatti, accusato di violazioni dei diritti umani legate al rapimento di attivisti democratici durante i tumulti che hanno contrassegnato il Paese alla fine degli anni ’90, nonostante egli abbia sempre negato ogni coinvolgimento. È anche l’ex genero del defunto presidente autoritario Suharto e in elezioni precedenti ha formato alleanze con gruppi islamici conservatori e con partiti politici divisivi. A favore di questa coalizione giova però il (tacito) supporto del Presidente uscente: nonostante quest’ultimo e Prabowo abbiano avuto alcuni problemi in passato, il candidato ha annunciato di voler continuare il progetto di Nusantara, la nuova capitale designata, che rappresenta la principale eredità politica di Jokowi. Quest’ultimo, infine, ha sicuramente apprezzato la decisione di candidare a vicepresidente Gibran Rakabuminag Raka, nientemeno che il figlio maggiore di Widodo stesso.

Il secondo candidato in corsa è Ganjar Pranowo, attuale governatore della provincia di Giava Centrale. 55 anni, è forse colui che più somiglia al presidente uscente Jokowi, con cui condivide la provenienza da una famiglia umile e un’abile capacità di rivolgersi alle masse. Per questo motivo sta ottenendo un ampio sostegno tra la gente comune e gode di ampia popolarità tra i giovani e i social media, in particolare su TikTok. Inoltre, è il candidato supportato dal PDI-P (Partito Democratico Indonesiano di Lotta), lo stesso partito di matrice populista che aveva supportato Joko Widodo nelle due elezioni precedenti. 

Il terzo candidato, Anies Baswedan, 54 anni, ex governatore di Jakarta, sta perdendo popolarità nei sondaggi. Quest’ultimo, formatosi negli Stati Uniti e dichiaratosi pubblicamente sostenitore di un Islam moderato, è stato tuttavia accusato di  associazione al movimento islamico radicale, sollevando preoccupazioni tra le minoranze religiose e i musulmani moderati. Ciò è legato al fatto che Anies, durante le elezioni del 2017 per il governatorato di Jakarta, accetto’  il supporto di gruppi islamici radicali scagliatisi contro il suo avversario, l’allora governatore di Jakarta, Basuki Tjahaja “Ahok” Purnama, un cristiano cinese, che fu successivamente imprigionato per insulto all’Islam. 

In sintesi, queste elezioni non sono solo una sfida tra candidati, ma anche tra diverse idee di un Indonesia di domani: un ritorno al passato reazionario, la continuità di una politica democratica,  o un possibile avvicinamento al radicalismo religioso. Sarà importante vedere quale strada sceglierà il popolo indonesiano, e i prossimi mesi saranno cruciali per orientare questa scelta.

Indonesia, i trend sul PIL del 2023

La spesa pubblica ha registrato un’impressionante impennata del 10,6%.L’economia dovrebbe continuare la sua traiettoria di crescita, con un intervallo stimato tra il 4,5% e il 5,3%

Di Lorenzo Riccardi

L’economia indonesiana ha registrato una robusta crescita nel secondo trimestre del 2023, con un aumento su base annua del 5,2%. Questo risultato ha superato le aspettative iniziali del mercato che prevedevano un aumento del 4,9%, dimostrando la resistenza economica della nazione. Sulla base dell’espansione leggermente rivista del 5% nel primo trimestre, questo trimestre ha segnato il nono periodo consecutivo di crescita economica e il ritmo più vigoroso registrato negli ultimi tre trimestri.

Uno dei principali fattori di crescita è stata l’accelerazione dei consumi delle famiglie, in particolare durante il mese di digiuno del Ramadan e le festività dell’Eid-ul Fitr. I consumi delle famiglie sono saliti al 5,2%, con un notevole incremento rispetto al 4,5% registrato nel primo trimestre. L’influenza positiva delle festività sulla spesa ha contribuito in modo significativo alla ripresa economica complessiva.

Inoltre, sia la spesa pubblica che gli investimenti fissi hanno svolto un ruolo fondamentale nel dare impulso all’economia. La spesa pubblica ha registrato un’impressionante impennata del 10,6%, un aumento sostanziale rispetto alla crescita del 3,4% del trimestre precedente. Anche gli investimenti fissi hanno registrato una forte crescita, con un incremento del 4,6%, superando la crescita del 2,1% registrata nel periodo precedente. L’insieme di questi fattori ha sottolineato l’impegno del governo a stimolare l’attività economica.

Tuttavia, la bilancia commerciale non è andata altrettanto bene, in quanto il commercio netto ha esercitato un’influenza negativa a causa del calo delle esportazioni (-2,7%) e delle importazioni (-3,8%). Queste sfide legate al commercio hanno evidenziato le potenziali aree di miglioramento all’interno del panorama del commercio internazionale.

Dal punto di vista della produzione, diversi settori hanno registrato un’accelerazione della crescita rispetto al trimestre precedente. L’agricoltura, ad esempio, ha registrato un aumento del 2%, un notevole incremento rispetto alla crescita dello 0,4% registrata nel primo trimestre. Il settore manifatturiero ha mantenuto il suo slancio con un tasso di crescita del 4,8%, in aumento rispetto al 4,4%. Anche il settore minerario ha registrato un’espansione del 5 percento, superando la crescita del 4,9 percento osservata in precedenza. Altri settori come il commercio all’ingrosso e al dettaglio (crescita del 5,2%), le comunicazioni (crescita dell’8%) e le costruzioni (crescita del 5,2%) hanno registrato performance migliori rispetto ai dati del trimestre precedente.

In prospettiva, le proiezioni della banca centrale per quest’anno indicano che l’economia dovrebbe continuare la sua traiettoria di crescita, con un intervallo stimato tra il 4,5% e il 5,3%. Questa previsione evidenzia il cauto ottimismo delle autorità sulle prospettive economiche del Paese, nonostante le potenziali incertezze globali.

Rispetto all’anno precedente, nel 2022 l’economia indonesiana ha registrato un’espansione del 5,3%, segnando la crescita più consistente dal 2013. Questo precedente traguardo di crescita sottolinea la capacità del Paese di superare le sfide e di sfruttare il proprio potenziale economico.

In sintesi, l’economia indonesiana ha registrato una crescita impressionante nel secondo trimestre del 2023, superando le previsioni del mercato. Grazie all’aumento dei consumi delle famiglie durante le festività, alla robusta spesa pubblica e al rafforzamento degli investimenti fissi, l’espansione economica del Paese rimane su una traiettoria positiva. Sebbene il commercio abbia posto alcune sfide, il panorama produttivo complessivo ha mostrato tassi di crescita incoraggianti in vari settori. Mentre l’Indonesia punta a una crescita continua in un contesto di incertezza, i recenti risultati economici si basano sui sostanziali progressi compiuti nell’anno precedente.

Dall’Indonesia una nuova economia circolare

Pubblichiamo qui un estratto di un articolo di Bambang Susantono, Presidente dell’Autorità di Nusantara Capitale, su Nikkei Asia

Nel cuore delle foreste insulari del Borneo, è in corso lo sviluppo di Nusantara e dell’area circostante. Si prevede che la popolazione della nuova capitale raggiungerà 1,8 milioni di abitanti entro il 2045.

Fedele alla visione verde che la sostiene, la nuova capitale sarà in gran parte circondata dalla foresta esistente, che sarà protetta.

Ma è il modello economico circolare della città che tradurrà la visione verde di Nusantara in pratiche quotidiane significative.

Ad esempio, la nuova città implementerà un sistema completo e ben coordinato che darà priorità alla riduzione, al riutilizzo e al riciclaggio, con il 60% dei rifiuti di Nusantara da riciclare entro il 2045 e tutto l’approvvigionamento idrico trattato attraverso un sistema di recupero entro il 2035.

Questo approccio non solo ridurrà al minimo la quantità di rifiuti prodotti, ma garantirà anche il recupero di risorse preziose e la loro reintegrazione nell’economia.

L’economia circolare offrirà anche un approccio vantaggioso per gli investitori e le comunità. Secondo uno studio congiunto dell’Agenzia indonesiana per la pianificazione dello sviluppo nazionale e del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, la piena attuazione dell’approccio all’economia circolare nei settori industriali chiave dell’alimentazione e delle bevande, del tessile, del commercio all’ingrosso e al dettaglio, dell’edilizia e dell’elettronica potrebbe creare 4,4 milioni di posti di lavoro in Indonesia e aumentare la produzione economica del Paese di 45 miliardi di dollari entro il 2030.

Tuttavia, la piena attuazione dell’approccio all’economia circolare richiederà una maggiore collaborazione tra il settore pubblico e quello privato.

Coinvolgendo aziende, imprenditori e investitori nello sviluppo e nell’implementazione di modelli economici circolari, Nusantara sbloccherà maggiori opportunità di crescita e di creazione di posti di lavoro, riducendo al minimo l’impatto ambientale.

Le aree di collaborazione attualmente in fase di esplorazione includono la creazione di strutture di riciclaggio e progetti di infrastrutture verdi che potrebbero consolidare ulteriormente la posizione della nuova capitale come pioniere dello sviluppo urbano sostenibile. Per attirare gli investimenti e guidare la crescita sostenibile, abbiamo lanciato incentivi completi agli investimenti, tra cui agevolazioni fiscali per le imprese che adottano pratiche di economia circolare. Inoltre, saranno concesse agevolazioni fiscali fino a 30 anni e altre detrazioni fiscali alle imprese che si impegnano nella ricerca e nello sviluppo e agli investitori che adottano rigorosi standard ambientali, sociali e di governance.

Allineando gli incentivi economici agli obiettivi ambientali, la nuova capitale sarà una destinazione attraente per gli investitori lungimiranti impegnati nella sostenibilità.

Il successo dell’infrastruttura a zero rifiuti e zero emissioni della nuova capitale può fungere da catalizzatore per combattere l’inquinamento da plastica su scala nazionale e globale, in quanto il suo progetto di sviluppo può diventare un punto di riferimento per mega progetti simili.

Che eredità lascerà Widodo all’Indonesia?

Self-made man di umili origini, primo presidente dell’Indonesia senza una dinastia politica o l’esercito alle spalle. A pochi mesi dalla fine del suo secondo e ultimo mandato, Joko Widodo rimane popolarissimo e il suo successore emergerà probabilmente dal suo entourage. Storia eccezionale di un leader che incarna le forze e le contraddizioni del suo Paese

Ci si riferisce a Joko Widodo quasi sempre con il soprannome “Jokowi”. Accorciare nomi e titoli o dare nomignoli è un’abitudine diffusissima nella lingua indonesiana parlata, ma sembra che il soprannome del presidente sia stato coniato da un suo business partner francese. Prima di entrare in politica, Jokowi si occupava, con un discreto successo, di produrre ed esportare mobili fabbricati con il pregiato legname delle foreste tropicali dell’arcipelago indonesiano. Si trattava, per certi versi, dell’attività di famiglia, anche se il padre la svolgeva su una scala ben minore. Jokowi infatti era nato nella casa di un falegname di Surakarta, città nella Giava centrale, che vendeva per strada i mobili che fabbricava. Dopo gli studi in ingegneria forestale, Widodo lavora prima in una fabbrica statale di cellulosa e apre poi la sua azienda, entrando a far parte dell’associazione di categoria. All’inizio gli affari non decollano e, nei primi anni Novanta, Jokowi rischia la bancarotta, ma viene salvato da un prestito concesso da un’azienda statale. La società riesce a crescere grazie alle esportazioni, soprattutto verso l’Europe e, in particolare, la Francia. Insomma, il successo imprenditoriale di Widodo è stato costruito sul sostegno delle aziende statali e sull’export, due elementi che saranno poi al centro della sua politica economica, soprannominata da alcuni imprenditori Jokowismo.

I produttori di mobili sono un gruppo industriale influente in Indonesia e Widodo, presidente dell’associazione per la città di Surakarta, è pronto a entrare in politica. Nel 2005 vince le elezioni a sindaco di Surakarta e la sua amministrazione risulta estremamente popolare grazie al pugno duro contro la criminalità e alla promozione del turismo. L’imprenditore di successo ora sindaco non dimentica però le sue umili origini e si reca spesso a visitare i quartieri poveri della città, dove promuove l’edilizia popolare e l’accesso all’istruzione. Politiche apprezzate che Jokowi replicherà su scala più grande nei suoi incarichi successivi. La sua popolarità è altissima e nel 2010 viene rieletto sindaco con più del 90% dei voti. Forte di tale risultato, appena due anni dopo punta alla posizione di governatore di Giacarta e viene eletto. Carica che mantiene per poco tempo, dato che nel 2014 il suo partito, il PDI-P (Partito Democratico Indonesiano di Lotta) lo designa quale proprio candidato alla presidenza del Paese. La fulminante carriera politica di Jokowi è costruita sul suo talento di apparire come “uomo del popolo” che non dimentica le sue origini, capace di ottenere risultati e sinceramente interessato a migliorare le condizioni di vita degli indonesiani più poveri.  

La scelta di Widodo da parte del PDI-P fu eccezionale per le dinamiche della politica indonesiana. L’allora governatore di Giacarta non era un ex ufficiale dell’esercito come invece il suo rivale, l’ex generale conservatore Prabowo Subianto, né il rampollo di una dinastia politica come la leader del PDI-P e figlia di Sukarno Megawati. Prima di lui, tutti i presidenti dell’Indonesia erano appartenuti a una delle due categorie, ma per Widodo e il PDI-P l’anomalia poteva diventare la leva con cui risollevare il partito dopo anni di disfatte elettorali. Jokowi si presenta come uomo nuovo, estraneo all’establishment e vicino al popolo. Come tanti altri leader negli stessi anni, Widodo vince con una piattaforma populista che metteva al centro la lotta alla corruzione. Le elezioni sono un trionfo, Jokowi batte Prabowo con il 53% dei voti e ripete il successo nel 2019, sempre contro Prabowo, con il 55%. Tutt’oggi Jokowi rimane popolarissimo, con un gradimento intorno al 76%. È difficile sentire voci critiche contro il presidente, anche perché offenderlo può portare a 18 mesi di prigione, come è successo a un diciottenne di Sumatra nel 2017.

Widodo infatti è un leader democraticamente eletto, disposto a cedere il potere alla fine dei suoi due mandati come previsto dalla Costituzione, ma è anche il leader di una democrazia “ibrida”. Il potere è contendibile alle elezioni, ma il dissenso viene represso quando alza troppo la voce o esce dal solco tracciato dal governo. Durante l’amministrazione Widodo sono state scritte leggi alquanto vaghe contro la diffamazione e la “blasfemia”, che sono ora interpretate in modo ampio per limitare la libertà di espressione, assemblea e associazione. Un’altra pagina grigia per quanto riguarda i diritti fondamentali è rappresentata da una recente e inedita assunzione di responsabilità da parte di Jokowi per alcuni episodi di violenza perpetrati dallo Stato indonesiano in passato. Un passo in avanti solo parziale, dato che il presidente ha taciuto sui crimini commessi dall’esercito durante l’occupazione di Timor Est e sulla violenta repressione tutt’oggi perpetrata contro i nativi della Papua Occidentale che chiedono l’indipendenza da Giacarta. Anche la promessa di combattere la corruzione è rimasta disattesa. Rizal Ramli, politico di lungo corso ed ex ministro del primo governo Widodo, ha recentemente scritto su The Diplomat che con Jokowi “le lancette dell’orologio sono tornate indietro”, dato che la clique del presidente si è dimostrata “terribilmente corrotta, con enormi conflitti d’interesse”. Widodo tace e lascia fare, così da tenere uniti gruppi d’interesse contrapposti e mantenere il potere. Anche l’ex rivale Prabowo è stato cooptato come ministro della difesa.

Nonostante la corruzione sia un problema gravissimo e percepito come tale dall’opinione pubblica, l’economia indonesiana cresce e non conosce crisi. Il Jokowismo sembra funzionare e rimane popolare. Memore della sua esperienza personale, Widodo vede nelle ricche aziende statali del Paese uno strumento utile per guidarne l’economia e le infrastrutture verso i suoi obiettivi di sviluppo economico, ma anche sociale. In questo, il presidente è stato assistito con successo dal suo ministro delle imprese statali Erick Thohir, imprenditore noto in Italia per aver acquistato e guidato per alcuni anni l’Inter. Un altro principio del Jokowismo è la ricerca di nuovi mercati e investimenti all’estero. L’Indonesia ha ricoperto recentemente la presidenza sia del G20 sia dell’ASEAN, dando grande importanza in entrambi i forum al commercio e alla crescita economica. E Jokowi è riuscito a trovare molti investitori, soprattutto in Cina. La presenza di Pechino nel Paese è aumentata molto, sia per investimenti che per presenza di lavoratori cinesi, categoria spesso vittima di violenze. Un tema un po’ scomodo per l’amministrazione, criticata in passato dall’opposizione per aver “svenduto” il Paese alla Cina e oggi impegnata a tenere sotto controllo il sentimento anti-cinese.

Anche se è difficile prevedere chi sarà il successore di Jokowi, sicuramente sarà un jokowista in economia. Presentarsi in continuità con il popolare presidente uscente sarà necessario per emergere da una rosa ancora affollata di contendenti. I due nomi più probabili sembrano essere l’ex rivale, ora alleato, Prabowo e il candidato ufficiale del PDI-P Ganjar Pranowo, governatore della Giava centrale. I due potrebbero addirittura allearsi e correre in ticket, in continuità assoluta con la grande coalizione che sostiene Widodo. Se Jokowi è entrato in politica senza provenire da una dinastia di potere, ne esce dopo averne creata una propria: i suoi figli hanno già iniziato a far gavetta e il primogenito è già sindaco di Surakarta, la città da cui è partita l’ascesa di Widodo. Sentiremo ancora parlare di loro. In ogni caso, il fatto che la transizione al post-Jokowi stia avvenendo in modo democratico dimostra la forza della democrazia, seppur “ibrida”, indonesiana. Una democrazia piena di contraddizioni che ha richiesto un politico fuori dagli schemi come Jokowi per guidarla: tanto capace ed efficace, quanto accondiscendente verso la corruzione e i vizi del sistema.

La corsa al nichel dell’Indonesia

Sempre più Paesi e investitori internazionali guardano con attenzione alle enormi risorse minerarie di Giacarta

Articolo di Tommaso Magrini

Nel 2022 l’Indonesia ha prodotto 1,6 milioni di tonnellate di nichel, più di qualsiasi altro Paese. È a pari merito con l’Australia per le maggiori riserve mondiali, con 21 milioni di tonnellate. Nella speranza di far risalire il suo Paese nella catena del valore delle materie prime, nel 2020 il governo del presidente Joko  Widodo ha vietato le esportazioni di minerale di nichel non lavorato. Diversi governi e multinazionali si stanno muovendo con sempre maggiore decisione per assicurarsi l’accesso alle vaste riserve di nichel indonesiane. Il produttore di acciaio sudcoreano POSCO Holdings ha dichiarato di voler spendere 441 milioni di dollari per costruire una raffineria di nichel sull’isola indonesiana di Halmahera, nella provincia di North Maluku. L’inizio della costruzione è previsto per la fine dell’anno, con l’obiettivo di iniziare le operazioni nel 2025. La raffineria di POSCO produrrà intermedi di nichel da utilizzare nelle batterie ricaricabili che potrebbero alimentare l’equivalente di 1 milione di veicoli elettrici. Il produttore chimico tedesco BASF e l’azienda mineraria francese Eramet investiranno 2,6 miliardi di dollari in una raffineria a North Maluku, che produrrà un composto di nichel-cobalto utilizzato nelle batterie EV. Gli investimenti diretti esteri nel settore metallurgico indonesiano hanno raggiunto circa 10,9 miliardi di dollari nel 2022, con quasi il 60% proveniente dalla Cina continentale e da Hong Kong. Gli operatori indonesiani stanno intanto muovendosi per quotarsi in borsa. Meglio conosciuta come Harita Nickel, Trimegah si è quotata in borsa il 12 aprile, raccogliendo quasi 10.000 miliardi di rupie (673 milioni di dollari), una delle più grandi offerte pubbliche iniziali dell’anno. Merdeka Battery Materials, una fonderia di nichel sotto l’ombrello di Merdeka Copper Gold, ha condotto la propria IPO poco dopo, raccogliendo 9,2 trilioni di rupie. Merdeka Battery collabora con un’unità del gigante cinese delle batterie Contemporary Amperex Technology (CATL).