Riprendono le trattative UE-Thailandia mentre Bangkok si prepara alle elezioni

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L’UE ha recentemente ripreso le trattative con la Thailandia per la conclusione di un accordo di libero scambio, mentre Bangkok si prepara alle urne. I rapporti economici costituiscono una parte essenziale della strategia europea per l’Indo-pacifico.

Lo scorso 15 marzo la Commissione ha annunciato che le trattative per la conclusione di un accordo di libero scambio (ALS) con la Thailandia sarebbero riprese dopo uno stallo di quasi dieci anni. Nel 2014, appena un anno dopo il loro avvio, i negoziati erano stati sospesi in risposta al colpo di stato militare che aveva chiuso la crisi politica generata dallo scontro tra il Governo, guidato dalla famiglia del magnate ed ex primo ministro Thaksin Shinawatra, e l’establishment ultra-conservatore legato alla monarchia e all’esercito. Da allora, il Paese è guidato dai referenti politici dell’esercito che hanno riformato la Costituzione nel 2017, rafforzando i poteri del Re e blindando il controllo dei militari sul Senato (di loro nomina e non elettivo). In questo contesto, nel 2019 i partiti pro-esercito hanno vinto le elezioni e il Consiglio Europeo ha raccomandato di rilanciare la cooperazione con Bangkok e riprendere i negoziati per l’ALS “alla luce dei progressi compiuti dalla Thailandia nel processo di democratizzazione”. Pochi giorni fa, dopo l’annuncio della ripresa delle trattative per l’ALS, il primo ministro Prayut Chan-o-cha (al potere dal golpe del 2014) ha sciolto la Camera thailandese e avviato il processo che condurrà il paese alle urne tra pochi mesi.

La Storia è fatta di corsi e ricorsi, si dice, ma i parallelismi questa volta si sprecano. I negoziati erano stati fermati quando la democrazia thailandese era stata sospesa manu militari ed ora riprendono a pochi mesi da un test importante per le Istituzioni del Paese. E’ difficile però condividere l’ottimismo del Consiglio Europeo: tra il 2019 e oggi, Bangkok è stata agitata da intense proteste che chiedevano di ridimensionare il ruolo dell’esercito e della monarchia e maggiore democrazia, proteste che si sono gradualmente spente dopo la reazione repressiva delle forze ultra-conservatrici. Sembra legittimo chiedersi dunque se in Thailandia sia davvero in corso un “processo di democratizzazione”, come ritengono i leader europei. Per rispondere occorre guardare agli ultimi decenni di storia della “terra dei liberi”. Nel Paese si tengono con regolare frequenza elezioni, quasi sempre vinte sostenitori della famiglia Thaksin. La maggioranza parlamentare riesce a governare per alcuni anni, scontrandosi politicamente con i sostenitori dell’esercito e della monarchia, ma quasi mai riesce a concludere una legislatura. A quel punto, il governo in carica prova a forzare la mano andando ad elezioni anticipate, ma lo scontro politico-istituzionale si inasprisce e provoca l’intervento dell’esercito che rovescia il governo. I militari governano per alcuni anni e poi permettono che si tengano nuove elezioni, con nuove regole opportunamente modificate, nella speranza che i loro referenti politici prevalgano sulle forze pro-Thaksin, cosa che però non avviene quasi mai. Questo copione si è ripetuto con disarmante regolarità nel 2006 e nel 2014 e potrebbe ripetersi ora anche nel 2023.

In questo contesto, guardando allo stato di salute della democrazia thailandese, è difficile pensare che sia cambiato effettivamente qualcosa rispetto agli anni immediatamente precedenti al 2014. Cosa succederebbe ai negoziati dell’ALS se si ripetesse l’ennesimo colpo di stato a Bangkok? L’UE li fermerebbe ancora una volta? Si tratta di un dilemma non facile per i decision maker di Bruxelles e che si ripresenta spesso, specie nel Sud-Est asiatico, dove la politica commerciale si fa ancora più “politica”. Da un lato, liberalizzare gli scambi commerciali porta indubbi benefici economici per entrambe le parti. La Thailandia è la seconda economia dell’ASEAN e, al momento, il quarto partner regionale per l’Unione. Come per altri membri ASEAN, l’economia thailandese è molto promettente per i settori ad alta innovazione (energie rinnovabili, veicoli elettrici, semiconduttori e altri prodotti elettronici). Il Paese potrebbe diventare un fornitore chiave per le aziende europee, ma anche un mercato dove espandersi. Per un’economia orientata all’export come quella europea (e italiana), ridurre le barriere commerciali rappresenta quasi sempre un’ottima occasione di crescita e Bruxelles è intenzionata a rilanciare la sua strategia basata sugli ALS per provare a superare le difficoltà economiche causate dalla crisi energetica.

Ma la politica commerciale va oltre gli interessi economici. L’Europa deve fare anche delle considerazioni politiche che richiedono un non facile bilanciamento. Da un lato, approfondire i legami commerciali con dei Paesi a democrazia “intermittente” o “apparente” rischia di legittimare regimi autoritari e di compromettere lo standing internazionale di Bruxelles. Inoltre, la politica commerciale rimane una questione polarizzante tra gli elettori europei e gli Stati membri. Dall’altro, gli ALS contengono ormai stabilmente norme che impegnano i partner a cooperare nello sviluppo sostenibile (ossia economico, ma anche socio-politico e ambientale) e possono incidere positivamente nella crescita della società thailandese. La Commissione è ben conscia della delicatezza di tale bilanciamento e fa preparare, durante i negoziati di ciascun ALS, una valutazione d’impatto sulla sostenibilità al fine di poter meglio considerare le opportunità e i rischi legati alla liberalizzazione degli scambi.C’è però un’ulteriore aspetto politico da considerare per capire la scelta di Bruxelles. Nel 2021, l’UE ha lanciato la sua strategia per l’Indo-pacifico e rafforzare i legami (economici e politici) con la regione è diventato essenziale in questo nuovo contesto di crescenti tensioni internazionali. Il commercio diventa quasi “prosecuzione della politica con altri mezzi”. In particolare, per contenere il “rivale sistemico” cinese, a sua volta attivo nel rafforzare gli scambi commerciali con i Paesi ASEAN. Su questo piano, Bruxelles deve anche adattarsi allo scontro commerciale e tecnologico in corso tra Stati Uniti e Cina. Lo scenario politico è sempre più complesso, ma è anche foriero di opportunità economiche per i Paesi ASEAN che possono sostituirsi alle aziende cinesi nelle catene di approvvigionamento che finiscono in Europa e in America. Rimane però il rischio che i governi europei e americano, mossi dal desiderio di coinvolgere le democrazie asiatiche nella loro azione di contenimento delle potenze “autoritarie” (e nei loro accordi commerciali), finiscano per sottovalutare o, peggio, ignorare le difficoltà e i rischi affrontati dalle forze veramente democratiche di questi Paesi. Gli sviluppi futuri del caso thailandese saranno molto importanti per capire come Bruxelles intende risolvere questo dilemma.

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