L’Asia cerca risposte al dilemma energetico

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Gli effetti della guerra russo-ucraina sul mercato globale dei combustibili fossili investono anche i Paesi asiatici e spingono i governi a cambiare le loro strategie di lungo termine.

La guerra russo-ucraina ha provocato un grave aumento dei prezzi dell’energia, in Asia come nel resto del mondo. Nel breve periodo, tale aumento peserà maggiormente sulle fasce più deboli – colpite anche dall’aumento dei prezzi di molti prodotti alimentari, sempre causato dalla guerra. Sul lungo periodo invece, potrebbe rappresentare un’opportunità. Governi e aziende potrebbero decidere di ridurre la loro dipendenza dai combustibili fossili, i cui prezzi sono schizzati, e fare maggiore affidamento sulle fonti rinnovabili. Possiamo dunque consolarci guardando al bicchiere mezzo pieno? Non proprio. La capacità di trasformare la crisi energetica in opportunità cambia molto a seconda della zona del mondo e della lungimiranza che i decisori pubblici dimostreranno nel far fronte agli effetti immediati della crisi. Esaminare l’impatto che la guerra sta avendo sul mercato energetico dell’Asia oggi può essere utile per azzardare una previsione su quali saranno le conseguenze profonde domani. Economie avanzate e in via di sviluppo, governi molto attrezzati o meno, tensioni di sicurezza internazionale ed effetti tangibili della crisi climatica… Il continente presenta tutti gli elementi di rilievo per essere un eccellente caso di studio sugli effetti immediati e profondi del conflitto.

La guerra russo-ucraina avrà tre effetti immediati sulle economie asiatiche. Innanzitutto, i prezzi globali dell’energia rimarranno alti e volatili per tutto il 2022, portando a un aumento generalizzato dell’inflazione; secondo, gli sforzi per superare definitivamente la crisi Covid, i cui effetti economici sono ancora intensi in certi paesi del continente, dovranno essere rivisti e accresciuti; infine, i governi cambieranno le proprie strategie energetiche, probabilmente aumentando le quote di energia prodotte attraverso il carbone e il gas naturale liquefatto (LNG), così da ridurre l’utilizzo di petrolio e gas trasportato via gasdotto – i due combustibili fossili maggiormente colpiti dalla riduzione dell’export russo causato dalla guerra e dalle sanzioni.

Nell’ASEAN, ciascun Paese sta vivendo gli effetti della crisi in modo diverso. I paesi produttori di petrolio e gas naturale come Indonesia, Malesia e Vietnam potranno utilizzare i nuovi guadagni per finanziare misure a sostegno delle categorie colpite dall’inflazione. Ci sono poi differenze preesistenti per quanto riguarda il mix di fonti fossili consumate: alcuni paesi consumavano già relativamente poco petrolio ed energia (Indonesia, Malesia, Filippine), altri invece sono più esposti (Singapore, Thailandia). Un altro elemento da considerare è il peso dell’export sull’economia nazionale: alcuni Paesi devono infatti preoccuparsi dell’inflazione anche dei propri partner commerciali. I consumatori UE, particolarmente colpiti dagli effetti economici della guerra, potranno comprare meno prodotti asiatici. In particolare, appaiono in difficoltà Filippine e Vietnam. Manila deve affrontare un’impennata dell’inflazione, il peggioramento del deficit commerciale, la svalutazione del peso e un numero ancora elevato di casi di Covid. Hanoi invece risente da sempre di una certa vulnerabilità agli shock economici esterni e questi ultimi anni di crisi globale sembrano una tempesta perfetta per la sua economia export-oriented.

L’energia non è soltanto un fattore di produzione, ma anche un asset strategico. Il concetto di sicurezza energetica appare di frequente nei discorsi dei leader mondiali e la guerra russo-ucraina ha reso ancora più urgente la questione, oltre a complicare i rapporti tra gli Stati Uniti e le potenze asiatiche, Cina e India in primis. Le risorse naturali russe rappresentano una sorta di pomo della discordia tra i tre giganti. Mosca cerca di spezzare il suo isolamento dirottando i suoi combustibili fossili dall’Europa verso Nuova Delhi e Pechino. L’India importa l’80% del petrolio che consuma, di cui il 3% proviene dalla Russia, e sembra intenzionata ad aumentare tale percentuale nel breve periodo. Il governo di Modi sembra indifferente alle scelte di Mosca e alle pressioni USA e vuole continuare a collaborare con la Russia. Anche la Cina ha una linea ambigua con la Russia e non sembra voler mettere in discussione l’accordo stipulato prima dello scoppio della guerra per aumentare le forniture di gas. La Cina non pare avere comunque molta scelta: già da prima della guerra, Pechino voleva ridurre la sua dipendenza dal carbone e dal LNG, il cui mercato è dominato da Stati Uniti e Australia. La crisi energetica alza la posta anche della disputa sul Mar cinese meridionale: i suoi fondali sono ricchi giacimenti di risorse fossili e le sue acque sono attraversate da un gran numero di cargo carichi di LNG e petrolio.

La crisi energetica è però rilevante soprattutto sul piano climatico. Se le economie si affidassero maggiormente alle fonti rinnovabili, anziché a quelle fossili, sarebbero meno esposte all’aumento dei prezzi di queste ultime – prezzi che si sono dimostrati, ancora una volta, estremamente volatili. La guerra è stata un campanello d’allarme per i politici del pianeta e dovrebbe spingerli a un reset della loro politica ambientale a favore della sostenibilità: forse le energie rinnovabili non sono poi meno affidabili di quelle fossili. Ma potrebbero scegliere di andare anche nella direzione opposta. Sempre dall’India arrivano segnali preoccupanti. Il Paese era sulla via giusta per raggiungere i propri obiettivi di riduzione delle emissioni stabiliti ai sensi dell’Accordo di Parigi – l’unica tra le grandi economie del mondo a poter vantare questo merito –, ma ora sta dedicando molte risorse per acquistare petrolio direttamente dalla Russia e distribuirlo a prezzo calmierato in modo da attenuare gli effetti della crisi energetica. Anche aumentare il ricorso al LNG potrebbe rivelarsi non sostenibile sul lungo periodo, sia in termini economici che ambientali. Il suo prezzo è aumentato molto e la sua inclusione nelle fonti energetiche verdi genera controversie.

Sicurezza energetica o lotta al cambiamento climatico? Rimedi di breve o di lungo periodo? La guerra russo-ucraina ha sottoposto all’Asia un “dilemma energetico” di non facile soluzione. In ogni caso, la crisi colpirà duramente tutte le economie del pianeta e i leader politici dovranno trovare il modo di proteggere le fasce deboli, senza perdere la sempre più complessa sfida ambientale e navigando uno scenario internazionale turbolento.

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