La water governance nei Paesi ASEAN

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Articolo a cura di Sabrina Moles

Dal clima estremo all’economia, dalla sicurezza umana ai rapporti di vicinato. Le sfide sulla gestione idrica avvicinano i dieci paesi del Sud-est asiatico

Non c’è vita senza acqua. Oggi più che mai la gestione delle risorse idriche è uno dei temi più delicati per il Sud-est asiatico, dove nuove e vecchie sfide minacciano un panorama già molto complesso nel quale sono coinvolti i settori più svariati dell’economia, ma anche salute, politica e tutela dell’ambiente. L’ASEAN ospita Paesi dove il tema della gestione delle risorse idriche è critico e minacciato dai cambiamenti climatici, mentre alcuni stati membri hanno sviluppato da tempo le capacità tecniche e logistiche per affrontare i problemi legati al settore idrico. Proprio perché la gestione dell’acqua richiede di spaziare in ambiti molto diversi tra loro, ma interconnessi ed essenziali allo sviluppo, ecco che la chiave della cooperazione diventa uno dei punti di forza del gruppo. Ma la strada è ancora lunga.

Innanzitutto, l’emergenza pandemica ha riportato in primo piano la sicurezza idrica in chiave sanitaria, come sottolinea il report OCSE su gestione, accesso e sicurezza alle fonti idriche. Nel 2012, la Dichiarazione sui diritti umani dell’ASEAN garantiva esplicitamente “il diritto all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari”, ma il bilancio del 2021 dimostra che solo pochi Stati membri includono il diritto all’acqua nella loro legislazione e hanno saputo implementare dei progetti veramente inclusivi. In molte aree del Sud-est asiatico la fornitura di servizi idrici è inadeguata e diseguale, con disparità di accesso tra aree urbane e rurali. Si calcola che almeno 1,7 miliardo di persone in Asia non abbiano accesso a servizi igienico-sanitari di base, mentre nel solo Sud-est asiatico si stimano livelli di acque contaminate e inadatte al consumo umano che oscillano tra il 68% e l’84%.

L’accesso a risorse idriche sicure è anche un problema socioeconomico, con le fasce più deboli della popolazione che vengono penalizzate. La privatizzazione dell’acqua ha, in alcuni casi, contribuito a una scarsa copertura e a prezzi elevati. Un esempio è quello dell’Indonesia dove, dal 1997, le società britanniche e francesi Thames Water e Suez hanno firmato un contratto di partenariato pubblico-privato di 25 anni per l’approvvigionamento idrico della capitale, Giacarta. Allora, solo il 42% dei suoi residenti aveva accesso all’acqua in casa, mentre molti cittadini facevano ancora affidamento sull’acqua in bottiglia o sulle acque sotterranee (curiosamente, uno dei motivi principali per cui la città sta affondando). Il progetto prometteva che entro il 2017 si sarebbe arrivati a toccare il 98% di copertura ma, nel 2020, solo il 59,4% degli abitanti poteva usufruire di acqua pulita fornita dall’acquedotto pubblico. O, meglio, poteva permettersi di accedervi. Non è un’eccezione. In gran parte del Sud-est asiatico i servizi igienico-sanitari sono sottofinanziati e distribuiti in modo diseguale, nonostante l’accesso all’acqua sicura sia in aumento in tutti i Paesi ASEAN, con ancora Cambogia (65%) e Laos (77,5%) tra i più penalizzati.

Un altro elemento sempre più importante in un’ottica di gestione delle risorse idriche è l’energia. La regione del Mekong, in particolare, offre enormi opportunità per la costruzione di dighe e centrali idroelettriche. Occasioni che sono state colte soprattutto dagli investitori cinesi, ma non solo. Gli spazi di collaborazione in ottica ASEAN vengono promossi soprattutto dal Vietnam. Sono tanti i meccanismi multilaterali emersi negli anni per discutere, studiare e implementare progetti intorno alla gestione delle acque del Mekong, come nel caso della Mekong River Commission (MRC). In questo senso, l’energia è solo uno degli elementi di maggiore interesse per i paesi dall’area, in quanto potenziale motore di sviluppo per le aree più depresse. Tra i compiti della MRC, infatti, rientra la stesura di piani decennali o quinquennali sui diversi ambiti di utilizzo delle risorse idriche presenti. Secondo le stime, la domanda energetica a valle del Mekong crescerà a ritmi del 6-7% annuo: una proiezione che ha stimolato la conversione delle acque del fiume in energia idroelettrica, per un totale di 89 progetti completati e altri 30 ancora in fase progettuale.

Il fatto che le sorgenti del Mekong si trovino in territorio cinese ha spesso generato frizioni e fornito ai Paesi ASEAN motivo di coesione. Tra le strutture più controverse figura la diga di Jinghong nella provincia dello Yunnan, che a tempi alterni funge da “rubinetto” per i Paesi più a sud. L’ultimo caso risale a luglio, periodo particolarmente anomalo per le precipitazioni in Cina, quando dei “danni provocati alla struttura” hanno ridotto drasticamente l’apporto di acqua lungo il bacino inferiore del Mekong. Di conseguenza, ogni intervento di Pechino sulle acque del Mekong può avere un impatto enorme sulla catena di approvvigionamento dell’intero settore meridionale.

È anche, e soprattutto, un problema di instabilità climatica che già oggi estremizza l’impatto dei periodi di piena e di secca dei fiumi del Sud-est asiatico. In tutta la regione almeno il 34% della popolazione è frequentemente esposto alle alluvioni, mentre la siccità da 30 anni colpisce oltre 66 milioni di persone. In un report prodotto da ASEAN ed ESCAP (United Nations economic and social commission for Asia and the pacific) si parla di fenomeni in notevole aumento (+17%), e di come 4 danni economici su 5 vadano a colpire l’agricoltura. Da ciò ne deriva che le fasce più deboli della popolazione sono tra le più penalizzate, e vengono esposte all’insicurezza alimentare determinata dalla distruzione delle colture. Questo è un fattore molto importante, poiché l’economia dei dieci Paesi dipende in gran parte dal settore agricolo. Ben il 61% della manodopera in Laos è impiegata in questo settore, e rimane stabile al 47% in Vietnam, dove una grave siccità nel 2016 ha portato alla perdita di oltre il 60% delle entrate.

La gestione delle risorse idriche rappresenta quindi un fattore essenziale in molti ambiti: da questo ne deriva che i problemi legati all’approvvigionamento di acqua sicura ed accessibile possono diventare un acceleratore di conflitti sia a livello domestico che di vicinato. Si stima che al mondo l’80% dei conflitti avvenga proprio in aree dove il livello di degrado ambientale e gli effetti dei cambiamenti climatici sono più accentuati. Il tutto si interseca anche con i rischi legati alla perdita della biodiversità.

Con l’aggravarsi dei fenomeni climatici estremi e la riduzione delle risorse idriche nella regione, i dieci Paesi ASEAN hanno iniziato a puntare sulla cooperazione regionale per creare ambienti, economie e sistemi di approvvigionamento resilienti. Tra le soluzioni proposte dal gruppo emerge la consapevolezza che l’intervento ex post non sia più sufficiente. Nelle intenzioni la priorità dovrebbe essere data alla prevenzione, come il monitoraggio dell’andamento del clima e dei cambiamenti nel territorio, in modo da implementare un sistema di allarme prima che i fenomeni si trasformino in problemi irreparabili. Ciò dovrebbe portare alla creazione di meccanismi di intervento sia tecnico che di supporto finanziario alle categorie più a rischio, in particolare i piccoli imprenditori agricoli e i lavoratori del settore primario. Alcuni esempi sono la strategia di gestione della siccità 2020-2025 promossa dalla MRC con il sostegno di ASEAN e Nazioni Unite.

La chiave di questi piani di assorbimento e prevenzione del rischio ha portato a discutere su soluzioni finanziarie in grado di preventivare l’entità dei danni e il modo in cui distribuire gli aiuti. Tra gli obiettivi che emergono, spiccano la mitigazione dei cambiamenti climatici e l’accesso universale all’acqua come punti di partenza per ragionare a nuovi piani di gestione e sfruttamento delle risorse idriche a livello regionale. Il problema in questo senso non è tanto rappresentato dalla mancanza di fondi (che spesso fanno parte di pacchetti di aiuti promossi dalle organizzazioni internazionali), quanto dalla oculata gestione degli stessi per portare a termine progetti in grado di essere prima di tutto economicamente e strutturalmente sostenibili nel tempo.

Infine, la sfida sarà portare avanti il discorso sulla cooperazione in ottica di gestione delle risorse idriche, con uno sguardo privilegiato a quella parte di Asia in via di sviluppo che oggi, in gran parte, appartiene al gruppo ASEAN. In questo scenario la gestione delle acque, data la complessità di settori che coinvolge, è minacciata da nuove sfide. In particolare, al centro del dibattito saranno sempre più centrali la crisi sanitaria, il calo della crescita del Pil (sceso a una previsione del 4,3% per il secondo semestre 2021 nelle cinque economie più sviluppate del gruppo rispetto ad aprile dello stesso anno) e l’esacerbarsi dei fenomeni climatici estremi che stanno stravolgendo gli ecosistemi.

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