L’importanza del Mekong per l’ASEAN

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Il Mekong è uno dei fiumi più importanti del Sud-Est asiatico e tra tutti quello con la valenza più rilevante da un punto di vista ambientale, economico e geopolitico. Il Mekong rappresenta non solo un vasto ecosistema con una ricchissima biodiversità la cui tutela è dirimente per la lotta al cambiamento climatico, ma in quanto corso d’acqua principale, ha anche un valore economico, poiché fornisce ingenti quantità di pescato e contribuisce all’irrigazione di ampie risaie, permettendo il sostentamento di ben oltre 60 milioni di persone che vivono per l’appunto grazie al fiume.

Il fiume nasce in Cina (dove è chiamato Lacang), per un lungo tratto la attraversa prima di segnare il confine con il Myanmar ed entrare nel Laos, da qui è condiviso con la Thailandia e dopo aver percorso la Cambogia finisce il suo itinerario in un ampio delta vicino a Ho Chi Minh City in Vietnam. Quindi il fiume interessa, oltre la Cina, cinque paesi dell’ASEAN: Myanmar, Laos, Thailandia, Cambogia e Vietnam. Proprio la caratteristica di essere un fiume che attraversa più stati lo mette al centro di vari interessi geopolitici. A tal proposito, va ricordato che da diversi anni, la Cina sta portando avanti nel Sud-Est asiatico una politica volta a legare più strettamente a sé i Paesi continentali dell’area, basata sulla costruzione di infrastrutture in cambio di appoggio politico a livello internazionale. Tale politica, con la sola eccezione del Vietnam, sta avendo successo in Myanmar, Laos, Thailandia e Cambogia. Quest’ultima, ha talmente favorito gli investimenti cinesi, che è stata più volte accusata di essersi trasformata in uno “stato-cliente” di Pechino, tanto è vero che in occasione della sua presidenza dell’ASEAN nel 2012, sostenne le posizioni cinesi nel mar Cinese meridionale a scapito di quelle degli altri Paesi ASEAN.

Il Mekong è al centro di questa strategia di penetrazione cinese e tra le infrastrutture più importanti in fase progettuale o di costruzione vi sono diverse dighe. In questo caso si può dire che l’elemento geopolitico, economico ed ambientale si fondono indissolubilmente: nel momento in cui la Cina ha deciso la costruzione di ben 11 dighe nel suo tratto di fiume, ha allarmato i Paesi a valle poiché, controllandone le sorgenti e quindi indirettamente il flusso d’acqua, può tenerli in scacco, con potenziali limitazioni nell’afflusso di acqua nel caso di tensioni diplomatiche. Inoltre, la Cina ha anche ha favorito la progettazione di altre dighe in territorio laotiano e cambogiano, elemento che qualcuno considera una strategia di scambio di infrastrutture per appoggio politico. Proprio le dighe sono al centro del dibattito ambientale poiché potrebbero essere la causa del continuo abbassamento del livello del fiume e delle conseguenti siccità (di cui la peggiore è avvenuta nel 2019), che in ultima analisi potrebbero minare la produttività delle grandi risaie e quindi portare all’impoverimento delle comunità che vivono grazie al fiume.

Il Vietnam, durante il suo turno di presidenza dell’ASEAN nel 2020, ha provato a sollevare la questione della gestione del fiume e a fare in modo che entrasse in pieno nell’agenda a livello ASEAN. Anche Malesia, Singapore, Filippine e Brunei sono interessati ai destini del fiume, perché sono grandi importatori di riso prodotto proprio dai Paesi del Mekong. Attualmente, esistono già due strutture che cercano con obiettivi diversi di favorire una gestione regionale del Mekong: la Lancang-Mekong Cooperation a guida cinese, nata nel 2016, che ha come fine quello di facilitare il flusso di acqua dalla Cina con la costruzione delle dighe e la Mekong-US Partnership, supportata dagli USA, nata nel 2020, che invece vuole favorire uno sviluppo sostenibile della regione. Da queste due strutture si evince chiaramente come siano in gioco interessi geopolitici più ampi che sovrastano gli stessi stati ASEAN.

Il Mekong, come sottolineato, ha una sua multiforme importanza per il Sud-Est asiatico e se l’ASEAN si assumerà il compito di gestire le problematiche connesse al fiume, contribuirà al contempo sia a rafforzare la propria integrazione regionale, sia a limitare l’influenza cinese nell’area. Non solo: contribuirà anche alla salvaguardia ambientale di una vasta area e in ultimo alla lotta ai cambiamenti climatici. Il rischio maggiore per il momento è che il fiume si trasformi in un secondo punto caldo per le relazioni tra ASEAN e Cina (e anche USA) dopo il mar Cinese meridionale.

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