Una bicicletta su 4 importata in UE arriva dalla Cambogia

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Il 2020 ha registrato una crescita della domanda di biciclette in UE. Le esportazioni dalla Cambogia coprono un quarto delle importazioni extra-europee. Tra esigenze di diversificazione e basso costo del lavoro, ecco i motivi di una storia di successo

La pandemia da Covid-19, tra i suoi effetti collaterali, ha provocato trasformazioni nelle abitudini delle persone in tutto il mondo. Dai dati rilasciati dalla Commissione Europea sul commercio internazionale, si evince un aspetto interessante: l’aumento della domanda europea di biciclette, valutato intorno al 35% su base annua nel 2020. Una delle conseguenze environment-friendly dei vari lockdown nazionali che, insieme alle foto di alcuni tra i cieli più inquinati al mondo tornati a tingersi di blu dopo decenni, ha incentivato il ricorso ai trasporti alternativi. In alcuni casi, l’unica deroga alle misure restrittive era la possibilità di fare sport individuale vicino casa, e c’è chi non ha resistito alla prospettiva di sgranchirsi le gambe all’aria aperta in sella a una bicicletta. D’altra parte, le riaperture hanno progressivamente consentito a lavoratori e lavoratrici pendolari di tornare ai propri impieghi. Piuttosto che viaggiare stipati sui mezzi pubblici senza distanza di sicurezza, hanno presto sostituito al trasporto pubblico una bicicletta… spesso e volentieri made in Cambogia.

Secondo l’EUROSTAT, l’incremento della domanda europea di biciclette è stato perlopiù soddisfatto da produzioni localizzate nell’Indo-Pacifico. Il report dimostra come la Cambogia abbia fornito un quarto delle importazioni extra-europee di questo prodotto nel 2020 (24%) – cui hanno fatto seguito quelle cinesi (17%), taiwanesi (11%) e bangladesi (8%). Le esportazioni di biciclette prodotte in Cambogia, in generale, sono cresciute a un tasso medio del 20% dal 2015 al 2020, secondo il database dell’International Trade Centre.

Nonostante i dati restituiscano un’immagine promettente del mercato emergente cambogiano, la crisi sanitaria si è fatta sentire. L’economia nazionale del Regno asiatico è cresciuta rapidamente fino allo scoppio della pandemia, a un ritmo medio del 7,7% dal 1998. Le restrizioni da Covid-19 le sono costate una battuta d’arresto, causandole una contrazione del PIL del 3,1% nel 2020. Nell’agenda politica del governo cambogiano la diversificazione economica è considerata prioritaria da tempo, poiché l’economia nazionale dipende dalle esportazioni verso l’estero. Negli anni sono state promosse riforme sugli investimenti e politiche industriali, che si sono però rivelate insufficienti. Il governo sa che diversificare significa promuovere cambiamenti strutturali che mirino allo sviluppo economico e alla riduzione della povertà, obiettivi imprescindibili per il benessere della popolazione locale. Phnom Penh, però, è ancora fortemente dipendente dall’industria dell’abbigliamento e delle calzature, oltre che dal settore del turismo – sul quale la pandemia ha infierito in modo particolarmente inclemente.

La necessità di variare fonti di approvvigionamento economico e partner commerciali si fa  più urgente in tempi dominati dall’incertezza. Il Covid-19 è stato in tal senso emblematico: ha causato, tra le altre cose, uno shock nelle catene globali del valore che alcuni analisti hanno ritenuto irreversibile. Come ha suggerito Paul Krugman, tra questioni securitarie e una competizione commerciale internazionale che assume connotati sempre più antagonistici, l’idea di un ritorno a pratiche di nazionalismo economico non sembra più così assurda come quando a promuoverla era l’amministrazione Trump. La globalizzazione economica è stata quindi arrestata da un fenomeno altrettanto globale. La pandemia da Covid-19, oltre ad aver trasceso le frontiere nazionali, si è trasmessa rapidamente alle catene di approvvigionamento, che costituiscono la linfa vitale delle relazioni commerciali del Sud-Est asiatico con il resto del mondo.

L’aumento di esportazioni di biciclette cambogiane in Unione Europea sembra però espressione di un trend diverso. L’assemblaggio del prodotto finale è spesso il risultato di diversi step produttivi, molti dei quali si trovano in Vietnam. Le fabbriche di biciclette sono localizzate, strategicamente, in prossimità delle frontiere vietnamite. Il settore è poi ulteriormente supportato da aziende delocalizzate straniere attratte dai bassi salari della manodopera locale, che hanno trasferito la produzione in Cambogia. L’economia nazionale è ancora dipendente dal commercio con l’estero, peraltro da un paniere di esportazioni estremamente ristretto, e da investimenti stranieri. Ma la reattività dell’offerta di biciclette dal Paese lascia ben sperare per la ripresa dell’economia nazionale, che continua a fare affidamento su alcuni dei fattori tradizionali del successo economico del Sud-Est asiatico: esportazioni, basso costo del lavoro, catene di produzione che continuano a prosperare.

L’interesse della Cambogia verso il mercato dell’Unione Europea è reciproco, anche se i rapporti di potere sono chiaramente sbilanciati. Il boom delle biciclette è un’ottima notizia per il Regno asiatico, in parte perché è un segno di una distensione rispetto alle sanzioni imposte dall’UE nell’agosto 2020. Nel 2001 l’UE aveva lanciato l’Everything But Arms (EBA), uno schema di libero scambio realizzato su misura per il commercio con i paesi in via di sviluppo, ma a causa delle “sistematiche violazioni dei diritti umani”, di quelli politici e del lavoro, la Commissione aveva optato per un parziale ritiro del programma. Anche se il Regno sembra ancora ben lungi dal recuperare il libero accesso al mercato dell’Unione (poiché il Primo Ministro Hun Sen respinge con forza le accuse europee, rivendicando la libertà di esercitare prerogative sovrane) le biciclette cambogiane sono un caso di successo della diversificazione delle economie in rapida crescita del Sud-Est asiatico.

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