ASEAN-USA: si avvicina la fine della tregua commerciale

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I dazi trumpiani hanno preso di mira anche il Sud-Est asiatico, spingendo i Paesi della regione a correre ai ripari cercando accordi con Washington

Di Anna Affranio

Con la scadenza della tregua commerciale fissata simbolicamente per l’8 luglio, Stati Uniti e ASEAN si trovano in un momento cruciale. L’annuncio dello scorso 2 aprile, definito “Liberation Day” dalla retorica dell’amministrazione Trump, ha riacceso nuove tensioni: Washington ha infatti comunicato l’intenzione di introdurre dazi su un’ampia gamma di prodotti provenienti dai Paesi, tra gli altri, del Sud-est asiatico. 

Nel dettaglio, i dazi riguarderebbero la Cambogia, Paese più colpito (con dazi fino al 49%), il Laos (48%), il Vietnam (46%), il Myanmar (44%), la Thailandia (36%) e l’Indonesia (32%). Malaysia, Brunei, Filippine e Singapore sarebbero invece soggetti a tariffe più contenute, tra il 10% e il 24% (secondo una fonte ufficiale). Le misure, per lo meno secondo Washington, servono a correggere squilibri commerciali e proteggere l’industria nazionale, in particolare nei settori dell’elettronica, dell’agroalimentare e dell’automotive.

Per molti Paesi ASEAN però, dazi di tale entità rappresentano un rischio concreto per il loro modello economico, largamente basato sulle esportazioni. Per molti di questi Paesi infatti, gli Stati Uniti sono il principale mercato di esportazione. Inoltre, negli ultimi anni, a causa delle tensioni commerciali tra Pechino e Washington, la regione ha attratto massicci investimenti da parte di multinazionali interessate a ridurre la propria dipendenza dalla Cina, posizione strategica che ora è minacciata dalla recente introduzione dei dazi. 

Per cercare di ridurre i danni in vista della scadenza, sono in corso negoziati sia multilaterali sia bilaterali. Si è lavorato a un vertice multilaterale tra gli Stati Uniti e l’intero blocco ASEAN, con Singapore, Indonesia e Vietnam che stanno spingendo per una proroga della tregua tariffaria, almeno nei settori tecnologici più sensibili. Parallelamente, la Malaysia, che detiene la presidenza di turno dell’ASEAN, ha proposto un summit straordinario con Donald Trump, con l’obiettivo di trovare un’intesa politica di alto livello.

Sul fronte bilaterale, invece, Stati Uniti e singoli Paesi come Cambogia, Vietnam e Thailandia stanno conducendo negoziati separati per gestire i dazi in modo più mirato e flessibile.  Per quanto riguarda il Vietnam, si sono svolti già molteplici round negoziali che hanno toccato i temi delle esportazioni tessili e dell’elettronica. Hanoi ha promesso maggiori controlli contro il transshipment illegale di merci cinesi e ha mostrato apertura verso l’aumento delle importazioni di prodotti statunitensi. Il leader del Partito comunista vietnamita To Lam è stato tra i primi leader stranieri a parlare con la Casa Bianca dopo il “LIberation Day” ed è coinvolto direttamente nei negoziati. Anche la Thailandia si è attivata. Il governo è stato tra i primi a mettere in campo un team tecnico per trattare la riduzione dei dazi, attualmente fissati al 36%. Bangkok ha presentato una proposta che include l’ampliamento dell’accesso al mercato per i prodotti americani ma anche investimenti thailandesi negli USA, offrendo dunque la possibilità di creare a loro volta opportunità lavorative per gli statunitensi. Secondo visione ottimistica del Ministro del Commercio thailandese, i negoziati potrebbero riuscire a ridurre l’importo della tariffa fino al 10%. Tuttavia, al momento non sono stati firmati accordi ufficiali. Molto simile la reazione della Cambogia, la principale vittima dei dazi nella regione, con esportazioni verso gli Stati Uniti che rappresentano circa il 38% dell’export totale, principalmente costituito da abbigliamento e calzature. Il Governo punterà probabilmente a un alleggerimento graduale, ma temendo gravi conseguenze economiche e sociali ha già avviato due round di colloqui virtuali con Washington e mira a negoziati diretti a breve. In cambio, Phnom Penh come segnale di buona volontà ha tagliato a sua volta le tariffe d’importazione su 19 categorie di prodotti statunitensi, riducendole dal massimo 35 % fino al 5 % circa e rafforzato i controlli interni per evitare potenziali pratiche di esportazioni fraudolente.

Nel frattempo, la Cina osserva e si muove. Pechino ha recentemente aggiornato il suo accordo di libero scambio con l’intero blocco ASEAN, e continua a rafforzare la cooperazione con la regione su infrastrutture, logistica ed energia. L’obiettivo è chiaro: proporsi come partner stabile e prevedibile, in contrasto con l’approccio americano più umorale e aggressivo sul piano commerciale.

Tre gli scenari più probabili: una proroga tecnica della tregua per alcuni mesi, un ritorno immediato alle tariffe, oppure una soluzione intermedia con esenzioni settoriali e monitoraggio trimestrale. In ogni caso, il rischio è che l’ASEAN esca da questa fase più frammentato, per la possibilità che ogni singolo Paese intavoli negoziati separati e autonomi con gli USA. con ricadute, in quest’ultimo scenario, assai ampie per ciò che riguarda catene di fornitura, investimenti esteri ma anche sullo stesso posizionamento geopolitico della regione.

Le scelte che verranno prese nelle prossime settimane avranno effetti nel lungo termine non solo per l’economia dell’ASEAN, ma per l’intera architettura commerciale della regione dell’ Asia-Pacifico.

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