Il continente asiatico si avvia verso una decrescita demografica?

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Nascite in calo e invecchiamento della popolazione non sono solo problemi cinesi: la lenta trasformazione demografica sta cambiando il volto del Sudest Asiatico.

L’Asia, storicamente il continente più popoloso al mondo, sta attraversando una transizione demografica senza precedenti. Il tasso di crescita della popolazione è infatti in calo per gran parte dei paesi, e le politiche per incentivare la fertilità non sembrano avere successo. Gli asiatici stanno invecchiando, vivono più a lungo e tendono a muoversi dalle metropoli verso città secondarie, mentre è in atto un cambiamento sociale che vede le donne lavorare di più e partorire sempre meno figli.

Il caso più eclatante è quello della Cina, dove la ​​crescita della popolazione continua a rallentare e la “finestra demografica”, ovvero proprio la fase che aveva aiutato la Cina a creare le condizioni per la crescita economica senza precedenti a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, si sta chiudendo.

La Cina nel 2016 ha allentato la “politica del figlio unico” adottata nel 1980 da Deng Xiaoping, uno dei più rigorosi provvedimenti di pianificazione familiare della storia, permettendo così alle coppie di avere due o in alcuni casi tre figli. Ma la riforma, nonostante un lieve aumento nei due anni immediatamente successivi, non è riuscita a invertire la tendenza in discesa del tasso di natalità del paese, come peraltro confermato dal censimento effettuato alla fine del 2020. Le cause sono da ritrovarsi probabilmente nell’aumento del costo della vita, ma anche del livello di educazione delle donne, le quali ora sono più attente alla pianificazione familiare e tendono a prediligere una carriera fuori dalle mura domestiche.

Tuttavia, Pechino non è la sola a essere testimone di questa traiettoria demografica: nella maggior parte dei paesi dell’Asia orientale, anche senza politiche di controllo della fertilità come quella cinese, il tasso di fertilità si sta abbassando sempre di più. La popolazione della Corea del Sud, per esempio, nel 2020 ha registrato per la prima volta una popolazione in discesa, con il numero di nascite in calo del 10% rispetto all’anno precedente e in parallelo, anche la composizione dei nuclei familiari va via via riducendosi, e diventano sempre più comuni le famiglie composte da una sola persona, che in Corea del Sud rappresentano già quasi il 33% del totale.

Il Sudest asiatico non è un’eccezione, con un tasso di crescita demografica dimezzato dal 1990 (2%) al 2020 (1%) e moltissimi paesi tra cui Brunei, Thailandia, Singapore, Malesia e Vietnam con un tasso di fertilità inferiore al livello di sostituzione. La decrescita interessa comunque tutta la regione, con eccezioni di natura prevalentemente culturale o religiosa all’interno dei vari paesi (per esempio le famiglie di etnia malese in Malesia continuano ad essere più numerose perché la loro cultura favorisce famiglie e comunità più grandi, così come nelle Filippine la natalità è più alta a causa della minore diffusione dell’uso di contraccettivi per motivi religiosi).

Complice di questo trend al ribasso può essere stata l’adozione di programmi di pianificazione familiare per frenare l’esplosione demografica degli anni ’70 e il numero crescente di donne che decidono di studiare ed entrare nella forza lavoro. Esiste poi una chiara correlazione tra bassi tassi di natalità e livelli di reddito. A causa dell’elevata crescita economica che ha investito questi paesi sin dagli anni ’60, il reddito pro capite è aumentato, cambiando stili e scelte di vita, rendendo sempre più comune la scelta di rimanere single e sposarsi in età più avanzata, portando dunque a tassi di natalità più bassi.

Nel complesso, inoltre, gran parte dell’Asia sta invecchiando – e velocemente, specialmente grazie a migliori abitudini alimentari, progressi nella prevenzione delle malattie e nelle misure igienico-sanitarie, al miglioramento di strutture e servizi sanitari ma anche servizi come le assicurazioni sanitarie. Entro il 2050, si stima che il 21,1% della popolazione del sud-est asiatico avrà 60 anni o più, creando un grosso problema al sistema pensionistico che probabilmente causerà inoltre una revisione dei sistemi di previdenza sociale. La transizione da una “società che invecchia” (ovvero con una proporzione di anziani, considerati come persone di 65 anni o più, tra 7-14% ) a una società cosiddetta “anziana” (ovvero con una proporzione di persone anziane tra il 14-21%) sarà però molto rapida: si stima che ci vorranno solo 22 anni in Thailandia e 19 in Vietnam, che significa che la Thailandia diventerà una società “anziana” nel 2024 e il Vietnam lo sarà nel 2039. Un numero molto basso, se pensiamo che in Svezia e Francia ci sono voluti rispettivamente 85 anni e 115 anni.

Per rallentare questo processo, alcuni paesi del sud-est asiatico stanno iniziando ad attivare politiche di incentivi alla natalità, che vanno dal diritto al congedo parentale ai sussidi per la riproduzione assistita. Tuttavia, non tutti i governi possono permettersi queste politiche, il più delle volte oltremodo onerose per le casse statali.

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