Vietnam

Vietnam, addio al segretario generale Nguyen Phu Trong

Il segretario generale del Partito comunista era al terzo mandato. Inflessibile all’interno, protagonista della spietata campagna anticorruzione della “fornace ardente”, flessibile sul piano internazionale in ossequio alla sua diplomazia del bambù che ha garantito il successo recente di Hanoi

Articolo di Lorenzo Lamperti

Nato in una famiglia di contadini sotto la colonizzazione francese e la dominazione giapponese. Cresciuto durante la guerra contro gli Stati uniti. Studente di scienze storiche in Unione Sovietica. Redattore della rivista teorica del Partito, poi suo ideologo e infine leader indiscusso. Nguyen Phu Trong, segretario generale del Partito comunista vietnamita di cui è stata annunciata ieri la morte, non era una figura come un’altra. Né per il Vietnam, né per l’Asia. E, sempre di più, non lo era nemmeno per il mondo. Negli ultimi dieci mesi, sono apparsi al suo fianco in serie Joe Biden, Xi Jinping e Vladimir Putin. Nessun altro leader mondiale può dire lo stesso. Il tutto mentre i vari Amazon, Apple, Samsung, BYD fanno a gara per guadagnare spazio in quello che sta diventando un hub produttivo di alta qualità, snodo cruciale della globalizzazione in mezzo alle turbolenze della contesa tra Usa e Cina.

Trong ha guidato il Vietnam tra le intemperie, cavalcando le onde invece di subirle. Mentre all’interno operava la spietata campagna anticorruzione della “fornace ardente”, all’esterno esaltava la diplomazia del bambù. L’inflessibilità interna, utile anche o soprattutto a sbarazzarsi dei rivali politici, si accompagnava dunque a una grande flessibilità sulla scena internazionale. Da convinto marxista-leninista, Trong ha coltivato il legame storico-ideologico con Pechino, preservando quello di sicurezza con la Russia. E avviando uno storico disgelo con Washington col suo storico viaggio alla Casa bianca nel 2015, il primo per un leader vietnamita. Una mossa utile a diversificare i rapporti internazionali e aggiungere un’ulteriore tutela di stabilità per un paese con una storia frastagliata e violenta. Quasi mille anni di dominio cinese prima, gli effetti “caldi” della guerra fredda con le bombe americane poi.

Sulla salute di Trong, 80 anni, giravano voci pessimistiche già da tempo. Già qualche anno fa si era parlato di un “infarto”. Negli scorsi mesi aveva mancato almeno due appuntamenti rilevanti: l’incontro col presidente indonesiano Joko Widodo, in viaggio a Hanoi, e le celebrazioni del 70esimo anniversario della vittoria della guerra contro la Francia. Era poi riapparso un mese fa per accogliere Putin. Ma le immagini di fianco al leader russo lo mostravano in condizioni poco rassicuranti, tanto da non essere circolate sui media statali. Nei giorni scorsi, c’era stato il passaggio dei poteri al presidente To Lam, figura che nel sistema vietnamita ha funzioni soprattutto cerimoniali. Il segnale della gravità della malattia è arrivato con l’assegnazione dell’Ordine della stella d’oro, generalmente conferita postuma. Poi, l’annuncio ufficiale.

La sua salute era stata messa in discussione sin dal 2021, quando al XII Congresso del Partito aveva ottenuto un inedito terzo mandato, un anno in anticipo rispetto al “collega” cinese Xi Jinping. La storia recente di Hanoi e Pechino, così come le esperienze di Trong e Xi, hanno d’altronde spesso viaggiato in parallelo. Mentre Deng Xiaoping lanciava la riforma e apertura cinese, Le Duan in Vietnam approntava il Doi Moi per aprire al mercato l’economia socialista vietnamita. Trong è diventato segretario generale nel 2011, un anno prima di Xi. Sempre come il presidente cinese, Trong ha costruito la sua reputazione su una ostentata inflessibilità in materia di sicurezza e incorruttibilità, medaglia che ha utilizzato per sconfiggere il rivale Nguyen Tan Dung al Congresso del 2016. Una vittoria dell’ideologia sul mercato, si era detto allora. Ma Hanoi ha poi firmato gli accordi di libero scambio con Unione europea e Regno unito, promuovendo il Rcep in Asia-Pacifico. Le pressioni su Washington per ottenere il riconoscimento di economia di mercato sembrano vicine a produrre il risultato sperato, con Hanoi che si è resa ormai indispensabile alla diversificazione delle catene di approvvigionamento globali e ha elevato nettamente i suoi standard produttivi.

E poco importa se dietro le quinte lo scontro politico è proseguito anche dopo l’avvio del terzo mandato di Trong. Nel giro di un anno, il segretario generale si è sbarazzato di due presidenti. Prima Nguyen Xuan Phuc, che ambiva a prendere il suo posto, poi Vo Van Thuong, considerato il suo delfino. In totale, otto membri del Politburo sono stati espulsi nel giro di pochi anni. Ora ci si aspetta la convocazione di un comitato centrale per nominare un segretario generale ad interim. In corsa, oltre al presidente To Lam, anche il primo ministro Pham Minh Chinh, primo ministro ed ex generale di polizia proveniente dal potente ministero di pubblica sicurezza.

La nomina sarà in ogni caso valida “solo” fino al XIV Congresso del gennaio 2026, quando ci sarà la scelta definitiva. A Pechino, come a Washington e Mosca, osserveranno con attenzione la soluzione del rebus della successione di Trong. Ma il Vietnam è intenzionato a proseguire con convinzione sulla strada della neutralità in politica estera e di sviluppo economico attraverso l’apertura al mondo.

L’ambiziosa missione di VinFast

La prima casa automobilistica interamente vietnamita ha grandi progetti per il futuro. La competizione è forte e gli ostacoli da superare sono molti, ma l’azienda è stata inserita da TIME tra le più influenti al mondo

di Francesco Mattogno

Il circuito di Hanoi se lo ricordano in pochi anche tra gli appassionati di Formula 1. Non per le caratteristiche della pista, dal layout comunque discutibile, ma perché il Gran Premio del Vietnam è esistito solo sulla carta, o nel mondo virtuale. La gara, che avrebbe dovuto debuttare nel 2020, è stata prima rinviata di un anno a causa della pandemia da Covid e infine rimossa definitivamente dal calendario di Formula 1, nonostante un contratto di dieci anni firmato nel 2018 (decisione su cui ha pesato anche la campagna anti-corruzione che ha colpito alcuni degli organizzatori dell’evento). Oggi chi vuole può “correre” nel circuito di Hanoi solo sul videogioco di Formula 1 2020, nel quale era stato inserito preventivamente. 

Sarebbe stato il secondo Gran Premio della categoria nel Sud-Est asiatico (dopo quello di Singapore), ma anche la prima grande vetrina per VinFast, casa automobilistica vietnamita parte del conglomerato Vingroup. L’annuncio in pompa magna e la successiva cancellazione della gara, a cui Vingroup avrebbe fatto da sponsor principale, si inseriscono perfettamente nel percorso di alti e bassi che ha caratterizzato fin qui la breve storia di VinFast. L’azienda è nata nel 2017 per volontà di Pham Nhat Vuong, presidente, maggiore azionista e fondatore nel 2002 anche della stessa Vingroup, divenuta nel giro di vent’anni la più grande società privata vietnamita grazie alle attività delle sue sussidiarie, operative soprattutto nel settore immobiliare, tecnologico e dei servizi. 

La grande crescita di Vingroup ha reso Vuong il primo miliardario della storia del Vietnam e di conseguenza uno dei personaggi pubblici più in vista del paese, che si ritiene inoltre essere molto vicino alla leadership del Partito Comunista al potere. Una posizione di forza che ha spinto Vuong a investire in un settore ipercompetitivo come quello automobilistico, con l’idea di rendere VinFast un marchio specializzato nella produzione di veicoli elettrici. E facendone anche una questione di orgoglio nazionale.

Il piano di Vingroup era fare di VinFast la prima casa automobilistica interamente vietnamita, visto che l’altro importante marchio del settore, la Truong Hai Auto Corporation (THACO), realizza veicoli per conto di grandi aziende straniere come BMW, Hyundai e Kia. Non a caso, la cerimonia di inaugurazione dell’impianto di produzione di Haiphong, ancora oggi unica fabbrica di VinFast in Vietnam, è stata organizzata il 2 settembre 2017, nel 72° anniversario della dichiarazione di indipendenza dalla Francia pronunciata da Ho Chi Minh nel 1945.

VinFast ha iniziato a spedire le sue prime auto in Vietnam a giugno del 2019, due anni dopo la sua fondazione, ma è entrata nel mercato dei veicoli elettrici solo a partire dal 2022 (in un primo momento produceva soprattutto automobili con motori a combustione). Il 2022 è anche l’anno in cui Vuong ha dato il via al piano di espansione internazionale dell’azienda, che ha cominciato a puntare totalmente sull’elettrico. Vingroup ha prima firmato un accordo preliminare da due miliardi di dollari con la contea statunitense di Chatham (North Carolina) per la costruzione della prima fabbrica di VinFast all’estero, poi si è accordata con Intel per sviluppare congiuntamente le tecnologie per la guida autonoma dei veicoli. 

Sempre nel 2022 un’altra sussidiaria del conglomerato, la VinES Energy Solution, ha avviato la costruzione di una fabbrica di batterie per auto elettriche insieme alla cinese Gotion High-Tech, nella provincia vietnamita di Ha Tinh. La VinES si è poi fusa con VinFast l’anno successivo. I grandi investimenti di Vingroup hanno posto le basi per la quotazione in borsa di VinFast negli Stati Uniti, al Nasdaq, ma nascondevano anche una certa frenesia da parte del gruppo per rendere l’azienda davvero competitiva nel settore dell’elettrico. 

Nel 2023 l’azienda ha venduto 34.855 auto elettriche, un dato molto superiore a quello del 2022 (7.400) ma comunque inferiore all’obiettivo di 50 mila consegne prefissato dalla la società, che proprio lo scorso anno ha iniziato a spedire auto, scooter e autobus elettrici anche fuori dal Vietnam. Al di là delle perdite nette, che nel 2023 hanno raggiunto i 2,39 miliardi di dollari (+14,7% rispetto al 2022), a preoccupare sono soprattutto i dettagli. Se è vero che VinFast ha consegnato circa 35 mila veicoli nel 2023, più del 72% di questi sono stati “venduti” alla Green and Smart Mobility (GSM), una società di taxi sussidiaria proprio di Vingroup. 

Nei primi giorni la capitalizzazione di VinFast è stata la terza più alta tra i marchi mondiali di auto, dietro solo a Tesla e Toyota, ma col passare del tempo il valore delle azioni della casa vietnamita è crollato di oltre il 95% rispetto al suo picco iniziale. Gli analisti hanno parlato di «titolo meme», gonfiato dal grande interesse suscitato nei suoi confronti dai media internazionali e dai social. D’altronde ancora oggi il marchio, nonostante le tante recensioni negative sui suoi prodotti, gode di buona stampa: ad esempio il TIME ha inserito VinFast nella lista delle 100 aziende più influenti del 2024. 

Negli ultimi mesi la casa vietnamita si è trovata costretta a ritirare centinaia di auto già consegnate a causa di problemi di sicurezza (come airbag fallati) o della scarsa qualità dei componenti, oltre che ad affrontare varie controversie legali. Negli Stati Uniti è stata avviata un’indagine per accertare la causa della morte di quattro persone, tra cui due bambini, dovuta allo schianto contro un albero del VF 8 su cui viaggiavano. La macchina, che ha anche preso fuoco, potrebbe aver avuto problemi al suo sistema di guida autonoma. VinFast è stata poi denunciata da AncelorMittal per il furto di proprietà intellettuale riguardo alcune componenti in acciaio utilizzate nei suoi veicoli, mentre ad aprile diversi investitori hanno querelato la società, accusandola di aver gonfiato artificialmente il valore delle sue azioni al Nasdaq.

Vista la situazione complicata, a gennaio Vuong ha preso le redini del progetto auto-nominandosi amministratore delegato dell’azienda, e diventando così il quarto CEO di VinFast negli ultimi tre anni. Nonostante i tanti intoppi, che avrebbero potuto suggerire un ridimensionamento di VinFast, Vingroup sembra invece intenzionata ad aumentare progressivamente obiettivi e investimenti. La casa ha dichiarato di voler arrivare a vendere 100 mila veicoli elettrici nel 2024, fissando poi una soglia di 750 mila consegne annuali entro il 2026.

Per farlo, oltre a grandi iniezioni di liquidità (dal 2017 Vingroup e Vuong hanno investito in VinFast più di 11 miliardi di dollari), l’azienda ha detto di volersi espandere in almeno 50 mercati internazionali entro la fine dell’anno. In pochi mesi VinFast ha aperto vari uffici in Europa e stretto accordi per la vendita delle sue auto in Ghana, Thailandia, Micronesia e nelle Filippine, mentre sta potenziando la sua infrastruttura di stazioni di ricarica e progettando la costruzione di altri due impianti di produzione, in India e Indonesia, che si andrebbero ad aggiungere a quello negli Stati Uniti. 

«VinFast sta entrando in un mercato altamente competitivo come quello dei veicoli elettrici, contro marchi storici consolidati e nel bel mezzo di una guerra dei prezzi», ha dichiarato l’analista Chris Robinson al Nikkei. E proprio questo potrebbe essere il suo più grande ostacolo. 

La strada del Vietnam verso la ricchezza

Il Paese del Sud-Est asiatico è uno di quelli posizionati meglio per aumentare il suo benesse

Di Tommaso Magrini

La crescente rilevanza geopolitica del Vietnam si basa sulla sua forte performance economica, oltre che sulla geografia. Quando il Vietnam iniziò ad aprirsi, a metà degli anni ’80, il reddito annuo pro capite era la metà di quello del Kenya. Grazie a politiche pragmatiche e sempre più favorevoli alle imprese, da allora è cresciuto di sei volte fino a raggiungere i 3.700 dollari. Oggi, l’ambizione del governo di trasformare il Vietnam in un paese ricco entro il 2045 è plausibile, sostiene l’Economist. Dal punto di vista economico, il Vietnam probabilmente non ha mai dovuto affrontare un contesto globale più favorevole. La geopolitica sta spingendo gli investimenti verso questo obiettivo, mentre l’America cerca di sganciarsi dalla Cina e le aziende private di tutte le nazionalità intuiscono la direzione in cui soffia il vento. La maggior parte dei produttori non può semplicemente ritirarsi dalla Cina. Ma per mitigare il costo delle barriere commerciali attuali e future, possono coprire le loro scommesse facendo cose anche altrove (una strategia nota come “Cina + 1”). Le aziende che esportano in Occidente stanno spostando la produzione in Vietnam. Marchi come Samsung e Apple stanno realizzando gadget lì. Intorno a loro si stringono i fornitori, compresi quelli cinesi. Nei primi tre trimestri del 2023 gli afflussi di investimenti diretti esteri in Vietnam in percentuale del Pil sono stati due volte più grandi che in Indonesia, Filippine o Thailandia. Secondo l’Economist, i numerosi e giovani lavoratori del settore manifatturiero del Vietnam sono diligenti, ragionevolmente istruiti e costano la metà di quelli delle zone costiere cinesi. Bene anche sul fronte della sicurezza. Il Vietnam, a differenza dell’Indonesia e delle Filippine, non ha problemi con il terrorismo islamico. Offre peraltro grossi incentivi agli investitori stranieri, a partire da agevolazioni fiscali, terreni a buon mercato.

Apple, altro passo decisivo in Vietnam

I colossi tecnologici globali sempre più presenti ad Hanoi e dintorni

Articolo di Tommaso Magrini

Il Vietnam si prepara a uno sviluppo cruciale per le sue ambizioni economiche e tecnologiche. Apple sta infatti assegnando per la prima volta risorse per lo sviluppo del prodotto iPad al Paese del Sud-Est asiatico, un passo importante verso il rafforzamento della posizione del Paese del Sud-Est asiatico come hub di produzione alternativo al di fuori della Cina. Apple sta collaborando con la cinese BYD, uno dei principali assemblatori di iPad, per spostare in Vietnam le risorse per l’introduzione di nuovi prodotti. È la prima volta che accade per un dispositivo Apple così importante. La verifica ingegneristica per la produzione di prova di un modello di iPad inizierà verso la metà di febbraio del prossimo anno, sostiene Nikkei Asia. Il modello sarà disponibile nella seconda metà del prossimo anno. BYD è stato anche il primo fornitore di Apple ad aiutare il colosso tecnologico statunitense a spostare per la prima volta l’assemblaggio dell’iPad in Vietnam nel 2022. La mossa richiede ingenti risorse sia per l’azienda tecnologica sia per i suoi fornitori, come ingegneri e investimenti in attrezzature di laboratorio per testare nuove caratteristiche e funzioni. La maggior parte dell’introduzione di nuovi prodotti di Apple viene svolta in Cina, in collaborazione con gli ingegneri di Cupertino, per sfruttare la decennale esperienza del Paese nella produzione di hardware. Ma le incertezze geopolitiche stanno costringendo l’azienda a rivedere questo approccio. Apple ha anche in programma di inviare in India alcuni processi per l’iPhone. Il Vietnam è emerso come il più importante polo produttivo tecnologico di Apple al di fuori della Cina. Il gigante tecnologico di Cupertino ha chiesto ai fornitori di costruire nel Paese del Sud-Est asiatico nuove capacità produttive per quasi tutti i suoi prodotti, tranne l’iPhone, dagli AirPods ai MacBook, dagli Apple Watch agli iPad. Apple continuerà a lavorare a stretto contatto con i fornitori cinesi nel suo spostamento della catena di fornitura, ma il Vietnam sta acquisendo una centralità sempre più evidente.

Boom degli investimenti esteri in Vietnam

Il ruolo di Hanoi è in progressivo rafforzamento anche sul fronte dell’elettronica e della tecnologia di alta qualità

Di Tommaso Magrini

Il Vietnam continua ad attrarre l’interesse internazionale. Gli investimenti esteri nel Paese del Sud-Est asiatico hanno registrato un’impennata nel mese di ottobre, quando l’hub manifatturiero ha attratto più del doppio degli impegni finanziari ricevuti mensilmente quest’anno, in un contesto di forte incremento della spesa per nuovi impianti. Nel mese di ottobre, il Vietnam ha ricevuto impegni di investimento esteri per un valore di 5,3 miliardi di dollari, contro una media mensile di 2,2 miliardi di dollari nel resto dell’anno. Circa il 90% degli afflussi di ottobre sono stati guidati da progetti di costruzione di fabbriche, secondo i dati del ministero degli investimenti vietnamita. Dall’inizio dell’anno, il Paese ha ricevuto impegni di investimento esteri per 25,76 miliardi di dollari, il 14,7% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. L’industria manifatturiera rimane una roccaforte degli investimenti in Vietnam. Nei primi dieci mesi del 2023, le aziende estere hanno investito quasi 18,84 miliardi di dollari in progetti manifatturieri, pari al 73,1% degli afflussi totali di IDE registrati nello stesso periodo. Ma il ruolo del Vietnam è in progressivo rafforzamento anche sul fronte dell’elettronica e della tecnologia di alta qualità. Gli investitori stranieri si stanno rivolgendo sempre più al Vietnam per diversificare le loro catene di approvvigionamento. Tra alcuni degli esempi più recenti c’è quello del 23 settembre, quando l’azienda tecnologica giapponese Kyocera Document Solutions ha annunciato l’intenzione di investire 237 milioni di dollari per espandere la propria fabbrica di macchine e attrezzature a Hai Phong. Gli impegni provenienti dalla Cina continentale e da Hong Kong insieme sono stati i più alti di quest’anno, seguiti da Singapore e dalla Corea del Sud. I dati mostrano che gli investimenti effettivi nei primi dieci mesi del 2023 sono aumentati del 2,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, raggiungendo i 18 miliardi di dollari.

Italia e Vietnam rafforzano i legami

Nei giorni scorsi, il Sottosegretario Maria Tripodi ha co-presieduto l’VIII Commissione Economica Mista tra Roma e Hanoi

Continuano gli scambi diplomatici ad alto livello tra Italia e Vietnam, in un anno particolarmente importante anche a livello simbolico per le relazioni bilaterali, che nel 2023 celebrano i loro primi 50 (fruttuosi) anni. Lo scorso 25 ottobre, infatti, il Sottosegretario Maria Tripodi ha co-presieduto alla Farnesina, insieme il Vice Ministro dell’Industria e del Commercio del Vietnam Nguyen Sinh Nhat Tan, l’VIII Commissione Economica Mista, alla presenza di ministeriali e rappresentanti del settore privato. L’edizione di quest’anno avviene in una fase molto positiva e in costante crescita della collaborazione con il Vietnam, partner chiave nella regione dell’Indo-pacifico e nell’area ASEAN. Quest’anno non si celebra infatti solo il 50° anniversario delle relazioni diplomatiche, ma anche il decimo anniversario del partenariato strategico tra l’Italia e il Vietnam. I lavori hanno permesso di rinnovare l’impegno a rafforzare le già eccellenti relazioni tra i due Paesi, anche alla luce del successo della visita di Stato in Italia del Presidente del Vietnam, Vo Van Thuong, lo scorso luglio. Un’attenzione particolare è stata data ai principali settori di comune interesse, tra cui: commercio e investimenti, industria, energia, ambiente, infrastrutture, salute, agricoltura, scienza e tecnologia, cultura, turismo. Il Sottosegretario Tripodi e il Vice Ministro Tan si sono dati appuntamento al prossimo anno a Hanoi per la tenuta della IX edizione della Commissione Economica Mista. La riunione è stata preceduta da un breve colloquio bilaterale in cui si è colta l’occasione per promuovere la candidatura di Roma a EXPO 2030. L’Italia e il Vietnam registrano una costante crescita negli scambi bilaterali. Nel 2022 sono stati registrati i 6,2 miliardi di dollari di interscambio, in aumento dell’11% rispetto all’anno precedente, con il Vietnam che è attualmente il primo partner commerciale dell’Italia nella regione dell’ASEAN, mentre l’Italia rappresenta uno dei principali partner del Vietnam in Europa. Nello specifico, le esportazioni del Vietnam verso l’Italia lo scorso anno sono state pari a 4,4 miliardi di dollari, in crescita del 14% rispetto all’anno precedente, e le sue importazioni dall’Italia sono state pari a 1,7 miliardi di dollari, in crescita del 3,6%. Ad oggi, l’Italia occupa anche il 33° posto su 143 Paesi e territori che investono direttamente in Vietnam, mentre il Vietnam è una delle dieci principali destinazioni degli investimenti italiani tra i Paesi in via di sviluppo. Il legame sembra destinato solo a rafforzarsi.

La lingua italiana in Vietnam

Fitto calendario di eventi ad Hanoi per la Settimana della Lingua Italiana. Edizione particolarmente significativa visto il 50esimo anniversario delle relazioni bilaterali

Dal 14 al 20 ottobre si è celebrata ad Hanoi la XXIII Settimana della Lingua Italiana nel Mondo, dedicata quest’anno al tema “L’italiano e la sostenibilità”. La manifestazione, che si svolge sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, ha avuto un ricco programma di eventi e iniziative volte a promuovere la conoscenza e la diffusione dell’italiano in Vietnam, organizzate in collaborazione con il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Hanoi e con Uni-Italia Vietnam. Lunedì 16 ottobre si è svolta l’apertura ufficiale dell’evento. Nel corso della cerimonia, sono intervenuti l’Ambasciatore d’Italia in Vietnam Marco della Seta, il Rettore dell’Università di Hanoi Nguyen Van Trao e la Direttrice del Dipartimento di Italianistica Pham Bich Ngoc. I media vietnamiti hanno dato ampia copertura all’evento. “In Vietnam ci sono poche scuole superiori che insegnano l’italiano. Spero che nei prossimi tempi promuoveremo più scuole superiori per l’insegnamento di questa lingua”, ha detto l’Ambasciatore Della Seta a Dan Tri. Ma l’Italia ha previsto pacchetti di supporto che comprenderanno borse di studio per studenti, materiale didattico e corsi professionali per docenti che insegnano italiano in Vietnam. L’Università di Hanoi conta attualmente 500 studenti che studiano italiano e 50 studenti italiani che studiano in Vietnam: secondo l’Ambasciatore i due Paesi hanno ancora molto spazio per la cooperazione allo sviluppo in questo campo. Il precedente accordo 2019-2022 sul fronte della formazione è destinato a essere ulteriormente rafforzato. Secondo Dan Tri, nei prossimi anni, insieme alla trasformazione dell’economia del Paese, la scuola e il Dipartimento di lingua italiana continueranno a fornire una formazione professionale orientata agli standard internazionali “Si spera che in futuro il Dipartimento di lingua italiana continui ad essere supportato dall’Ambasciata e dagli enti governativi italiani ad Hanoi nelle sue attività professionali, in particolare nello svolgimento della missione di diffusione e sviluppo dell’insegnamento e dell’apprendimento”, ha detto il Rettore Nguyen Van Trao. “Obiettivo: imparare la lingua italiana, conosciuta come linguaggio dell’amore, in Vietnam”.

Sull’onda del K-Pop: l’influenza della cultura sudcoreana in Vietnam

Da quando Vietnam e Corea del Sud hanno stabilito rapporti diplomatici formali nel 1992, la cultura popolare si è però rivelata la migliore ambasciatrice di Seul nel Paese del Sud-Est asiatico

A cura di Annalisa Manzo 

Il cosiddetto “Korean Wave” – hallyu in coreano – l’incremento della diffusione globale della cultura sudcoreana ha ormai raggiunto tutti gli angoli del globo e in Vietnam si estende a un’ampia gamma di settori: intrattenimento, affari, moda e persino calcio. I legami economici tra i due paesi sono profondi. La Corea del Sud è stato il più grande o il secondo più grande investitore in Vietnam quasi ogni anno per più di un decennio. Choi Bundo, presidente della Camera di Commercio e Industria coreana per il Vietnam centrale e meridionale, ha dichiarato a Nikkei Asia che gli accordi fiscali e commerciali hanno contribuito ad alimentare i legami economici tra i due Paesi. Inoltre, l’elevata soddisfazione per la forza lavoro di alta qualità del Vietnam e le aspettative che possa assumere il ruolo attualmente ricoperto dalla Cina – a causa delle relazioni instabili tra Stati Uniti e Cina – sono ragioni altrettanto importanti per cui le aziende coreane scelgono il Vietnam, ha affermato Choi. 

Da quando Vietnam e Corea del Sud hanno stabilito rapporti diplomatici formali nel 1992, la cultura popolare si è però rivelata la migliore ambasciatrice di Seul nel Paese del Sud-Est asiatico. Tutto è iniziato alla fine degli anni Novanta, quando le serie televisive coreane – i cosiddetti K-dramas – cominciarono ad essere trasmesse dalla televisione locale grazie agli sponsor di alcune società coreane, suscitando l’interesse del pubblico per la musica pop, K-pop e altre esportazioni culturali coreane come film, cibo, viaggi, moda e cosmetici. Ora, dopo più di due decenni, questa “onda coreana” continua ad essere molto popolare in Vietnam e in tutto il Sud-Est asiatico. 

Molti studiosi ritengono che ciò sia in parte il risultato della politica del governo coreano di promuovere la Corea del Sud come “un’economia da sogno fatta di icone ed esperienza estetica”. Le tracce estetiche della cultura pop coreana in Vietnam sono tangibili. Immagini di artisti coreani pervadono i luoghi pubblici, decorando cartelloni pubblicitari, grandi magazzini e saloni di bellezza.

La popolarità di tutto ciò che riguarda la Corea – cibo, cellulari e marchi di cosmetici in particolare – riflette un atteggiamento generale che vede la Corea del Sud come una cultura moderna e intrigante. Sebbene i vietnamiti si mostrino molto aperti anche alla cultura occidentale, permangono tuttavia le differenze culturali sottostanti. La Corea del Sud risulta invece un modello di modernità asiatica più vicina, il cui sviluppo sembra quindi più alla portata del pubblico vietnamita. Dopo tutto, la miracolosa crescita economica della Corea del Sud è piuttosto recente, e la Corea condivide chiare somiglianze culturali con il Vietnam, tra cui un patrimonio culturale confuciano, un’enfasi sui legami familiari e il rispetto per gli anziani, e un valore collettivista che mette in primo piano il conformismo.

Molti vietnamiti intravedono negli stili di vita metropolitani e glamour incarnati dalle star coreane sugli schermi un futuro seducente e desiderabile. Le storie di successo proposte dai K-drama fungono da ispirazione per riflettere sulla propria vita e lottare per raggiungere il proprio successo. La rappresentazione dell’instancabile ricerca di status e denaro da parte dei personaggi dei K-drama fa breccia in molti spettatori vietnamiti, incoraggiati a essere autosufficienti dalla recente politica sociale neoliberista del governo vietnamita. Decenni dopo il Doi Moi (“rinnovamento”) del 1986, segnato dalla transizione del Vietnam verso un’economia di mercato e dall’integrazione nel commercio globale, il governo ha trasferito alcune responsabilità in materia di welfare al mercato e ora promuove la ricchezza e il successo autoprodotti come patriottismo. Inoltre, alcuni hanno notato che il predominio della cultura pop sudcoreana in Vietnam si sta unendo ai recenti sviluppi socio-culturali del Paese. I K-drama romantici e le ballate sentimentali K-pop, che enfatizzano l’amore romantico puro e ideale, l’amor proprio e la consapevolezza di sé, hanno toccato le corde di una società vietnamita in cambiamento, che sta portando nei propri media una svolta verso l’ordinario e il privato.

Nella diffusione della cultura pop coreana, la musica K-pop svolge un ruolo predominante. Da tendenza locale a fenomeno globale, il K-pop si è diffuso in tutto il mondo dall’inizio degli anni Duemila, partendo dal mercato musicale giapponese e diffondendosi nei Paesi dell’Asia orientale fino alla metà degli anni 2010. In particolare, il 2012 ha visto il genere debuttare nell’industria musicale globale. Nell’estate 2012 Psy ha infatti stabilito record senza precedenti nelle classifiche musicali, guadagnando la fama internazionale con la sua mega hit “Gangnam Style”. In seguito, la parola “K-pop” è stata inserita nell’Oxford English Dictionary per designare la “musica pop coreana”.

È passato un decennio e il K-pop non è più considerato solo un genere musicale regionale che ha temporaneamente catturato l’attenzione di un pubblico globale. Si è radicato come un importante genere sottoculturale e sta guadagnando importanza sulla scena internazionale come nuovo standard per il settore. Uno dei fattori chiave che definiscono il K-pop, e che continua a mostrare il potenziale di crescita di questo genere, è la sua ricettività a cambiamenti e nuove fonti. Ha dimostrato infatti un’eccezionale vigilanza nell’adattare e utilizzare i progressi tecnologici per sviluppare un modello di business altamente redditizio.

Proprio come ha dimostrato il recente concerto del famosissimo girl group sudcoreano Blackpink, uno dei tanti modi in cui l’influenza sudcoreana ha travolto il Paese. Il concerto delle superstar ha dato al Vietnam la più grande dose di K-pop finora, per la gioia del fandom locale in rapida crescita. 

Secondo i dati della Korea Foundation, che conduce sondaggi annuali sull’hallyu in tutto il mondo, nel 2022 il Vietnam contava 13,3 milioni di fan di questa cultura, il terzo più alto al mondo, dopo Cina e Thailandia.

Il prezzo dei biglietti non è servito a scoraggiare i fan, anche se lo stipendio medio mensile di un lavoratore vietnamita si aggira intorno ai sette milioni di dong, sebbene il numero dei ricchi vietnamiti è aumentato del 110% dal 2016 al 2021, la quarta crescita più alta dell’Asia, riporta il Knight Frank Wealth Report.

I biglietti più economici partivano da 1,2 milioni (68,30 dollari) fino a 9,8 milioni di dong vietnamiti per i posti VIP. La mattina del secondo concerto, il 30 luglio scorso, i media locali hanno riferito che alcuni biglietti VIP venivano venduti fino a 30 milioni di dong ciascuno. Come ultima tappa in Asia del loro tour mondiale in corso, la richiesta è stata elevata fin dall’uscita delle date. Circa 67.000 spettatori hanno gremito lo stadio My Dinh per quello che gli operatori del settore hanno descritto come il “più grande evento musicale” mai organizzato in Vietnam.

Tran Tuan Tai, docente di finanza alla Massey University of New Zealand, ha notato che il costo del biglietto in Vietnam, rispetto al PIL pro capite, era il più alto tra le altre tappe del Born Pink World Tour. È interessante notare che il biglietto più costoso in Vietnam – pari a 9,8 milioni di dong – era superiore a un biglietto simile in altri Paesi come Indonesia (3,8 milioni di rupie – 335 dollari) e Singapore (398 dollari), che hanno entrambi un PIL pro capite più elevato rispetto al Vietnam. Secondo Tai, ad alimentare la domanda in Vietnam è il fatto che il Paese di solito non è una destinazione comune per spettacoli musicali globali; le mete più gettonate del Sud-Est asiatico restano Thailandia e Singapore. Il Vietnam, con una popolazione di 100 milioni di abitanti, ha una classe media ampia e in crescita, che ha voglia di spendere in attività culturali e di intrattenimento come i concerti K-pop, ha aggiunto Tai. Secondo il World Data Lab, si stima che la popolazione della classe media del Vietnam sarà una delle popolazioni in più rapida crescita al mondo tra il 2020 e il 2030. “Pagare prezzi elevati per i biglietti dei concerti non significa che i vietnamiti siano ricchi, ma piuttosto sottolinea la loro disponibilità a spendere”, ha affermato Nguyen Cuong Bach, amministratore delegato dell’agenzia di marketing focalizzata sul turismo Asia Lion. “Ciò dimostra un mercato turistico per l’intrattenimento più maturo in Vietnam”. 

I due concerti delle Blackpink hanno avuto un impatto molto positivo sull’economia del Vietnam. Il Dipartimento del Turismo di Hanoi ha affermato che la città ha ricevuto 170.000 visitatori durante i due giorni degli spettacoli, di cui 30.000 stranieri. In tutto hanno speso circa 630 miliardi di dong. Il tasso medio di occupazione degli hotel ad Hanoi nel mese di luglio è stato stimato al 60,8%, con un aumento del 19,2% rispetto a luglio 2022. Anche il numero di visitatori nelle destinazioni turistiche di Hanoi nel fine settimana del 29-30 luglio è aumentato dal 15 al 20% rispetto al fine settimana precedente. Nelle settimane precedenti e subito dopo i concerti, è stato osservato un aumento significativo delle prenotazioni da parte di visitatori sudcoreani e cinesi per crociere nella baia di Ha Long, sito patrimonio mondiale dell’UNESCO a circa 160 chilometri da Hanoi.

Dopo lo spettacolo delle Blackpink, Tran Sy Thanh, presidente del Comitato popolare di Hanoi, ha inviato una lettera di ringraziamento alla band, sottolineando che i loro concerti hanno migliorato l’immagine e la posizione di Hanoi come destinazione pacifica, sicura e amichevole. 

Lang Minh, docente di alfabetizzazione mediatica e digitale e consulente educativo presso MindX, ha affermato che l’approccio del governo vietnamita all’industria culturale è un modo per esercitare il “soft power” – la capacità di influenzare gli altri con mezzi non coercitivi. “Il Vietnam soffre di enormi pressioni orizzontali derivanti dai Paesi circostanti con industrie culturali in rapido sviluppo, Thailandia, Corea del Sud, Cina e Giappone. Questo spinge il Vietnam a prestare attenzione al miglioramento della propria industria culturale, non solo per guadagnare denaro ma anche per sottolineare i suoi valori nazionali”. Si fanno quindi spazio alcune opinioni secondo cui il Vietnam voglia trarre vantaggio dalla popolarità del K-pop per sfruttare i vantaggi economici – sia soft che hard – con la Corea del Sud, uno dei suoi partner commerciali più importanti. Lo scorso dicembre, le relazioni bilaterali tra Corea del Sud e Vietnam sono state trasformate in un partenariato strategico globale.Cavalcando l’onda hallyu, i due Paesi sono pronti a scrivere un nuovo futuro.

Il significato della partnership USA-Vietnam

Scenari e prospettive sulle relazioni tra Washington e Hanoi dopo la recente visita del Presidente Joe Biden

Di Tommaso Magrini

Domenica 10 settembre si è recato in Vietnam il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden. “Il rafforzamento della partnership tra Stati Uniti e Vietnam rimedierà in parte all’oscillazione dell’equilibrio regionale nel Sud-Est asiatico e nel Mar Cinese Meridionale verso la Cina che si è verificato nell’ultimo decennio”. Lo sostiene in un’analisi pubblicata su Nikkei Asia Alexander L. Vuving del Daniel K. Inouye Asia-Pacific Center for Security Studies di Honolulu ed esperto soprattutto di politica estera vietnamita. Oltre a rappresentare un’aggiunta significativa all’architettura regionale, l’elevata partnership tra Stati Uniti e Vietnam sarà una componente critica della “rete di sicurezza” internazionale del Vietnam, sostiene Vuving. I fili più spessi di questa rete includono relazioni strategiche speciali con Laos e Cambogia, “partenariati strategici globali” con Cina, Russia, India e Corea del Sud – e in via di definizione con Australia e Singapore – e un “ampio partenariato strategico” con il Giappone. Ma sebbene gli Stati Uniti, come la Cina, siano considerati da Hanoi una “nazione indispensabile” nella regione dell’Asia-Pacifico, Vuving sottolinea come fin qui si siano trovati al terzo livello delle relazioni estere del Vietnam come semplice “partner globale”. Secondo Vuving, il Vietnam deve evitare di schierarsi nella rivalità tra grandi potenze, ma deve aderire o addirittura creare meccanismi che promuovano la sua sovranità, integrità territoriale, prosperità e resistenza. Pur mantenendo le relazioni bilaterali e multilaterali che ha coltivato in passato, non deve esimersi dal partecipare a raggruppamenti “minilaterali” estemporanei che potrebbero contribuire alla difesa e allo sviluppo del Paese. Durante la visita del Presidente degli Stati Uniti si è parlato molto anche di affari e di tecnologia. Le principali aziende statunitensi di semiconduttori e prodotti digitali, tra cui Intel, GlobalFoundries e Google, hanno partecipato a un incontro business che mira a rafforzare il ruolo globale del Vietnam in diversi segmenti della produzione di chip.

Il Vietnam nuovo polo di estrazione di terre rare

Non solo i grandi colossi tecnologici e dell’elettronica internazionali, ora Hanoi punta anche a espandere il proprio ruolo in un altro anello della produzione tech: l’estrazione delle terre rare

Di Tommaso Magrini

Fabbricazione, assemblaggio, realizzazione di prodotti a sempre maggiore valore tecnologico. Il Vietnam non si accontenta e punta ad ampliare il proprio ruolo su una fase che sta alla radice della transizione energetica e dello sviluppo tecnologico: l’estrazione delle terre rare. Hanoi è infatti pronta a lanciare le prossime gare d’appalto per le aziende interessate a investire nella miniera di Dong Pao. Il sito si trova nel Vietnam settentrionale e rappresenta uno dei più grandi giacimenti di terre rare al mondo.  I tempi dell’asta potrebbero variare, ma il governo prevede di riavviare la miniera l’anno prossimo, ha dichiarato alla Reuters Luu Anh Tuan, presidente di Vietnam Rare Earth JSC, il principale raffinatore del Paese e partner di Blackstone nel progetto.

La mossa segue forse non a caso la recente visita ad Hanoi del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che ha parlato di accordi anche in materia di terre rare con la controparte vietnamita. La proposta di riavvio di Dong Pao – di cui non sono stati resi noti in precedenza i tempi, l’entità e il grado di sostegno finanziario straniero – giunge mentre molti Paesi sono preoccupati per la loro vulnerabilità alle interruzioni delle forniture dovute alla morsa della Cina sui minerali strategici e alle sue dispute con gli Stati Uniti e i suoi alleati. Quest’anno Pechino ha imposto dei limiti all’esportazione di metalli minori utilizzati nei semiconduttori, che un influente consigliere politico cinese ha avvertito essere “solo un inizio”. Soprattutto qualora Washington dovrebbe ampliare le restrizioni, come sempre destinata a fare il prossimo 7 ottobre. 

Secondo il Servizio geologico degli Stati Uniti, il Vietnam possiede il secondo più grande giacimento di terre rare. Tuttavia, questi giacimenti sono rimasti in gran parte inutilizzati e gli investimenti sono stati scoraggiati dai prezzi bassi, fissati di fatto dalla Cina a causa del suo quasi monopolio sul mercato globale. Nelle interviste rilasciate a Reuters, 12 dirigenti dell’industria, investitori, analisti e funzionari stranieri hanno descritto i piani per il Vietnam, compresi gli investimenti che, a loro dire, dimostrano come i discorsi sulla derisking delle catene di approvvigionamento per ridurre la dipendenza dalla Cina si stiano traducendo in azione. Alcuni hanno riconosciuto le difficoltà di creare un hub per le terre rare, ma hanno affermato che la strategia potrebbe rendere il Vietnam un attore valido e fornire una valvola importante per investimenti e importazioni, anche se il ruolo cinese dovesse restare dominante. 

Un maggiore ruolo sul fronte dell’estrazione delle terre rare interesserebbe molto anche i produttori di auto elettriche, tra cui il campione nazionale VinFast che mira peraltro alla quotazione a Wall Street nei prossimi mesi e si sta lanciando anche sul mercato europeo. Lo sfruttamento effettivo di Dong Pao – che è rimasto inattivo per almeno sette anni, secondo un funzionario del minerario statale Lavreco, che possiede una concessione – proietterebbe il Vietnam tra i primi produttori di terre rare. Ma la raffinazione delle terre rare è complessa e la Cina controlla molte tecnologie di lavorazione. 

In ogni caso, si tratta di un’ennesima conferma della centralità del Vietnam nelle strategie globali di produzione tecnologica. 

Italia e Vietnam partner sempre più strategici

La visita del Presidente vietnamita a Roma ha rafforzato ulteriormente i rapporti tra i due Paesi. Chiuso anche un accordo tra Hanoi e Santa Sede

Editoriale a cura di Lorenzo Lamperti

Il cinquantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche ufficiali tra Italia e Repubblica Socialista del Vietnam ha vissuto uno dei suoi momenti più rilevanti tra il 26 e il 27 luglio, quando il Presidente vietnamita Vo Van Thuong si è recato in visita ufficiale a Roma su invito del Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella. L’incontro è stato il primo evento ufficiale tra i Capi di Stato dei due Paesi in sette anni. Ma è stata anche l’occasione per celebrare un altro anniversario, il decimo, del partenariato strategico stabilito nel 2013. Durante la visita, le due parti hanno discusso e rafforzato i legami di fiducia politica e di cooperazione strategica tra Vietnam e Italia. I due Paesi sono ormai importanti partner reciproci in vari settori, tra cui l’economia, la difesa e la sicurezza, l’istruzione e la formazione, la scienza e la tecnologia, la cultura, il turismo e altro ancora. Per quanto riguarda la cooperazione politica, diplomatica, di difesa e di sicurezza, le due parti hanno concordato di rafforzare la cooperazione tra i rispettivi Ministeri degli Affari Esteri e di mantenere consultazioni politiche a livello ministeriale tra i Vice Ministri degli Affari Esteri. Hanno inoltre sottolineato l’importanza della cooperazione nel campo della difesa e della sicurezza, concordando la possibilità di visite della Marina Militare italiana in Vietnam. In termini di cooperazione economica, commerciale e di investimenti, entrambe le parti si sono impegnate ad attuare pienamente ed efficacemente l’Accordo di libero scambio Vietnam-UE e a migliorare il reciproco accesso al mercato eliminando le barriere commerciali inutili e ingiustificate. Il Vietnam ha accolto con favore la ratifica da parte del Parlamento italiano dell’Accordo UE-Vietnam sulla protezione degli investimenti, che creerà condizioni favorevoli per gli investitori di entrambe le parti. Si è inoltre discusso delle opportunità di cooperazione in vari settori come lo sviluppo delle infrastrutture, l’economia digitale, le tecnologie avanzate, le energie rinnovabili, le industrie creative e l’agricoltura intelligente. Italia e Vietnam puntano inoltre a espandere la cooperazione nei settori scientifici e tecnologici, nell’istruzione e nella formazione e hanno incoraggiato gli scambi culturali e artistici. Il viaggio del Presidente vietnamita ha prodotto anche un importante annuncio con la Santa Sede, con la quale è stato raggiunto uno storico accordo per l’invio di un rappresentante vaticano ad Hanoi. Il Vietnam è sempre più vicino.

Vietnam, quanto è difficile mollare il carbone

Hanoi sta affrontando uno dei periodi più critici per la fornitura di energia elettrica nelle zone colpite dalle ondate di calore. Le fonti fossili tornano a essere la prima scelta in un paese considerato tra i più promettenti per la produzione di energia pulita nel Sud-Est asiatico

In Vietnam non è ancora tempo per dire addio al carbone. Il dato è emerso lo scorso 31 maggio in occasione di un incontro tra società e istituzioni del mondo Esg (Environment, Society, Governance) a Ho Chi Minh City ed è stato riportato da diverse testate asiatiche. Ma il problema esiste da tempo, ed è sintomatico di un processo di sviluppo rapido e disordinato. Da pochi anni il paese è al centro di un significativo processo di conversione alle rinnovabili mai visto prima nel Sud-Est asiatico, ma la corsa all’energia verde non è ancora sufficiente a sostenere una domanda energetica che è raddoppiata in meno di dieci anni.

Come accade oggi per la Cina – stretta tra le promesse di sviluppo sostenibile e un sistema energetico ancora da stabilizzare – anche per Hanoi il problema di equilibrare domanda e offerta energetica è già realtà. E il cambiamento climatico aggiunge un ulteriore difficoltà nella tenuta della rete elettrica e nella gestione dei picchi energetici. A partire da maggio diverse aree industriali nel nord del paese hanno iniziato a registrare una serie di interruzioni della corrente elettrica senza precedenti: “È la prima volta che accade in dieci anni”, racconta a VnExpress un lavoratore della provincia di Bac Ninh. Il manager dell’impianto, che si occupa dell’assemblaggio di alcune componenti telefoniche, ha avvertito i dipendenti che il giorno dopo non sarebbe stato possibile lavorare a causa di un’interruzione della corrente di dodici ore consecutive.

Crisi energetica e transizione

A giustificare la crisi energetica di queste settimane è senz’altro un aumento record delle temperature, fattore che causa a sua volta un picco della domanda energetica legata a impianti di raffreddamento industriali e utilizzo di condizionatori negli edifici. Ma anche il lato dell’offerta manca di continuità. Secondo quanto riferito dal ministero dell’Economia e del Commercio ben undici centrali idroelettriche sono state chiuse a causa della carenza di acqua, mentre sarebbe necessario almeno un milione di tonnellate di carbone per far funzionare le centrali termiche del nord.

Lo scorso 7 giugno il direttore dell’Autorità di regolamentazione dell’elettricità del ministero dell’Industria Tran Viet Hoa aveva parlato di “gravi carenze” nella fornitura energetica, affermando che – importazioni comprese – la disponibilità effettiva era di soli 18 mila megawatt, contro una previsione di domanda energetica capace di toccare punte di 24 mila megawatt. A fine maggio l’output delle dighe era capace di sostenere solo altri quattro giorni di picco energetico, pochi giorni dopo – il 3 giugno – i principali impianti idroelettrici non erano in grado di produrre energia per l’intera giornata. 

La dipendenza dal carbone

La crisi idrica è senz’altro un fattore che rallenta l’avanzamento vietnamita nel mondo dell’energia rinnovabile, e riporta inevitabilmente il paese verso una fonte considerata – almeno in teoria – più sicura e disponibile. Se da un lato il crollo della produzione di energia idroelettrica ha fatto emergere un deficit nello stock di carbone per la produzione di corrente elettrica, dall’altro le fonti fossili non hanno mai lasciato un vuoto nel mix energetico nazionale. Anzi, sono semplicemente aumentate per sopperire al boom economico. Come riferisce l’International Energy Agency (IEA) il Vietnam è uno di quei paesi che, pur essendo uno dei più grandi investitori ASEAN nelle rinnovabili, prevede di raddoppiare la produzione delle centrali termoelettriche a carbone. 

Inoltre, “il problema del Vietnam è che le centrali a carbone sono molto giovani, alcune hanno meno di 10 anni”, ha spiegato a Nikkei Asia Tung Ho, responsabile nazionale della consulenza energetica Allotrope. Tant’è che i legislatori stanno valutando non tanto l’abbandono di questa fonte energetica, bensì la conversione degli impianti a tecnologie che cadono sotto l’ombrello semantico del “carbone pulito (clean coal technologies)”. Tra queste, l’utilizzo dell’ammoniaca come co-combustibile per ridurre le emissioni nocive, una tecnologia ancora molto dibattuta perché non esistono ancora prove certe della sua efficacia.

Quale futuro per la transizione energetica vietnamita?

Il carbone in Vietnam occupa oltre il 50% del mix energetico, superando tutti gli altri paesi del gruppo ASEAN. Il secondo consumatore di carbone nella regione è il Laos, paese chiave per le forniture di questo combustibile ad Hanoi. Mentre le prospettive del Power Development Plan 8 (PDP8) parlano di transizione verde come opportunità per attrarre capitale straniero e raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050, la leadership vietnamita continua a valutare una serie di ambiziosi progetti infrastrutturali legati al carbone. È il caso di un’autostrada di 160 km che collegherebbe le province laotiane di Sekong e Salavan al distretto vietnamita di Hai Lang.

Lo stesso PDP8 prevede la costruzione di nuove centrali a carbone fino al 2030, anno che dovrebbe segnare l’inizio effettivo di una transizione esclusiva – almeno a livello infrastrutturale – verso gli impianti di produzione energetica sostenibile. Si tratta dunque di scadenze che non prevedono la chiusura delle centrali a carbone, ma del solo divieto a nuovi appalti. Sebbene le previsioni mostrino un graduale calo della produzione legata al carbone (una riduzione del 10% nei prossimi dieci anni), è importante ricordare che le prospettive di produzione totale sono ambiziosamente al rialzo. Secondo il piano di sviluppo, infatti, Hanoi punta a produrre più energia di paesi come Francia e Italia.

I piani del Vietnam dovranno fare i conti anche con le promesse internazionali. Dal 2022 il paese è entrato a far parte della Just Energy Transition Partnership. Lo schema, adottato insieme a partner quali Usa, Giappone, Regno Unito e Unione Europea, prevede di sbloccare oltre 15 miliardi di dollari per sostenere la transizione energetica dei paesi membri. Alla COP26 di Glasgow, inoltre, Hanoi ha dichiarato che smetterà di utilizzare il carbone come fonte energetica entro il 2040. Nel 2022 l’Economist aveva definito il Vietnam come “un punto luminoso in una mappa altrimenti nera come la notte” per il suo rapido sviluppo nel campo dell’energia solare. Ma la strada da percorrere è ancora lunga.