Intervista a Mario Vattani, Ambasciatore d’Italia a Singapore

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L’Ambasciatore d’Italia a Singapore racconta l’attività della sede diplomatica nella città-stato, illustra i risultati raggiunti e le potenzialità da sfruttare

Intervista a cura di Lorenzo Lamperti

Ambasciatore Vattani, com’è stato l’impatto con Singapore e come si è evoluta l’attività dell’Ambasciata in questi mesi?

Ora che è passato un anno dal mio arrivo posso tracciare un primo bilancio. Abbiamo sfruttato i primi mesi in cui, a causa delle restrizioni anti Covid, era difficile avere incontri e svolgere attività verso l’esterno per lavorare su progetti strutturali. In particolare, abbiamo spostato la sede. Non si tratta di un semplice trasferimento, ma del simbolo della presa d’atto da parte dell’Italia della crescente importanza di Singapore in questa regione. Il Sud-Est asiatico avrà un ruolo sempre più strategico nei prossimi 20 anni e Singapore ha un’importanza speciale. Prima questa era una sede piccola con poco personale, all’opposto di quello che accade con le aziende internazionale che da tempo usano proprio Singapore come base d’accesso alla regione. L’apertura della nuova sede dell’Ambasciata si inserisce in una dinamica di maggiore presenza in cui c’è stata l’apertura dell’ufficio della difesa e quella della Banca d’Italia.

Quali sono i fattori che stanno rendendo Singapore sempre più centrale?

I fattori sono diversi. Certo, anche le dinamiche degli ultimi anni a Hong Kong hanno contribuito. Anche dalla Cina c’è un flusso costante di professionisti e aziende, soprattutto da Shanghai. Quando sono arrivato questo processo era già cominciato e quindi siamo riusciti ad ampliarci. Il vantaggio è quello di poter mostrare adesso ai singaporiani che c’è stato un cambio di passo e il risultato è che l’Italia ha una visibilità maggiore. Sia gli uffici della nostra rappresentanza, sia le stesse aziende. 

Quali iniziative sono state avviate dopo l’allentamento delle restrizioni pandemiche?

Abbiamo avviato un’azione visibile sul territorio. Per esempio è stato organizzato il primo Italian Festival, formula che avevo utilizzato già in Giappone dove lavoravo a capo dell’Ufficio Commerciale. L’idea di fondo è moltiplicare sotto lo stesso logo tutta una serie di attività senza limitarci alle aree di presenza più classiche dell’Italia, dal food al fashion fino al turismo. Abbiamo lavorato a eventi anche su scienza, tecnologia e ricerca. Stiamo cercando di far conoscere anche questi lati dell’Italia. Siccome Singapore non è un hub manifatturiero, non esiste un’intima conoscenza del nostro sistema produttivo e della nostra meccanica, al contrario di altri Paesi. Il Giappone importa alta tecnologia made in Italy da decenni, a Singapore invece conoscono soprattutto i nostri prodotti. Eppure qui abbiamo grandi aziende presenti in infrastrutture importanti come Mapei nella costruzione del porto. Tecnologia italiana è presente anche in Gardens by the Bay e nella metropolitana. Abbiamo approfittato del recente Gran Premio di Formula Uno, che qui ha rappresentato davvero il ritorno di Singapore sulla scena internazionale dopo la pandemia. Noi come Italia abbiamo fatto uno showcase in Ambasciata di tutte le aziende più importanti che sono legate al mondo della Formula Uno. Non solo la Ferrari, ma anche chi fa le infrastrutture o gli pneumatici. Anche chi si occupava delle luci era un’azienda italiana. 

Quanto è importante pilotare l’azione sull’agenda del Paese ospitante?

L’errore che si fa in Asia ogni tanto è arrivare qui guardandosi l’ombelico, invece bisogna usare il percorso opposto: guardare l’altro e adeguarsi a quello che fa, per fargli capire che quello che io faccio funziona anche per lui. Singapore poi è un Paese con una classe dirigente orgogliosa di quello che sta portando a termine, bisogna fargli capire che siamo il partner giusto. Ad esempio, durante la design week l’Italia è stato l’unico Paese presente con una mostra sui nuovi materiali e sulle startup italiane che riciclano in modo intelligente. Siamo stati l’unico Paese partner del Design Center di Singapore durante la Design Week. Ora grazie alla Farnesina abbiamo gli strumenti per avere un atteggiamento più propositivo: abbiamo una showroom, la sede è al centro del Financial District della città. C’è uno spazio che prende il nome di Sala Italia dove verranno adibite mostre. Anzi già è in funzione: è appena venuto qui Giordano Bruno Guerri per un incontro su D’Annunzio, anche la Pirelli ha fatto qui la sua mostra. Io ho firmato due decreti che mettono a disposizione delle aziende sia la residenza sia la Sala Italia 

Di recente è entrato anche in funzione l’accordo bilaterale di cooperazione scientifica e tecnologica. Quali vantaggi può portare?

L’accordo fu firmato nel 2016, ma mancava il protocollo esecutivo. Da quando siamo arrivati ci siamo messi in moto per riattivarlo. Ora è finalmente in funzione. Ci saranno diversi progetti legati anche alle startup su cui abbiamo terreno da recuperare. Il vantaggio di Singapore è che qui c’è un vasto hub di talenti ed è un laboratorio di ricerca dalle grandissime potenzialità. 

Singapore ha un ruolo rilevante anche a livello politico nell’area, oltre a quello economico e finanziario. 

Assolutamente sì, la classe dirigente è a un livello molto alto e il governo locale è ascoltato e rispettato ovunque. Singapore gioca una partita molto complessa, grazie alla sua stabilità e alla sua posizione strategica svolge un ruolo di garante un po’ per tutti. Aggiungo che per l’Italia è interessante anche trarre lezioni per la gestione di una società multi-identitaria in modo efficace. Così come si può osservare l’esperienza di Singapore nella lotta al terrorismo. Anche questi sono temi su cui è bene approfondire il dialogo bilaterale.

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