Nella corsa al 5G, l’ASEAN sceglie la via del pragmatismo

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Articolo a cura di Michelle Cabula

L’ASEAN ospita una serie di progetti pionieristici che le sono valsi la fama di “laboratorio globale dell’innovazione digitale”. Qui le ambizioni nazionali si intrecciano con le logiche della competizione tecnologica USA-Cina, ma i governi guardano ai costi e all’efficienza per scegliere i partner con cui progettare i propri sistemi nazionali delle telecomunicazioni. 

Nel Sud-Est asiatico, la pandemia non è bastata a fermare la corsa al 5G. Anzi, il Covid-19 ha reso evidente come l’accesso ad una connessione veloce e stabile sia diventato imprescindibile per svolgere la maggior parte delle attività quotidiane, mettendo così in luce l’urgenza di sviluppare infrastrutture che possano reggere l’accelerata digitalizzazione. 

In Thailandia, Advanced Info Service (AIS) e True Corp., i principali operatori telefonici del Paese, collaborano con le strutture sanitarie garantendo loro accesso alla copertura 5G, indispensabile per poter beneficiare al massimo di alcune innovative soluzioni di robotica e telemedicina. Al Chulabhorn Hospital, che si avvia a diventare il primo ospedale del paese a fornire un servizio di assistenza medica completo che integri le tecnologie 5G in tutte le sue dimensioni, i robot affiancano il personale sanitario e i referti di una TAC al torace vengono consegnati nel giro di mezzo minuto. In linea con l’obiettivo di raggiungere una copertura 5G totale entro il 2025, Singapore si sta attivando per supportare la ricerca sull’intelligenza artificiale e la cybersecurity con un piano di investimenti da 50 milioni di dollari, secondo quanto annunciato dal Vice Primo Ministro Heng Swee Keat il 13 luglio. In generale, la visione espressa nell’ASEAN Digital Masterplan 2025 adottato all’inizio di quest’anno dimostra come il completamento della transizione verso delle comunità e delle economie digitali, con un occhio alla sicurezza e all’inclusività delle tecnologie, rappresenti un’ambizione condivisa da tutti i governi dell’area.

Si prevede che il mercato digitale ASEAN, che cresce ad una velocità senza eguali nel mondo, apporterà un valore aggiunto di circa un triliardo di dollari al PIL regionale nel giro dei prossimi dieci anni. Un potenziale che non lascia indifferenti Cina e Stati Uniti, campioni globali del settore delle telecomunicazioni, le cui tensioni politiche e commerciali si riversano nel Sud-Est asiatico innescando una corsa alla fornitura di connessione Internet e servizi 5G. Nel contesto ASEAN, le pressioni geopolitiche hanno però prodotto risultati diversi che altrove. Generalmente, i governi si sono approcciati in maniera pragmatica alla questione della scelta dei fornitori, evitando di schierarsi apertamente a favore di una delle due superpotenze tecnologiche in competizione. Nonostante le spinte di Washington sui suoi principali partner nell’area, nessun Paese ha optato per una totale rinuncia alle attrezzature di rete dei due produttori cinesi ZTE e Huawei all’interno delle proprie strategie nazionali. Eccezione va fatta per il Vietnam, dove i sentimenti anti-cinesi hanno prevalso e le tecnologie di Pechino sono attualmente bandite, quantomeno de facto.

In generale, però, i provider cinesi possono vantare una serie di collaborazioni nell’area. A maggio 2019, negli stessi giorni in cui gli Stati Uniti decidevano di inserire Huawei nella lista nera del commercio, la cinese ZTE firmava un Memorandum of Understanding con Ooredoo Myanmar per collaborare allo sviluppo del 5G. Inoltre, la Huawei Asean Academy contribuirà a fornire a 30.000 lavoratori thailandesi percorsi di formazione mirati allo sviluppo delle competenze digitali funzionali a sostenere il progetto infrastrutturale dell’Eastern Economic Corridor. Huawei Technologies figura anche tra i partner impegnati nella progettazione di un 5G Cybersecurity Test Lab in Malesia, nonché nello sviluppo di Forest City, la prima smart city costruita su quattro isole artificiali all’interno della zona economica speciale Malesia Iskandar, collocata lungo una delle rotte delle Belt and Road Initiative.

Lo stesso governo malese ha deciso però di diversificare per quanto riguarda la rete 5G nazionale. Il primo luglio è stata ufficializzata la scelta della svedese Ericsson (tra gli otto fornitori, tra cui la cinese Huawei, che avevano partecipato alla gara d’appalto) come destinataria del contratto da 2,6 miliardi di dollari pensato per garantire una connessione di quinta generazione all’80% della popolazione entro il 2024. Il panorama delle licenze 5G nei diversi paesi resta infatti piuttosto variegato. A Singapore la costruzione della rete 5G è stata affidata ad una composita partnership tra Singtel, la joint venture Starhub-M1 ed Ericsson e Nokia. Anche in questo caso, più che al desiderio di sposare la campagna anti-cinese promossa da Washington, la decisione sembra essere dettata da considerazioni pratiche, quali la compatibilità tra gli hardware 4G utilizzati in precedenza e quelli di nuova generazione. Particolare il caso delle Filippine: il principale fornitore di servizi di telecomunicazioni (DITO) è in realtà un consorzio che include Udenna Corporation a fianco di China Telecom e, ciononostante, usufruisce di alcune soluzioni di Nokia NetAct fornite dall’azienda finlandese per la gestione delle operazioni di rete quotidiane, incluse il monitoraggio e la gestione dei software.Se da un lato la scelta dei governi è limitata dall’assenza di alternative competitive all’offerta cinese e dalla necessità di mantenere contemporaneamente buone relazioni con entrambe le superpotenze tecnologiche, dall’altro i Paesi ASEAN si dimostrano degli attori chiave nella ricerca di un equilibrio tra l’influenza statunitense e quella cinese. In un contesto in cui le ambizioni tecnologiche si realizzano attraverso cooperazioni pragmatiche che superano gli schieramenti geopolitici, si prova a tenere a freno la logica di escalation commerciale portata avanti da Pechino e Washington.

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