Che eredità lascerà Widodo all’Indonesia?

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Self-made man di umili origini, primo presidente dell’Indonesia senza una dinastia politica o l’esercito alle spalle. A pochi mesi dalla fine del suo secondo e ultimo mandato, Joko Widodo rimane popolarissimo e il suo successore emergerà probabilmente dal suo entourage. Storia eccezionale di un leader che incarna le forze e le contraddizioni del suo Paese

Ci si riferisce a Joko Widodo quasi sempre con il soprannome “Jokowi”. Accorciare nomi e titoli o dare nomignoli è un’abitudine diffusissima nella lingua indonesiana parlata, ma sembra che il soprannome del presidente sia stato coniato da un suo business partner francese. Prima di entrare in politica, Jokowi si occupava, con un discreto successo, di produrre ed esportare mobili fabbricati con il pregiato legname delle foreste tropicali dell’arcipelago indonesiano. Si trattava, per certi versi, dell’attività di famiglia, anche se il padre la svolgeva su una scala ben minore. Jokowi infatti era nato nella casa di un falegname di Surakarta, città nella Giava centrale, che vendeva per strada i mobili che fabbricava. Dopo gli studi in ingegneria forestale, Widodo lavora prima in una fabbrica statale di cellulosa e apre poi la sua azienda, entrando a far parte dell’associazione di categoria. All’inizio gli affari non decollano e, nei primi anni Novanta, Jokowi rischia la bancarotta, ma viene salvato da un prestito concesso da un’azienda statale. La società riesce a crescere grazie alle esportazioni, soprattutto verso l’Europe e, in particolare, la Francia. Insomma, il successo imprenditoriale di Widodo è stato costruito sul sostegno delle aziende statali e sull’export, due elementi che saranno poi al centro della sua politica economica, soprannominata da alcuni imprenditori Jokowismo.

I produttori di mobili sono un gruppo industriale influente in Indonesia e Widodo, presidente dell’associazione per la città di Surakarta, è pronto a entrare in politica. Nel 2005 vince le elezioni a sindaco di Surakarta e la sua amministrazione risulta estremamente popolare grazie al pugno duro contro la criminalità e alla promozione del turismo. L’imprenditore di successo ora sindaco non dimentica però le sue umili origini e si reca spesso a visitare i quartieri poveri della città, dove promuove l’edilizia popolare e l’accesso all’istruzione. Politiche apprezzate che Jokowi replicherà su scala più grande nei suoi incarichi successivi. La sua popolarità è altissima e nel 2010 viene rieletto sindaco con più del 90% dei voti. Forte di tale risultato, appena due anni dopo punta alla posizione di governatore di Giacarta e viene eletto. Carica che mantiene per poco tempo, dato che nel 2014 il suo partito, il PDI-P (Partito Democratico Indonesiano di Lotta) lo designa quale proprio candidato alla presidenza del Paese. La fulminante carriera politica di Jokowi è costruita sul suo talento di apparire come “uomo del popolo” che non dimentica le sue origini, capace di ottenere risultati e sinceramente interessato a migliorare le condizioni di vita degli indonesiani più poveri.  

La scelta di Widodo da parte del PDI-P fu eccezionale per le dinamiche della politica indonesiana. L’allora governatore di Giacarta non era un ex ufficiale dell’esercito come invece il suo rivale, l’ex generale conservatore Prabowo Subianto, né il rampollo di una dinastia politica come la leader del PDI-P e figlia di Sukarno Megawati. Prima di lui, tutti i presidenti dell’Indonesia erano appartenuti a una delle due categorie, ma per Widodo e il PDI-P l’anomalia poteva diventare la leva con cui risollevare il partito dopo anni di disfatte elettorali. Jokowi si presenta come uomo nuovo, estraneo all’establishment e vicino al popolo. Come tanti altri leader negli stessi anni, Widodo vince con una piattaforma populista che metteva al centro la lotta alla corruzione. Le elezioni sono un trionfo, Jokowi batte Prabowo con il 53% dei voti e ripete il successo nel 2019, sempre contro Prabowo, con il 55%. Tutt’oggi Jokowi rimane popolarissimo, con un gradimento intorno al 76%. È difficile sentire voci critiche contro il presidente, anche perché offenderlo può portare a 18 mesi di prigione, come è successo a un diciottenne di Sumatra nel 2017.

Widodo infatti è un leader democraticamente eletto, disposto a cedere il potere alla fine dei suoi due mandati come previsto dalla Costituzione, ma è anche il leader di una democrazia “ibrida”. Il potere è contendibile alle elezioni, ma il dissenso viene represso quando alza troppo la voce o esce dal solco tracciato dal governo. Durante l’amministrazione Widodo sono state scritte leggi alquanto vaghe contro la diffamazione e la “blasfemia”, che sono ora interpretate in modo ampio per limitare la libertà di espressione, assemblea e associazione. Un’altra pagina grigia per quanto riguarda i diritti fondamentali è rappresentata da una recente e inedita assunzione di responsabilità da parte di Jokowi per alcuni episodi di violenza perpetrati dallo Stato indonesiano in passato. Un passo in avanti solo parziale, dato che il presidente ha taciuto sui crimini commessi dall’esercito durante l’occupazione di Timor Est e sulla violenta repressione tutt’oggi perpetrata contro i nativi della Papua Occidentale che chiedono l’indipendenza da Giacarta. Anche la promessa di combattere la corruzione è rimasta disattesa. Rizal Ramli, politico di lungo corso ed ex ministro del primo governo Widodo, ha recentemente scritto su The Diplomat che con Jokowi “le lancette dell’orologio sono tornate indietro”, dato che la clique del presidente si è dimostrata “terribilmente corrotta, con enormi conflitti d’interesse”. Widodo tace e lascia fare, così da tenere uniti gruppi d’interesse contrapposti e mantenere il potere. Anche l’ex rivale Prabowo è stato cooptato come ministro della difesa.

Nonostante la corruzione sia un problema gravissimo e percepito come tale dall’opinione pubblica, l’economia indonesiana cresce e non conosce crisi. Il Jokowismo sembra funzionare e rimane popolare. Memore della sua esperienza personale, Widodo vede nelle ricche aziende statali del Paese uno strumento utile per guidarne l’economia e le infrastrutture verso i suoi obiettivi di sviluppo economico, ma anche sociale. In questo, il presidente è stato assistito con successo dal suo ministro delle imprese statali Erick Thohir, imprenditore noto in Italia per aver acquistato e guidato per alcuni anni l’Inter. Un altro principio del Jokowismo è la ricerca di nuovi mercati e investimenti all’estero. L’Indonesia ha ricoperto recentemente la presidenza sia del G20 sia dell’ASEAN, dando grande importanza in entrambi i forum al commercio e alla crescita economica. E Jokowi è riuscito a trovare molti investitori, soprattutto in Cina. La presenza di Pechino nel Paese è aumentata molto, sia per investimenti che per presenza di lavoratori cinesi, categoria spesso vittima di violenze. Un tema un po’ scomodo per l’amministrazione, criticata in passato dall’opposizione per aver “svenduto” il Paese alla Cina e oggi impegnata a tenere sotto controllo il sentimento anti-cinese.

Anche se è difficile prevedere chi sarà il successore di Jokowi, sicuramente sarà un jokowista in economia. Presentarsi in continuità con il popolare presidente uscente sarà necessario per emergere da una rosa ancora affollata di contendenti. I due nomi più probabili sembrano essere l’ex rivale, ora alleato, Prabowo e il candidato ufficiale del PDI-P Ganjar Pranowo, governatore della Giava centrale. I due potrebbero addirittura allearsi e correre in ticket, in continuità assoluta con la grande coalizione che sostiene Widodo. Se Jokowi è entrato in politica senza provenire da una dinastia di potere, ne esce dopo averne creata una propria: i suoi figli hanno già iniziato a far gavetta e il primogenito è già sindaco di Surakarta, la città da cui è partita l’ascesa di Widodo. Sentiremo ancora parlare di loro. In ogni caso, il fatto che la transizione al post-Jokowi stia avvenendo in modo democratico dimostra la forza della democrazia, seppur “ibrida”, indonesiana. Una democrazia piena di contraddizioni che ha richiesto un politico fuori dagli schemi come Jokowi per guidarla: tanto capace ed efficace, quanto accondiscendente verso la corruzione e i vizi del sistema.

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