Asean

La crescita tech dell’e-commerce in ASEAN

Il settore accelera la crescita, spinto dall’ascesa dell’intelligenza artificiale generativa e dal boom dei contenuti video che stanno trasformando il modo in cui i consumatori scoprono e acquistano prodotti

Di Tommaso Magrini

Negli ultimi anni, la regione del Sud-Est asiatico è diventata un laboratorio cruciale per l’evoluzione dell’economia digitale. Secondo il rapporto e-Conomy SEA 2025, realizzato da Google, Temasek Holding e Bain & Company, l’e-commerce nei mercati principali dell’ASEAN (Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore, Tailandia e Vietnam) dovrebbe registrare nel 2025 una crescita del 16% del suo valore lordo della merce (GMV), portandosi a 181 miliardi di dollari, rispetto ai 156 miliardi del 2024. 

Questa espansione non è guidata solo da un aumento della domanda tradizionale di beni online, ma bensì da trasformazioni profonde nella modalità di acquisto: il video commerce, ossia la vendita tramite livestreaming e brevi video, sta emergendo come un motore di crescita decisivo. Nel rapporto, si stima che il video commerce arrivi a rappresentare nel 2025 circa il 25% del GMV totale dell’e-commerce, un salto enorme rispetto a meno del 5 % nel 2022. 

Questo fenomeno è sostenuto da piattaforme social e situazioni live in cui i creatori possono vendere prodotti in tempo reale. App come TikTok, assieme a molti operatori locali, stanno permettendo a influencer e venditori di promuovere beni direttamente durante i video, integrando intrattenimento e shopping in modo sempre più fluido e naturale.

Ma il cambiamento non si ferma al video: l’intelligenza artificiale (IA) sta rimodellando l’esperienza di acquisto. I commercianti utilizzano strumenti di IA per fare raccomandazioni di prodotto più personalizzate, migliorare la gestione dell’inventario e ottimizzare la catena di approvvigionamento. Questo rende l’esperienza di shopping online più intuitiva e veloce, specialmente nei mercati mobili-first come quelli dell’ASEAN, dove molti utenti usano esclusivamente il cellulare. 

Il rapporto evidenzia inoltre che la crescita non è limitata solo all’e-commerce: l’intera economia digitale del Sud-Est asiatico continua a guadagnare slancio. Quando si combinano le attività di consegna di cibo, ride-hailing e viaggi online, l’economia digitale complessiva dell’ASEAN è prevista crescere del 15% nel 2025, toccando i 299 miliardi di dollari.

Un altro elemento strategico segnalato dal rapporto è l’evoluzione del settore pubblicitario digitale. L’advertising in formato video e basato su IA, così come le reti di retail media, sono tra i fattori trainanti dell’espansione del mercato media online. Secondo il documento di Temasek, Google e Bain, la domanda di formati pubblicitari più sofisticati è in crescita grazie alla maturazione del video commerce. 

Allo stesso tempo, la regione sta investendo pesantemente nell’infrastruttura che supporta l’IA. La capacità dei data center è destinata a crescere rapidamente per far fronte alla domanda crescente di calcolo. Google, Temasek e Bain segnalano che il boom dell’intelligenza artificiale sta già attirando molti investitori: nel primo semestre del 2025, oltre 2,3 miliardi di dollari sono stati investiti in startup AI nel Sud-Est asiatico, che rappresentano oltre il 30% dei finanziamenti privati nella regione.

Questa trasformazione digitale pone anche le piccole imprese in una nuova dinamica competitiva. Molti piccoli venditori nella regione sfruttano l’IA per personalizzare le proprie offerte, rispondere meglio ai clienti e ottimizzare i loro processi, soprattutto in un contesto dove il digitale è diventato essenziale alla loro sopravvivenza.

Nel frattempo, il settore dei pagamenti digitali e dei servizi finanziari embedded (come prestiti in app) sta maturando rapidamente. Secondo il report, dieci Paesi dell’ASEAN ora utilizzano sistemi QR nazionali unificati e otto hanno interoperabilità QR transfrontaliera. Questo significa che le piattaforme digitali non solo vendono prodotti, ma creano ecosistemi finanziari più integrati, offrendo soluzioni di credito, risparmio e investimenti. 

Tuttavia, nonostante il grande potenziale, ci sono anche rischi e sfide. L’adozione dell’IA può generare costi elevati per le piccole imprese che non dispongono delle risorse tecnologiche o competenze necessarie. Inoltre, la rapida crescita del video commerce richiede regolamentazioni adeguate per proteggere i consumatori da pratiche di vendita aggressive o poco trasparenti. Sul fronte infrastrutturale, il salto nella capacità dei data center deve essere gestito in modo sostenibile, considerando anche il consumo energetico e le esigenze ambientali.

Inoltre, emergono questioni normative ed etiche legate all’uso dell’IA: la raccolta di dati, la privacy degli utenti, i bias nei modelli di raccomandazione e la sicurezza delle transazioni sono tutti nodi che richiedono attenzione. Come sottolineato in altri contesti sull’intelligenza artificiale, un uso corretto e regolato dell’IA è fondamentale per garantire che i benefici tecnologici siano effettivi e inclusivi. 

In conclusione, il rapporto e-Conomy SEA 2025 disegna un quadro molto promettente per l’e-commerce nell’ASEAN: il settore sta entrando davvero “nell’era dell’IA”, e il video commerce rappresenta un’innovazione dirompente che cambia non solo come si compra, ma anche come i brand interagiscono con i consumatori. Se le imprese e i regolatori sapranno guidare questo cambiamento in modo equilibrato e sostenibile, il Sud-Est asiatico potrebbe consolidare la sua posizione di cuore pulsante dell’economia digitale globale.

Il bilancio del summit dell’ASEAN

Ingresso di Timor-Leste, cooperazione commerciale e tecnologica, accordo tra Thailandia e Cambogia: come è andato il vertice di Kuala Lumpur

Di Tommaso Magrini

Il 47° Summit dell’ASEAN, svoltosi a Kuala Lumpur dal 26 al 28 ottobre 2025, si è concluso con un bilancio che riflette la complessità del momento geopolitico e sociale del Sud-Est asiatico. Guidato dalla presidenza malese, l’incontro ha posto al centro il tema “Inclusivity and Sustainability”, un motto che ben sintetizza le ambizioni e le contraddizioni del blocco: da un lato la volontà di ampliare la partecipazione regionale e di rafforzare la cooperazione economica, dall’altro la necessità di affrontare le sfide legate alla sostenibilità, alla stabilità politica e alla gestione dei rapporti con le grandi potenze.

Tra i risultati più significativi emersi a Kuala Lumpur figura l’adesione ufficiale di Timor-Leste come undicesimo membro dell’ASEAN. Dopo anni di attesa e un lungo processo di valutazione, l’ingresso di Dili rappresenta un passo storico: per la prima volta dal 1999 il blocco si espande, includendo un paese giovane e ancora fragile, ma simbolicamente importante. La decisione è stata accolta con favore da tutti i leader presenti, che hanno sottolineato l’importanza dell’inclusività come principio fondante dell’associazione. Tuttavia, diversi osservatori hanno messo in guardia sul fatto che l’integrazione effettiva di Timor-Leste richiederà tempo, risorse e una chiara strategia di sostegno, per evitare che la nuova adesione resti un gesto più politico che operativo.

Sul piano economico, il summit ha evidenziato una forte attenzione verso la cooperazione commerciale e tecnologica, in particolare con la Cina. A margine dell’incontro è stato firmato l’aggiornamento dell’accordo di libero scambio Cina-ASEAN (versione 3.0), che introduce nuove aree di collaborazione come la digital economy, la green economy e il settore farmaceutico. Si tratta di un segnale importante della volontà dell’ASEAN di rinnovare la propria strategia di crescita, puntando su transizione verde, innovazione e infrastrutture sostenibili. Parallelamente, sono stati rilanciati i progetti legati alla Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), l’enorme accordo commerciale che coinvolge anche Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. Tutti questi elementi confermano l’obiettivo di consolidare l’ASEAN come un polo dinamico nel commercio globale e un attore capace di attrarre investimenti strategici, senza rinunciare alla propria autonomia.

L’altro grande capitolo del vertice ha riguardato la diplomazia e la sicurezza regionale. La questione del Myanmar è rimasta al centro dell’attenzione: i leader hanno approvato un documento di revisione del cosiddetto Five-Point Consensus, riaffermando l’impegno per una soluzione pacifica della crisi, la protezione dei civili e la ripresa del dialogo politico. Tuttavia, dietro la facciata unitaria, persistono divisioni sulla reale capacità dell’ASEAN di influenzare la giunta militare e di ottenere risultati concreti. L’organizzazione continua a trovarsi in una posizione difficile, stretta tra il principio di non interferenza negli affari interni e la crescente pressione internazionale per un ruolo più incisivo.

Sul fronte delle relazioni bilaterali, la presidenza malese ha annunciato la firma del Kuala Lumpur Accord tra Thailandia e Cambogia, un’intesa che mira a disinnescare le tensioni di confine e a favorire la creazione di una missione di osservatori regionali. È un passo che rafforza l’immagine dell’ASEAN come piattaforma di mediazione e dialogo, anche se resta da verificare la reale attuazione delle misure previste. In più, la discussione sul concetto di ASEAN Centrality – cioè il ruolo del blocco come attore autonomo nell’Indo-Pacifico – ha attraversato tutto il summit. I leader hanno insistito sull’importanza di mantenere una posizione di equilibrio tra le grandi potenze, evitando di schierarsi apertamente né con gli Stati Uniti né con la Cina, ma cercando di affermare una visione asiatica della sicurezza e dello sviluppo.

In questo senso, uno degli aspetti più positivi emersi dal summit è la rinnovata capacità dell’ASEAN di dialogare con tutti. Kuala Lumpur ha ospitato, nel corso dei tre giorni, una fitta rete di incontri bilaterali e multilaterali con partner come Stati Uniti, Cina, Giappone, Corea del Sud, India, Australia, Unione Europea e Regno Unito. La presidenza malese ha saputo mantenere un equilibrio diplomatico che pochi altri fori regionali riescono a garantire: da un lato ha valorizzato il legame storico con Pechino, dall’altro ha accolto con apertura le istanze occidentali su sicurezza marittima, sostenibilità e diritti umani. Questo approccio pragmatico e multilaterale conferma la vocazione dell’ASEAN a fungere da ponte tra Oriente e Occidente, da piattaforma di dialogo capace di ridurre tensioni e favorire convergenze. In un momento in cui la competizione strategica tra grandi potenze si fa sempre più accesa, la capacità del blocco di mantenere relazioni costruttive con tutti gli attori rappresenta un patrimonio prezioso e, forse, uno dei suoi principali punti di forza.

Nonostante gli elementi di progresso, il vertice ha anche messo in luce le fragilità interne dell’ASEAN. Le differenze tra i paesi membri in termini di sviluppo economico, governance e capacità amministrativa restano profonde. La stessa adesione di Timor-Leste, se da un lato arricchisce la legittimità politica del blocco, dall’altro accentua le disparità, poiché il piccolo Stato necessita di un ampio supporto tecnico e finanziario per allinearsi agli standard regionali. Inoltre, la credibilità dell’ASEAN sulla crisi del Myanmar rimane messa in discussione: la revisione del Five-Point Consensus è apparsa più come una riaffermazione di principio che come un vero cambio di passo.

In prospettiva, il summit di Kuala Lumpur delinea un’organizzazione che vuole rinnovarsi, ma che è ancora alla ricerca di un equilibrio tra ambizioni e realtà. L’ASEAN del 2025 si presenta come un blocco che tenta di coniugare sviluppo sostenibile, apertura economica e stabilità politica, ma che deve affrontare tensioni interne, sfide istituzionali e una competizione geopolitica sempre più intensa nell’Indo-Pacifico. La presidenza malese, che ha guidato con equilibrio un summit logisticamente impeccabile e diplomaticamente solido, lascia in eredità ai prossimi vertici un’agenda ambiziosa: rendere l’ASEAN non solo più inclusiva, ma anche più incisiva e credibile sul piano internazionale.

Nel complesso, il bilancio del summit del 26-28 ottobre 2025 è quello di un’ASEAN in transizione, consapevole della propria centralità ma chiamata a dimostrarla con fatti concreti. Inclusività, sostenibilità e autonomia strategica restano le parole d’ordine, ma la loro realizzazione dipenderà dalla capacità dei leader regionali di tradurre gli accordi di Kuala Lumpur in azioni coordinate e durature. Se saprà mantenere la sua tradizionale arte del dialogo, l’ASEAN potrà continuare a rappresentare una rara voce di equilibrio e cooperazione in un mondo sempre più polarizzato.

ASEAN, Timor Leste nuovo membro. Amb. Pipan: “Segnale di pace e sviluppo”

Durante il vertice di Kuala Lumpur, la piccola repubblica indipendente dal 2002 è diventata l’undicesimo appartenente al gruppo dei Paesi del Sud-Est asiatico

“L’adesione della piccola repubblica di Timor Leste segna un momento importante per il Paese e per l’intero ASEAN”. L’Ambasciatore Michelangelo Pipan, Presidente dell’Associazione Italia-ASEAN, commenta così l’ammissione di Dili nell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico, formalizzata durante il summit in corso a Kuala Lumpur. “Timor Leste, dopo gli anni dolorosi dell’occupazione indonesiana e l’indipendenza faticosamente conquistata nel 2002, raggiunge un livello internazionale che le dà prestigio e le consente di far parte di un’organizzazione regionale che certamente le offre una cintura di protezione e le conferisce autorevolezza”, prosegue Pipan. “Per l’ASEAN si tratta di un allargamento significativo che dimostra la fondatezza delle sue ragioni di pace, tolleranza e progresso”.

Si tratta della prima espansione del gruppo dagli anni ’90. “È un sogno che si realizza, ha dichiarato il primo ministro Xanana Gusmão agli altri leader, mentre la bandiera di Timor Leste veniva aggiunta alle altre dieci sul palco durante la cerimonia ufficiale. Per Timor Leste, l’adesione all’ASEAN offre accesso agli accordi commerciali del blocco, opportunità di investimento e un mercato regionale sempre più vasto e dinamico. Ma l’arrivo dell’undicesimo membro ha anche un significato più ampio, come spiega l’Ambasciatore Pipan.

“In un momento intriso di forti tensioni internazionali, nel Sud-Est asiatico con l’adesione di Timor Leste si corona un lungo periodo di ricerca della pace attraverso il dialogo e l’accettazione della diversità”, dice il Presidente dell’Associazione Italia-ASEAN. “Dopo le ferite del passato, i Paesi ASEAN sono ora piu che mai impegnati, attraverso la cooperazione interna e la apertura senza riserve al mondo, verso la pace, lo sviluppo e la costruzione economica e sociale”, conclude Pipan.

In arrivo altri accordi commerciali tra UE e ASEAN

Dopo l’intesa siglata con l’Indonesia, Bruxelles punta a concludere altri negoziati. Nel 2026 si potrebbe chiudere con Thailandia, Filippine e Malesia

Di Alessandro Forte

Il 23 settembre 2025 aggiunge un altro tassello al longevo e complesso puzzle di relazioni bilaterali tra l’Unione Europea e i Paesi ASEAN: la presidente della Commissione Von der Leyen ed il Presidente Indonesiano Subianto hanno chiuso un accordo di libero scambio (FTA) e protezione degli investimenti (IPA) dopo nove anni di negoziati, in attesa di un consenso formale da parte degli Stati Membri e Parlamento Europeo. Tale intesa si inserisce all’interno di un ben più ampio quadro politico e commerciale per Bruxelles, che vede nella regione un solido partner economico, ma soprattutto un’opportunità strategica. L’ASEAN, infatti, non solo si conferma terzo partner commerciale per l’Unione nel 2024, con un interscambio di beni pari a €258.7 miliardi (9,6% del commercio totale dell’organizzazione asiatica), ma anche uno snodo manifatturiero e logistico cruciale per l’accesso all’area indo-pacifica, ponte fra economie avanzate ed in via di sviluppo, ed hub in filiere chiave – tra cui elettronica ed automotive. 

In questo contesto, Jakarta e Bruxelles hanno concordato di rimuovere dazi su più del 90% dei prodotti appena dopo l’entrata in vigore dell’accordo, inclusi i dazi al 50% sulle auto provenienti dall’UE, che andranno incontro ad una graduale rimozione entro 5 anni; il presidente indonesiano, a questo proposito, si dice fiducioso che queste condizioni portino a raddoppiare l’interscambio commerciale fra i due attori nel primo quinquennio. 

Inoltre, l’accordo appena sancito è il terzo traguardo che premia l’approccio bilaterale dell’Unione verso i paesi ASEAN; difatti, dopo il tentativo nel 2007 di negoziare un accordo intraregionale, il processo si è arenato e sospeso nel 2009, a causa dell’eterogeneità regolatoria interna ai diversi paesi del Sud-est asiatico. Questo, tuttavia, non ha impedito a Bruxelles di siglare accordi di libero scambio con Singapore nel 2019 – con un IPA in attesa di ratifica – e Vietnam nel 2020, aprendosi ad una maggiore diversificazione di prodotti e servizi nella regione. Da un punto di vista strategico, il binomio Singapore – Indonesia, quali rispettivamente campione dei servizi, e grande potenza demografica produttrice di materie prime, lancia inevitabilmente un segnale positivo per i negoziati rimasti in panchina. 

Per la Thailandia, hub automotive dell’ASEAN, il precedente indonesiano sullo smantellamento progressivo dei dazi nel settore costituisce un facilitatore regolatorio, riducendo l’incertezza degli investimenti e aprendo ad una più realistica e larga integrazione delle catene del valore a livello regionale; per la Malesia, seconda produttrice mondiale di olio di palma, proprio dietro Jakarta, la rimozione di dazi da parte di Bruxelles sul prodotto apre ad uno scenario più appetibile sul tavolo dei negoziati, fermo restando il mantenimento degli standard europei su sicurezza alimentare e sostenibilità; per le Filippine, i cui servizi costituiscono il 63,2% del PIL, un accordo di libero scambio sulla falsa riga dell’intesa con Singapore porterebbe interoperabilità nei servizi digitali, procedure più snelle per licenze e pagamenti, e cornici comuni per fintech e open banking, rendendo più immediato l`accesso degli operatori filippini al mercato UE.

Resta ancora una domanda aperta: ha ancora senso un accordo regionale UE-ASEAN? La risposta breve è sì, ma non nell’immediato. Tuttavia, la via bilaterale non è da intendersi come alternativa ad un accordo intraregionale, ma come una strada pragmatica per allineare, passo dopo passo, gli accordi con gli altri paesi del Sud-Est asiatico, costruendo una cornice più ampia che riduce i costi di conformità per le imprese, e rafforza l’integrazione tra i Paesi ASEAN. Questo, nel medio-periodo, potrebbe senz’altro creare terreno fertile per un’intesa regionale credibile. Il contesto globale, oltretutto, spinge nella stessa direzione: tra gli aumenti tariffari statunitensi, e le persistenti dipendenze dal mercato cinese, per UE e ASEAN la diversificazione delle catene del valore non è più un’opzione, ma una necessità strategica. Da qui, l’urgenza di trasformare i progressi bilaterali in una tabella di marcia condivisa, con obiettivi concreti e tempi definiti.

Indo-Pacifico? Per l’Italia significa soprattutto ASEAN

La particolarità più significativa dell’approccio italiano all’Indo-Pacifico risiede nella profondità con cui si punta a estendere le relazioni coi Paesi del Sud-Est Asiatico: quasi un unicum in Europa

Di Emanuele Ballestracci

Quando nel 2008 l’amministrazione Obama inaugurò una nuova era della politica estera americana con l’ormai celebre formula del “Pivot to Asia”, pochi avrebbero immaginato che poco più di un decennio dopo anche l’Europa ne avrebbe in parte seguito i passi. La regione dell’Indo-Pacifico – la cui precisa delimitazione geografica varia a seconda dei parametri adottati da ciascun attore – si colloca infatti sempre più al centro degli interessi strategici dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri. Dal 2018, anno della pubblicazione della strategia francese per l’Indo-Pacifico, tali interessi si sono tradotti in documenti programmatici elaborati dai governi europei. Paesi Bassi, Germania, Regno Unito, Repubblica Ceca e Lituania, nonché la stessa Unione Europea, hanno infatti seguito l’esempio francese. L’Italia, invece, ancora priva di una strategia ufficiale, ha avviato nel 2023 i lavori parlamentari per definirla.

Sebbene non disponga ancora di principi codificati organicamente e non possieda risorse paragonabili a quelle di potenze con presenza stabile come Regno Unito e Francia, l’impegno italiano nell’Indo-Pacifico ha nondimeno contribuito a posizionare Roma come partner credibile per gli attori regionali. Da oltre quindici anni l’Italia ha infatti approfondito i propri legami con la regione seguendo un approccio multidimensionale e costante, nonostante la proverbiale discontinuità dei suoi esecutivi.

Un punto di svolta fondamentale nella traiettoria indo-pacifica dell’Italia è giunto nel 2007, quando Roma è entrata a far parte del Pacific Islands Forum come Dialogue Partner – dopo Francia e Regno Unito, ma prima di Germania e Spagna. Da allora, l’Italia ha ampliato una rete di partnership strategiche con gli storici alleati regionali: con la Corea del Sud nel 2018 e con India e Giappone nel 2023, cui sono seguiti nel 2024 i Piani d’Azione Strategici Congiunti con Nuova Delhi e Tokyo. Nel 2019 ha inoltre aderito all’Indian Ocean Rim Association (IORA) come Dialogue Partner, uno dei soli tre Paesi europei a farlo.

Sul piano della difesa, la cooperazione industriale e quella militare sono emerse come ambiti cruciali, in particolare con il lancio nel 2022 del Global Combat Air Programme (GCAP), un partenariato trilaterale con Regno Unito e Giappone per lo sviluppo di un caccia di sesta generazione. Negli ultimi dieci anni, la Marina Militare ha inoltre effettuato regolari missioni nell’area: la fregata Carabiniere nel 2017, l’ITS Morosini nel 2023, l’ITS Montecuccoli e gli F-35A in Giappone nel 2024, e l’ITS Antonio Marceglia nel 2025. A ciò si aggiunge la partecipazione italiana alla Operazione AGENOR – l’iniziativa europea di sicurezza marittima nello Stretto di Hormuz – dal luglio 2022 al gennaio 2023, assumendo il comando e contribuendo con due fregate e assetti aerei.

La particolarità più significativa dell’approccio italiano risiede tuttavia nella profondità con cui Roma ha esteso le proprie relazioni con i Paesi del Sud-Est Asiatico, quasi un unicum rispetto agli orientamenti di altri Paesi europei come Paesi Bassi e Germania. Quest’ultimi tendono infatti a enfatizzare la cooperazione con “like-minded partners” — Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud, India e Australia — per ampliare la propria presenza regionale, mentre il Regno Unito fa ampio affidamento su forum minilaterali che escludono l’ASEAN.

L’Italia ha invece rafforzato in modo significativo il proprio impegno con il Sud-Est asiatico, avviando collaborazioni e consolidando partnership su più livelli. Memoranda of Understanding di natura economica sono stati firmati con Indonesia e Thailandia, mentre nel 2020 Roma è diventata ASEAN Development Partner. Le imprese italiane hanno inoltre collaborato con Vietnam, Indonesia e Thailandia nella fornitura di macchinari e attrezzature industriali per la modernizzazione manifatturiera, oltre a sviluppare progetti con Filippine e Malaysia nei settori delle energie rinnovabili e della transizione climatica. L’ASEAN è stata inoltre identificata come priorità strategica nel “Piano d’Azione per le Esportazioni Italiane nei Mercati Extra-UE ad Alto Potenziale” presentato nel giugno 2025, con le esportazioni italiane che hanno raggiunto 10,7 miliardi di euro nel 2024: una crescita del 10,3% rispetto all’anno precedente.

In questo quadro, il rafforzamento dei legami con la Malaysia costituisce un tassello emblematico: la visita del primo ministro Anwar Ibrahim a Roma nel luglio 2025, culminata in un vertice con la premier Giorgia Meloni, ha sancito l’evoluzione delle relazioni con Putrajaya in partnership strategica. I rapporti italo-malaysiani si sono infatti consolidati su tutti i livelli, grazie anche al contributo del settore privato e dei giganti italiani come Leonardo, Fincantieri ed Eni. Inoltre, le relazioni con l’Indonesia hanno registrato un’altrettanta significativa crescita: nel 2024 il Paese è divenuto il principale importatore di armamenti italiani, con acquisizioni per 1,25 miliardi di euro e un contratto storico con Fincantieri e Leonardo per due pattugliatori multiruolo. Sono inoltre circolate indiscrezioni su possibili nuovi accordi, tra cui la vendita della portaerei Garibaldi.

L’approfondimento delle relazioni con i Paesi ASEAN costituisce quindi un architrave del rinnovato interesse italiano verso l’Indo-Pacifico. Parallelamente alla cooperazione con i partner tradizionali, Roma ha infatti saputo rafforzare significativamente i rapporti con le capitali del Sud-Est asiatico a livello diplomatico, economico e di difesa. Tale approccio differisce da altri attori europei, nonostante UE e ASEAN siano accomunati dal supporto a principi quali multilateralismo e centralità del diritto internazionale. 

Il futuro del fotovoltaico ASEAN

L’industria solare del Sud-Est asiatico sta affrontando grandi sfide dopo l’imposizione di pesanti dazi statunitensi. Per trasformarle in opportunità, l’ASEAN deve diversificare i mercati di esportazione e rafforzare la domanda interna

Di Fabrizio Bottara

Quando gli Stati Uniti hanno inflitto tariffe senza precedenti ai pannelli e alle celle solari provenienti da Cambogia, Vietnam, Thailandia e Malesia, è scattato un campanello d’allarme per l’intero settore del Sud-est asiatico: se l’export continua a dipendere eccessivamente dal mercato statunitense, l’intera filiera rischia fragilità e shock economici difficilmente assorbibili. Le tariffe hanno già avuto un impatto profondo e distributivo nelle esportazioni verso gli Stati Uniti. Cambogia, Vietnam e Thailandia sono in prima linea nelle contestazioni, mentre il quadro complessivo del settore è stato stravolto. “Questa svolta commerciale impone un cambio di paradigma”, secondo un editoriale pubblicato su Nikkei da Huang Yijia e Yan Bowen, ricercatori presso l’Asia Competitiveness Institute della Lee Kuan Yew School of Public Policy, National University of Singapore. In alcune aree, le grandi imprese cinesi che avevano delocalizzato produzione in ASEAN per aggirare i dazi hanno già anticipato la crisi, spostandosi in regioni meno penalizzate, come Indonesia o Laos, o perfino riportando parte della produzione negli Stati Uniti. Per il settore solare dell’ASEAN, si tratta di un aspetto di cui tenere conto: il modello costruito sulla facilità d’accesso al mercato statunitense non è più sostenibile. I Paesi del Sud-Est asiatico pensano dunque alle possibili strade con cui indirizzare il settore affinché possa emergere più forte e resiliente. Riorientarsi verso mercati emergenti come Europa, Giappone, Australia può mitigare l’urto dell’export verso gli USA. Non solo: sviluppare la domanda interna in ASEAN, favorendo l’installazione locale di sistemi solari, può sostenere la filiera, creare occupazione e consentire maggiore autonomia strategica. Un’azione coordinata tra i Paesi ASEAN può far emergere economie di scala e modelli distributivi più efficienti. L’idea di una Asean Power Grid – una rete elettrica regionale – può dare impulso alla condivisione delle risorse rinnovabili e migliorare la sicurezza energetica. Con meno sbocchi verso gli USA, parte dell’industria può trovare uno sbocco per il suo eccesso di offerta nei mercati interni ASEAN, riducendo i costi di trasporto e accelerando la transizione energetica regionale. Secondo gli analisti, la dipendenza da componenti cinesi può essere mitigata sviluppando capacità locali di R&S, producendo componenti ad alto valore e avanzando verso sistemi completi di clean tech. È un percorso che richiede investimenti, ma potenzialmente in grado di innalzare l’intero comparto. Molte aziende del settore, soprattutto le più piccole, rischiano la chiusura. Necessiteranno di supporto pubblico e privato per riallocarsi o ristrutturarsi, ad esempio puntando su nuovi mercati regionali o sviluppando soluzioni “chiavi in mano”. La conseguenza è chiara: il vento protezionista che ha colpito l’export solare dell’ASEAN verso gli Stati Uniti è un campanello urgente di allarme. Ma può essere trasformato in opportunità – se il settore saprà: diversificare i mercati, rafforzare la domanda interna e regionale, spingere sull’innovazione, cooperare come blocco politico-economico e trasformare l’eccesso di capacità in nuovi servizi per il mercato domestico. Il settore solare dell’ASEAN ha oggi l’opportunità di elevarsi e diventare un motore di transizione energetica, autonoma e sostenibile dentro i suoi confini, con una proiezione attenta e diversificata verso l’esterno.

L’Università di Brescia ospita il Plenary Meeting di ASEA UNINET. Attesi oltre 100 delegati da Europa e Sud Est Asiatico per il summit dedicato a cooperazione accademica, diplomazia e scenari globali per uno sviluppo sostenibile

Domani la cerimonia di inaugurazione nel Salone Vanvitelliano di Palazzo Loggia. Il meeting è in programma fino a venerdì 12 settembre

Brescia, 8 settembre 2025 – Prendendo ispirazione dal processo di riconciliazione tra Timor Est e Indonesia, esempio virtuoso di diplomazia regionale, la collaborazione accademica tra Europa e Sud Est Asiatico si candida oggi a diventare un motore di pace e di sviluppo sostenibile in un contesto geopolitico sempre più frammentato. È anche su questo tema che si concentra la riunione plenaria di ASEA UNINET – acronimo di Asean-European Academic University Network – la rete di Università europee e del sud-est asiatico che dal 1994 promuove la continua internazionalizzazione nell’alta formazione e nella ricerca.

Al meeting, in programma a Brescia da oggi, lunedì 8, fino a venerdì 12 settembre, sono attesi oltre centoventi delegati europei ed asiatici, chiamati a discutere sul tema della collaborazione scientifica, in particolare nei campi: Digital Humanism and Arts in Academia, Ocean Sciences and Climate Change, Renewable Energy, Global Health and Sustainable Food Production ed Ecological Economics/Bioeconomy.

La cerimonia di inaugurazione, aperta alla comunità accademica, si tiene domani, martedì 9 settembre, nel Salone Vanvitelliano di Palazzo della Loggia. Insieme a dirigenti, autorità e diplomatici della rete, intervengono per i saluti istituzionali la Sindaca Laura Castelletti, il Rettore Francesco Castelli e il Presidente di ASEA UNINET e Prorettore alle politiche di internazionalizzazione dell’Università degli Studi di Brescia, Roberto Ranzi.

Originariamente composta da esponenti di Austria, Indonesia, Thailandia e Vietnam, la rete ASEA UNINET include oggi oltre 90 università provenienti da 16 paesi, compresi Italia, Malaysia, Myanmar, Cambogia, Cechia, Germania e Filippine, insieme a una università associata dal Pakistan. Grazie al rapporto di collaborazione tra gli Atenei coinvolti, la Rete assegna borse di studio per lauree magistrali, dottorato e post-dottorato a studenti e ricercatori e organizza workshop internazionali, conferenze, summer/winter schools ed eventi di networking, questi ultimi spesso in stretta cooperazione con ambasciate e rappresentanti della politica e dell’economia. I progetti di ricerca ASEA-UNINET sono interdisciplinari e spaziano dalle Scienze Naturali, Tecnologie, Economia, Scienze Sociali e Umanistiche fino a Medicina e Farmacia. Oltre al focus scientifico dell’ASEA-UNINET, la rete è caratterizzata dai contatti individuali che si creano tra i suoi partecipanti. Non a caso si parla della “famiglia” ASEA-UNINET.

I paesi ASEAN ospitano l’8% della popolazione mondiale e generano il 7.2% del GDP mondiale e stanno assumendo un ruolo sempre più importante negli scambi culturali ed economici per l’Europa, l’Italia e anche per il territorio bresciano.

Alla conferenza stampa di questo pomeriggio in Rettorato sono intervenuti:

Prof. Francesco Castelli

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Descrizione generata automaticamenteRector of the University of Brescia

Full Professor of Infectious Diseases at the Department of Clinical and Experimental Sciences. After his University Degree in Medicine at the University of Pavia he obtained there the Specialty Diploma in Infectious Diseases and the Specialty Diploma in Tropical Medicine at the University of Milan. He is Chairholder of the UNESCO Chair “Training and Empowering Human Resources for health development in resource-limited countries” and member of the Technical Advisory Group on Health, Migration and Displacement. He heads the Division of Infectious Diseases at Spedali Civili di Brescia. He is the main Author of 450 publications on peer-reviewed journals in HIV infections, tropical, travel-related and imported infections, and global health.

Prof. Roberto Ranzi, PhD

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Descrizione generata automaticamenteVice Rector for International Affairs at the University of Brescia, President of ASEA UNINET

Full Professor of Hydraulic Structures and of River basin monitoring and restoration at the University of Brescia, Italy where he is also Vice Rector for International Affairs. He obtained his PhD in Water Engineering at Politecnico di Milano. He was awarded the Certificate of Merit by the Viet Nam Ministry of Foreign Affairs, by the Ministry of Education and Training and the Ministry of Agriculture and Rural Development in 2019. He Chairs the Technical Committee of Climate Change Adaptation in IAHR. He acts as President of the ASEA UNINET University network.

Prof. Gabriele Kotsis, PhD

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Descrizione generata automaticamenteHead of the Department of Telecooperation at JKU Linz, Austria’s National Coordinator for ASEA-UNINET

Full Professor of Computer Science at Johannes Kepler University Linz (JKU), Austria, where she heads the Department of Telecooperation. She earned her PhD from the University of Vienna in 1995 with distinction. From 2007 to 2015, she served as Vice-Rector for Research at JKU Linz, where she was responsible for shaping and advancing the university’s research strategy. She served as President of the Association for Computing Machinery (ACM) from 2020 to 2022. Since 2016, Gabriele Kotsis has acted as Austria’s National Coordinator for ASEA-UNINET.

«It is a great honour for the ASEA-UNINET community to be invited to Brescia for our 20th Plenary Meeting.

This gathering represents the strength of our network—a vibrant partnership between European and

Southeast Asian universities, dedicated to advancing education, research, and academic exchange. As

Austria’s National Coordinator and as a long-standing advocate for international collaboration, I firmly believe

that the projects we foster through ASEA-UNINET not only enrich our institutions but also build bridges of

innovation and understanding across continents. Together, we can achieve greater impact—through joint

research initiatives, mobility programmes, and funding schemes that empower both faculty and students. I

look forward to our shared discussions and the opportunities that lie ahead in deepening our cooperative

efforts».

Assoc. Prof. Dr. Mohamad Farizal bin Rajemi

Immagine che contiene Viso umano, persona, sorriso, Fronte

Descrizione generata automaticamenteUniversiti Utara Malaysia, Vice-President and Regional Coordinator for South-East Asia in ASEA UNINET

Dr Mohamad Farizal RAJEMI is an Associate Professor at the School of Management Technology and Logistics, Universiti Utara Malaysia. Dr. Rajemi earned his doctorate and master’s degree in mechanical engineering from the University of Manchester. The topic of “sustainable and green manufacturing” is his principal area of research interest. From 2016 to 2019, he served as the Director of the UUM Centre for International Affairs & Cooperation the Dean for Student Affairs Presently, he holds the position of Vice President/Asia Regional Director for the ASEA UNINET.

«ASEA-UNINET was established in 1994 by universities from Austria and Southeast Asia Universities from Indonesia, Thailand, and Vietnam. It has now expanded to include other ASEAN countries: Malaysia, the Philippines, Laos, and Myanmar. The support of ASEA-UNINET through various financing initiatives has aided ASEAN members in cultivating new talent in research. This assists ASEAN universities in advancing research and innovation. Joining ASEA-UNINET significantly benefits the universities.
The exemplary leadership of ASEA-UNINET president, Professor Roberto Ranzi from the University of Brescia, has fortified the research collaboration between the two continents. I, as the current Vice President of ASEA-UNINET, wish to commend Professor Roberto for his exemplary leadership. I am confident that the research collaboration would thrive and provide advantages to the member universities in ASEAUNINET».

Europa e ASEAN unite per il multilateralismo

Il discorso dell’Ambasciatore Michelangelo Pipan, Presidente dell’Associazione Italia-ASEAN al 20° incontro dell’ASEAN – European Academic University Network

Si svolge a Brescia la ventesima edizione della riunione plenaria dell’ASEAN – European Academic University Network, che ha come titolo “Per uno sviluppo pacifico e sostenibile”. In un fitto programma di incontri che si snoda fino a venerdì 12 settembre, si parlerà di cooperazione tra Europa e ASEAN, a partire dal fronte accademico. Nella cerimonia di apertura di martedì 9 settembre è intervenuto l’Ambasciatore Michelangelo Pipan, il Presidente dell’Associazione Italia-ASEAN. Riportiamo di seguito il testo del suo keynote address

***

Permettetemi innanzitutto di ringraziare il Rettore dell’Università di Brescia per l’invito e di congratularmi con il vostro gruppo per la lungimirante e necessaria iniziativa di dedicare la vostra attenzione alla promozione delle relazioni tra Europa e ASEAN. Ho visitato il vostro sito web e sono rimasto molto colpito dalla lunga lista di progetti, sia completati che in corso, sviluppati in un’ampia gamma di settori. Ho inoltre notato con apprezzamento il tema che avete scelto per questo 20° incontro plenario. Non posso che congratularmi e rallegrarmi per il vostro profondo impegno nel perseguire qualcosa che considero di fondamentale importanza per gli interessi condivisi di Europa e ASEAN e dei loro Paesi membri: vale a dire promuovere l’interazione e la reciproca conoscenza, così da rafforzare le relazioni, anche al di là del mondo accademico, in ogni possibile ambito. Vi è in questo un ampio spazio d’azione e grande valore. Come vedrete, queste poche parole possono servire bene da introduzione, e perfino da sintesi, del senso essenziale del discorso che mi accingo a pronunciare.

Mi è stato chiesto di illustrare le mie opinioni sulle prospettive delle relazioni ASEAN–Europa. Le prospettive dipendono in sé da un insieme di variabili, sia interne, proprie dei protagonisti, sia esterne, legate al contesto generale. Entrambe variano nel tempo, a seconda di molti fattori. In anticipo, posso affermare che in questo particolare momento considero tali prospettive più favorevoli che mai, ed è compito delle parti cogliere l’opportunità quando si presenta e impegnarsi a trarne il massimo.

Rivolgiamo ora la nostra attenzione al quadro generale e consideriamo quelle condizioni globali. Guardando alla situazione geopolitica mondiale, non possiamo non notare che stiamo vivendo tempi senza precedenti, e che questo incontro avviene in un contesto internazionale straordinario.

Siamo tutti consapevoli che dall’inizio dell’anno il mondo sta cercando di affrontare una situazione in continuo cambiamento, inattesa e insolita, carica di presagi minacciosi per l’ordine mondiale e persino per la pace. Come spesso accade in questi casi, però, non mancano le opportunità.

I fondamenti dell’ordine economico internazionale sono stati scossi, se non rovesciati; il commercio mondiale sta precipitando nel disordine e nella frammentazione; le catene di approvvigionamento vengono riorganizzate, mentre il cambiamento climatico incombe come una sfida esistenziale che può essere affrontata solo attraverso gli sforzi comuni della comunità internazionale—una visione condivisa oggi ancora più complessa da raggiungere. Questa —e sottolineo questo punto— sarà la situazione anche se l’amministrazione americana rivedesse completamente la sua posizione. Tutto ciò ovviamente non ha limitato i suoi effetti alla sola sfera economica (non avrebbe potuto) e, mentre osserviamo con preoccupazione la situazione spesso drammatica, non possiamo che sperare che alla fine prevalgano la ragione e la moderazione.

Con questa premessa, Europa e ASEAN hanno certamente nel loro DNA molto da offrire alla comunità internazionale nella ricerca di un esito positivo, così come importanti prospettive per le loro relazioni reciproche. Se, come è stato detto, questo sarà il “Secolo asiatico”, non ci sono ponti migliori per mantenere l’Europa al passo e condividerne i benefici.

L’ASEAN può vantare un impressionante successo nel preservare la pace e sviluppare l’economia, ed ha un curriculum limpido come fermo sostenitore del multilateralismo e del libero commercio, sostenuto da neutralità diplomatica e non allineamento. A questo proposito desidero citare il Segretario Generale delle Nazioni Unite che, al vertice ASEAN dello scorso anno, ha lodato l’Associazione come “costruttrici di ponti e messaggere di pace, che danno priorità al dialogo e al rispetto del diritto internazionale”.

Negli ultimi anni—e proprio in questi giorni—l’ASEAN ha svolto un’ammirevole ed efficace opera di bilanciamento nei confronti delle due superpotenze, Cina e Stati Uniti, che sono anche i suoi due maggiori partner economici, rifiutando di farsi spingere a prendere posizione. Il rischio che l’ASEAN vuole evitare—ora che le relazioni economiche con gli Stati Uniti sono diventate più problematiche—è che il ruolo della Cina diventi predominante. Negli anni l’ASEAN ha costruito una rete di relazioni molto ampia attorno al principio di “centralità ASEAN”, che naturalmente significa considerarsi come il nucleo equidistante del sistema, con lo stesso atteggiamento verso tutti i partner. Questo, insieme al tanto elogiato (e per lo più riuscito) ASEAN WAY—in sostanza un atteggiamento di stretta non interferenza sia verso l’esterno che verso l’interno e una ferma ricerca del consenso lontano dai riflettori—ha rappresentato il fondamento della loro politica internazionale, un potente strumento con cui fronteggiare i turbamenti attuali.

Dal canto suo, anche l’Europa crede nel multilateralismo e persegue pace e libero scambio, dato il ruolo fondamentale delle esportazioni nella sua economia. L’UE è il secondo maggiore attore commerciale al mondo, rappresentando circa il 14% del commercio globale di beni e servizi. Proprio come l’ASEAN, la sua prosperità dipende da mercati aperti e da partenariati diversificati. Questo parallelismo conferisce a Europa e ASEAN una naturale affinità come partner nella difesa—e, se necessario, nella riforma—del sistema commerciale multilaterale.

Per quanto riguarda i fattori interni, cominciamo con qualche parola sull’ASEAN e i suoi Stati membri: comprendendo dieci paesi a vari livelli di sviluppo (molti dei quali appartengono ormai al gruppo a reddito medio), conta circa 670 milioni di persone con un’età media di 30,5 anni e una vasta classe media; la sua economia è destinata a crescere costantemente nei prossimi decenni, quando si prevede che diventerà uno dei quattro maggiori mercati al mondo. Fin dalla sua fondazione nel 1967, la crescita del PIL è stata impressionante, registrando tassi senza pari quasi altrove. Dopo il periodo iniziale, l’integrazione istituzionale è proseguita a un ritmo elevato, con un punto cruciale rappresentato dalla creazione, nel 2015, della Comunità ASEAN basata su tre pilastri: Politico-Sicurezza, Economico e Socio-Culturale. Successivamente, l’adozione di Roadmap (prima la Visione ASEAN 2025 e poi il piano strategico AEC 2026/2030 adottato lo scorso maggio) ha progressivamente definito obiettivi di integrazione sempre più ambiziosi, con l’intento di rafforzare il ruolo geopolitico e la resilienza del gruppo, prestando particolare attenzione allo sviluppo sostenibile e all’inclusività, nell’ottica di “non lasciare indietro nessuno”.

In particolare, il nuovo Piano Strategico AEC 2026–2030 dell’ASEAN fissa obiettivi concreti in materia di integrazione digitale, transizione verde, finanza sostenibile, resilienza climatica e mobilità delle competenze—allineando ulteriormente le priorità dell’ASEAN a quelle dell’Europa.

Stiamo quindi parlando di un insieme di paesi in costante crescita, caratterizzati da:

  • economie che in molti casi hanno già raggiunto livelli significativi di sviluppo con settori tecnologici avanzati;
  • democrazie in continuo sviluppo, anche se non ancora complete;
  • un atteggiamento generalmente positivo verso l’Europa, che precede i recenti cambiamenti geopolitici.

Non si possono negare alcune problematiche non irrilevanti, sia di natura interna che internazionale, e che il cosiddetto “ASEAN WAY” abbia negli ultimi tempi funzionato meno bene che in passato. Il caso più evidente è naturalmente quello del Myanmar e la questione di lunga data del Mar Cinese Meridionale. Sono tuttavia convinto che questi problemi non modifichino il quadro generale e che il cammino dell’ASEAN verso il progresso non verrà ostacolato: non dimentichiamo che tutti questi paesi, tranne la Thailandia, sono stati sotto il dominio coloniale fino a non molti decenni fa, e che alcuni dei problemi che stanno affrontando, come la disputa tra Thailandia e Cambogia, sono un’eredità di quei tempi.

Per quanto riguarda l’Europa, conosciamo bene la lunga strada percorsa dalla Seconda guerra mondiale in poi. La nostra forma di “organizzazione regionale” non ha eguali. Si può sostenere che le sfide con cui l’UE si confronta oggi stiano mostrando i limiti della sua struttura attuale, che vi sia la necessità per l’Unione di un radicale cambio di passo. Non c’è dubbio, tuttavia, che l’UE sia stata un veicolo di crescita, prosperità e pace senza pari per i suoi membri e abbia fornito un contesto prezioso per il successo anche di altri Stati europei non membri, come quelli del gruppo EFTA.

Gli Stati Uniti rappresentano per entrambe le parti il principale partner commerciale e, data la situazione tariffaria in continua evoluzione, l’UE e gli altri paesi europei, similmente all’ASEAN, sono alla ricerca di nuovi orizzonti e, nel farlo, non possono che guardare l’uno verso l’altro. Vale la pena menzionare, anche per inquadrare meglio la situazione, il recente accordo commerciale concluso con il Mercosur, che insieme copre 780 milioni di persone e quasi un quarto del PIL mondiale. Sebbene la ratifica sia ancora in sospeso, il trattato è stato annunciato come un grande successo, poiché il commercio UE-Mercosur si aggirava intorno ai 111 miliardi di euro nel 2023. Ma il commercio ASEAN-UE ha raggiunto 252,5 miliardi di euro di merci nello stesso periodo, ben più del doppio. Queste cifre dimostrano l’impressionante importanza dell’ASEAN, che supera di gran lunga altri grandi blocchi regionali.

Le relazioni Europa–ASEAN sono generalmente eccellenti, sia a livello bilaterale tra singoli paesi, sia tra i due gruppi nel loro complesso. L’elenco delle relazioni e attività di dialogo ASEAN–Unione Europea è impressionante, così come quello con altri paesi europei, come la Svizzera e il Regno Unito, che hanno entrambi ottenuto lo status di Partner di Dialogo dell’ASEAN.

L’UE e l’ASEAN hanno rafforzato i loro legami trasformandoli in un partenariato strategico nel 2020 e sono in vigore molteplici accordi bilaterali di partenariato e cooperazione, tra cui con Indonesia, Vietnam, Filippine e Thailandia.

In seguito ai turbamenti tariffari, è molto probabile che emergeranno nuove “costellazioni” di partenariati economici: l’ASEAN è stata tradizionalmente molto attiva in questa direzione, cercando prospettive più ampie per il proprio commercio, l’esempio più rilevante è il ruolo centrale svolto a favore del trattato RCEP, entrato in vigore nel 2022, che ha eliminato il 90% dei dazi tra 15 paesi che rappresentano il 30% del PIL mondiale.

L’UE e gli altri stati europei possono guardare a qualcosa di simile, soprattutto ora: ci sono segnali che i negoziati in corso sugli accordi di libero scambio (FTA) – al momento ne sono stati conclusi solo due, con Singapore e Vietnam – abbiano ricevuto un impulso dai recenti sviluppi e le prospettive di un FTA globale tra i due blocchi appaiono ora più rosee. I  negoziati sono ripresi con Thailandia (2023), Filippine (2024) e Malesia (2025), mentre i colloqui con l’Indonesia proseguono, con l’obiettivo di concluderli entro il 2026. L’UE è già il terzo partner commerciale dell’ASEAN, dopo Cina e Stati Uniti, rappresentando circa l’8-9% degli scambi commerciali dell’ASEAN, mentre lo stock di IDE europei nell’ASEAN è di gran lunga il maggiore, superando i 400 miliardi di euro nel 2022.

Si aprono dunque significative opportunità di cooperazione in nuove traiettorie di crescita: i paesi ASEAN sono impegnati nella colossale impresa di modernizzare le loro economie lungo le linee dei loro Piani d’Azione: hanno la volontà, la determinazione, la spinta, la forza. Cercano partner con competenze che possano contribuire a raggiungere le loro priorità stabilite, vale a dire: creare nuove fonti di competitività; una comunità sostenibile con politiche sensibili al clima; una comunità innovativa in sintonia con le tendenze emergenti; una comunità resiliente, in grado di resistere a shock, stress, crisi e volatilità.

Le società e le economie europee non solo possiedono tali competenze, ma sono anche molto ben posizionate: le nostre capacità sono ben note, molto apprezzate e si inseriscono perfettamente nelle priorità dell’ASEAN: per citarne alcune, in linea con la pianificazione post-2025 dell’ASEAN, energie rinnovabili, automazione industriale, infrastrutture, sviluppo del settore sanitario (inclusi dispositivi medici), spazio e alta tecnologia. L’ASEAN è un gruppo che guarda al futuro e l’Europa ha la capacità di contribuire a questo sforzo.

Un ulteriore punto è fondamentale, e lo traggo dalla mia esperienza personale: il fattore umano. La leadership locale e le persone sono molto aperte verso gli europei e, se posso, ancor più verso gli italiani. Gli europei sono visti con simpatia, ammirazione e rispetto, le cose europee sono di tendenza, l’interazione personale è semplice. Le nostre eccellenze—non solo l’alto contenuto di design e tecnologia dei nostri prodotti, ma anche i risultati europei in materia di sostenibilità, istruzione e ricerca sono ben noti e ammirati.

Se questo era vero già prima dei recenti sconvolgimenti internazionali, lo è diventato ancora di più ora: l’Europa si presenta senza condizioni (beh… non proprio, se guardiamo alle complessità delle negoziazioni sugli accordi commerciali di libero scambio), almeno senza vincoli geopolitici; anzi, può (e dovrebbe) offrirsi come partner senza interessi politici diretti nell’area, e dunque come attore in grado di fornire un supporto prezioso all’ASEAN nel suo delicato bilanciamento tra i due “fratelli che competono per il suo favore.

Con l’avvicinarsi della data del Vertice dell’Asia Orientale, Anwar Ibrahim, primo ministro della Malesia che presiede l’Associazione, ha recentemente ribadito la sua fiducia, affermando che l’ASEAN diventerà “il più grande vincitore nel commercio globale” e aggiungerò che non vi è dubbio che l’Europa avrà un ruolo importante nel perseguire tale obiettivo, poiché in questi tempi di difficoltà economiche e politiche i nostri interessi coincidono, proiettando un futuro di grandi opportunità.

Tutte le considerazioni avanzate finora portano a ritenere molto probabile un significativo aumento delle relazioni economiche, politiche e sociali tra Europa e ASEAN. Ma resta un punto fondamentale: come sbloccare questo potenziale, come trasformare le prospettive in realtà?

Dobbiamo ammettere fin dall’inizio che in Europa—certamente in Italia—c’è un deficit di consapevolezza riguardo alle opportunità offerte dall’ASEAN; nonostante diversi esempi di grande successo, c’è ampio margine per una maggiore presenza europea nella regione. Per dare un’idea delle proporzioni: nel 2024 gli scambi commerciali ASEAN con l’UE hanno rappresentato circa l’8,8% del suo commercio totale, mentre la Cina ha superato il 20%, gli Stati Uniti circa il 12% e il Giappone circa l’8,5%.

Come agire? Cosa fa la Commissione Europea e cosa fanno i singoli paesi? I governi devono assumere la guida in modo concreto, andando oltre la semplice creazione di quadri diplomatici. L’UE, oltre a concludere e negoziare Accordi di partenariato e di libero scambio conclusi e in fase di negoziazione, supporta piattaforme come l’EU-ASEAN Business Council, che organizza ogni anno il Vertice economico UE-ASEAN. La Francia ha rafforzato la sua strategia indo-pacifica con l’ASEAN come partner centrale; la Germania ha intensificato la cooperazione accademica ed economica. Dopo l’uscita dall’UE, il Regno Unito ha rapidamente cercato un quadro formale per il suo rapporto con l’ASEAN ed è stato insignito dello status di Partner di Dialogo dell’ASEAN il 2 agosto 2021. Anche Svizzera e Norvegia intrattengono relazioni molto strette. In modo molto pratico e operativo, molti stanno intensificando la loro presenza e hanno lanciato missioni commerciali incentrate sull’ASEAN; il Presidente Macron ha visitato diversi stati dell’ASEAN nel 2023/24 seguendo le orme dei leader di Giappone, Cina, India e Stati Uniti che hanno tutti visitato le capitali dell’ASEAN negli ultimi mesi, sottolineando la centralità globale della regione.

Il Primo Ministro italiano doveva anch’egli visitare il Vietnam in questi stessi giorni, salvo essere costretto a rinviare a causa della situazione internazionale. Gli incontri politici e d’affari previsti in tale occasione si sono comunque svolti. Nel recentemente adottato Piano d’Azione per l’Export Italiano, l’ASEAN è stato incluso tra le massime priorità, con particolare attenzione a Vietnam, Thailandia e Indonesia, e beneficerà di nuovi strumenti, più potenti, per la promozione delle esportazioni.

Anche il settore non governativo ha un ruolo significativo da svolgere. Sebbene associazioni come quella che presiedo possano arrivare solo fino a un certo punto, noi, come altri in Europa, ci siamo dati questa missione: cercare di raggiungere il pubblico più ampio possibile e promuovere una maggiore consapevolezza sull’ASEAN. Collaborando a stretto contatto con le istituzioni governative, da dieci anni lavoriamo per diffondere una migliore conoscenza dell’ASEAN e incoraggiare sempre più individui, imprese e istituzioni per esplorare quei Paesi e verificarne di persona il potenziale.

Abbiamo fatto tutto questo in molti modi:

  • una rassegna stampa quotidiana che copre sviluppi politici ed economici;
  • una newsletter settimanale che approfondisce temi selezionati;
  • pubblichiamo libri;
  • organizziamo incontri e presentazioni;
  • siamo ovviamente aperti a collaborazioni con tutte le parti interessate, in Italia e con altre realtà europee.

Permettetemi di segnalare una particolare iniziativa che abbiamo promosso e che si è rivelata lo strumento più importante finora per perseguire la nostra missione. Ogni anno organizziamo, insieme a The European House–Ambrosetti, in una capitale dei paesi ASEAN, un incontro chiamato HIGH LEVEL DIALOGUE sulle RELAZIONI ECONOMICHE ASEAN–ITALIA, finalizzato a favorire i contatti interpersonali tra funzionari di alto livello e imprenditori di entrambe le parti. Ogni Dialogo ha ottenuto un grande successo e ha registrato una partecipazione ampia e significativa. Esistono anche altri esempi europei, sia bilaterali sia multilaterali, come il Europe–ASEAN Business Summit, la EU–ASEAN Higher Education Platform e il EU–ASEAN Business Council. Quest’anno, avendo completato la rotazione delle principali capitali, prevediamo di tornare in Vietnam per la nona edizione.

Un’altra iniziativa importante che abbiamo promosso è stata la conferenza ITALIA–ASEAN sull’Istruzione Superiore e la Ricerca, organizzata dal MAE e tenutasi a Roma nel 2019, che ha raccolto un’ampia partecipazione ed è stata un grande successo, dimostrando come il mondo accademico possa fungere da ponte in questa partnership.

Come ulteriore passo per far crescere la consapevolezza sull’ASEAN in Italia, l’Associazione Italy ASEAN ha proposto al MAECI di co-organizzare una conferenza internazionale dal titolo “ASEAN AWARENESS”, sulla scia di due iniziative simili tenutesi negli anni 2010.

Per concludere, il momento politico generale è favorevole, nuovi strumenti finanziari sono stati messi a disposizione dai Governi, e i paesi ASEAN hanno molte buone ragioni per guardare alle partnership con le aziende europee. In definitiva, però, è l’interesse di ciascuna comunità specifica—economica, culturale, sociale—a contare davvero per far sì che tutti gli elementi si combinino con successo. Le università, in particolare, hanno un ruolo centrale: sono laboratori di innovazione, scambio e consapevolezza, e incarnano la dimensione “people-to-people” che dà profondità e resilienza alle partnership internazionali.

Per quanto brillanti possano essere le prospettive delle relazioni Europa–ASEAN, resta ancora molto lavoro da fare, con i settori pubblico e privato che devono collaborare per concretizzarle. In questo impegno siamo stati attivi negli ultimi dieci anni e continueremo a esserlo, pronti e disponibili a cooperare con tutti coloro che vogliono promuovere relazioni più profonde con l’ASEAN a livello italiano ed europeo.

Viaggiare nel Sud-Est asiatico è sempre una buona idea

Estate è tempo di viaggi. Scegliere una meta tra i Paesi dell’ASEAN offre la possibilità di entrare in contatto con città e regioni piene di storia, vita e cultura. Una panoramica

Di Tommaso Magrini

Il Sud-Est asiatico rappresenta una delle aree geografiche più affascinanti del pianeta per chi desidera una vacanza ricca di esperienze autentiche, bellezze naturali e un ottimo rapporto qualità-prezzo. Viaggiare tra i Paesi dell’ASEAN significa immergersi in culture millenarie, assaporare una cucina vibrante e scoprire una varietà di paesaggi che spazia da metropoli ipermoderne a villaggi remoti immersi nella giungla. È una destinazione adatta tanto ai viaggiatori zaino in spalla quanto a chi cerca resort di lusso, con un clima tropicale che la rende godibile quasi tutto l’anno. Ma il vero valore aggiunto è la varietà: ogni nazione, ogni città e isola ha un carattere proprio e irripetibile. Ecco alcune destinazioni imperdibili nel cuore del Sud-Est asiatico.

Bangkok, in Thailandia, è una città che non smette mai di stupire. È un caleidoscopio di contrasti dove antichi templi convivono con grattacieli scintillanti, mercati galleggianti con centri commerciali futuristici. Il Wat Arun e il Palazzo Reale sono solo alcune delle meraviglie architettoniche che si possono esplorare, ma il vero fascino di Bangkok è dato dalla sua energia inarrestabile, dalla street food culture che trasforma ogni angolo di strada in un’esperienza gastronomica, e dall’ospitalità calda dei thailandesi, sempre pronti a un sorriso e a un gesto gentile.

Passando in Vietnam, Hoi An è una perla incastonata lungo la costa centrale, sospesa tra passato e presente. Questa cittadina patrimonio dell’UNESCO è celebre per il suo centro storico ben conservato, illuminato la sera da lanterne colorate che creano un’atmosfera quasi irreale. Qui si cammina tra edifici coloniali francesi, templi cinesi e antichi magazzini trasformati in boutique artigianali. La vita scorre lenta, il fiume Thu Bon accompagna le giornate con la sua calma e le spiagge vicine offrono momenti di totale relax.

In Indonesia, Ubud rappresenta il cuore spirituale e culturale di Bali. Circondata da risaie, foreste e templi nascosti, Ubud è il luogo ideale per chi cerca un contatto profondo con la natura e con sé stesso. È facile perdersi tra le botteghe di artigianato, assistere a una danza balinese al crepuscolo o partecipare a una sessione di yoga in un centro immerso nella vegetazione. Ma oltre all’estetica, è la sensazione di equilibrio che si respira a rendere Ubud così speciale.

Luang Prabang, in Laos, è un altro luogo che sembra vivere in un tempo tutto suo. Situata alla confluenza di due fiumi e circondata da montagne, la città incanta con i suoi templi buddisti dorati, i monasteri tranquilli e i mercati serali pieni di colori. Una delle esperienze più toccanti è quella dell’elemosina mattutina dei monaci, un rituale silenzioso e carico di spiritualità che testimonia la profonda devozione della popolazione locale. Luang Prabang è perfetta per chi cerca una bellezza discreta e autentica.

Nella moderna metropoli di Singapore, l’efficienza urbana incontra la multiculturalità in un connubio sorprendentemente armonioso. Questa città-stato è un crocevia di influenze cinesi, malesi, indiane e occidentali che si riflettono tanto nella sua cucina quanto nella sua architettura. Dalla futuristica Marina Bay Sands agli splendidi Gardens by the Bay, Singapore è un laboratorio urbano che mostra come si possa coniugare sviluppo tecnologico e sostenibilità. È il luogo ideale per iniziare o concludere un viaggio nel Sud-est asiatico.

Chi sceglie la Cambogia, non può non lasciarsi incantare da Siem Reap e dall’immenso complesso di Angkor Wat. Più che un sito archeologico, Angkor è una città sacra che racconta la grandezza dell’Impero Khmer. Visitare le sue rovine, invase da radici di alberi secolari, è un’esperienza quasi mistica. Siem Reap, la cittadina che funge da base per l’esplorazione dei templi, ha saputo crescere senza perdere il suo fascino, offrendo un mix equilibrato tra tradizione e modernità.

Brunei, spesso trascurato nelle rotte turistiche, offre una sorpresa inaspettata con la sua capitale Bandar Seri Begawan. Questo piccolo sultanato, tra i più ricchi al mondo, è caratterizzato da un’architettura islamica monumentale, come la moschea di Omar Ali Saifuddien, e da un livello di pulizia, ordine e sicurezza notevole. A pochi minuti dal centro, però, ci si può imbarcare su una barca e scoprire il villaggio galleggiante di Kampong Ayer, dove la vita scorre ancora come secoli fa. Brunei è il luogo dove spiritualità, lusso e tradizione convivono senza sforzo apparente.

Nella meravigliosa Malesia, George Town, sull’isola di Penang, è un trionfo di colori, sapori e culture. Questa città, anch’essa patrimonio dell’UNESCO, è un museo a cielo aperto, dove i murales di street art raccontano storie di vita quotidiana e i templi indù sorgono accanto a moschee e chiese coloniali. La vera anima di George Town, però, sta nel suo cibo: dalla laksa alle roti, ogni piatto racconta un intreccio di influenze che solo la Malaysia sa offrire con tanta autenticità.Infine, nelle Filippine, El Nido rappresenta la quintessenza della fuga tropicale. Situata sull’isola di Palawan, El Nido offre paesaggi mozzafiato fatti di lagune nascoste, spiagge deserte, scogliere calcaree e acque turchesi. Qui la natura è ancora sovrana e l’uomo vi si muove con rispetto. Esplorare l’arcipelago di Bacuit in barca è un’esperienza di pura meraviglia, tra snorkeling tra pesci colorati e tramonti che sembrano dipinti.

Blue foods: alleanza a Sud-Est tra oceano e innovazione

Il ruolo di questa galassia di alimenti provenienti da ambienti acquatici è sempre più cruciale nello sviluppo sostenibile dell’area ASEAN

Di Tommaso Magrini

Nel cuore del Sud‑Est asiatico, dove il mare non è solo orizzonte ma fonte quotidiana di cibo, lavoro e identità, si sta facendo strada una nuova visione per uno sviluppo più giusto e sostenibile: quella delle blue foods. Questo termine, ancora poco noto al grande pubblico, racchiude una galassia di alimenti provenienti da ambienti acquatici — mari, fiumi, lagune — che spaziano dal pesce ai molluschi, dalle alghe commestibili fino a organismi minori che però hanno un impatto enorme, sia nutrizionale che economico. E oggi, più che mai, queste risorse stanno rivelandosi un punto chiave per affrontare le sfide interconnesse di malnutrizione, disoccupazione e degrado ambientale in tutta la regione ASEAN.

Il potenziale nutrizionale delle blue foods è straordinario: ricche di proteine facilmente assimilabili, di acidi grassi omega-3 e di micronutrienti fondamentali come il ferro e la vitamina B12, queste risorse costituiscono una vera ancora di salvezza in contesti dove la malnutrizione infantile e la carenza di proteine animali restano diffuse. In Indonesia, ad esempio, più della metà dell’apporto di proteine animali deriva proprio dal pesce e da altri prodotti marini, rendendo queste risorse cruciali per la sicurezza alimentare di oltre 280 milioni di persone. Ma il valore delle blue foods non si limita all’aspetto nutrizionale. Esse rappresentano anche un pilastro economico e culturale per centinaia di milioni di persone che vivono nelle comunità costiere: famiglie che da generazioni praticano la pesca artigianale o l’allevamento ittico, spesso in condizioni di forte vulnerabilità.

Tuttavia, proprio queste risorse così vitali sono messe sempre più sotto pressione da un sistema economico che, fino a poco tempo fa, ha privilegiato quantità a scapito della sostenibilità. La sovrapesca, l’inquinamento marino, la distruzione delle mangrovie e il cambiamento climatico stanno minacciando l’equilibrio di interi ecosistemi, compromettendo anche la sopravvivenza di chi da essi dipende. A ciò si aggiunge un’acquacoltura intensiva, spesso mal regolamentata, che ha prodotto impatti negativi sia ambientali che sociali: foreste di mangrovie convertite in vasche per i gamberi, contaminazione delle acque, perdita di biodiversità.

Eppure, in questo scenario complesso, stanno emergendo segnali incoraggianti che ci parlano di un cambiamento possibile — e in larga parte già in atto. Uno dei protagonisti più promettenti di questa trasformazione è rappresentato dalle startup locali attive nel mondo delle blue foods. Giovani imprese, spesso fondate da innovatori, scienziati o membri delle stesse comunità costiere, stanno reinventando il rapporto tra uomo e oceano con soluzioni che uniscono tecnologia, sostenibilità e inclusione.

In Indonesia, Cambogia, Vietnam e Filippine, molte startup stanno sviluppando modelli di acquacoltura rigenerativa, come l’integrazione tra allevamenti di pesce, alghe e molluschi (noto come Integrated Multi-Trophic Aquaculture) oppure la riforestazione delle mangrovie accanto alla coltivazione di gamberi, in un modello sostenibile noto come silvoacquacoltura. Non solo queste pratiche aiutano a rigenerare gli ecosistemi locali, ma spesso migliorano anche la resilienza economica delle famiglie coinvolte.

Altre realtà, come Collabit in Indonesia, stanno dimostrando che anche gli scarti della pesca possono diventare risorse preziose: utilizzando ciò che normalmente verrebbe buttato via — come le parti non commestibili del tonno — per produrre mangimi sostenibili o biofertilizzanti. Sono esempi concreti di economia circolare applicata al mare, capaci di coniugare riduzione degli sprechi e creazione di valore.

Questo fermento innovativo non è casuale, ma alimentato da iniziative regionali come l’ASEAN Blue Economy Innovation Challenge, promossa con il supporto delle Nazioni Unite e della Banca Asiatica di Sviluppo. Il programma finanzia decine di startup che propongono tecnologie e modelli di business capaci di rigenerare gli ecosistemi marini e al tempo stesso migliorare le condizioni di vita dei pescatori. A queste si affianca la Blue SEA Finance Hub, che mira a mobilitare capitali pubblici e privati verso l’economia blu, con un occhio di riguardo alle piccole e medie imprese del settore.

Un aspetto importante di questa trasformazione riguarda la governance e l’inclusività. Troppe volte, in passato, le politiche del mare sono state decise senza ascoltare chi il mare lo vive ogni giorno. Ora invece si sta facendo strada un approccio più partecipativo, che valorizza il ruolo dei piccoli pescatori e soprattutto delle donne, spesso invisibili nelle catene del valore ma fondamentali per la lavorazione, il commercio e la trasmissione dei saperi locali. Esperienze in Indonesia, dove donne imprenditrici guidano cooperative legate alla pesca del granchio blu, mostrano come una blue economy davvero sostenibile debba essere anche equa e inclusiva.

Guardando al futuro, appare sempre più evidente che le blue foods non sono una nicchia, ma una componente chiave delle strategie nazionali di sviluppo. L’Indonesia, con le sue oltre 17.000 isole e una delle coste più lunghe del mondo, ha già avviato collaborazioni con università internazionali per integrare le risorse blu nelle politiche alimentari, sanitarie ed economiche del Paese. Ed è una direzione che anche altri Paesi ASEAN sembrano pronti a intraprendere.

Il valore potenziale della blue economy a livello globale è immenso: si parla di oltre 15 trilioni di dollari in prospettiva futura e della possibilità di mitigare fino al 40% delle emissioni climalteranti grazie a pratiche rigenerative nei mari e nelle coste. Ma per sbloccare questo potenziale servono visione politica, investimenti mirati e, soprattutto, il coraggio di dare fiducia a chi sta già innovando dal basso.

Le startup del Sud‑Est asiatico ci dimostrano ogni giorno che un’altra economia blu è possibile: non quella dello sfruttamento cieco, ma quella della rigenerazione, della dignità, della resilienza. E forse proprio dal mare, che spesso è stato trattato come risorsa da saccheggiare, può nascere una nuova idea di sviluppo. Più giusta, più profonda, più umana.

Effetto Trump sui rapporti USA-ASEAN

I dazi minacciati da Trump rischiano di mettere in grave difficoltà diverse economie del Sud-Est asiatico, ma non sono l’unico motivo di frizione tra i paesi ASEAN e gli Stati Uniti. La nuova amministrazione americana non sembra avere le idee chiare su come rapportarsi con la regione, mentre la sua imprevedibilità sta spingendo gli Stati ASEAN ad accelerare la diversificazione dei propri partner economici e diplomatici

di Francesco Mattogno

Quando la senatrice Tammy Duckworth gli ha chiesto di citare almeno uno degli Stati membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico (ASEAN), durante l’udienza di conferma della sua nomina a segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Pete Hegseth ha fatto scena muta. Era il 14 gennaio, Donald Trump si era insediato solo da qualche giorno alla presidenza degli Stati Uniti. Alla domanda su quanti fossero i paesi ASEAN, Hegseth aveva poi iniziato a parlare di Giappone, Corea del Sud e Australia, in evidente imbarazzo. 

Di fatto, l’attuale capo della Difesa statunitense non solo non aveva idee o proposte su come portare avanti la strategia americana in quello che Washington chiama “Indo-Pacifico”: non aveva proprio idea di cosa fosse, l’Indo-Pacifico.

Sei mesi dopo, il segretario di Stato americano Marco Rubio è volato a Kuala Lumpur per il suo primo viaggio in Asia da responsabile della politica estera dell’amministrazione Trump. In Malaysia, nel cuore del Sud-Est asiatico, Rubio ha dichiarato che «l’Indo-Pacifico rimane un punto focale della politica estera degli Stati Uniti» e che Washington non si farà distrarre da ciò che accade nel resto del mondo, perché «la storia dei prossimi 50 anni sarà in gran parte scritta in questa regione».

Il segretario di Stato americano era in Malaysia per partecipare ad alcuni dei vari incontri che tradizionalmente accompagnano la ministeriale degli Esteri dei paesi ASEAN. Al di là delle belle parole sulla partnership tra Washington e il blocco, definita «non solo resiliente, ma cruciale», il viaggio di Rubio è stato fugace e aveva principalmente uno scopo: indorare la pillola dei dazi minacciati da Trump agli Stati regionali, bersagliati come poche altre aree del mondo.

Dazi, trattative, accordi

Nei giorni che hanno preceduto la ministeriale ASEAN (8-11 luglio) il presidente americano aveva infatti aggiornato le tariffe sulle importazioni promesse a vari paesi del Sud-Est asiatico, posticipando la loro ufficiale entrata in vigore dal 9 luglio al 1° agosto. Con una serie di lettere, tutte uguali, Trump si è rivolto ai leader regionali reiterando le minacce del “Liberation Day” dello scorso 2 aprile, seppur con qualche correzione. 

Alcuni dazi sono stati rivisti al ribasso (la Cambogia per esempio è passata dal 49% al 36%, Laos e Myanmar entrambe al 40% rispettivamente dal 48% e 44% iniziale), con le notevoli eccezioni di Filippine (dal 17% al 20%) e Malaysia (dal 24% al 25%). Così come per i calcoli economicamente discutibili del Liberation Day, la logica alla base di tali aggiornamenti non è chiara nemmeno ai diretti interessati.

Quello che è certo è che da mesi sono in corso delle trattative tra le delegazioni dei singoli Stati ASEAN e la Casa Bianca per trovare un accordo che possa ridurre l’ammontare delle tariffe e dunque gli impatti sulle economie regionali, come quello che gli Stati Uniti hanno firmato con il Vietnam. Stando agli annunci di inizio luglio, Hanoi sarebbe riuscita a fissare i dazi sull’export negli Stati Uniti al 20%, dal 46% di partenza. Il verbo è al condizionale perché sembrano esserci ancora alcune questioni da chiarire, secondo Politico.

Se il contenuto dell’accordo dovesse essere confermato, in cambio il Vietnam aprirebbe completamente il suo mercato ai prodotti americani, cancellando le tasse doganali in entrata, e si impegnerebbe a comprare dagli Stati Uniti prodotti agricoli, combustibile, Boeing e armamenti. Quasi tutti i paesi regionali si stanno muovendo su questa linea, aprendo alla possibilità di fare numerose concessioni a Washington per cercare di compiacere la Casa Bianca. Per esempio la Thailandia, che ha bisogno di un accordo anche per placare una grave crisi politica interna, le sta provando tutte, mentre l’Indonesia ha appena nominato un ambasciatore negli Stati Uniti, dopo due anni trascorsi con il ruolo vacante. E alla fine Giacarta è riuscita a raggiungere un’intesa per ridurre i dazi dal 32% al 19%.

L’aspetto più interessante dell’accordo siglato tra Washington e Hanoi è però quello che riguarda le cosiddette “merci trasbordate”, che verranno tassate al 40%. Il termine dovrebbe fare principalmente riferimento a quei beni prodotti in paesi terzi e fatti passare per il Vietnam prima della loro esportazione finale negli Stati Uniti. Si tratta di una chiara allusione alla Cina, accusata di usare i paesi del Sud-Est asiatico come tappa intermedia delle proprie merci, così da venderle negli Stati Uniti aggirando i dazi imposti da Washington alla Repubblica popolare.

Il tema è al centro di tutte le trattative tra la Casa Bianca e gli Stati ASEAN, e preoccupa anche per la sua vaghezza: c’è chi teme che per merci trasbordate si possano intendere anche quei beni assemblati in un paese ASEAN con tecnologia o materiali cinesi, un’interpretazione che rischierebbe di mettere in ginocchio le industrie di mezzo Sud-Est asiatico. Andrebbero poi valutate le potenziali conseguenze nelle relazioni tra la regione e la Cina, che ha già dichiarato di non aver preso bene la clausola inserita nell’accordo siglato dal Vietnam.

Non-allineamento e diversificazione

Contrastare l’influenza di Pechino nel Sud-Est asiatico è uno degli obiettivi conclamati dell’amministrazione Trump, che nelle intenzioni non si discosta da quelle che l’hanno preceduta. A cambiare sono atteggiamento e modalità di manovra. Minacciare di colpire le economie della regione, così da ottenere concessioni e deferenza, rischia però di rivelarsi una strategia controproducente per Washington, almeno sul lungo periodo. Soprattutto se nemmeno gli “amici” godono del privilegio di essere risparmiati.

Se già il Liberation Day aveva fatto irritare Singapore, Manila ha accolto con un certo stupore la decisione di Trump di aumentare il livello dei dazi minacciati contro le Filippine, che dall’insediamento del presidente Ferdinand Marcos Jr. nel 2022 sono tornate a essere uno dei principali alleati degli americani nella regione. Un po’ come per quanto accade a Tokyo e Seul, in Asia nord-orientale, la sensazione è che gli Stati Uniti di Trump si stiano rivelando sempre di più come un partner inaffidabile. 

Anche i rapporti con un paese da decenni considerato vicino alla Cina come la Cambogia, parzialmente recuperati negli ultimi mesi, potrebbero tornare a deteriorarsi a causa dell’impatto delle tariffe: nel 2024 le esportazioni verso gli Stati Uniti hanno rappresentato il 24,8% del PIL cambogiano, una quota enorme, messa a repentaglio dai dazi insieme a decine di migliaia di posti di lavoro nel tessile (un disastro economico simile potrebbe toccare anche al Bangladesh).

Nel suo discorso di apertura della ministeriale ASEAN di luglio, il premier malaysiano Anwar Ibrahim ha denunciato l’uso dei dazi come «strumento geopolitico». La Malaysia è forse il paese che più di altri nella regione si sta sottraendo alle intimidazioni americane. Tengku Zafrul Aziz, il ministro malaysiano dell’Industria, della Tecnologia e del Commercio, ha detto che se un eventuale accordo dovesse violare gli interessi nazionali del paese, allora «non si farà nessun accordo». 

Ma le frizioni con Washington non si fermano ai dazi. Da tempo Kuala Lumpur sta criticando gli Stati Uniti – e più in generale i paesi occidentali – per il supporto a Israele nel massacro dei palestinesi. Nei due grandi paesi ASEAN a maggioranza musulmana, Malaysia e Indonesia, il sentimento anti-occidentale è in aumento, ma la popolarità di Washington sta calando un po’ in tutta la regione (anche per la decisione di Trump di tagliare drasticamente i fondi da destinare agli aiuti umanitari internazionali chiudendo USAID, che ha provocato serie conseguenze in buona parte del Sud-Est asiatico).

Proseguendo con il proprio tradizionale equilibrismo diplomatico («amici di tutti, nemici di nessuno») e spinti dall’inaffidabilità dell’amministrazione americana, i paesi ASEAN stanno quindi accelerando la diversificazione dei propri partner diplomatici ed economici. Gran parte del blocco non ha mai smesso di avere buone relazioni con la Russia, nonostante la guerra in Ucraina, mentre le controversie nel mar Cinese meridionale non sembrano rappresentare un ostacolo al rafforzamento delle relazioni con la Cina (con cui a maggio è stato ultimato un accordo di libero scambio regionale). 

Minacciando dazi aggiuntivi del 10% ai membri dei BRICS, in nome del contrasto «alle politiche anti-americane» del gruppo, Trump sta inoltre bersagliando di nuovo anche il Sud-Est asiatico: nell’ultimo anno l’Indonesia è diventata un membro a tutti gli effetti dei BRICS, mentre Malaysia, Thailandia e Vietnam sono entrate a far parte dei paesi partner. Eppure, dopo anni di isolamento diplomatico, il presidente americano ha inviato la sua lettera copia-incolla con tutti gli onori («Sua eccellenza») anche al generale a capo della giunta militare birmana, Min Aung Hlaing. 

A oltre quattro anni dal golpe del 1° febbraio 2021, e dalla ripresa di una guerra civile che ha causato decine di migliaia di vittime civili e milioni di sfollati, il regime militare birmano non aveva mai ricevuto una legittimazione internazionale di questo tipo. Quando si tratta di Sud-Est asiatico, la sensazione è che i membri dell’amministrazione Trump debbano studiare un po’ meglio il (cruciale) oggetto del loro discorso.

Thailandia-Cambogia, subito una soluzione diplomatica

Dopo gli scontri al confine, serve immediatamente il dialogo tra i due Paesi sotto l’egida dell’ASEAN

L’Associazione Italia-ASEAN esprime profonda preoccupazione per gli scontri armati al confine tra Thailandia e Cambogia, che negli ultimi giorni hanno causato vittime e accresciuto le tensioni nella regione. Sebbene i due Paesi abbiano una lunga storia di rapporti complessi, tali eventi rischiano oggi di destabilizzare l’intero Sud-Est asiatico, minando lo spirito di cooperazione che da sempre caratterizza l’ASEAN.

«Avendo vissuto da vicino la realtà della Thailandia, credo sia essenziale che Bangkok e Phnom Penh trovino subito la via del dialogo, ponendo fine a ogni forma di violenza», ha dichiarato Michelangelo Pipan, presidente dell’Associazione ed ex ambasciatore in Thailandia. «L’ASEAN dovrebbe assumere un ruolo più attivo nella mediazione, superando la consueta politica di non interferenza, per garantire stabilità e unità nell’area».

La contesa territoriale tra Bangkok e Phnom Penh affonda le sue radici nel periodo coloniale, quando la Cambogia era un protettorato francese e Parigi ridisegnò i confini con l’allora Siam. 

In queste ore è intervenuto Anwar Ibrahim, premier della Malesia che detiene la presidenza di turno ASEAN per il 2025. «Ho fatto appello a entrambi i leader affinché attuino immediatamente il cessate il fuoco per evitare il peggioramento dei conflitti e aprano uno spazio per il dialogo pacifico e le soluzioni diplomatiche», ha dichiarato il premier malese, accogliendo con favore quelli che ha definito «gesti positivi e disponibilità dimostrati dai due Paesi».

L’Associazione Italia-ASEAN rinnova quindi l’appello a un cessate il fuoco immediato e alla convocazione di un tavolo di negoziato con la mediazione dell’ASEAN e dei partner internazionali.