Cambogia e Myanmar nuovi hub manifatturieri nel Sud-Est asiatico

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Alcune pressioni esogene su Pechino hanno favorito la delocalizzazione degli impianti produttivi del manifatturiero dalla Cina al Sud-Est asiatico. I primi beneficiari di questa transizione oltre al Vietnam sono Cambogia e Myanmar

Le catene globali del valore nel settore manifatturiero spostano il loro baricentro produttivo dalla Cina al Sud-Est asiatico. Si tratta di uno di quei fenomeni che il diffondersi della pandemia ha accelerato, innescato dall’aumento del costo della manodopera cinese e poi confermato da fattori esogeni come la guerra commerciale tra Washington e Pechino degli ultimi anni. L’esodo del settore manifatturiero sembra premiare così alcuni paesi del vicinato meridionale: anche se il Vietnam è sempre stato una destinazione popolare per gli ordini di esportazione dalla Cina, ora sono Cambogia e Myanmar i contendenti del ruolo di hub manifatturiero in Asia orientale. 

La dinamica di delocalizzazione intraregionale era stata inaugurata dall’aumento del costo del lavoro in Cina, che aveva spinto diverse aziende dei settori manifatturiero e tessile a esplorare altri mercati della regione. Date le restrizioni causate dalla pandemia da Covid-19, ad esempio, Apple, Samsung e Xiaomi hanno recentemente spostato le loro linee di assemblaggio in Vietnam, mentre Pechino era alle prese con le nuove varianti del virus. Hanoi ha offerto a quelle multinazionali che un tempo avevano costruito gli stabilimenti produttivi in Cina nell’ottica minimizzare i costi e massimizzare i profitti un accesso agevolato al promettente mercato del Sud-Est asiatico, che ha ereditato dal vicino settentrionale il ruolo di nuova frontiera della globalizzazione. 

Ma oltre al Vietnam, da tempo considerato la locomotiva del Sud-Est asiatico, altri paesi del blocco ASEAN si contendono la funzione di hub produttivi regionali. Secondo Wang Huanan, un esperto del settore manifatturiero, “il Vietnam è stata una destinazione molto popolare (…) ma Myanmar e Cambogia stanno recuperando terreno negli ultimi anni”. Naypyidaw e Pnom Penh hanno infatti implementato oculate strategie di politica economica per attirare quanti più investimenti diretti esteri possibile, e incentivare così la propria crescita interna. Tra esenzioni fiscali e incentivi politici, si sono resi appetibili agli occhi delle multinazionali con sede in Asia orientale, alla ricerca di nuove opportunità di profitto nei mercati emergenti del Sud-Est. 

In Cambogia, il volume totale degli scambi commerciali ha raggiunto i 22,47 miliardi di dollari nei primi cinque mesi del 2022, con un aumento del 19,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Le esportazioni totali hanno visto un aumento del 34,5% su base annua, mentre i beni più esportati sono stati gli indumenti, gli articoli in pelle e le calzature. D’altra parte, il Myanmar è una destinazione molto popolare per le fabbriche di abbigliamento cinesi. Il numero di queste aziende, secondo gli esperti, è passato da meno di 100 nel 2012 a più di 500 nel 2019. Tra il 2012 e il 2019, la crescita media annua delle esportazioni di abbigliamento del Myanmar ha superato il 18% e in alcuni anni ha superato il 50%. Lo sviluppo del settore è stato rallentato solo dalla pandemia nel 2020 e dal golpe militare dello scorso anno. 

Mentre l’economia cinese si riprende dalle restrizioni della severa politica “Zero Covid”, le multinazionali che avevano beneficiato del basso costo della manodopera cinese guardano ora al vicinato meridionale alla ricerca di nuove opportunità di profitto. Tra i mercati emergenti del blocco ASEAN, il Vietnam guida la crescita regionale. Ma occorre tenere d’occhio l’incipiente sviluppo di Cambogia e Myanmar, tra i maggiori beneficiari dell’esodo manifatturiero cinese.

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