Min Aung Hlaing: Il generale che pensava di capire il “suo” popolo (ma si sbagliava)

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Lo scorso 8 novembre, giornata di elezioni semi-libere nella “democrazia disciplinata” birmana, Min Aung Hlaing, Comandante in Capo delle Forze Armate del Myanmar, si impegnò ad accettare la volontà popolare ed i risultati del voto. Meno di tre mesi dopo, però, un colpo di stato guidato dai militari ha portato all’arresto di Aung San Suu Kyi, leader del partito risultato vincitore alle elezioni, alla dichiarazione dello stato di emergenza e alla nomina del Comandante a Presidente del neocostituito Consiglio di Amministrazione dello Stato. Eppure, il sessantaquattrenne generale non è persona che cambia facilmente idea.

Min Aung Hlaing è nato nel 1956 a Tavoy, oggi Dawei, capitale del Tenasserim, regione all’estremo sud del Paese, al confine con la Thailandia, anticamente contesa dai regimi birmani e siamesi. Come scrive Le Monde, il generale non è dunque homme du sérail (‘uomo di palazzo’), ma, piuttosto, “un provinciale”, trasferitosi a Yangon a seguito del padre, impiegato ministeriale, e con il sogno di perseguire carriera militare. Min Aung Hlaing si iscrisse così alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Rangoon (ora Yangon) mentre preparava l’esame di ammissione alla prestigiosa Defense Services Academy, dove infine entrò nel 1974, al suo terzo tentativo.

I compagni di classe lo ricordano come un uomo di poche parole che preferiva mantenere un basso profilo. Silenziosamente, dunque, il futuro generale cominciò la sua scalata al vertice del Tatmadaw. La svolta arrivò nel 2002 con la nomina a responsabile militare dello Stato Shan, situato nel cuore del Triangolo d’Oro, dove viene prodotto l’82% dell’oppio birmano. Qui Min Aung Hlaing avrebbe imparato a trattare con i numerosi gruppi etnici che da decenni combattono tra loro e contro l’esercito birmano. L’offensiva del 2009 contro i ribelli cinesi-birmani del Kokang, zona auto-amministrata al confine con la Repubblica Popolare, gli fece guadagnare la fiducia di Than Shwe, l’uomo forte del Myanmar dal 1992 al 2011.

Proprio nel 2011, un po’ a sorpresa, il “vecchio” leader lasciò al “giovane” Min Aung Hlaing, “guerriero temprato dalle molte battaglie” ma anche “studioso serio e gentiluomo”, il comando dell’esercito nel momento in cui il Myanmar si preparava ad una transizione democratica. La costituzione del 2008 aveva messo al sicuro il ruolo del Tatmadaw di guardiano dell’unità nazionale e il Comandante in Capo era realisticamente l’uomo più potente del Myanmar”. Min Aung Hlaing era infatti in grado di scegliere personalmente i Ministri di difesa, interno, e questioni confinarie, nominare direttamente un quarto dei parlamentari, ed impedire ogni tentativo di limitare il proprio potere.

La Lega Nazionale per la Democrazia (LND), uscita vittoriosa dalle elezioni del 2015 (le prime libere dal 1990 dopo il primo tentativo “controllato” del 2010), dovette quindi scendere a patti con il generale, che, negli anni successivi, si presentava accanto ad Aung San Suu Kyi negli eventi ufficiali e instaurava relazioni con dignitari stranieri. La violenta repressione della minoranza musulmana dei Rohingya, nel 2016-2017, gli costò un’accusa di genocidio da parte del Consiglio ONU per i diritti umani ma aumentò la sua popolarità presso la maggioranza buddista del Paese. Prima di essere bloccato da Facebook, il suo profilo attirava centinaia di migliaia di likes e Min Aung Hlaing si era persuaso che avendo accesso alle “giuste informazioni” le persone avrebbero capito che l’esercito difendeva “i loro interessi”.

Quando le elezioni dello scorso novembre hanno decretato una vittoria schiacciante della Lega, tra le accuse di brogli da parte dell’esercito, si era parlato di un possibile compromesso che avrebbe portato Min Aung Hlaing alla presidenza. Quando questa eventualità non si è materializzata e l’LND ha deciso di non accettare condizioni, il Generale, convinto da tempo che “la storia del Paese non può essere separata dalla storia del Tatmadaw” ha deciso di valersi del diritto dell’esercito ad “assumere ed esercitare il potere sovrano dello Stato”. Nella prima intervista dopo il colpo di stato, concessa a fine maggio ad un’emittente cinese ad Hong Kong, Min Aung Hlaing ha confidato di essere stato un po’ sorpreso dalla mobilitazione del popolo: “Devo ammettere che non pensavo sarebbe stata così tanta”.

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