La sostenibile indipendenza del Laos

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Siccità e cassa costringono il Paese del ‘Milione di Elefanti’ a rivedere la propria strategia di sviluppo

La Repubblica Popolare Democratica del Laos è l’unico tra gli stati membri dell’ASEAN a non avere uno sbocco sul mare: il piccolo Paese montuoso, infatti, confina a nord con la Cina ed il Myanmar, ad est con il Vietnam, a sud con la Cambogia e ad ovest con la Thailandia. Tale condizione peculiare, che ha ristretto l’accesso del Paese alle principali rotte commerciali marittime e ridotto la sua attrattività per gli investitori stranieri, ha però conferito alla Repubblica Popolare una certa centralità strategica. Non a caso, le grandi potenze considerano il Laos, erede dell’antico Regno di Lan Xang, il ‘Milione di Elefanti’, uno stato cruciale nella “battaglia per i cuori e le menti” del Sud-Est Asiatico.

Tali affermazioni trovano riscontro nella travagliata storia del Laos, che, in molte occasioni, ha visto la propria sovranità messa in discussione dall’intervento di paesi vicini e lontani. In seguito alla dissoluzione del Regno in piccoli principati vassalli di Siam (Thailandia) e Birmania (Myanmar), il Paese è stato riunificato come protettorato francese alla fine dell’800. L’indipendenza faticosamente raggiunta nel 1953 è stata però compromessa dallo scoppio della guerra in Vietnam. Il Tra il 1959 ed il 1975, il Regno del Laos è stato teatro di una sanguinosa guerra per procura tra gli Stati Uniti ed il Vietnam del Nord, che si è conclusa con la vittoria dei comunisti laotiani e la creazione della Repubblica Popolare.

I primi anni del Laos indipendente sono stati fortemente caratterizzati dalla ‘relazione speciale’ con il Vietnam unito, suggellata dal ventennale Trattato di Amicizia e Cooperazione del 1977. Soltanto la fine della guerra fredda e la dissoluzione dell’Unione Sovietica hanno permesso al Laos di rompere l’isolamento economico e diplomatico e di riprendere i legami con gli altri paesi confinanti. Il primo Ponte dell’Amicizia Thai-Lao, inaugurato nel 1994 grazie a finanziamenti australiani, ben documenta il cambio di passo. 

Il fiume Mekong, la ‘madre delle acque’ più importante del sudest asiatico, ha giocato un ruolo cruciale nel rilancio dell’economia laotiana e nel suo re-inserimento all’interno dell’ecosistema ASEAN, a cui il Laos ha aderito nel 1997. Tra il 1994 e il 2019, il PIL del Paese è cresciuto in media del 7% annuo, attraverso lo sfruttamento delle ingenti risorse minerarie e l’apertura di alcune rotte commerciali con i paesi vicini. Il governo laotiano ha investito molto sullo sviluppo del settore idroelettrico, costruendo decine di dighe lungo il Mekong ed i suoi affluenti con l’obiettivo di esportare energia ai paesi vicini e diventare così la nuova “Batteria dell’Asia”.

L’iniziale avversione degli stati a valle, in particolare il Vietnam, preoccupato anche dal ruolo della Cina, il principale sostenitore del progetto, è stata sorpassata dagli interessi privati dei singoli attori. La Thailandia, ad esempio, è il principale consumatore dei 6457 MW di energia prodotta per l’esportazione nelle centrali idroelettriche laotiane: ai 63 impianti già operativi se ne dovrebbero aggiungere 37, alla cui costruzione parteciperanno anche importanti aziende vietnamiti (mentre il Vietnam stesso sarebbe il secondo destinatario dell’export laotiano!). Negli ultimi anni però numerose organizzazioni internazionali si sono aggiunte ad organizzazioni ambientaliste e comitati locali, per evidenziare i limiti di un modello di crescita basato sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali. 

L’Asian Development Bank, ad esempio, ha messo in evidenza i limiti strutturali del settore energetico, che offre un numero limitato di posti di lavoro e manca di connessioni con il resto dell’economia. Circa il 75% della forza lavoro laotiana, infatti, è occupato nell’agricoltura, il settore più colpito dalla siccità che anche quest’anno, per l’effetto combinato delle dighe cinesi e laotiane e del cambiamento climatico, hanno messo in ginocchio le economie del basso Mekong. La crisi globale del Covid-19, che ha azzerato gli introiti di un settore turistico in rapida ascesa e diminuito notevolmente l’importo delle rimesse estere, ha contributo alla diminuzione delle entrate fiscali e al calo delle riserve in moneta estera. La scelta dell’agenzia Fitch di declassare ulteriormente il rating del Laos, da B- a CCC, mette in mostra la preoccupazione dei creditori internazionali riguardo alla capacità del Paese di ripagare i propri debiti (evitando di cadere nella cosiddetta ‘trappola del debito’).

Lo stesso governo laotiano aveva indicato, all’interno dell’VIII Piano Nazionale di Sviluppo Socio-Economico 2016-2020, la necessità di creare un’agenda ‘verde’ che garantisca al Paese uno sviluppo sostenibile ed inclusivo. La volontà politica, però, da sola non basta: servono istituzioni all’altezza, infrastrutture all’avanguardia e, ovviamente, investimenti adeguati. Significativamente, nella proposta per il prossimo piano quinquennale 2021-2025, che dovrebbe sancire finalmente l’uscita del Laos dal gruppo dei Paesi Meno Sviluppati, il Ministero della Pianificazione e degli Investimenti ha aggiunto un elemento che prima mancava: il rafforzamento della cooperazione internazionale. Tra le righe, il governo sembrerebbe dare ragione a Kishore Mahbubani, che anni fa scriveva: “la cosa più saggia che il Laos possa fare per proteggere la propria indipendenza (…) è divenire uno dei campioni dell’ASEAN”.

Articolo a cura di Francesco Brusaporco

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