Il Myanmar divide l’ASEAN

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Il Myanmar promette di essere ancora al centro delle dinamiche del Sud-Est asiatico nel corso del 2022. Con l’acuirsi delle lacerazioni interne e in assenza di un governo nazionale riconosciuto, la recente visita del Primo Ministro cambogiano Hun Sen ha dato fuoco alle polveri

Articolo a cura di Tommaso Grisi

Il Myanmar continua a far parlare di sé. A seguito del golpe che ha destituito il governo di Aung San Suu Kyi, il rapporto da tenere nei confronti della giunta militare ha creato non pochi problemi alle diplomazie del Sud-Est asiatico e del resto del mondo. Se da un lato era prevedibile la presa di posizione dei Paesi occidentali, con Stati Uniti e Unione Europea che hanno adottato fin dal primo momento sanzioni economiche verso la giunta, è sull’ASEAN che ad oggi sono rivolti gli interrogativi maggiori. L’organizzazione del Sud-Est asiatico sembra essere infatti l’unico attore in grado di poter esercitare una seria pressione sul Paese, vista l’inefficacia delle misure economiche adottate e l’impossibilità di intervento da parte delle Nazioni Unite, dove Cina e Russia hanno posto il veto in seno al Consiglio di Sicurezza. Consapevole di questo anche il Segretario di Stato americano Antony Blinken, che lo scorso dicembre ha condotto una missione diplomatica nel Sud-Est asiatico esprimendo ai leader dei Paesi partner forti preoccupazioni per quanto sta avvenendo in Myanmar.

Dal canto loro, i Paesi Membri dell’ASEAN hanno già dichiarato di non voler seguire la via delle sanzioni economiche e di voler prediligere un approccio più morbido, ma costruttivo. È in quest’ottica che in un primo momento era stato redatto un piano in cinque punti che mirava a fornire aiuti umanitari alla popolazione e ad instaurare un dialogo politico tra le parti.

Le divisioni tra gli Stati membri e la mancanza di collaborazione delle parti coinvolte hanno però portato a un nulla di fatto, con le cancellerie della regione indecise sul da farsi. Nonostante la comune volontà di portare al più presto il Paese in una condizione di maggiore stabilità, infatti, rimangono diversi nodi da sciogliere all’interno dell’organizzazione a cominciare dal riconoscimento o meno del ruolo di governo assunto dalla giunta militare, attualmente esclusa dalle riunioni dell’ASEAN, e dalla necessità di rivedere il tradizionale principio di non ingerenza che ha sino ad oggi guidato l’azione degli Stati Membri.

A tal riguardo, significativa è stata la visita del Primo Ministro cambogiano Hun Sen, che è stata oggetto di forti critiche. L’accusa, portata avanti dagli oppositori alla giunta, è di voler legittimare il regime instaurato, soprattutto alla luce del fatto che lo stesso Hun Sen abbia assunto il potere in Cambogia con un colpo militare nel 1997. La questione assume ancor più rilevanza considerando la doppia veste con cui il Primo Ministro si è trovato a far visita alla giunta, ovvero di Presidente di turno dell’ASEAN e di primo capo di governo a recarsi nel Paese dal momento in cui i militari hanno assunto il potere. Questo non costituisce di certo una novità per il Primo Ministro cambogiano, dal momento che già in passato era stato criticato per aver assunto posizioni troppo aperturiste nei confronti della giunta burmese, in particolar modo dopo aver proposto di estendere l’invito di partecipazione agli incontri dell’ASEAN anche ai responsabili del golpe. Nonostante ciò, il Primo Ministro cambogiano sembra intenzionato a proseguire su questa strada, avendo nominato il suo Ministro degli Esteri, Prak Sokhonn, nuovo inviato speciale in rappresentanza dell’ASEAN presso il Myanmar.

Proprio l’esclusione dalle riunioni dell’ASEAN potrebbe in effetti rappresentare un punto su cui far leva. L’accesso alle riunioni dei governi del Sud-Est asiatico costituirebbe un riconoscimento di fatto per la giunta militare, fondamentale per potersi interfacciare da pari a pari con gli altri Paesi della regione. Ed è proprio su questo punto che sembra giocarsi la credibilità dell’ASEAN. Qualora l’organizzazione dovesse cedere alle pressioni della giunta, infatti, sarebbe impossibile non subire un duro colpo alla propria immagine internazionale, dato che già negli scorsi mesi non sono mancate tensioni tra gli Stati membri proprio in riferimento alla questione birmana.

Ad oggi si pongono in forte contrasto con le posizioni della Cambogia i governi di Malesia e Indonesia, che hanno osservato con malumore la visita di Hun Sen nel Paese, affiancati da Singapore, mentre a suo supporto si sono schierati i rappresentanti di Laos, Thailandia e Vietnam. Insomma, le crepe interne all’organizzazione sembrano approfondirsi.

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