Articolo di Agnese Loreta
Dal boom di Internet e dei social media nel 2013 al loro shutdown ad intermittenza a partire dal 2021. Come ha cambiato l’utilizzo dei social media il golpe dell’esercito birmano.
Guerra e social media, un binomio fondato da una dipendenza reciproca e che si è sviluppato a partire dalla metà del XIX secolo con i nascenti moderni strumenti di informazione. Da allora questa relazione, quasi intrinseca, non è più venuta a mancare ma, anzi, si è rafforzata ed ha portato a una crescita dell’esposizione informativa dei conflitti.
Di tale relazione sono interessanti due elementi: il primo è il tentativo di controllare il traffico di informazioni, il secondo è l’utilizzo intensivo dei social media come armi.
Di entrambi questi processi sono a conoscenza, rispettivamente, la Giunta militare ed il Movimento di Disobbedienza Civile (CDM), due degli attori primari della situazione in Myanmar. Dopo il 1° febbraio 2021, data che segna il terzo colpo di Stato avvenuto nella storia del Paese, e conseguentemente all’arresto di Aung San Suu Kyi, il malcontento da tempo celato è scoppiato tra le strade birmane ed ha preso gran voce tramite il CDM, con i social media che hanno giocato un ruolo centrale nella sua creazione e nella sua lotta.
La storia del Myanmar è tristemente contornata da conflitti, a partire da quelli anglo-boeri fino all’invasione del Giappone. Stavolta però il ruolo dei social media ha assunto una forte centralità, complice il fatto che solo nel 2013 è terminato il monopolio statale sui servizi telefonici, permettendo quindi una fruizione maggiore di Internet e dei servizi ad esso associati. Ciononostante, le politiche della Giunta militare contro la libertà d’opinione e d’espressione, poste in essere a partire da febbraio 2021, hanno notevolmente modificato l’assetto degli utenti dei social media. Di fatto, se nel gennaio 2021 si registravano 23,65 milioni di utenti in Internet e 29 milioni di utenti di social media; un anno dopo, il numero è salito a 25,68 milioni – con un aumento del +7,1% nel corso del 2021 – mentre si registra un netto crollo in quelli dei social media, che a gennaio 2022 erano di 20,75 milioni, praticamente ⅓ di utenti in meno. Secondo Statcounter Global Stats a marzo 2022 il social media maggiormente utilizzato in Myanmar è Facebook (87,21%), seguito da YouTube (5,48%), Pinterest (3,5%), Twitter (1,67%), VKontakte (1,21%) e Instagram (0,38%).
Oltre che per la sua predominanza nel Paese, Facebook è noto anche per avere avuto un ruolo complesso in Myanmar. Di fatto, se da una parte è riuscito ad unire i cittadini birmani ed a creare una comunicazione diretta tra popolo e governo in carica, dall’altra parte non è stato capace di controllare le difficoltà sorte dalla rapida diffusione dei social media in un lasso di tempo breve, come l’hate speech e la disinformazione problemi correlati all’assenza della cosiddetta “alfabetizzazione digitale critica”. Nonostante Facebook abbia adottato strumenti e politiche volte alla risoluzione delle problematiche sopra citate, queste non sono scomparse ma sono riemerse con prepotenza in occasione delle elezioni del 2020 e, successivamente, dopo il colpo di Stato a cui ha fatto seguito il divieto dell’utilizzo di Facebook. La Giunta militare riteneva che con questa mossa si potessero bloccare le manifestazioni e l’attivismo del CDM ma, al contrario, ha comportato un aumento esponenziale nell’uso di Twitter che però non è stato in grado di risolvere i problemi di disinformazione e di hate speech che affliggevano il fratello-Facebook.
Secondo l’analisi di Freedom House, la libertà di Internet in Myanmar ha subito una brusca battuta d’arresto dopo il colpo di Stato ed ha segnato “il più grave declino mai documentato da Freedom on the Net”, come si legge nell’introduzione al Rapporto che dà un punteggio complessivo di 17/100 al Paese.
Nonostante le piattaforme social ed Internet vengano oscurate e bloccate in Myanmar da parte del governo militare, i manifestanti sono capaci di aggirare questi divieti grazie alla messaggistica criptata – come Signal, Viber e Messenger – e le VPN; inoltre, applicazioni come Bridgefy hanno garantito ai dimostranti di comunicare tra loro anche durante i momenti di blackout totale di Internet. Questo dimostra come la pratica dello shutdown di Internet sia limitata e antiquata ma anche quanto sia forte la resistenza dei cittadini.
In conclusione, sebbene i social media non siano privi di difetti e di grattacapi e la strada per un loro uso consapevole, efficace sia ancora lunga, è doveroso riconoscergli una parte nodale per la nascita e la sopravvivenza stessa del CDM. Hanno saputo mantenere accesa l’attenzione sulla questione a livello internazionale, sono stati capaci di portare tra i cittadini birmani il valore dell’inclusività, poiché la lingua principale usata nei social era il birmano e sono stati un luogo – seppur virtuale – in cui le parole chiave erano resistenza e solidarietà.