Timor Est, dopo le elezioni si punta all’ingresso nell’ASEAN

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I cittadini della più recente democrazia asiatica hanno scelto Ramos-Horta come nuovo leader. Si tratta di un ritorno per il premio Nobel che vuole l’ingresso nell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico

Timor Est ha scelto il proprio Presidente: si tratta di José Ramos-Horta, premio Nobel per la Pace nel 1996 e figura chiave della Resistenza all’occupazione indonesiana (1975-1999). Già presidente tra il 2007 e il 2012, Ramos-Horta ha sfidato al ballottaggio il presidente uscente Francisco “Lu Olo” Guterres. È la quinta elezione per una delle democrazie più giovani d’Asia, e la prima in era post-pandemica. Non sono quindi poche le sfide che la nuova amministrazione dovrà affrontare, tra crisi economica e nuove turbolenze politiche nella regione. 

Elezioni a Timor Est: una panoramica

Timor Est, noto anche come Timor Leste o Timor Lorosa-e, è la prima democrazia asiatica a nascere nel XXI secolo. Il dominio coloniale portoghese è durato circa 400 anni fino all’indipendenza, dichiarata unilateralmente nel 1975. Un’indipendenza durata poche settimane, fino al 7 dicembre dello stesso anno. La leadership politica emergente si era progressivamente formata intorno alle forze indipendentiste di stampo socialista: l’allora Presidente indonesiano Suharto poté quindi giustificare l’invasione e la repressione degli est-timoresi appoggiandosi su una politica estera nazionalista e anticomunista. Nel 1999 un referendum supervisionato dalle Nazioni Unite confermò la richiesta di autonomia da parte dei cittadini di Timor Est. Solo nel 2002 arrivò l’indipendenza ufficiale, dopo quasi tre anni di ripercussioni da parte delle forze di occupazione.

Il ventesimo anniversario dell’indipendenza – il 20 maggio 2022 – sarà il giorno dell’inizio della nuova presidenza. L’elezione di Ramos-Horta conferma la prevalenza di figure chiave della Resistenza nel panorama politico di Timor Est. Non è una caratteristica indifferente in un paese dove solo il 33% circa della popolazione ha più di 30 anni. La maggior parte del 1,3 milioni dei cittadini, infatti, ha solo un’esperienza limitata della violenza degli anni dell’occupazione. Molto più familiari a molti est-timoresi sono, invece, un’economia e un mercato del lavoro stagnanti. Le condizioni di vita sono lentamente migliorate nel corso dell’ultimo decennio, ma il 42% della popolazione vive ancora in stato di povertà. Il sistema economico è esposto agli shock esterni in quanto poggia su pochi settori vitali. Al di fuori degli aiuti internazionali, la maggior parte delle entrate dipende da gas e petrolio, che costituiscono il 90% delle esportazioni totali (e vedono il coinvolgimento anche di imprese italiane come Eni). Anche il caffè è un bene che porta ricchezza nel paese, ma non abbastanza per stabilizzare un mercato del lavoro legato in buona parte all’economia informale.

Il futuro di Timor Est e l’ASEAN

All’alba dell’elezione a nuovo presidente di Timor Est, José Ramos-Horta ha fatto riferimento all’obiettivo nell’ingresso di Timor Est nell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN) entro il 2023. Una promessa pronunciata per la prima volta oltre dieci anni fa durante il primo mandato, quando venne sottoposta ufficialmente la candidatura di Dili all’entrata nel gruppo. L’anno prossimo la presidenza di turno passerà all’Indonesia e, come afferma il neoeletto presidente, entrare nell’ASEAN in quest’occasione “sarebbe un gesto altamente simbolico”. L’ingresso di Timor Est nel blocco è stato posticipato a più riprese perché parte dei Paesi membri giudica la sua economia ancora “troppo sottosviluppata”. 

I Paesi ASEAN che più hanno intrecciato rapporti con Dili sono Cambogia e Filippine. Manila viene spesso associata a Timor Est in quanto “sorella maggiore” tra le (poche) realtà di fede cattolica in Asia. Le forze armate filippine sono inoltre coinvolte negli affari est-timoresi dai tempi della transizione a repubblica indipendente e contribuiscono all’addestramento dell’esercito, insieme a Portogallo, Brasile e – in piccola parte – Stati Uniti. Phnom Penh ha una parziale influenza sulla politica estera est-timorese: negli ultimi anni Dili ha cercato i favori della Cambogia in vista della presidenza ASEAN nel 2022, ma anche il legame comune con la Cina ha spesso favorito l’allineamento dei due Paesi in diverse questioni internazionali (da ultimo, Phnom Penh ha spinto per l’astensione di Dili al voto Onu per la condanna del colpo di stato in Myanmar).

Il rapporto con la Cina è una delle chiavi per comprendere l’importanza di Dili sullo scacchiere asiatico. Analogamente ad altre piccole economie della regione, gli investimenti in arrivo da Pechino rappresentano un’opportunità di crescita fondamentale. Opportunità che parte dello stesso blocco ASEAN favorirebbe per non addossarsi i costi dello sviluppo di Timor Est. Ma la situazione è molto più complessa, e l’allargamento della Repubblica Popolare nei piccoli Paesi dell’Asia pacifico rimane un segnale d’allerta per la stabilità dell’area. La Cina è stata il primo paese ad avviare i rapporti diplomatici con il paese nel 2002 e da allora ha contribuito in larga parte agli investimenti necessari per la ripresa economica. Molte infrastrutture a Timor Est sono opera di imprese cinesi (tra cui i palazzi governativi e alcune strutture militari). E le opportunità non sono terminate con la ricostruzione: l’intero sistema portuale deve essere potenziato per aprire il Paese ai commerci internazionali, mentre sono ancora numerosi i bacini di petrolio e gas a non essere ancora stati scoperti e sfruttati.Infine, un fattore sempre più determinante per il destino di Timor Est sarà il cambiamento climatico. Il paese è soggetto a fenomeni climatici estremi che si stanno intensificando con il passare degli anni. Il solo Governo non possiede le risorse per prevenire e riparare i danni che alluvioni, terremoti e frane causano a economia e società. Tre quarti della popolazione dipendono da un’agricoltura di sussistenza: questo significherà, quindi, una maggiore vulnerabilità ai limiti della sopravvivenza. E, quindi, un crescente rischio in termini di indipendenza economica e politica.

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