Malaysia

Come sarà la presidenza ASEAN della Malesia

Di fronte alle difficoltà interne, il primo ministro malese Anwar Ibrahim guarda all’esterno per rafforzare la propria legittimità. Sotto la sua guida, Kuala Lumpur è diventata un alfiere dirompente della causa del “Sud Globale”. La sfida della presidenza ASEAN potrebbe richiedere un approccio diverso

Articolo di Pierfrancesco Mattiolo 

Lo scorso 11 ottobre, il primo ministro malese Anwar Ibrahim ha ricevuto dal suo omologo del Laos, Sonexay Siphandone, il martelletto simbolo della presidenza di turno dell’ASEAN. La presidenza ASEAN è annuale e ruota per ordine alfabetico tra i suoi membri. Lo Stato presidente ha poteri tutto sommato limitati, dato che l’Organizzazione prende decisioni per consenso, ma può influenzare i rapporti diplomatici tra i membri e l’esterno. Kuala Lumpur sembra intenzionata a interpretare questo ruolo con decisione, in linea con il protagonismo di Anwar in politica estera. Tale protagonismo può essere spiegato dalla fame di successi di fronte alle difficoltà a livello interno. Eletto nel 2022 come candidato del Pakatan Harapan (“Alleanza della Speranza”), la coalizione progressista, Anwar è ora accusato dai riformisti malesi di non aver realizzato le sue promesse e non fare abbastanza per risollevare l’economia e combattere la corruzione. La politica malese non è facile da navigare, ma non è detto che quella internazionale sia più agibile per Anwar. Quali sono le ambizioni del leader per il suo Paese e per l’ASEAN?

Lo scorso luglio, Anwar ha annunciato che la Malesia aveva presentato la sua candidatura ad entrare nel gruppo BRICS alla Russia, nella sua veste di presidente del raggruppamento. L’interesse ad approfondire il legame con questi Paesi è in linea con le sue posizioni sulla contrapposizione tra “Nord e Sud globali”. Anwar è noto anche per il suo sostegno alla causa palestinese, il quale può essere spiegato sia per la comune fede islamica, sia per la sua visione del mondo  – diviso appunto tra Nord e Sud. Per l’attuale governo malese, i Paesi del Sud globale devono cooperare per difendere un ordine internazionale “basato sulle regole” e confutare la “doppia morale occidentale”. La politica si intreccia, come al solito, con l’economia. I BRICS offrono ottime opportunità per le aziende malesi, alla ricerca di nuovi mercati per le loro esportazioni di olio di palma, gomma ed elettronica. Questo ultimo settore si sta espandendo vivacemente, soprattutto nella regione del Penang, rendendo la Malesia un potenziale partner strategico per chi ne voglia essere alleato, anche se i produttori locali potrebbero dover fare i conti con le richieste degli Stati Uniti, poco propensi a lasciar arrivare i preziosi semiconduttori ai loro avversari. Se la maggior parte dei Paesi ASEAN cerca di mantenere un’equa distanza tra Washington e Pechino, con l’obiettivo di ottenere i vantaggi offerti da entrambi, Anwar si è concentrato ultimamente soprattutto sui rapporti con quest’ultima e la Russia

Questa tendenza potrebbe creare delle difficoltà per Kuala Lumpur durante la presidenza ASEAN, dato che uno dei dossier più delicati è quello della disputa tra alcuni membri, Malesia inclusa, e Pechino sul Mar Cinese Meridionale. In particolare, Vietnam e Filippine difendono con vigore le proprie rivendicazioni sulle acque contese. I malesi dovranno trovare una mediazione tra queste richieste, la propria linea più conciliante e l’assertività cinese, nella speranza di concludere i negoziati sul Codice di Condotta nel Mar Cinese Meridionale entro la fine del 2025. Un altro dossier caldo della presidenza di turno sarà, ancora una volta, Myanmar. Anwar ha indicato che adotterà una linea più dura nei confronti del regime del Tatmadaw, in discontinuità con la presidenza uscente del Laos. La Malesia è stata una delle voci più critiche rispetto all’inefficace risposta dell’Organizzazione di fronte al genocidio condotto contro i Rohingya, una minoranza di fede islamica, dal 2017 e potrebbe continuare su questa linea, sollecitando un intervento più deciso nella crisi che ha seguito l’ultimo colpo di stato.

L’agenda della presidenza malese include anche obiettivi economici, come la piena implementazione del Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), un accordo commerciale che coinvolge 15 Paesi nell’Asia-Pacifico, per un PIL combinato di quasi 30 trilioni di dollari. A inizio Ottobre, Anwar ha indicato tre priorità economiche per l’ASEAN: rafforzare le catene di approvvigionamento, consolidare i settori fondamentali per l’economia di ciascuno Stato e rimodellare l’economia regionale sfruttando le sinergie tra Paesi. L’obiettivo di lungo periodo di questa strategia sembra essere la riduzione delle disuguaglianze in termini di sviluppo tra i membri ASEAN, alla base della scarsa coesione e resilienza economica del blocco. 

Non sarà facile tenere insieme l’Organizzazione, date le divergenze politiche, oltre che economiche. Un recente studio dell’ISEAS-Yusof Ishak Institute di Singapore ha rilevato che l’ASEAN è spaccata sulla questione “Stati Uniti o Cina” quale partner strategico fondamentale. Gli intervistati in Vietnam, Filippine e Singapore preferiscono Washington, mentre il campione in Malesia, Indonesia, Brunei, Cambogia, Myanmar e Laos preferisce Pechino. La Malesia dovrà muoversi con cautela tra le due potenze e i loro alleati nell’Organizzazione per non approfondirne le divisioni. Il 2025 ci rivelerà se Kuala Lumpur alzerà il volume della sua campagna come voce emergente, e dirompente, del Sud Globale o se preferirà un approccio più moderato, nella speranza di coinvolgere gli altri membri dell’ASEAN.

Thailandia e Malesia in prima fila per i BRICS

Bangkok e Kuala Lumpur sono i primi due governi del Sud-Est asiatico ad aver manifestato interesse ad aderire al gruppo

Di Silvia Zaccaria

Con l’acronimo BRICS si intende il raggruppamento che comprende le economie emergenti Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Nel 2024 si sono uniti Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Solo i cinque Paesi membri originari costituiscono circa il 26% della superficie terrestre, il 30% dell’economia globale e il 43% della popolazione globale, dato in continua crescita. Così come i BRICS hanno tra i loro propositi l’obiettivo di riunire le economie del Sud Globale, anche l’ASEAN contribuisce allo sviluppo economico, sociale e culturale dei Paesi del Sud-Est asiatico, assicurandone la stabilità, favorendone la promozione economica, la riduzione della povertà e incoraggiando gli scambi tra Paesi con livelli economici e di sviluppo profondamente diversi. In virtù della sempre maggiore importanza economica e politica che i BRICS stanno conquistando, molti membri ASEAN, hanno espresso interesse più o meno concreto su una loro possibile entrata nel raggruppamento, già dal summit 2023 di Johannesburg. Il 28 maggio scorso, la Thailandia ha approvato la lettera che manifesta ufficialmente l’intenzione di aderire ai BRICS. Pronta a seguire la Malesia, il cui Primo Ministro Anwar Ibrahim ha espresso un forte interesse sul possibile ingresso. Anche l’Indonesia, che ha partecipato come ospite al Summit dei BRICS del 2023, tramite la Ministra degli Esteri Retno Marsudi ha affermato di essere in fase di valutazione dei possibili benefici derivanti dall’entrata nel gruppo. Da ultimo, anche il Vietnam ha asserito che prendendo in seria considerazione l’entrata nei BRICS. Paesi come la Thailandia e la Malesia puntano all’entrata nei BRICS per importanti obiettivi di crescita economica e sociale di interesse nazionale. Il governo di Bangkok ritiene che “l’adesione ai BRICS gioverebbe alla Thailandia sotto molti punti di vista, ad esempio accrescendo il suo ruolo sulla scena internazionale e aumentando le sue prospettive di essere uno dei responsabili della politica economica internazionale”.

Tokyo e Kuala Lumpur unite sul clima

Pubblichiamo qui uno stralcio di un testo apparso su Nikkei e firmato dalla governatrice di Tokyo, Yuriko Koike, e il sindaco di Kuala Lumpur, Kamarulzaman Mat Salleh

Nell’ambito della strategia Kuala Lumpur Low Carbon Society Blueprint of 2030, il governo della capitale della Malesia punta a ridurre le emissioni di carbonio del 70% per aumentare la resilienza contro le crisi climatiche e costruire un futuro sicuro per i residenti. Riconoscendo la portata di questo problema, Kuala Lumpur si è rivolta a Tokyo, una città rinomata per i suoi sforzi pionieristici nelle iniziative edilizie a emissioni zero e uno dei centri urbani più importanti del mondo. Mentre la metropoli malese si sforza di raggiungere i suoi ambiziosi obiettivi, l’assistenza collaborativa è indispensabile per superare gli ostacoli che si presentano. Perché Tokyo, che ha l’obiettivo di dimezzare le emissioni di carbonio entro il 2030, è disposta a dare una mano a Kuala Lumpur?

La risposta sta in una visione condivisa della sostenibilità globale. Il governo metropolitano di Tokyo è consapevole che per affrontare la crisi climatica è necessaria un’azione collettiva che superi confini e frontiere. La condivisione della nostra esperienza può fornire una scorciatoia per costruire una società sostenibile e decarbonizzata.

Consapevole delle esigenze di Kuala Lumpur, Tokyo ha sostenuto gli sforzi della città malese utilizzando la propria esperienza nella progettazione di programmi per l’efficienza energetica e la riduzione delle emissioni di carbonio negli edifici. Tra questi, il primo programma al mondo di riduzione obbligatoria del biossido di carbonio (CO2) per gli edifici esistenti, il Tokyo Cap-and-Trade Program.

Il supporto fornito finora da Tokyo comprende la proposta di un database energetico per le strutture di proprietà della città, la stima del potenziale di riduzione delle emissioni di CO2 e la creazione di scenari per la riduzione delle emissioni di CO2. Abbiamo concordato che le nostre città amplieranno la nostra collaborazione in settori quali lo sviluppo delle infrastrutture urbane e le iniziative ambientali. Di conseguenza, Tokyo sta estendendo il supporto per diffondere informazioni sulle misure e le iniziative di decarbonizzazione, tra cui un programma di installazione obbligatoria di pannelli solari che sarà attuato il prossimo aprile. Attraverso workshop, scambi e progetti di collaborazione, le nostre due città possono promuovere ambienti di apprendimento inclusivi e rispettosi delle diverse prospettive. Questa condivisione di conoscenze può arricchire la cooperazione e fornire le basi per una partnership duratura volta a promuovere un’azione inclusiva per il clima.

La strategia della Malesia nel mercato dei chip

Kuala Lumpur ha presentato una nuova strategia nazionale per i semiconduttori con la quale intende acquisire un ruolo più strategico all’interno della catena di approvvigionamento globale

Di Alessia Caruso

Negli ultimi anni, il mercato dei semiconduttori è stato sottoposto a pressioni significative, che hanno spinto le aziende leader del settore a decentralizzare e diversificare le loro operazioni. Questo contesto ha stimolato un crescente interesse tra le nazioni del Sud-Est asiatico, che vedono nel decoupling un’opportunità per assumere un ruolo di primo piano in una delle catene produttive più strategiche e tecnologicamente avanzate del mondo.

Tra queste nazioni, la Malesia si distingue per la sua lunga esperienza nel settore. Già negli anni ’70, era sede di 14 aziende di semiconduttori, attirando investimenti da leader del settore come Intel e Infineon. Recentemente, il Paese ha deciso di rafforzare il suo ruolo competitivo. Il 28 maggio 2024, il Primo Ministro malese Anwar ha annunciato la Strategia Nazionale per i Semiconduttori (NSS), mirata ad espandere e riposizionare la Malesia nella catena produttiva globale dei microchip.

Il piano prevede di attrarre 107 miliardi di dollari in investimenti per l’industria nazionale dei semiconduttori, offrendo 5 miliardi di dollari in incentivi fiscali per gli investimenti esteri, creando 20 aziende locali per il design e il packaging avanzato di chip, e avviando un programma di formazione per 60.000 ingegneri malesi. Questa strategia intende rafforzare in modo strutturato e consistente il ruolo della Malesia nella catena di approvvigionamento globale, con una prospettiva di crescita annuale dell’11,41% entro il 2029.

Due elementi della strategia sono particolarmente degni di attenzione. Il primo riguarda il tentativo di riposizionamento lungo la catena di approvvigionamento. Attualmente, la Malesia rappresenta il 13% del mercato globale di test e packaging dei semiconduttori, fasi produttive che richiedono tecnologie non particolarmente avanzate e facilmente trasferibili. L’obiettivo del Primo Ministro malese è spostarsi verso fasi produttive più tecnologiche, occupando un ruolo più strategico. Il secondo elemento da attenzionare è il tentativo di posizionarsi come hub neutrale. In occasione del lancio della NSS, Anwar ha affermato che intende “offrire la nazione come il posto più neutrale e non allineato per la produzione di semiconduttori, contribuendo alla costruzione di una catena di approvvigionamento più sicura e resiliente”.

Quest’ultima considerazione è particolarmente rilevante se inserita nel contesto geopolitico attuale. Tre dinamiche principali hanno caratterizzato questo settore negli ultimi anni: le crescenti tensioni fra Stati Uniti e Cina, le tensioni fra Cina e Taiwan, e gli impatti della pandemia di COVID-19. La competizione tecnologica tra Stati Uniti e Cina ha portato a restrizioni commerciali e politiche protezionistiche. In seguito alle sanzioni imposte dagli Stati Uniti su alcune aziende cinesi, le imprese statunitensi sono state spinte a cercare alternative per le loro catene di approvvigionamento, aumentando così l’interesse verso i produttori di semiconduttori in altre regioni, inclusa la Malesia. In secondo luogo, le crescenti tensioni tra Cina e Taiwan hanno spinto le aziende globali a diversificare le loro fonti di semiconduttori. Taiwan è infatti un attore chiave nel mercato globale dei semiconduttori, con aziende come TSMC che dominano la produzione di chip avanzati. Infine, la pandemia ha evidenziato le vulnerabilità nelle catene di approvvigionamento globali, causando interruzioni significative nella produzione e nella distribuzione di chip. In risposta, molte aziende hanno cercato di ridurre la dipendenza da singoli punti di produzione, spostando parte della loro produzione in regioni con infrastrutture adeguate e politiche di supporto.

La strategia malese si inserisce in questo contesto. L’obiettivo è quello di cogliere le opportunità di attrarre capitali di aziende alla ricerca di un hub tecnologico stabile, lontano dalle tensioni regionali.

Tuttavia, le sfide che si pongono di fronte alla Strategia Nazionale per i Semiconduttori sono diverse. Molti paesi del Sud-Est asiatico hanno infatti riconosciuto le opportunità offerte dal mercato dei semiconduttori. Paesi come Vietnam, Cambogia e Thailandia stanno investendo in questo settore. Tuttavia, la Malesia ha una lunga storia nell’industria, che le dà un vantaggio competitivo significativo. Inoltre, nonostante rappresenti uno dei maggiori esportatori di chip verso gli Stati Uniti, nel 2023 il volume di export è diminuito del 20%. Contrariamente, essa rappresenta l’esportatore di chip più in rapida espansione in Cina, nonché il primo Paese ASEAN. Il rischio è che la Malesia possa rimanere intrappolata nelle dinamiche competitive dell’area, diventando un punto di riferimento solo per uno dei due contendenti. La Malesia ha anche una significativa carenza di capitale umano qualificato, che rappresenta una sfida significativa, soprattutto considerando che il mercato dei semiconduttori è caratterizzato da competenze altamente settoriali e a rapida obsolescenza. La NSS intende proprio affrontare questo problema.

In definitiva, il mercato dei semiconduttori malese oggi si trova di fronte a grandi opportunità che lo Stato intende sfruttare. Se riuscirà a gestire la competizione regionale e posizionarsi come un hub centrale e neutrale, la sua esperienza nell’industria, unita alla sensibilità del governo nel rafforzare le debolezze strutturali, potrà rendere la Malesia un grande hub mondiale per il mercato dei semiconduttori.

Cogliere le opportunità del mercato Halal

Le imprese italiane possono beneficiare dell’esperienza malese.

Editoriale a cura di Consulate of Malaysia / Malaysia External Trade Development Corporation (MATRADE)

Visto attraverso una lente commerciale, l’attuale mercato Halal offre una miriade di opportunità interessanti con un notevole valore economico su scala globale. Come evidenziato nel rapporto di analisi intitolato “Global Halal Economy Growth Opportunities” della società di ricerca e consulenza Frost & Sullivan, si prevede che il mercato dell’economia halal globale subirà una crescita significativa, con l’aspettativa di raggiungere i 4,96 trilioni di dollari entro il 2030, rispetto ai 2,30 trilioni di dollari del 2020. Mentre i mercati halal tradizionali, principalmente nei Paesi a maggioranza musulmana, si stanno avvicinando alla saturazione, nuovi mercati stanno sorgendo in tutto il mondo, offrendo prospettive commerciali lucrative per il settore, anche in regioni come l’Europa.

Ravidran Manogaran, Console e Commissario per il Commercio della Malesia a Milano, ha sottolineato le opportunità commerciali inesplorate nel settore Halal italiano, ben posizionato per servire la crescente comunità musulmana e l’afflusso di turisti musulmani. Ha espresso la speranza che si percepisca l’halal non solo per i suoi valori etici islamici, ma anche come una proposta di valore globale. Ha sottolineato che l’economia halal significa garanzia di qualità ed è in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Inoltre, Ravidran ha sottolineato che quando si guarda all’halal in modo olistico, esso include aspetti come l’igiene, la pulizia, la sicurezza sanitaria e l’inclusività, tutti elementi che esercitano un fascino su diverse comunità.

Nell’ambito della strategia nazionale volta a fare della Malesia il principale hub Halal a livello mondiale, la Malaysia External Trade Development Corporation (MATRADE) è impegnata a promuovere l’internazionalizzazione dei prodotti e dei servizi Halal attraverso il Malaysia International Halal Showcase (MIHAS), uno stimato evento annuale riconosciuto a livello mondiale come la più grande esposizione Halal. Ravidran rivolge un invito alle aziende italiane interessate a partecipare alla MIHAS di quest’anno, in programma al Malaysia International Trade and Exhibition Centre (MITEC) di Kuala Lumpur dal 17 al 20 settembre 2024. La partecipazione al MIHAS rappresenterà una preziosa opportunità per le imprese italiane di entrare in contatto con i consumatori musulmani in Italia e nelle regioni circostanti. Attraverso la collaborazione con i produttori certificati Halal della Malesia, le aziende italiane possono esplorare le possibilità di branding di marchi privati e addentrarsi in diversi settori Halal in espansione oltre a quello alimentare, come quello farmaceutico, della finanza islamica, della moda modesta e del turismo musulmano.

Gli importatori italiani che cercano prodotti/servizi Halal dalla Malesia sono incoraggiati a partecipare a sessioni di incontro commerciale B2B attraverso l’International Sourcing Programme (INSP) insieme al MIHAS, disponibile in formato virtuale, fisico e ibrido. Nel frattempo, le aziende italiane interessate a esportare in Malesia sono invitate a esporre i loro prodotti e servizi Halal al MIHAS.

Gli interessati possono contattare il Consolato della Malesia / MATRADE a Milano per maggiori informazioni al numero di telefono +39 02 669 81839 o all’indirizzo e-mail milan@matrade.gov.my. 

* Nota: MATRADE è l’agenzia nazionale per la promozione del commercio sotto il Ministero degli  Investimenti, Commercio e Industria (MITI) della Malesia, responsabile della promozione delle esportazioni e del posizionamento delle aziende malesi sul mercato.

Mr. Ravidran Manogaran
Consul & Trade Commissioner
Consulate of Malaysia,
Malaysia External Trade Development Corporation (MATRADE),
Via Alberico Albricci 9
Milan, Lombardy 20122
Italy.
Tel : +39-02-669 81839 
Fax : +39-02-670 2872 
Email: milan@matrade.gov.my
Countries of Coverage: Albania, Corsica, Croatia, Cyprus, Greece, Italy, Kosovo, Malta, Montenegro, Serbia, Slovenia

Photos of MIHAS

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International Sourcing Programme (INSP) ) in-conjunction with MIHAS

(B2B Business Matching)

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Global Halal Summit (GHaS)

(Halal summit/conference)

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Knowledge Hub 

(Halal Seminar/Talks)

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Fashion Show

(focused on modest fashion)

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Event Venue: MITEC

Address: 8 Jalan Dutamas 2, 50480 Kuala Lumpur

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The Malaysia International Trade and Exhibition Centre (MITEC) is the country’s largest exhibition centre with 1 million square feet of gross exhibition space. The first component and flagship of KL Metropolis, a city within a city where trade, commerce, living and transport converge over 75.5 acres of prime land development, MITEC is poised to be the exhibition venue of choice in the Southeast Asia region. The 12,960 sqm of column free space on level 3 providing an unobstructed and expansive view, making it the largest pillar-less exhibition hall in Malaysia. The entire combined exhibition halls are able to accommodate up to 47,700 visitors in theatre style seating and 28,300 guests in the banquet arrangement at any one time. 

Il ruolo sempre più centrale della Malesia sui microchip

Kuala Lumpur sta attirando sempre più investitori stranieri nel suo settore dei semiconduttori, con l’obiettivo di avanzare nella catena del valore dei chip, in particolare quelli per i veicoli elettrici

Di Walter Minutella

La Malesia sta emergendo come un nodo cruciale nella catena di approvvigionamento dei microchip.  Questo ruolo di primo piano è sostenuto non solo dalla sua posizione strategica nel cuore dell’ASEAN e dalla stabilità politica ed economica relativa del paese, ma anche dalle infrastrutture sviluppate, dalla manodopera altamente qualificata e dalle politiche governative favorevoli agli investimenti stranieri. 

Inoltre, la crescita del mercato interno e la presenza di risorse naturali contribuiscono a rendere la Malesia un’opzione sempre più attraente per gli investitori specialmente statunitensi ed europee nel settore dei microchip, che cercano di diversificare la loro produzione in diverse aree. Questo fenomeno riflette il modo in cui la geopolitica sta plasmando la produzione tecnologica.

Secondo quanto riportato dal Financial Times, la Malesia è diventata un polo di attrazione per le principali aziende del settore, tra cui Intel, Micron e altri. Con un aumento significativo degli investimenti esteri diretti, il settore dei semiconduttori in Malesia sta vivendo un periodo di espansione senza precedenti. Solo nello Stato settentrionale di Penang, sono stati attivati investimenti esteri diretti per un valore di 12.8 miliardi di dollari l’anno scorso, superando quelli degli anni precedenti.

Il governo malese ha riconosciuto l’importanza strategica dell’industria dei semiconduttori e si impegna attivamente a svilupparla ulteriormente. Il Primo Ministro Anwar Ibrahim ha dichiarato che lo sviluppo dell’industria dei semiconduttori è un obiettivo cruciale per il paese.

Le aziende tecnologiche statunitensi stanno giocando un ruolo chiave in questo scenario di crescita. Intel, ad esempio, ha investito 7 miliardi di dollari per nuovi impianti in Malesia, incluso un impianto sperimentale dedicato al packaging in 3D. Micron, un altro gigante del settore, ha aperto un secondo stabilimento a Penang l’anno scorso, mentre Infineon ha annunciato un piano di espansione da 5.4 miliardi di dollari.

Questi investimenti non solo indicano il crescente ruolo della Malesia nel settore dei semiconduttori, ma hanno anche riflessi significativi sull’economia locale. Il prezzo dei terreni industriali è aumentato del 60% dal 2002, mentre il traffico stradale ha registrato ingorghi sempre più frequenti.

Tuttavia, la Malesia deve affrontare sfide cruciali per mantenere questa crescita sostenibile. Uno dei problemi principali è il deficit di manodopera specializzata, con il settore in espansione che richiede almeno 50.000 nuovi ingegneri all’anno, mentre le università del Paese producono solo 5.000 laureati nel settore.

La scelta di investire nei Paesi del Sud-Est asiatico come la Malesia è motivata anche dalla loro posizione strategica nel Mar Cinese Meridionale, che assume un ruolo cruciale nel settore dei chip. Questa posizione strategica consente alle aziende di avere un accesso privilegiato alle rotte commerciali chiave per il trasporto di componenti e prodotti finiti nel settore dei semiconduttori. Inoltre, essendo una delle vie navigabili più importanti al mondo, il Mar Cinese Meridionale facilita il trasporto efficiente di materiali e prodotti verso i mercati asiatici e globali, contribuendo così alla competitività delle aziende che operano in questo settore.

I vantaggi economici derivanti dall’investimento in queste regioni includono una forza lavoro altamente qualificata e relativamente a basso costo, infrastrutture moderne e una politica favorevole agli investimenti stranieri. La presenza di zone economiche speciali e incentivi fiscali aggiuntivi rende ancora più attraente l’investimento in queste aree, offrendo alle aziende un ambiente favorevole per espandere le proprie operazioni e massimizzare i rendimenti sugli investimenti.

Inoltre, l’interesse per la Malesia è aumentato dopo che la pandemia di Covid-19 ha evidenziato le fragilità delle catene di approvvigionamento globali. Le tensioni tra Stati Uniti e Cina hanno spinto entrambi i Paesi a cercare fonti di semiconduttori affidabili al di fuori della Cina continentale, accelerando ulteriormente l’interesse per la Malesia.

Con l’industria dei semiconduttori che continua a crescere in Malesia, il Paese si prepara ad affrontare sfide come l’espansione delle infrastrutture e la transizione verso energie pulite. Nonostante queste sfide, molti dirigenti aziendali sono fiduciosi nel ruolo della Malesia nella catena di approvvigionamento tecnologico globale, riconoscendo il suo potenziale nel diventare un punto di riferimento nell’industria elettronica a livello mondiale.

La Malesia sta attirando sempre più investitori stranieri nel suo settore dei semiconduttori, con l’obiettivo di avanzare nella catena del valore dei chip, in particolare per i chip utilizzati nei veicoli elettrici.

Attualmente, il Paese detiene una quota del 13% del mercato globale per i servizi di confezionamento, assemblaggio e test dei semiconduttori. Inoltre, la Malesia si colloca come il sesto esportatore mondiale di semiconduttori, confezionando il 23% di tutti i chip americani, il che contribuisce al 25% del PIL della nazione. Questo la rende un attore chiave nel mercato globale dei semiconduttori.

In passato, la Malesia è stata riconosciuta come la Silicon Valley dell’Est, essendo stata una pioniera nella produzione di chip negli anni ’70. Tuttavia, nel corso dei decenni successivi, ha perso progressivamente terreno a favore di Corea del Sud e Taiwan. Nonostante ciò, attualmente la Malesia sta cercando di riconquistare la leadership nel settore, spingendo per diversificare la sua produzione. Tra i possibili vantaggi per la Malesia c’è il fatto che le aziende cercano una collocazione meno esposta alle turbolenze globali e con scenari futuri più stabili rispetto a Taiwan, che attualmente domina il comparto fabbricazione e assemblaggio. 

Il Nuovo Piano Industriale della Malesia (NIMP) 2030 offre una roadmap per aumentare il valore aggiunto del settore manifatturiero, incoraggiando attività più sofisticate come la fabbricazione di apparecchiature per semiconduttori e la progettazione di circuiti integrati. Il Paese mira a sviluppare il settore dei semiconduttori, concentrandosi su attività ad alto valore aggiunto come la fabbricazione di wafer e la progettazione di circuiti integrati.

Negli ultimi anni, il Paese ha visto grandi investimenti da parte di aziende europee e statunitensi, come abbiamo visto nel caso di Intel e Texas Instruments. Tuttavia, ci sono sfide che gli investitori devono affrontare, tra cui la carenza di talenti qualificati nel settore dei semiconduttori e la forte dipendenza dalle aziende straniere per sostenere l’industria. Nonostante queste sfide, la Malesia rimane un’importante destinazione per i produttori di chip stranieri, attratti dalla sua posizione strategica nel Sud-est asiatico e dalle politiche governative di sostegno.

La diversificazione delle catene di approvvigionamento offre opportunità alla Malesia per espandere la sua presenza nell’industria elettronica globale, muovendosi verso una produzione più sofisticata e innovativa. Con investimenti mirati nella ricerca e nello sviluppo, oltre a programmi di formazione, la Malesia potrebbe rafforzare ulteriormente il suo ruolo nel settore dei semiconduttori, contribuendo alla crescita economica e all’innovazione.

La rinascita del cinema malese

I premi internazionali mettono in primo piano le lotte interne contro la censura e gli interventi necessari per lo sviluppo del settore cinematografico.

Negli ultimi anni i film malesi hanno finalmente guadagnato attenzione e riconoscimenti a livello internazionale. A maggio, “Tiger Stripes” (2023), un film horror di formazione diretto da Amanda Nell Eu, ha vinto il Gran Premio della Settimana della Critica al Festival di Cannes, diventando così il primo film del Sud-Est asiatico a vincere il prestigioso premio. Il 5 ottobre, il governo ha selezionato il film come candidato malese nella categoria dei migliori lungometraggi internazionali per i prossimi 96 esimi Academy Awards. Anche molti altri film realizzati in Malesia hanno ottenuto riconoscimenti globali, tra cui “Stone Turtle” (2023) di Woo Ming Jin, “Slit Eyes” (“Sepet”, 2004) di Yasmin Ahmad e “Brothers” (“Abang Adik” 2023 di Lay Jin Ong), che ha vinto il premio per il miglior film al Far East Film Festival di aprile.

Tra i protagonisti di questo rinnovato successo spicca sicuramente Michelle Yeoh, vincitrice dell’Oscar come migliore attrice per “Everything Everywhere All at Once” (2022) agli Academy Awards. Il re della Malesia, Al-Sultan Abdullah Ri’ayatuddin, e il primo ministro Anwar Ibrahim sono stati tra i primi a congratularsi con l’attrice malese. Gli appassionati di cinema, tuttavia, sostengono che la politica del governo malese non ha contribuito in alcun modo al suo successo all’estero. Quello di Yeoh è uno dei tanti casi di attrici e attori asiatici che si sono avventurati fuori dal Paese per avere migliori opportunità: la veterana attrice sudcoreana Youn Yuh-jung, che ha vinto l’Oscar come ‘Migliore Attrice non protagonista’ per il suo ruolo in “Minari” (2020); Henry Golding e Ronny Chieng, di origine malese, hanno entrambi recitato in “Crazy Rich Asians” (2018); e Yeo Yann Yann, anche lui di origine malese, protagonista della serie Disney+ “American Born Chinese”. Anche la sceneggiatrice malese Adele Lim si è fatta un nome negli Stati Uniti, lavorando a “Crazy Rich Asians” e al film d’animazione Disney “Raya and the Last Dragon” (2021). Nel 2023, Lim ha fatto il suo debutto alla regia a Hollywood con “Joy Ride” con la candidata all’Oscar Stephanie Hsu.

Nonostante tutte queste storie di successo, l’industria cinematografica del Paese resta molto statica. Le rigide leggi sulla censura e l’accesso limitato ai finanziamenti si stanno rivelando ostacoli importanti per molti registi e attori locali che sperano di sviluppare la propria carriera. Alcuni esponenti del settore hanno espresso le principali criticità.
Secondo Badrul Hisham Ismail, direttore di “Maryam” (2023), “la Malesia ha tutto, ma è ovunque e dappertutto, il che significa non ottenere nulla, non essere nessuno e da nessuna parte”. Badrul ha notato che Yeoh non era apparsa in nessun film prodotto in Malesia, rendendo il suo successo agli Oscar irrilevante per la politica cinematografica del governo malese. La scrittrice locale e cabarettista Shamaine Othman concorda con Badrul sul fatto che l’industria cinematografica nella multietnica Malesia è molto polarizzata. Nelle produzioni locali, la maggior parte dei ruoli ad alto budget sono destinati ad attori della comunità etnica maggioritaria malese, mentre gli attori di origine cinese spesso scelgono di partire per lavorare a produzioni americane o cinesi. “Per molti non malesi, sembra la strada giusta da percorrere”, ha detto Shamaine, “essere qui significa solo essere scelto costantemente come personaggi simbolici”.

Un’ulteriore criticità che osteggia lo sviluppo del cinema locale è sicuramente il conservatorismo culturale nella Malesia prevalentemente musulmana, che ha portato al divieto di molti film con riferimenti LGBTQ, comprese le uscite recenti come “Lightyear” (2022), “Thor: Love and Thunder” (2022) e “Whitney Houston: I Wanna Dance With Somebody” (2022). Le questioni sessuali e di genere non sono l’unico terreno pericoloso su cui i registi devono navigare. Anche questioni etniche e religiose sono aree sensibili in cui i registi devono procedere con cautela per evitare ripercussioni normative. Il film “Mentega Terbang” (2021), diretto da Khairi Anwar, ha suscitato molte polemiche quando è stato rimosso da Viu, una piattaforma di streaming con sede a Hong Kong, apparentemente per aver fatto riferimento all’apostasia dall’Islam, un crimine in Malesia. Il film è stato infine bandito da tutte le piattaforme di proiezione a settembre. Al centro di un tumulto nazionale, il regista e il cast sono stati indagati dalle autorità malesi per il loro ruolo nel film. Non è stata mossa alcuna accusa, ma secondo Malaysiakini, una testata giornalistica indipendente, il regista ha ricevuto minacce di morte.

Lutfi Hakim Arif, produttore esecutivo di “Maryam“, ha detto al Nikkei che il “conservatorismo strisciante” nell’industria cinematografica malese non è una novità, soprattutto in relazione ai malesi e ai Musulmani. Sia Badrul che Lutfi hanno affermato che il comitato di censura malese opera secondo un doppio standard, dando il via libera ai film che fanno riferimento al sesso, agli scandali e alle celebrità e bloccando film come “Mentega Terbang” che sfidano lo status quo della nazione. Secondo Badrul, l’obiettivo principale del comitato di censura è “controllare i pensieri”, senza mostrare alcun interesse per i film malesi, che sono invece tecnicamente molto validi, come dimostrato dal successo delle seguenti animazioni realizzate in Malesia: “Ejen Ali: The Movie” (2019), “Upin & Ipin: The Lone Gibbon Kris” (2019) e “Mechamato Movie” (2022), che sono stati proiettati nel Sud-Est asiatico. “Mechamoto” è stato il primo cartone animato non giapponese ad essere proiettato sui canali televisivi giapponesi, vincendo il prestigioso Anime Fan Award al Tokyo Anime Award Festival 2023. A livello locale, si posiziona tra i cinque film di maggior incasso fino ad oggi (a gennaio 35,8 milioni di ringgit, pari a 7,51 milioni di dollari).

La Malesia era una potenza cinematografica negli anni 50 e 60, quando l’attore e regista P. Ramlee realizzò numerosi film di successo per Shaw Brothers a Singapore e Kuala Lumpur. Tuttavia, come afferma l’attore e sceneggiatore contemporaneo Redza Minhat, il panorama dell’industria non è riuscito a evolversi, ostacolato da un piccolo mercato polarizzato tra produzioni destinate al pubblico malese, cinese e indiano, i tre principali gruppi etnici del Paese. “Per un mercato così piccolo bisogna avere una strategia a lungo termine; per superare gli ostacoli del settore è necessario riunire le persone giuste e la prima cosa è avere la volontà politica”, ha detto Redza, il cui ultimo il film “Imaginur” (2022) ha ottenuto incassi al botteghino di 6 milioni di ringgit nel primo mese dalla sua uscita in Malesia alla fine di febbraio. Redza ha affermato che la fine della censura sarebbe il modo migliore per affrontare i problemi dell’industria cinematografica malese, proponendo al FINASNational Film Development Corporation Malaysia – di utilizzare il finanziamento slate come strumento di sviluppo. Slate è un tipo di finanziamento cinematografico in cui un investitore fornisce finanziamenti per un portafoglio di film, invece che per un singolo film, per ridurre il rischio e diversificare gli investimenti.

Intanto, c’è già aria di cambiamento con l’ingresso di nuove entità commerciali nel mercato malese. Negli ultimi due anni, i principali studi cinematografici malesi Golden Screen Cinemas e Astro Shaw si sono cimentati nella produzione di film d’azione di grande successo come “Polis Evo 3” (2023), “Malbatt: Misi Bakara” (2023) e “Air Force the Film: Selagi Bernyawa” (2022). A maggio, la piattaforma di streaming Amazon Prime Video ha dichiarato che avrebbe inserito più film e drama locali, tra cui “Imaginur”. Dall’altro lato, i cosiddetti servizi di streaming over-the-top (OTT), a cui gli spettatori accedono tramite Internet, sono in costante crescita, anche se ancora in ritardo rispetto ai concorrenti via cavo e via satellite come Netflix, Apple TV, Disney’s Hotstar e HBO. Secondo Statista, la penetrazione degli utenti OTT raggiungerà quest’anno il 63,7% del mercato malese, con ricavi superiori a 1 miliardo di ringgit.

Kamil Othman, Presidente del FINAS, ha affermato che il governo sta lavorando all’aggiornamento e alla modifica del National Film Act per soddisfare le esigenze dell’industria, in quanto i film hanno un grande potenziale per contribuire alla crescita del PIL. Kamil ha affermato che il sistema di supporto cinematografico deve essere modificato per colmare le lacune e incoraggiare la produzione cinematografica. “Non esiste un punto di riferimento unico e la FINAS intende esserlo, almeno nell’ambito di applicazione della legge. Stiamo cercando di vedere proprio ora come questa partnership pubblico-privata può funzionare al meglio”, ha affermato. “La risposta potrebbe essere un nuovo sistema fiscale, nuovi incentivi.”

Il 13 ottobre il governo ha annunciato una serie di iniziative intese ad aiutare i registi, tra cui riduzioni ed esenzioni del 25%, dall’imposta sull’intrattenimento – applicata sui biglietti del cinema e sugli spettacoli artistici -, incentivi fiscali per la produzione cinematografica e ulteriore sostegno alla produzione di contenuti digitali e film in Malesia. Tuttavia, per il futuro del settore potrebbero essere necessari cambiamenti più ampi in politica. L’ex ministro malese della gioventù e dello sport Syed Saddiq Abdul Rahman ha affermato che il governo e l’industria cinematografica dovrebbero riformare il regime di censura nominando un gruppo eterogeneo di professionisti nel comitato di censura.

La Malesia è quindi alla ricerca di una via di mezzo. La direzione da seguire dovrebbe essere una politica che dia fiducia al settore cinematografico, il cui enorme potenziale è davanti agli occhi di tutti, puntando all’indipendenza, senza più restrizioni alla libertà artistica.

Chip, maxi espansione di Intel in Malesia

La Malesia è già una base vitale per il confezionamento, l’assemblaggio e il collaudo dei chip per Intel. Lo sarà ancora di più

Di Tommaso Magrini

Intel punta a quadruplicare la capacità dei suoi servizi più avanzati di confezionamento dei chip entro il 2025, prevedendo la costruzione di un nuovo impianto in Malesia. La fabbrica in costruzione a Penang sarà il primo impianto all’estero di Intel per il confezionamento avanzato di chip in 3D, quello che l’azienda chiama tecnologia Foveros. L’azienda sta inoltre costruendo un’altra fabbrica per l’assemblaggio e il collaudo dei chip a Kulim, nell’ambito di un’espansione di 7 miliardi di dollari nella nazione del Sud-Est asiatico. La Malesia diventerà così la più grande base di produzione di Intel per il confezionamento di chip 3D, ha dichiarato Robin Martin, vicepresidente aziendale per la catena di fornitura e le operazioni di produzione. L’azienda non ha specificato quando lo stabilimento di Pengang inizierà la produzione di massa. Intel utilizzerà questa tecnologia anche per la sua nuova unità di elaborazione centrale (CPU) per personal computer. In passato il confezionamento dei chip era considerato meno cruciale e meno impegnativo dal punto di vista tecnologico rispetto alla produzione dei chip stessi. È emerso come un’area chiave nella corsa alla produzione di chip sempre più potenti, dato che l’approccio convenzionale – comprimere più transistor in un’area più piccola – diventa sempre più difficile. Secondo Yole Intelligence, il mercato dei servizi avanzati di confezionamento dei chip valeva 44,3 miliardi di dollari nel 2022 e si prevede che crescerà a un tasso annuo composto del 10,6% a partire dal 2022 per raggiungere 78,6 miliardi di dollari entro il 2028. La Malesia è già una base vitale per il confezionamento, l’assemblaggio e il collaudo dei chip per Intel, che impiega 15.000 dipendenti nel Paese, di cui 6.000 nel suo centro di progettazione dei chip. Lo sviluppo conferma e fortifica le ambizioni di Kuala Lumpur di diventare un importante hub regionale per il Sud-Est asiatico per la produzione di semiconduttori.

Come sono andate le elezioni statali in Malesia

I risultati hanno mostrato un testa a testa tra le due coalizioni che difficilmente destabilizzerà il Governo di Unità. Il fronte nazionalista-malayu si è aggiudicato Kelantan, Kedah e Terengganu, tra gli stati più poveri della Malesia

Articolo di Aniello Iannone

Dipartimento di Politica e Studi Governativi Università Diponegoro

Poche settimane fa si sono svolte le elezioni statali in Malesia in 6 dei 13 stati. Agli scrutini sia il governo di coalizione PH (Pakatan Harapan , alleato con BN (Barisan Nasional) e guidato dal Premier Anwar Ibrahim, sia l’opposizione con la coalizione PN (Perikatan National) e PAS si sono garantiti 3 stati ciascuno, rispecchiando le previsioni pre-elezioni. Le elezioni sono state una prova importante per Anwar per analizzare il livello di polarizzazione politica tra la popolazione in risposta alle scorse elezioni generali avvenute 9 mesi fa e alla crisi politica che, dal 2018, ha visto cadere in meno di 4 anni 4 diversi governi a seguito di colpi interni e instabilità politico-economica post-pandemia da COVID-19. Tuttavia, l’importanza di queste elezioni risiede nel voto espresso. La Malesia rimane un Paese con un alto livello di dibattito nazionale etnico nella politica e per decenni, sotto l’egemonia di UMNO, è stata caratterizzata da una narrativa pro-Malayu-Islam con politiche che hanno creato qualche tensione con l’altra parte della popolazione malese, cioè quella di origine indiana e cinese. 

I risultati hanno mostrato un testa a testa tra le due coalizioni che difficilmente destabilizzerà il Governo di Unità. Il fronte nazionalista-malayu guidato dalla coalizione PN si è aggiudicato Kelantan, Kedah e Terengganu, tra gli stati più poveri della Malesia, conquistando i due terzi dell’elettorato. Nel dettaglio, PH è stata completamente sconfitta, riuscendo a strappare solo 3 seggi a PN su 36 a Kedah. In Kelantan la situazione è andata peggio, dove Anwar è riuscito a conquistare solo 2 seggi su 45. In Terengganu invece tutti i 32 seggi sono andati a PN. Kedah, in particolare (ma anche Kelantan e Terengganu), è stata travolta dalle ultime elezioni del 2022 dall’onda verde (in riferimento al colore del partito PAS, il Pan-Malaysian Islamic Party e membro importante della coalizione PN), dove PN ha vinto 14 seggi su 15, riducendo al minimo l’influenza di BN nella regione.

Proprio PAS può essere considerato il vincitore di queste elezioni, emerso dall’onda verde è riuscito a mostrare la sua importanza all’interno della coalizione PN. Tuttavia, questo emergere di PAS potrebbe comportare conseguenze importanti sia nei confronti di altri partiti della coalizione PN come BERSATU, sia per il governo di unità vista la natura estremista nazionale-islamica di PAS. Ideologicamente e storicamente, PAS ha una struttura filosofica politica nazionalista, nata nel 1951 durante i meeting tra musulmani conservatori tra Kuala Lumpur e Pengan e fortemente influenzata dalla rivoluzione egiziana e dall’insorgere della fratellanza musulmana in Medio Oriente e della rivoluzione Khomeinista in Iran. Tuttavia, una differenza importante rispetto agli altri partiti nazionalisti dominanti, come UMNO, è il ruolo dell’islam ideologico basato sulla Sharia. Questo spiega anche la sua vittoria alle elezioni negli stati con dominanza malay-islam, come Kelantan.

La coalizione progressista PH, alleata con BN (che in questo contesto è un’estensione di UMNO all’interno della coalizione di governo ed è l’unico partito nazionalista nella coalizione), attualmente guida il governo con Anwar come capo. Si è invece aggiudicata gli stati di Selangor, Negeri Sembilan e Penang. Questo risultato appare bilanciato, almeno a una prima analisi, e mantiene lo status quo. Su un totale di 13 stati, le elezioni si sono tenute in 6 di essi, di cui 3 sono andati all’opposizione con una grande maggioranza. Inoltre, anche negli stati più ricchi del Paese, come Selangor, la battaglia politica tra le due parti ha visto PN avere successo in parte, riuscendo a conquistare 22 seggi su 56 e impedendo a PH di ottenere una maggioranza nell’assemblea di Selangor.

Dopo 9 mesi dalle 15esime elezioni generali, le elezioni statali sono state una prova importante per il governo di unità guidato da Anwar. Su 6 stati in cui si sono tenute le elezioni, in 3 l’opposizione, in particolare la destra nazionalista islamica, ha ottenuto la maggioranza. L’attuale risultato non comporterà un cambiamento dello status quo nel Paese, che è guidato dal governo di unità sotto la guida della coalizione progressista di Anwar. Tuttavia, in questo momento il governo dovrebbe concentrarsi sulla preservazione del sostegno popolare, soprattutto nelle zone a maggioranza malayu. Una eventuale mancanza di supporto sia da parte dell’opinione pubblica che degli elettori potrebbe spingere l’opposizione a chiedere lo svolgimento di nuove elezioni generali.

 

Passi avanti sui diritti in Malesia

Abolita la pena di morte obbligatoria per una serie di reati nel Paese del Sud-Est asiatico. Una decisione importante e significativa

Articolo di Aniello Iannone

Lunedì 3 aprile il parlamento malese ha votato un disegno di legge che comporterà la riforma di una parte del sistema giudiziario penale del Paese. In particolar modo la riforma, oltre ad abolire l’uso obbligatorio della pena di morte (Abolition of Mandatory Death Penalty Bill DR7), rivedrà le sentenze  per i  reati punibili con la pena di morte e con il  carcere a vita (Revision of Sentence of Death and Imprisonment for Natural Life Temporary Jurisdiction of The Federal Court, Bill DR 8). La rifoma non abolisce del tutto la pena di morte nel Paese, ma ne cancella l’obbligo della sentenza. Un passo rilevante. La pena di morte rimarrà comminabile per 34 reati tra cui quelli riguardinti il traffico di droga, terrorismo e omicidio. Tuttavia la riforma  darà libertà di discrezione al giudice nell’interpretare la condanna, con la possibilità di imporre altre condanne più lievi. La riforma è un considerevole passo avanti per i diritti umani nel Paese. Attualmente nell’ASEAN su 10 Paesi, solo le Filippine (2006) e la Cambogia (1989) hanno completamente abolito la pena di morte per legge. Timor-Leste, come Paese osservatore dell’ASEAN ha abolito la pena di morte nel 1999. 

La pena di morte in Malesia

In Malesia il sistema giudiziario penale è stato introdotto dall’impero britannico e imponeva la pena di morte obbligatoria in caso di omicidio. Quanto nel 1957 la Malesia ottiene l’indipendeza, eredita il sistema common law inclusa la pena di morte. Nel 1952, sempre sotto l’amministrazione britannica, viene istituita la legge sulle droghe pericolose (Dangerous Drugs Act) , dove nel 1975 diventa reato punibile con pena capitale non obbligatoria. Solo nel 1983 il governo guidato da Mohamad Mahathir, per dimostrare la tolleranza zero del governo verso il traffico di droga, che in quel periodo cominciava a vedere alti flussi dai Paesi produttori della zona come Laos, Myanmar e Thailandia, la pena di morte per traffico di droga fu resa obbligatoria. Tuttavia bisogna comprendere che dal punto di vista politico-sociale, la Malesia fin dalla sua indipendenza nel 1957 ha  sempre vissuto in uno stato perenne di percezione d’emergenza. La pena di morte in questo contesto è stato un elemento importante per mantere questa percezione di emergenza continua nel Paese. 

Al giorno d’oggi in Malesia 34 capi d’accusa possono essere punibili con pena di morte, fino alla riforma ce n’erano 12 puniti con pena di morte obbligatoria: dichiarare  guerra contro il sovrano Yang di Pertian Agong e lo Stato,  prendere  ostaggii, uccidere, commettere terrorismo, guidare un gruppo terroristico, fornire servizi per scopi terroristici, fornire proprietà per atti terroristici, facilitare attività terroristiche, facilitare attività di criminalità organizzata, scarico illegale di armi da fuoco, complice allo scarico illegale di arma da fuoco e traffico di droga. Questi 12 capi non saranno più puniti con la pena di morte obbligatoria ma rientreranno con gli altri 22 capi d’accusa punibili con pena di morte o, a senconda di come il guidice  interepreterà l’accusa, con pene alternative.

La riforma nel periodo post crisi governativa 2020-2022

Dal 1957 a oggi, secondo i dati di Amnesty International, sono state giustiziate circa  469 persone, 1337 sono attualmente condannate nel braccio della morte,  di questi un quarto sono stranieri. Inoltre, di questi, 67,5% sono stati condannati per traffico di droga e altri crimini non considerati una minaccia per il diritto internazionale. Per anni gli attivisti si sono batutti per l’abolizione della pena di morte nel Paese. Nel 2010 è stata attivata una raccolta di firme per salvare la vita di Vui Kong, un malese condannato a morte nel 2007 a Singapore per traffico di 15 grammi di eroina. La sua condanna è stata ridotta all’ergastolo, e la raccolta di firme, arrivò a 109.346 firme e fu poi inviata al governo. Fu in seguito istituito il International Centre for Law and Legal Studies (I-CeLLs) per arrivara ad una soluzione sulla pena di morte nel Paese. Nel 2018 una moratoria per l’abolizione della pena di morte fu proposta dal governo Mahathir e dalla coalizione uscita vincitrice dalle elezioni, Perkatan Harapan, in quanto uno dei punti del manifesto politico della coalizone. Tuttavia la proposta fu osteggiata  sia dall’opposizione sia da organizzazioni non governative conservatori-malay di estrema destra come PERKASA. Ora l’importante passo avanti con il governo guidato dal premier Anwar Ibrahim.

L’attuale situazione in ASEAN 

L’ASEAN non ha nessuna legge o meccanismo  per un eventuale divieto totale della pena di morte nei Paesi membri. Inoltre la sua attuale struttura organizzativa non lo permetterebbe in quanto si basa su una rigida interpretazione della politica di non interferenza e della tutela della sovranità nazionale dei Paesi membri. Secondo un sondaggio del Ministero della legge e per i diritti umani in Indonesia circa l’80% della popolazione è a favore della pena di morte. Ma i passi avanti continuano, a differenza che in altre parti del mondo, come dimostra il caso della Malesia.

Malesia, Anwar Ibrahim è il nuovo premier

Dopo un’impasse di cinque giorni, il consiglio dei sultani ha scelto il nuovo primo ministro della Malesia. Una panoramica delle elezioni più complesse mai tenutesi nel Paese

La Malesia ha un nuovo premier. Ci sono voluti cinque giorni, ore di consultazioni e l’intervento del sultano prima di cristallizare (per ora) i risultati delle quindicesime elezioni generali. Giovedì 24 novembre l’attuale monarca Sultan Abdullah Sultan Ahmad Shah ha convocato un incontro speciale con le controparti dei nove stati malesi (qui una panoramica sul sistema di turnazione dei sultani) e ha preso la decisione finale. Normalmente, lo Yang di-Pertuan Agong svolge un ruolo di rappresentanza, ma può intervenire in situazioni di emergenza o incertezza, come accaduto negli ultimi giorni.

Il Primo Ministro della Malesia è ora Anwar Ibrahim, leader del Pakatan Harapan (PH), la coalizione che aveva trionfato alle elezioni del 2018 per poi venir affossata dai cambi di fazione di alcuni leader chiave. Oggi 75enne, è stato membro del partito storicamente al potere in Malesia, la United Malays National Organisation (UMNO). Nel 1997, con l’arrivo della peggiore crisi finanziaria della storia asiatica, si è scontrato con i vertici del partito per le sue idee riformiste, dando il via a una nuova generazione di attivisti per la democrazia con il movimento Reformasi. Espulso dal partito e imprigionato nel 1998 per sodomia e corruzione (capi d’accusa comuni a molte incarcerazioni politiche in Malesia) è tornato sulla scena politica nel 2004, dopo le dimissioni dello storico premier UMNO Mahathir Mohamad. Con il suo ingresso ai vertici del PH, Anwar avrebbe il merito, affermano gli osservatori, di aver creato la prima vera coalizione veramente multietnica della Malesia, capace tanto di ottenere il sostegno della maggioranza musulmana malese e che quello delle principali minoranze del paese (sinodiscendenti e indiani).

I risultati delle elezioni

Le elezioni del 19 novembre si erano concluse senza una maggioranza netta, sebbene la bilancia dei voti pendesse a favore del Pakatan Harapan (PH). Allo spoglio dei voti il PH aveva guadagnato 82 su 222 seggi alla Camera bassa, contro i 73 del Perikatan Nasional (PN) e i 30 del Barisan Nasional (BN). Ma per avere la fiducia il PH doveva conquistare il sostegno di almeno 112 parlamentari, tentativo avanzato anche da BN e PN. A cinque giorni dal voto, non era ancora chiaro chi avrebbe guidato il paese per i prossimi anni. Fin da subito, una parte dell’opinione pubblica malese si è schierata contro l’ostruzionismo di BN e PN: “È assurdo che il partito che ha vinto più seggi si trovi in qualche modo sconfitto. I malesi hanno votato, Anwar deve diventare premier”.

Le elezioni del 2022 hanno dimostrato quanto lo scenario politico stia cambiando: prima del 2018 non sono mai accadute delle crisi di governo di questa portata, né sono emerse tante frizioni tra i protagonisti della politica malese. I risultati delle quindicesime elezioni generali hanno però confermato il lento declino della fazione etnonazionalista United Malays National Organisation (UMNO). Un tempo il partito del governo malese per quasi sessant’anni, oggi è passato dall’altro lato della competizione politica dopo la peggiore sconfitta elettorale di sempre.

Nella riunione prevista prima dell’incontro con il sultano di martedì 22 novembre, infatti, l’ex premier ad interim dell’UMNO Ismail Sabri Yaakob (subentrato alla guida del governo dopo il rimpasto del 2020) aveva poi confermato di voler rimanere all’opposizione. Successivamente, lo stesso UMNO si dirà favorevole alla fiducia purché non venisse eletto premier il leader del PN, Muhyiddin Yassin.

Vincitori e vinti

Il vero vincitore di queste elezioni, affermano gli osservatori, sarebbe la coalizione del PN. Formatasi dopo la crisi del 2020, il gruppo ha saputo portarsi a casa una maggiore percentuale di voti in più del previsto con la sua forte connotazione identitaria musulmana e malese. A conquistare le anime dei suoi elettori, sottolineano gli analisti, anche la ricerca di una terza via al conflitto tra PH e BN.

Questa scelta non ha convinto tutti: c’è chi accusa il PN di aver così favorito l’ascesa del Malaysian Islamic Party (44 seggi), partito emblematico di quell’ala della politica malese favorevole alla totale implementazione della Sharia. Tanto che su Twitter un cittadino si sfoga: “Ora è evidente. I malesi sono razzisti e fanatici religiosi. Bentornati al passato. Sayonara al nostro futuro.”

Ora di cambiamenti?

Niente slancio significativo del voto dei giovani, come anticipato da alcuni analisti. Con l’abbassamento del diritto di voto a 18 anni l’elettorato ha accolto 1,4 milioni di nuovi elettori, e questo può aver influito sull’affossamento di alcuni leader storici e dello stesso UMNO. Tra i grandi sconfitti di queste elezioni, infatti, l’uomo che per quasi vent’anni ha guidato il governo malese, il novantasettenne Mahatir Mohamad. La sua coalizione, il Gerakan Tanah Air (GTA), non ha raggiunto il 20% delle preferenze, e l’ex premier ha perso la possibilità di ottenere un seggio nel Langkawi, nel nord del paese: è la prima volta che gli accade dal 1969. La reazione dei mercati è stata coerente con l’incertezza delle ore successive alla chiusura dei seggi: nella giornata di lunedì il ringgit è sceso di 0,8% contro il dollaro e i titoli in borsa hanno dimostrato le basse aspettative degli investitori sulla stabilità della classe politica malese.

L’impasse non ha tenuto a freno l’ironia su internet. Sui social media sono circolati meme con un annuncio di lavoro dal titolo: “Posizione aperta per il ruolo di decimo primo ministro della Malesia”. Altri utenti hanno parlato dell’imbarazzo di sentire il proprio destino in mano alla classe politica: “Sembra di stare tutti al tribunale per il divorzio, in attesa che qualcuno decida chi deve prenderci in custodia”.I social sono stati, però, anche motivo di preoccupazione. Piattaforme molto utilizzate come TikTok sono state allertate dalle autorità malesi per timore che spopolassero contenuti che incitassero alla violenza, o fake news.

Elezioni in Malesia, decisivo il voto dei giovani

Per circa sei milioni di persone, in Malesia, le elezioni anticipate del 19 novembre rappresentano la prima volta alle urne. Una riforma costituzionale del 2019 ha abbassato l’età del voto dai 21 ai 18 anni. Ma un elettorato più giovane non si traduce automaticamente in visioni progressiste

Sei milioni tra nuovi elettori ed elettrici saranno chiamati alle urne alle prossime elezioni politiche del 19 novembre in Malesia. Grazie a una riforma costituzionale del 2019, infatti, il parlamento malese ha abbassato l’età del voto da 21 a 18 anni, oltre ad aver inserito un sistema di registrazione automatizzato che estende ulteriormente il bacino elettorale. Poiché i movimenti giovanili asiatici sono spesso iconicamente associati alla lotta contro l’autoritarismo, si tende a considerare i giovani dei “liberali naturali” e a dare per scontato che opteranno per politiche più progressiste rispetto ai loro concittadini anziani. Ma le preferenze dell’elettorato più giovane in Malesia sono per tutti un’incognita.

Le prossime elezioni politiche avrebbero dovuto tenersi nel 2023. Il Primo Ministro Ismail Sabri Yaakob, del partito conservatore United Malays National Organisation (UMNO), ha indetto invece elezioni anticipate perché ritiene che le sfide dell’economia malese rendano incerto il futuro della coalizione di cui è a capo, la Barisal Nasional (Fronte nazionale). Il conflitto russo-ucraino, il rallentamento dell’economia cinese, le irrisolte controversie sullo scandalo 1MDB, costituiscono la tempesta perfetta che torna a far tremare i consensi del Fronte nazionale. 

Come sottolinea il Guardian, nessun partito in Malesia è mai riuscito a governare da solo. Alle prossime elezioni generali, le principali coalizioni saranno il Barisan Nasional, la Perikatan Nasional e la Pakatan Harapan (Alleanza della speranza), che ha governato dal 2018 fino alla crisi politica del 2020. Proprio l’Alleanza, con una riforma costituzionale del 2019, ha ampliato il bacino elettorale nazionale abbassando l’età del voto da 21 a 18 anni. L’emendamento aveva anche inserito un sistema automatizzato di registrazione che snellisce anche il sistema burocratico malese per la registrazione dei nuovi aventi diritto al voto. Così, l’elettorato nazionale è passato dai 14,9 milioni di persone del 2018 ai 21 milioni alle prossime elezioni generali del 19 novembre. Movimenti sociali come Undi18 hanno lottato per l’approvazione della legge, a riprova del desiderio dei giovani e delle giovani della Malesia di partecipare al processo decisionale della democrazia parlamentare asiatica. La Malaysian United Democratic Alliance (MUDA) vorrebbe porsi come catalizzatore delle istanze di questa fascia demografica. Si pensi che le persone che hanno un’età compresa tra i 15 e i 39 anni ammontano a circa il 45% della popolazione, ma si tratta un campione ancora poco rappresentato nella politica malese. Circa il 70% dei legislatori ha più di 50 anni. 

Ma quali temi smuoveranno gli animi del giovane elettorato? Il professor James Chin, direttore dell’Asia Institute dell’Università della Tasmania, ha affermato che non è detto che il MUDA riesca a raccogliere tutte le istanze dei nuovi aventi diritto al voto. Il leader del movimento, Syed Saddiq, ha dichiarato che il movimento si concentrerà su temi come il costo della vita, l’istruzione, l’accesso ai trasporti pubblici e le opportunità di lavoro. Ma in realtà “non sappiamo (…) come votano i giovani”, ha detto Chin al Diplomat, “perché non ci sono precedenti di voto”. Non è detto che in Malesia l’elettorato giovane sia necessariamente orientato verso politiche progressiste, per una serie di ragioni. Primo, pur garantendo una maggiore partecipazione democratica, la legge per l’abbassamento dell’età di voto aggrava i problemi di malapportionment delle circoscrizioni elettorali malesi. Questa disomogeneità smorza l’impatto dei nuovi arrivati sulla partecipazione politica, poiché la maggior parte dei nuovi elettori tra i 18 e i 20 anni si trova nelle aree urbane. La legge elettorale, però, è incentrata sul principio maggioritario del “first past the post”. Non c’è alcuna corrispondenza proporzionale tra l’assegnazione dei seggi e la popolazione, quindi l’alta concentrazione di persone che vive nelle circoscrizioni urbane – giovani compresi – è sottorappresentata. In secondo luogo, i giovani non sono necessariamente più orientati verso la “nuova politica” multirazziale e inclusiva auspicata dal MUDA, perché i tassi di natalità variano a seconda della composizione demografica. I nuovi giovani elettori appartengono perlopiù ai gruppi malesi e indigeni, che sostengono spesso le politiche ispirate al nazionalismo identitario del Fronte nazionale.