Asean

Per ripartire l’Asia punta sulle infrastrutture

L’ampiezza dei progetti richiederà non solo il sostegno del governo, ma anche del settore privato, nonché finanziamenti bilaterali e multilaterali

Il potenziamento infrastrutturale è in cima all’agenda 2022 del Sud-Est asiatico e dell’Asia meridionale. L’urgenza parte da un dato fondamentale: dal 2020 al 2040, un terzo dell’aumento della popolazione mondiale proverrà dalle giovani economie dell’Asia meridionale e del Sud-Est asiatico, ovvero India, Pakistan, Bangladesh, Indonesia, Malesia, Filippine e Vietnam. Le proiezioni delle Nazioni Unite stimano anche un netto sviluppo dell’urbanizzazione, con circa 462 milioni di persone che si trasferiranno nelle città entro il 2040, o un aumento del 52% della popolazione urbana, che si aggiunge agli 895 milioni di abitanti attuali. Questi fenomeni eserciteranno senza dubbio una forte pressione sulle infrastrutture esistenti, richiedendo maggiori investimenti per mantenere non solo la domanda esistente, ma soprattutto quella futura.

Il divario infrastrutturale più importante riguarda l’India, seguita da Pakistan e Bangladesh. Nel Sud-Est asiatico, sono le Filippine e l’Indonesia ad avere le maggiori falle infrastrutturali da colmare, soprattutto le infrastrutture stradali. Tuttavia, l’India mantiene il primato per la quantità di strade costruite, ma è la qualità delle superstrade a destare preoccupazione. Anche il Vietnam ha investito molto nella costruzione di superstrade, migliorando nettamente il sistema delle infrastrutture.  Le Filippine stanno concentrando gli investimenti sul trasporto aereo, fondamentale per la mobilità domestica, il commercio e il turismo. Il Pakistan è il Paese più in ritardo negli investimenti in infrastrutture aeree. Invece, le infrastrutture ferroviarie ricevono pochi investimenti sia in Asia meridionale che nel Sud-Est asiatico, ad eccezione di Malesia e Indonesia. 

Il divario infrastrutturale è quindi al centro delle agende politiche di questi Paesi, molti dei quali hanno già escogitato supporti politici e investimenti governativi per affrontare il problema. Il governo indiano ha annunciato il PM Gati Shakti del valore di 1,3 trilioni di dollari per potenziare le infrastrutture nazionali nei prossimi 25 anni e attirare Investimenti Diretti Esteri. A supporto di questo piano nazionale a lungo termine – nel bilancio dell’anno fiscale 2023 – l’India ha chiesto un aumento del 35,4% degli investimenti, ponendo la costruzione di infrastrutture, in particolare autostrade, ferrovie e logistica, al centro della sua agenda di sviluppo economico, con cifre nettamente superiori ai budget precedenti. I piani di spesa includono la costruzione di 25.000 km di nuove autostrade e 100 nuovi terminal merci in tre anni. Anche settori come l’acqua e l’energia elettrica stanno ricevendo le giuste attenzioni.

Nel Sud-Est asiatico, l’Indonesia punta a investire 400 miliardi di dollari entro il 2020 e il 2024 per migliorare gli aeroporti, l’energia elettrica e il trasporto di massa. Il Vietnam sta continuando il suo febbrile sviluppo delle infrastrutture per aumentare la propria competitività. I progetti principali riguardano la costruzione di oltre 5.000 km di superstrade entro il 2030; 172 percorsi di autostrade nazionali con una lunghezza totale di 29.795 km; tre circonvallazioni urbane ad Hanoi con una lunghezza totale di 425 km, e altre due a Ho Chi Minh City con una lunghezza totale di 295 km.

Il Pakistan, con il secondo divario di domanda più ampio, ha trovato nell’alleanza con la Cina – attraverso il corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC) – il supporto necessario per migliorare le sue infrastrutture. Anche il Bangladesh ha introdotto il Delta Plan 2100 per realizzare 65 progetti infrastrutturali.

I finanziamenti sono il punto nevralgico del piano infrastrutturale di questi Paesi. L’ampiezza dei progetti richiederà non solo il sostegno del governo, ma anche del settore privato, nonché finanziamenti bilaterali e multilaterali. Questo problema è particolarmente sentito da India, Filippine e Indonesia.

L’India mira a emettere obbligazioni verdi per supportare la costruzione di infrastrutture rispettose del clima, anche come veicolo di finanziamento per lo sviluppo sostenibile. Nel 2021, l’India ha emesso green bond da 6,8 miliardi di dollari, contro i 66,1 miliardi della Cina. Anche le nazioni del Sud-Est asiatico stanno puntando all’emissione di green bond per sostenere le ambizioni infrastrutturali. Le Filippine, ad esempio, stanno valutando l’emissione di green bond sovrani per aiutare i fondi privati ​​a valutare le esigenze di investimento in infrastrutture sostenibili negli arcipelaghi. 

La riduzione del gap infrastrutturale è un obiettivo urgente per questi Paesi. Con l’aumentata consapevolezza e la priorità garantita, il 2022 segnerà il punto di svolta per migliorare la connettività, e quindi la produttività e la competitività commerciale di queste economie strategiche per gli equilibri internazionali. 

Cooperazione sì, contrapposizione no

La maggior parte dei Paesi dell’ASEAN hanno aderito al lancio dell’Indo-Pacific Economic Framework di Biden. Ma dicono no alla logica di scontro tra blocchi

Ci sono tutti tranne tre. Solo Myanmar, Cambogia e Laos non fanno parte dell’Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity (IPEF), il programma di cooperazione lanciato dal Presidente degli Stati Uniti Joe Biden da Tokyo, durante il suo viaggio in Asia. Malesia, Singapore, Indonesia, Filippine, Brunei, Vietnam e Thailandia hanno invece aderito insieme anche a India, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda in un gruppo che comprende il 40% del PIL mondiale. Il programma intende rafforzare le catene di approvvigionamento e la collaborazione tra i partner, in particolare nei settori del commercio digitale e della transizione energetica con un focus sullo sviluppo delle energie rinnovabili. I Paesi del Sud-Est asiatico hanno chiarito più volte che vorrebbero vedere un maggiore impegno degli Stati Uniti sotto il profilo commerciale e in passato hanno espresso la loro frustrazione per il ritiro di Washington dal Partenariato Trans-Pacifico (TPP) da parte dell’ex presidente americano Donald Trump nel 2017. L’amministrazione Biden non ha mostrato interesse a tornare al patto, il cui “problema principale” era la mancanza di sostegno da parte del Congresso. Allo stesso tempo la Casa Bianca prova a convincere l’ASEAN, attraverso l’IPEF, che gli USA sono pronti a fare la loro parte per sostenere lo sviluppo commerciale, infrastrutturale, ambientale e digitale della regione e contenere l’impatto economico della guerra in Ucraina. Eppure, l’amministrazione Biden ha chiarito preventivamente che non si trattava di un accordo di libero scambio e che dunque la cornice non porterà a un abbassamento delle tariffe sulle importazioni. La neutralità dell’Associazione è stata comunque ribadita ed esemplificata dalle parole con cui il Premier di Singapore, Lee Hsien Loong, ha annunciato l’adesione al programma lanciato da Biden. “L’Asia non ha bisogno di un equivalente della Nato”, ha dichiarato Lee riferendosi anche al summit del Quad. E ha chiarito la volontà inclusiva del Sud-Est asiatico chiedendo contestualmente al lancio dell’IPEF il via libera all’ingresso della Cina nel TPP. Cooperazione sì, contrapposizione no.

Perché l’Asia pensa sempre più al nucleare

A Singapore, il ministro di stato per il Commercio e l’Industria Alvin Tan ha parlato al parlamento di opzioni energetiche alternative come quelle ad idrogeno, geotermiche e nucleari

Diversi paesi dell’Asia orientale stanno prendendo in considerazione l’opzione nucleare per reagire alla carenza dell’offerta globale di energia determinata dal conflitto russo-ucraino. Si tratta di una soluzione allettante per molti governi regionali, che per promuovere la crescita interna si trovano a fare i conti con le conseguenze economiche della crisi sanitaria.

L’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sul Cambiamento climatico (IPCC) è molto chiaro sull’emergenza ambientale e sociale che attende la comunità internazionale nel prossimo futuro. È urgente ricorrere a misure decisive per ridurre drasticamente le emissioni di gas serra entro il 2025 se si vuole tentare di raggiungere l’obiettivo degli Accordi di Parigi e contenere il riscaldamento globale a 1,5 °C sopra i livelli pre-industriali. In occasione della COP26 di Glasgow, che si è tenuta lo scorso novembre 2021, i paesi partecipanti sono stati incoraggiati ad abbandonare rapidamente i combustibili fossili per evitare il disastro climatico, e a prendere in considerazione il ricorso all’energia nucleare.

L’Asia orientale – per caratteristiche geografiche e strutture socio-economiche – è tra le regioni più sensibili al deterioramento ambientale e climatico. Le conseguenze del riscaldamento globale si abbattono già con inclemenza sulle condizioni di vita delle comunità regionali, costringendo molte persone a migrare e altre a fare i conti con l’innalzamento del livello del mare e con fenomeni climatici estremi.

Per queste ragioni i governi nazionali hanno fatto della sostenibilità e della de-carbonizzazione imperativi imprescindibili dei loro programmi politici. Le difficoltà economiche che hanno fatto seguito alla pandemia e le contingenze geopolitiche in Europa orientale hanno messo in crisi questi buoni propositi, poiché al di là delle istanze ambientaliste la crescita economica resta l’obiettivo principale di questi mercati emergenti.

Chi sono i sostenitori della svolta nucleare

La Cina ha approvato da poco la costruzione di sei nuovi reattori nucleari per portare avanti la sua politica di de-carbonizzazione. La grave carenza di energia elettrica sperimentata lo scorso autunno 2021 aveva costretto le amministrazioni locali cinesi a razionare l’accesso alla corrente. Questo avrebbe messo le autorità nazionali di fronte alla necessità incalzante di trovare soluzioni energetiche che soddisfino l’imponente domanda nazionale senza sacrificare gli impegni per il clima.

Il Giappone, pur essendo rimasto scottato dal disastro di Fukushima del 2011, sta pensando di ricorrere al nucleare per sopportare le conseguenze sui prezzi dell’energia determinate dalla guerra in Ucraina. Il nuovo primo ministro Fumio Kishida è abbastanza favorevole a questa transizione, secondo Nikkei Asia. L’8 aprile avrebbe dichiarato ad alcuni giornalisti di avere l’obbiettivo di “massimizzare l’uso delle energie rinnovabili e dell’energia nucleare in seguito al divieto di importazione del carbone russo”.

Il neoeletto presidente della Corea del Sud, il conservatore Yoon Suk-yeol ha promesso una svolta nucleare per emancipare l’economia nazionale dal carbonio. Il progetto di revisione del mix energetico è stato definito “inevitabile” affinché la Seul raggiunga i suoi obiettivi climatici.

A Singapore, il ministro di stato per il Commercio e l’Industria Alvin Tan ha parlato al parlamento di opzioni energetiche alternative come quelle ad idrogeno, geotermiche e nucleari. Anche se uno studio del 2012 aveva stabilito che le convenzionali tecnologie dei grandi reattori nucleari non erano appropriate per la piccola città-stato asiatica, oggi le infrastrutture possono essere molto più piccole e sofisticate, e anche Singapore potrebbe trarre vantaggio da questa industria.

Anche le Filippine accarezzano l’idea di virare verso il nucleare. Il segretario dell’Energia Alfonso Cusi è un forte sostenitore di questa opzione energetica, e ha dichiarato l’anno scorso al canale televisivo ANC che si tratta di un’alternativa strategica per ridurre le importazioni di petrolio. A febbraio, il presidente Rodrigo Duterte ha firmato un ordine esecutivo che prevede l’inclusione dell’energia nucleare nel mix energetico nazionale.

Altri paesi della regione, tra cui Indonesia, Malesia, Thailandia e Vietnam, stanno vagliando o implementando piani per produrre energia nucleare, anche se molti progetti restano in stand-by per questioni di costi e sicurezza.

Neutralità e pacifismo capisaldi della ASEAN WAY

Editoriale a cura di Michelangelo Pipan

Vicepresidente dell’Associazione Italia-ASEAN

I Paesi ASEAN intendono restare neutrali, continuando a perseguire equilibri fondati su equidistanza e diplomazia economica proattiva. 

All’indomani del vertice con gli USA, l’ASEAN si conferma restia a schierarsi, a lasciarsi trascinare in contese geopolitiche, fedele ai suoi principi fondanti quasi a voler estendere fuori dai confini quella Asean Way che ne ha accompagnato l’espansione. I Paesi ASEAN intendono restare neutrali, continuando a perseguire  equilibri fondati su equidistanza e diplomazia economica proattiva (vedasi RCEP) – che da due anni li hanno portati a essere il principale partner commerciale della Cina, superando USA, terzi, e UE, salita al secondo posto.

Biden chiedeva al vertice di rimediare alla scarsa attenzione della presidenza Trump. Obbiettivo raggiunto dal punto di vista formale, senza però far uscire l’ASEAN dalla comfort zone intesa a non guastare l’amicizia con le grandi potenze. Il Joint Vision Statement finale sembra interamente scritto dal lato asiatico del Pacifico: ripetuti richiami ai capisaldi di neutralità, pacifismo e Nuclear Free Zone dell’ASEAN, alla composizione pacifica delle controversie, all’impegno per pace e stabilità regionali. Nel capitolo sul Mar Cinese Meridionale – titolato significativamente  “Promozione della Cooperazione Marittima” – la Cina non viene menzionata e toni pacati sostengono la risoluzione pacifica delle dispute sulla base della legge internazionale. La breve parte sull’Ucraina si limita a riaffermare  – precisando: as for all nations – il rispetto per sovranità, indipendenza politica e integrità territoriale, chiedendo l’immediata cessazione delle ostilità. 

Nelle capitali i leader ASEAN incassano plauso: l’Associazione deve rimanere neutrale; la RCEP rimane il contesto di riferimento; l’Indo Pacific Economic Partnership, non ancora meglio definita iniziativa Usa, “non (le) è assolutamente paragonabile”.

Europa e Italia hanno interesse nel consolidamento di potenze intermedie che contribuiscano al regolare funzionamento della globalizzazione, che dovrà riprendere lungo direttrici meglio meditate e governate. In tal quadro i Paesi ASEAN si confermano – anche come trampolino per gli altri mercati asiatici – interlocutori naturali per l’Italia. Una grande opportunità per il nostro Paese, i suoi distretti industriali e la sua naturale vocazione all’export.

Dighe del Mekong: l’impatto su comunità ed ecosistemi

Il Centro studi vietnamiti apre al dibattito sullo sviluppo della regione, che negli ultimi anni è trainato da progetti infrastrutturali tanto ambiziosi, quanto controversi

Giovedì 12 maggio il Centro studi vietnamiti (Csv) ha ospitato un webinar per approfondire gli aspetti ambientali, sociali e legali che ruotano intorno alla costruzione di dighe lungo il Mekong. Si tratta di un’area che occupa 790 mila km2 e abbraccia paesi molto diversi tra loro per governo, economia e demografia: tutti fattori che influenzano priorità (e quindi approcci) al tema dello sviluppo. I nove interventi, preceduti dai saluti dell’ambasciatore Duong Hai Hung, hanno cercato di coprire tutti questi aspetti: tra i relatori, esperti di scienze della Terra, ittiologia, impianti idroelettrici e diritto. 

Un ecosistema in pericolo

Come ha spiegato il professore Simone Bizzi, il Mekong funziona come un organismo a sé. Ogni elemento dell’ecosistema fluviale è in costante mutamento e si autoregolamenta per mantenere la propria “salute”. L’inserimento di organismi alieni, come dighe e centrali idroelettriche, può avere un impatto devastante – soprattutto se l’intervento non avviene nel rispetto delle specificità del territorio.

Un caso studio è quello delle dighe costruite nel bacino alto del Mekong, dove la Cina sta investendo ingenti risorse per potenziare lo sviluppo dell’area attraverso l’idroelettrico. Solo lungo il Lancang, affluente situato nella provincia dello Yunnan, sono operativi 65 impianti e Pechino ha in programma la costruzione di altre 23 dighe. Tra i diversi problemi, la loro presenza sta “inceppando” il trasporto dei sedimenti, che ogni anno ammontano a circa 160 mega tonnellate (trenta volte il peso della piramide di Giza): l’accumulo dei sedimenti provoca la stagnazione a monte del corso d’acqua, mentre non arrivano più i nutrienti che sostengono la biodiversità a valle. Un fenomeno che non ha conseguenze solo sul pescato, ma anche sulle risaie e le attività agricole in generale.

Sviluppo (in)sostenibile

I cambiamenti climatici pongono un’ulteriore sfida al normale funzionamento dell’ecosistema fluviale (e di tutte le attività che dipendono da esso). Il flusso d’acqua, già ridotto dalla presenza delle dighe, è soggetto a stagioni di secca sempre più intense. Nel 2019 il Mekong ha toccato il livello più basso degli ultimi 100 anni, un record che da eccezione sta diventando regola. Davanti alla carenza d’acqua, come segnala anche l’Osservatorio sulle dighe nel Mekong dello Stimson center, alcuni sbarramenti finiscono per contenere ulteriormente il flusso e penalizzano le aree del settore meridionale. Questo accade soprattutto nella sezione cinese del Mekong, accusano gli esperti, anche quando il livello delle precipitazioni è nella norma.

I progetti per la costruzione di nuove centrali idroelettriche non sono comunque fermi. Al contrario: lungo gli affluenti del Mekong continuano ad aumentare i finanziamenti per la costruzione di nuovi impianti, complice la crescente domanda di energia elettrica di Laos, Cambogia, Myanmar, Thailandia e Vietnam. Alcuni di questi paesi sono altamente dipendenti dall’idroelettrico, come evidenziano i dati di Phnom Penh sul mix energetico cambogiano: il 55% della capacità produttiva di elettricità proviene dalle centrali idroelettriche. Al rischio di squilibri nell’approvvigionamento energetico si aggiunge la dipendenza finanziaria: che siano investimenti a opera di compagnie straniere o banche di sviluppo, oppure i debiti maturati nei confronti delle imprese appaltatrici.

Infine, la costruzione di dighe può avere effetti sociali immediati o nel lungo termine. Nel primo caso, le popolazioni limitrofe potrebbero vedersi espropriare i propri terreni – quando il progetto non richieda direttamente la rilocazione dei villaggi. In seconda battuta, il degrado ambientale che fa seguito alla mala gestione dei progetti riduce le opportunità di sostentamento e sviluppo di quei cittadini che dovrebbero beneficiarne.

Soluzioni (o compromessi?)

Come ha sottolineato il professore Massimo Zucchetti, accade che dopo un’attenta revisione i piani per la costruzione di nuove centrali idroelettriche debbano essere cancellati e ripensati dall’inizio: nello stato nordorientale indiano dello Uttarakhand ben 23 progetti su 24 non hanno superato i criteri minimi di sostenibilità. Ciò accade, talvolta, per il mancato coinvolgimento degli attori locali o di esperti capaci di valutare l’impatto delle dighe nel contesto interessato. Le soluzioni per ridurre le esternalità negative esistono, e alcune di queste provengono dal bacino delle cosiddette “nature based solutions”. Queste ultime rappresentano un insieme di accorgimenti che hanno alla base il rispetto delle specificità del territorio e richiedono un intervento umano minimo.

Il problema della gestione dell’idroelettrico nel delta del Mekong non è solo ecologico, ma pone diverse sfide per la costruzione di un diritto ambientale capace di tutelare le comunità locali. L’ultima parte dell’incontro si è concentrata quindi sulle controversie legali che interessano un’area tanto vasta. La crescente scarsità di risorse idriche è riconosciuta da tempo come un fattore di accelerazione dei conflitti, e la mancanza di meccanismi adeguati aumenta i rischi di instabilità (nonché di cattivo adeguamento dei progetti). 

Il ruolo delle organizzazioni transnazionali

Che cosa può fare l’ASEAN in un contesto così complesso che riguarda oltre la metà dei suoi paesi membri? Secondo i ricercatori presenti, sono molti gli interventi che oggi rimangono in mano alle organizzazioni transnazionali. La maggior parte dei progetti per l’idroelettrico lungo il Mekong vede la partecipazione di banche di attori statali e privati, delle banche di sviluppo, dei gruppi di ricerca. La partecipazione pubblica è, inoltre, particolarmente importante per la gestione delle risorse locali. I diversi attori hanno anche le capacità per fornire i dati necessari a comprendere il contesto di riferimento – obiettivi ancora oggi difficili da raggiungere.

Quello che può accadere grazie all’intervento di organizzazioni super partes è la condivisione di esperienze e meccanismi di progettazione virtuosi. Un gruppo come l’ASEAN, inoltre, talvolta ha saputo fare fronte comune davanti ad attori di peso come la Cina, che in questo caso è tra gli interlocutori principali. L’altra faccia della medaglia, però, offre una panoramica ancora troppo attenta alla sostenibilità di facciata e poco all’effettivo sovrasfruttamento delle risorse presenti. Sulla carta, la parola “sviluppo sostenibile” si è diffusa tanto rapidamente quanto sono aumentati i consumi elettrici e l’emissione di gas climalteranti. Qui la sfida per tutti gli attori coinvolti dalle trasformazioni nel bacino del Mekong: saper innovare nel rispetto del territorio, dell’ecosistema e delle sue popolazioni.

ASEAN e India, ridefinendo le future strategie energetiche dell’Asia meridionale

Articolo di Aishwarya Nautiyal

L’India e l’ASEAN hanno mostrato la volontà di sviluppare un altro ecosistema rafforzando l’infrastruttura per le risorse rinnovabili condividendo l’esperienza e la conoscenza al massimo delle sue potenzialità tra i paesi membri.

La transizione verso una nuova sinergia con la crescente domanda ed il progresso tecnologico stanno portando ad una nuova necessità di fonti di energia alternative e pulite. L’ASEAN con l’alto livello di potenziale dalla spinta tecnologica all’intraprendenza è stata vista dall’India come uno dei principali partner sia che si tratti di scambi commerciali che di un nuovo potenziale di innovazione per il futuro fabbisogno energetico. Così il mondo sta affrontando scenari fluttuanti a causa dei quali la crescente domanda di energie efficienti e la dipendenza orientata al rischio hanno portato ad una nuova esigenza nell’esplorazione di strade future per settori verdi ed efficienti delle risorse energetiche. Una conferenza di alto livello tra i delegati dell’India e dell’ASEAN nel mese di febbraio 2022 ha mostrato la volontà di sviluppare un altro ecosistema per rafforzare l’infrastruttura per le risorse rinnovabili condividendo l’esperienza e la conoscenza al massimo delle sue potenzialità tra i paesi membri.


È stata data la priorità a nuovi centri energetici e alla creazione di capacità con assistenza tecnica per promuovere iniziative congiunte nella regione dell’Asia meridionale. L’iniziativa dell’India di accogliere l’esperienza dell’ASEAN verso l’integrazione del mercato verde è uno degli aspetti chiave. La rete elettrica dell’ASEAN è una delle aree chiave d’ interesse e il suo funzionamento efficiente ha portato a una fase di integrazione e adattamento attraverso vari progetti di sviluppo infrastrutturale, compresa la cooperazione strategica per affinare le conoscenze ed espandere le opportunità nella regione del subcontinente indiano. L’India è disposta a cooperare con l’Indonesia per facilitare una nuova dimensione di transizione nel settore delle energie rinnovabili. Gli scambi accademici insieme a nuove idee per l’incoraggiamento reciproco con un coordinamento efficace tra ricercatori e studenti è stata anche una prospettiva importante tra i responsabili politici dell’India e dei paesi membri dell’ASEAN.


L’integrazione del Grid tra i paesi dell’ASEAN e il suo piano di progettazione di nuove capacità è stata un’area chiave con i segnali di benvenuto. Il Ministero delle Miniere e dell’Energia della Cambogia ha evidenziato l’importanza di un’ambizione unificata mirata alle azioni pianificate per basse emissioni di carbonio in base alle quali l’idrogeno verde è visto dall’India come una nuova chiave per la decarbonizzazione guidata attraverso una formazione intensiva e competenze reciproche, coordinandosi con i partner del gruppo ASEAN. Alcuni recenti sviluppi nei paesi dell’ASEAN hanno mostrato un enorme potenziale nell’organizzazione e nell’attuazione di nuove strategie per la transizione verso le energie rinnovabili. L’Indonesia non vede l’ora di risolvere la capacità di stoccaggio, mentre l’ RPD del Laos ha mostrato progressi con un aumento dell’89% in nuovi progetti ecologici, tra cui la generazione di energia idroelettrica, l’energia solare, la produzione di energia rinnovabile leader nella biomassa per un totale di oltre 9100 MW.


La Thailandia, d’altra parte, ha lanciato un impianto solare da 2700 MW creando la sua multiutility comprensiva di pompaggio dell’acqua. L’India ha recentemente fatto progressi nella futura quota di energia insieme a nuove innovazioni tecnologiche garantendo la sua efficacia in termini di costi e infrastrutture competitive insieme a partner dell’ASEAN come Brunei, Filippine e Myanmar. Guardare avanti verso le sfide future con opportunità crescenti che utilizzano le competenze tecnologiche della smart intelligence attraverso una delle più grandi reti dell’industria IT dell’India incentrata sull’integrazione robotica per l’ingegneria può portare ad una produzione sostenibile per bilanciare la domanda per il futuro fabbisogno energetico in una regione così vasta e popolata. Il coordinamento reciproco con le nazioni ASEAN vicine può fornire una piattaforma per rafforzare la cooperazione bilaterale e condividere lo sviluppo umano bilaterale.


Una risposta richiesta per una nuova sicurezza energetica è stata mantenuta come uno dei settori ad alta priorità dai responsabili politici indiani insieme all’ASEAN promuovendo alternative ai biocarburanti come olio di palma, canna da zucchero e cocco è emersa come una componente importante dell’alternativa per guidare la futura produzione di energia. L’India produce grandi quantità di canna da zucchero nella sua terraferma nella parte settentrionale del suo territorio, mentre la produzione di cocco nell’India meridionale, insieme all’essere il più grande importatore di olio di palma dalla Malesia e dall’Indonesia, mostra una strada di risorse reciproche guidata dalla cooperazione tecnica e dalla condivisione delle conoscenze. Secondo la Planning Commission indiana, una delle principali preoccupazioni riguarda la sua vasta popolazione di 1,36 miliardi di persone la cui domanda è in aumento a causa dell’aumento del tenore di vita e della forza lavoro che ha bisogno di un nuovo tipo di politiche di sicurezza che garantiscano il futuro fabbisogno energetico.


Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, la sola India ha speso quasi 10,2 miliardi di dollari nel 2015 mitigando gli effetti dei cambiamenti climatici e concentrandosi su nuove strategie per la transizione solare ed eolica che sono diventate un campo dominante nel nuovo ecosistema indiano di sostenibilità energetica. Nuove sfide crescenti nelle città alle prese con un massiccio livello di inquinamento e l’urgenza di trovare nuove strade attraverso la ricerca e la fiducia reciproca negli investimenti in progetti infrastrutturali, visione collaborativa guidata dall’impegno dell’ASEAN India per avere successo oltre la strategia del singolo stato in una politica regionale unificata integrata attraverso l’armonizzazione mediante impegni in vari passaggi e aspetti con una visione di superamento di un compito arduo di differenza a livello nazionale di obiettivi e impegni che possono variare quantitativamente a causa della variazione degli obiettivi e del suo lasso di tempo per superare il meccanismo delle fonti energetiche convenzionali.

Il Crypto Gaming nel Sud-Est asiatico

Negli ultimi mesi, la popolarità dei giochi play-to-earn basati sulla tecnologia blockchain ha continuato a crescere. Il videogioco online Axie Infinity, sviluppato dalla società vietnamita Sky Mavis, è diventato il simbolo di questa tendenza. Tuttavia, la corsa alla realizzazione di un universo digitalesostenuto datransazioni decentralizzatepotrebbe aver subito una prima battuta d’arresto. 

“Axie è una nazione digitale dove le persone in tutto il mondo si riuniscono con i loro Axie per giocare, guadagnare e vivere. Benvenuti nella nostra rivoluzione.” Così Sky Mavis presenta la propria mission. L’esperimento lanciato dalla startup vietnamita ha reso effettivamente reale – per i giocatori più dediti – la possibilità di guadagnare migliaia di dollari al mese allevando, collezionando e scambiando i propri avatars unici, digitalizzati come NFT, dando vita così a un’economia di proprietà degli utenti. Moneta degli scambi, nonché principale fonte di reddito sulla piattaforma Axie, sono i token ERC-20 chiamati Smooth Love Potion (SLP). Fino a qualche mese fa, questa criptovaluta poteva essere accumulata illimitatamente completando missioni o vincendo battaglie e riscattata per nuove funzionalità di gioco, o alternativamente convertita in moneta reale. 

Secondo Aleksander Larsen, co-fondatore e COO di Axie Infinity, il segreto del successo di Axie risiederebbe proprio nel sostanzioso incentivo monetario offerto agli utenti in cambio del tempo speso quotidianamente sul videogioco. Tuttavia, lo scorso 4 febbraio gli sviluppatori del gioco hanno deciso di intervenire drasticamente per bilanciare il sistema, azzerando le ricompense per la “Modalità Avventura” e la “Ricerca Quotidiana”, ponendo di fatto un tetto alla quantità di SLP emessi ogni giorno, al fine di limitare l’inflazione. Se, nel momento di massimo splendore, un giocatore poteva guadagnare fino a 150 SLP al giorno, per un valore di 54 dollari statunitensi, a dicembre dello scorso anno il bottino massimo è stato dimezzato a 75 SLP, dal valore non superiore a due dollari. Simultaneamente, il prezzo base degli Axie è sceso da circa 300 dollari ad agosto a soli 25 dollari a febbraio.

Il crollo del prezzo dell’SLP si spiegherebbe con la tendenza dei giocatori a convertire i token in valuta reale invece che reinvestirli all’interno del videogioco, causando un eccesso di offerta: le modalità con cui gli SLP venivano “bruciati” attraverso l’allevamento di nuovi Axie non riuscivano a stare al passo con la velocità con cui grandi quantità di token venivano emesse sul mercato.

Jeffrey Zirlin, altro co-fondatore del gioco, non si è detto stupito di fronte a questi squilibri e ha paragonato la volatilità in termini di flusso di capitale a quella che tipicamente caratterizza le nazioni con un mercato emergente. Al contrario, ha sottolineato la forza innovatrice di Axie Infinity, pioniera nella tendenza a trasformare le piattaforme di gioco digitali in economie di proprietà dei giocatori reali e, di conseguenza, prima a dover fronteggiare eventuali risvolti negativi.

In effetti, è bastato l’annuncio della versione aggiornata con i relativi aggiustamenti in termini di fornitura di SLP – a invertire un trend ribassista che durava ormai da tempo. Nel giro di sole 24 dal lancio della “Stagione 20”, il valore della criptovaluta del gioco è cresciuto del 40%. Inoltre, le significative modifiche apportate lascerebbero intravedere una serie di altri vantaggi, tra maggiori possibilità che l’economia del gioco possa svilupparsi in maniera sana e sostenibile nel tempo. “Riteniamo che il modo più veloce per ridurre questa volatilità sia per tutti noi fare i conti con le nostre responsabilità collettive all’interno di Axie e lavorare rapidamente per creare consenso e consentire gli sforzi reciproci della comunità”, si legge nella presentazione ufficiale dell’aggiornamento. “La prosperità in una comunità arriva quando collettivamente crea più valore di quello che consuma”.

Tuttavia, l’incertezza nel mondo delle criptovalute non dipende solo dalle oscillazioni del mercato. Alla fine di marzo, Ronin, la rete blockchain che supporta il videogioco, è stata presa di mira in un attacco hacker durante il quale al celebre videogioco è stato sottratto l’equivalente di oltre 600 milioni di dollari (reali) in Ethereum. Larsen ha riaffermato la solidità finanziaria di Sky Mavis, che nel frattempo si è messa all’opera per risarcire completamente i giocatori delle perdite subite. Tuttavia, ha riferito a Bloomberg che il recupero parziale dei fondi rubati potrebbe richiedere fino a due anni. Resta da vedere se la popolarità del gioco sopravviverà alle questo furto da record e se la società di Ho Chi Minh sarà capace di rispondere con prontezza ed efficacia a questi attacchi inediti e imprevisti ai propri sistemi di sicurezza, confermandosi capofila nel settore del Crypto Gaming.

Il post Ucraina delle economie asiatiche

Articolo di Lorenzo Riccardi

La guerra avrà un effetto diretto sulle economie asiatiche che hanno più scambi con i paesi in conflitto ma sarà esteso in modo indiretto all’intera regione del Far East in relazione all’impatto sulle relazioni economiche Europa-Asia

Oltre alle sofferenze della crisi umanitaria causata dal conflitto in Ucraina, l’intera economia globale dovrà affrontare gli effetti di un impatto diretto in ogni regione e di una crescente inflazione.

Russia ed Ucraina sono tra i principali produttori di materie prime, gas naturale e petrolio, oltre a rappresentare il 30 per cento delle esportazioni mondiali di grano.

La Russia è il terzo maggior produttore di petrolio, il secondo esportatore di gas naturale e tra i primi produttori di acciaio e alluminio.

L’Ucraina è uno dei primi produttori di mais, grano, barbabietola da zucchero, orzo e soia; il loro ruolo strategico è interconnesso con molti paesi e regioni del mondo.

Nelle ultime settimane sono stati pubblicati molti rapporti dalle principali istituzioni finanziarie sulle stime per il commercio, gli investimenti e la crescita economica, dal Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale tutte le stime prevedono un rallentamento causato dal conflitto.

La guerra avrà un effetto diretto sulle economie asiatiche che hanno più scambi con i paesi in conflitto ma sarà esteso in modo indiretto all’intera regione del Far East in relazione all’impatto sulle relazioni economiche Europa-Asia.

La Cina, in base ai dati ufficiali delle dogane, ha registrato un volume di scambi con la Russia per 147 miliardi di dollari nel 2021 con un incremento del 36 per cento su base annua, mentre gli scambi con l’Ucraina sono stati pari a 19 miliardi di dollari nel 2021, con un incremento pari al 30 per cento sul trade aggregato. Questi dati rappresentano percentuali minori rispetto agli scambi con i principali partner commerciali di Pechino che sono la regione del Sud Est Asiatico, con le dieci economie dell’ASEAN, l’Unione Europea e gli Stati Uniti.

Gli effetti immediati sull’economia potrebbero essere minori grazie allo stimolo fiscale voluto dal Pechino per promuovere gli obiettivi di crescita 2022 e in relazione al fatto che il commercio con la Russia ammonta a meno dell’1% del prodotto interno lordo. Tuttavia, i prezzi delle materie prime e l’indebolimento della domanda nei grandi mercati di esportazione rappresentano una sfida.

Di fronte all’intensificarsi delle sanzioni da parte dei paesi occidentali, la leadership russa cercherà sempre più di rivolgersi a Pechino per promuovere nuovi flussi commerciali e nuovi strumenti finanziari con il sistema dei pagamenti internazionali CIPS alternativo al SWIFT e lo yuan cinese come moneta sostituita al dollaro americano.

La posizione della Cina non è né di condanna né di supporto verso la Russia, si è però espressa a gran voce contro le sanzioni, ritenendole inefficaci per la risoluzione del problema.  Questa posizione è diffusa in quasi la totalità dell’Asia Pacifico con l’unica eccezione per Giappone, Sud Corea, Singapore e Taiwan in Asia e Australia, Micronesia, e Nuova Zelanda nel Pacifico; che sono stati inseriti da Mosca in una lista di paesi e territori ostili per aver aderito alle sanzioni.

Per il blocco dei paesi ASEAN il commercio con la Cina vale il 20 per cento del trade internazionale in base ai dati 2021 comparato con 11 per cento verso Stati Uniti e 8 per cento con Unione Europea per tanto alcuni analisti valutano un possibile aumento dell’interazione economica intra-regionale nel Far East. Il volume degli scambi coi paesi in guerra sarà fortemente impattato ma tra le economie asiatiche solo Vietnam e Giappone hanno un surplus nella bilancia commerciale con Russia e Ucraina ed in generale il peso del volume di trade con questi paesi occupa quote minori del prodotto interno lordo locale. 

I paesi asiatici hanno vari livelli e tipi di esposizione all’economia russa e a quella ucraina, con maggiori criticità date dall’incremento nei prezzi dei settori energetico e alimentare oltre agli shock sulla catena di approvvigionamento manifatturiero che avranno un impatto diverso sui paesi della regione.

La Russia è un importante esportatore di energia, ma l’esposizione diretta dei paesi membri dell’ASEAN a questo riguardo è piuttosto limitata. ING Bank ha emesso un rapporto che stima l’impatto della guerra sulle economie asiatiche con indicatori legati al commercio, alle esportazioni, agli approvvigionamenti di gas e petrolio e all’incremento dei prezzi in ambito alimentare e con una classifica dei paesi asiatici più colpiti che risultano essere in ordine di rilevanza: Vietnam, Tailandia, Giappone e Sud Corea.

Secondo l’Asian Development Bank, l’impatto principale del conflitto sulle economie del Sud-est asiatico non sarà sulla crescita, ma bensì influenzerà il tasso di inflazione. Secondo la Banca Mondiale, i paesi della regione che vedranno la crescita maggiore nel 2022 sono le Filippine (5,7 per cento) la Malesia (5,5 per cento), il Vietnam (5,3 per cento), e l’Indonesia (5,1 per cento).

Il Fondo Monetario Internazionale ha previsto nel suo outlook di aprile un rallentamento dell’economia globale dovuto in primis al conflitto. Il rapporto del FMI prevede per la crescita mondiale una variazione dal +6.1 per cento nel 2021 al + 3.6 per cento nel 2022 con effetti anche sulla regione dell’Asia emergente che passerà da un incremento del 7.3 per cento del 2021 ad una performance 5.4 per cento nel 2022.

L’autore

Lorenzo Riccardi insegna presso Shanghai Jiaotong University ed è managing partner di RsA Asia (rsa-tax.com). Vive in Cina da 15 anni dove segue gli investimenti esteri nel Far East e ha ricoperto ruoli nella governance dei piu grandi gruppi industriali italiani. A gennaio 2020 ha completato un progetto di viaggio in ogni paese del mondo raccogliendo trend e dati economici da Shanghai, in ogni regione, lungo le nuove vie della seta (200-economies.com).

 

 

Timor Est, dopo le elezioni si punta all’ingresso nell’ASEAN

I cittadini della più recente democrazia asiatica hanno scelto Ramos-Horta come nuovo leader. Si tratta di un ritorno per il premio Nobel che vuole l’ingresso nell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico

Timor Est ha scelto il proprio Presidente: si tratta di José Ramos-Horta, premio Nobel per la Pace nel 1996 e figura chiave della Resistenza all’occupazione indonesiana (1975-1999). Già presidente tra il 2007 e il 2012, Ramos-Horta ha sfidato al ballottaggio il presidente uscente Francisco “Lu Olo” Guterres. È la quinta elezione per una delle democrazie più giovani d’Asia, e la prima in era post-pandemica. Non sono quindi poche le sfide che la nuova amministrazione dovrà affrontare, tra crisi economica e nuove turbolenze politiche nella regione. 

Elezioni a Timor Est: una panoramica

Timor Est, noto anche come Timor Leste o Timor Lorosa-e, è la prima democrazia asiatica a nascere nel XXI secolo. Il dominio coloniale portoghese è durato circa 400 anni fino all’indipendenza, dichiarata unilateralmente nel 1975. Un’indipendenza durata poche settimane, fino al 7 dicembre dello stesso anno. La leadership politica emergente si era progressivamente formata intorno alle forze indipendentiste di stampo socialista: l’allora Presidente indonesiano Suharto poté quindi giustificare l’invasione e la repressione degli est-timoresi appoggiandosi su una politica estera nazionalista e anticomunista. Nel 1999 un referendum supervisionato dalle Nazioni Unite confermò la richiesta di autonomia da parte dei cittadini di Timor Est. Solo nel 2002 arrivò l’indipendenza ufficiale, dopo quasi tre anni di ripercussioni da parte delle forze di occupazione.

Il ventesimo anniversario dell’indipendenza – il 20 maggio 2022 – sarà il giorno dell’inizio della nuova presidenza. L’elezione di Ramos-Horta conferma la prevalenza di figure chiave della Resistenza nel panorama politico di Timor Est. Non è una caratteristica indifferente in un paese dove solo il 33% circa della popolazione ha più di 30 anni. La maggior parte del 1,3 milioni dei cittadini, infatti, ha solo un’esperienza limitata della violenza degli anni dell’occupazione. Molto più familiari a molti est-timoresi sono, invece, un’economia e un mercato del lavoro stagnanti. Le condizioni di vita sono lentamente migliorate nel corso dell’ultimo decennio, ma il 42% della popolazione vive ancora in stato di povertà. Il sistema economico è esposto agli shock esterni in quanto poggia su pochi settori vitali. Al di fuori degli aiuti internazionali, la maggior parte delle entrate dipende da gas e petrolio, che costituiscono il 90% delle esportazioni totali (e vedono il coinvolgimento anche di imprese italiane come Eni). Anche il caffè è un bene che porta ricchezza nel paese, ma non abbastanza per stabilizzare un mercato del lavoro legato in buona parte all’economia informale.

Il futuro di Timor Est e l’ASEAN

All’alba dell’elezione a nuovo presidente di Timor Est, José Ramos-Horta ha fatto riferimento all’obiettivo nell’ingresso di Timor Est nell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN) entro il 2023. Una promessa pronunciata per la prima volta oltre dieci anni fa durante il primo mandato, quando venne sottoposta ufficialmente la candidatura di Dili all’entrata nel gruppo. L’anno prossimo la presidenza di turno passerà all’Indonesia e, come afferma il neoeletto presidente, entrare nell’ASEAN in quest’occasione “sarebbe un gesto altamente simbolico”. L’ingresso di Timor Est nel blocco è stato posticipato a più riprese perché parte dei Paesi membri giudica la sua economia ancora “troppo sottosviluppata”. 

I Paesi ASEAN che più hanno intrecciato rapporti con Dili sono Cambogia e Filippine. Manila viene spesso associata a Timor Est in quanto “sorella maggiore” tra le (poche) realtà di fede cattolica in Asia. Le forze armate filippine sono inoltre coinvolte negli affari est-timoresi dai tempi della transizione a repubblica indipendente e contribuiscono all’addestramento dell’esercito, insieme a Portogallo, Brasile e – in piccola parte – Stati Uniti. Phnom Penh ha una parziale influenza sulla politica estera est-timorese: negli ultimi anni Dili ha cercato i favori della Cambogia in vista della presidenza ASEAN nel 2022, ma anche il legame comune con la Cina ha spesso favorito l’allineamento dei due Paesi in diverse questioni internazionali (da ultimo, Phnom Penh ha spinto per l’astensione di Dili al voto Onu per la condanna del colpo di stato in Myanmar).

Il rapporto con la Cina è una delle chiavi per comprendere l’importanza di Dili sullo scacchiere asiatico. Analogamente ad altre piccole economie della regione, gli investimenti in arrivo da Pechino rappresentano un’opportunità di crescita fondamentale. Opportunità che parte dello stesso blocco ASEAN favorirebbe per non addossarsi i costi dello sviluppo di Timor Est. Ma la situazione è molto più complessa, e l’allargamento della Repubblica Popolare nei piccoli Paesi dell’Asia pacifico rimane un segnale d’allerta per la stabilità dell’area. La Cina è stata il primo paese ad avviare i rapporti diplomatici con il paese nel 2002 e da allora ha contribuito in larga parte agli investimenti necessari per la ripresa economica. Molte infrastrutture a Timor Est sono opera di imprese cinesi (tra cui i palazzi governativi e alcune strutture militari). E le opportunità non sono terminate con la ricostruzione: l’intero sistema portuale deve essere potenziato per aprire il Paese ai commerci internazionali, mentre sono ancora numerosi i bacini di petrolio e gas a non essere ancora stati scoperti e sfruttati.Infine, un fattore sempre più determinante per il destino di Timor Est sarà il cambiamento climatico. Il paese è soggetto a fenomeni climatici estremi che si stanno intensificando con il passare degli anni. Il solo Governo non possiede le risorse per prevenire e riparare i danni che alluvioni, terremoti e frane causano a economia e società. Tre quarti della popolazione dipendono da un’agricoltura di sussistenza: questo significherà, quindi, una maggiore vulnerabilità ai limiti della sopravvivenza. E, quindi, un crescente rischio in termini di indipendenza economica e politica.

Cooperazione India-ASEAN: le implicazioni regionali

Sono numerose le opportunità di cooperazione tra Nuova Delhi e i Paesi del Sud-est asiatico, così come è alto il potenziale per approfondire tale relazione.

Articolo di Aishwarya Nautiyal

Con l’emergere dello sviluppo economico e di una maggiore influenza da parte dell’India, uno dei principali obiettivi dei responsabili politici è stata la cosiddetta “Look East Policy” (politica rivolta a est), in cui l’ASEAN ha assunto un ruolo fondamentale, favorendo la collaborazione allo scopo di promuovere gli interessi commerciali, economici e di sicurezza dell’India. Uno dei principali accordi è stato il “Free Trade Agreement”, ossia un accordo di libero scambio firmato da India e ASEAN a Bali, in Indonesia, nel 2009. Le mutevoli dinamiche internazionali e la crescente importanza della regione indopacifica rendono questa partnership un nodo centrale per la stabilità e la realizzazione di un coordinamento sostenibile nell’odierno mondo globalizzato. Un gruppo di dieci nazioni con variazioni nella crescita economica e molte risorse a disposizione ha gettato solide basi grazie a una liberalizzazione delle tariffe pari al 90%, rendendo questo FTA uno dei più grandi accordi di libero scambio nel mondo, e comprende inoltre alcuni prodotti pregiati come l’olio di palma, il tè e il caffè.

L’India prevede di esportare 46 miliardi di dollari nell’anno finanziario 2022, ed è tra le più grandi regioni commerciali verso il raggiungimento dell’obiettivo di 400 miliardi di dollari a livello globale. La cooperazione principale proviene dal settore ingegneristico, in cui l’ASEAN detiene il 15% della quota delle esportazioni indiane, pari a 35,3 miliardi di dollari nel 2021 e con un nuovo obiettivo fiscale di 105 miliardi di dollari per il 2022. Nello scenario globale, questa cooperazione sta diventando un’importante catena di approvvigionamento e del valore incentrata sulla partnership reciproca e sui mercati dell’export. L’ASEAN stessa è il terzo partner esportatore e il quinto partner commerciale dell’India al mondo. Mentre si guarda alla crescente interazione tra i due partner, tra i responsabili politici indiani hanno suonato un campanello d’allarme, dal momento in cui si è visto come la riduzione delle tariffe stia portando una maggiore partecipazione da parte dell’ASEAN nei mercati indiani rispetto a quanto l’India partecipi nei mercati competitivi delle economie ASEAN. Ciò è dovuto al fatto che alcuni dei Paesi più importanti come Singapore, Malesia e Indonesia sono economie esportatrici, ed hanno un vantaggio competitivo con un rapporto più alto tra PIL ed export di beni.

Il Kerala è uno dei maggiori esportatori, comprese le esportazioni nazionali di prodotti agricoli. La gomma, il caffè, il pesce sono la principale fonte di reddito, mentre la minore produttività dovuta all’aumento delle importazioni per poter raggiungere prezzi competitivi sta danneggiando l’industria agricola. L’importazione di pesce, gomma e olio di palma a minor prezzo dalla Malesia e dall’Indonesia può costituire uno dei maggiori ostacoli; ha già colpito la produzione locale  causando una riduzione della domanda. L’aumento della concorrenza dovuta alle importazioni dall’ASEAN ha posto alcune sfide al governo, che ha l’arduo compito di mantenere l’equilibrio tra agricoltura locale e liberalizzazione del commercio. Un’altra grande sfida è la variazione della stabilità economica e politica dell’ASEAN. Il Myanmar, in cui persiste l’instabilità politica, è il sorvegliato speciale nella visione che ha Nuova Delhi del Sud-est asiatico.

Un’altra sfida che questa cooperazione ha dovuto affrontare è il boicottaggio dell’esportazione di olio di palma malese in India da parte dei commercianti, che ha suscitato forti preoccupazioni tra gli Stati membri. L’India ha giudicato l’intervento della Malesia un’ingerenza nei propri affari interni quando il governo indiano ha revocato lo statuto speciale del Kashmir nel 2019. In quest’occasione, la dichiarazione del primo ministro malese Mahathir Mohamad, che si opponeva alla revoca, ha provocato una nuova spaccatura fra i due Paesi, in seguito a cui l’India ha deciso di imporre limiti sulle importazioni di olio di palma dalla Malesia. Queste dinamiche politiche e alcune tensioni mettono in evidenza un aspetto importante: è necessario un forte coordinamento da parte della diplomazia per attuare importanti misure di confidence building. Ciononostante, emergono sfide e interessi strategici, e i negoziati attraverso dialoghi multilaterali stanno facendo in modo che si trovino alternative per affrontare tali questioni. La crescente importanza dell’ASEAN e dell’Oceano Indiano fa emergere nuove possibilità in cui le controversie nel Pacifico possono essere considerate come un nuovo punto focale per migliorare la partnership strategica e modificare le dinamiche riguardanti la sicurezza.

Il dilemma di Malacca è uno degli aspetti centrali in cui le isole indiane di Andamane e Nicobare sono posizionate strategicamente nei pressi della principale rotta commerciale dello Stretto di Malacca, e la sua posizione geografica è condivisa con le principali economie come Tailandia, Malesia, Singapore e Indonesia; questo fa sì che l’India abbia confini marittimi con i vicini Paesi  dell’ASEAN. Negli ultimi anni si è rafforzata la cooperazione reciproca in vari ambiti del settore della difesa, fra cui le esercitazioni militari, lo sviluppo tecnologico, il commercio di armi e lo sviluppo reciproco delle infrastrutture. Lo stretto di Malacca è una delle importanti rotte commerciali che si trova sotto la supervisione degli Stati regionali e in cui vengono promosse  collaborazioni reciproche per garantire la libera navigazione e il commercio fra Paesi in conformità con le leggi internazionali, anche allo scopo di promuovere ed esplorare nuove opportunità economiche in scenari geopolitici mutevoli e complessi. D’altro canto, la cooperazione nel settore della difesa fra India e Vietnam, la vendita, per la prima volta, di missili supersonici Brahmos alle Filippine e l’utilizzo di jet da combattimento Tejas da parte dell’aeronautica militare della Malesia sono da ritenersi un elemento di confidence building che si inserisce in varie dinamiche di cooperazione strategica e sicurezza, condividendo le preoccupazioni reciproche sulle controversie regionali.

Rafforzare questo rapporto sfaccettato, dalla cooperazione politica e per la sicurezza alla partecipazione sociale, culturale e linguistica, è un obiettivo della nuova visione dell’India nell’ “Act East Forum” per i suoi Stati nord-orientali e il suo sviluppo delle infrastrutture, con l’aiuto di investimenti giapponesi che mirano ad una maggior collegamento con i vicini Paesi dell’ASEAN. Il porto di Sittwe nella provincia di Rakhine, in Myanmar, che è stato sviluppato con l’intento di sviluppare le infrastrutture e i trasporti, e garantire inoltre l’accesso alla Baia del Bengala al Mizoram, Stato nord-orientale dell’India privo di sbocco sul mare, e più all’interno. Un altro progetto trilaterale riguarda l’autostrada che collega Moreh (India) a Mae Sot (Thailandia) passando per Mandalay (Myanmar), ed è un esempio della collaborazione India-ASEAN per costruire nuove infrastrutture, con futuri piani di espansione verso Laos, Cambogia e Vietnam. Questi progetti hanno destato forte interesse nel governo del Bangladesh, alla ricerca di un’opportunità nello sviluppo delle infrastrutture fra India e ASEAN collegando Dhaka per estendere la propria rete infrastrutturale; il Bangladesh può inoltre fornire l’accesso a Paesi senza sbocco sul mare come il Nepal e il Bhutan ai membri dell’ASEAN attraverso l’India nord-orientale. Riconoscere questo potenziale di sviluppo reciproco può approfondire e rafforzare nuove prospettive per la regione, forgiando un forte legame storico-culturale tra i partner regionali e la loro ricca storia comune.

Primi passi nella gestione dei rifiuti plastici

Entro il 2024 l‘Onu e i Paesi asiatici vogliono realizzare il primo trattato mondiale sul contenimento dei rifiuti plastici

L’80% dei rifiuti plastici mondiali ha origine nel continente asiatico e più di un terzo deriva dalle Filippine. Per contrastare il fenomeno, i maggiori produttori di plastica dell’Asia, dalla Cina all’India, dall’Arabia Saudita al Giappone, hanno partecipato, nell’ambito delle Nazioni Uniti, alla stesura di un piano per la realizzazione del primo trattato mondiale sul contenimento dei rifiuti plastici entro il 2024.

“Un momento storico”, è stato definito così l’accordo raggiunto il 2 marzo dal Programma sull’ambiente dell’ONU. Ma gli scettici non hanno mancato di sottolineare le criticità di questo accordo. Il trattato infatti si concentra principalmente sul riciclaggio della plastica monouso, ma gli esperti dell’ambiente continuano ad insistere che per avere un impatto significativo bisogna fare i conti anche con la limitazione della produzione di prodotti in plastica. Una prospettiva che non piace ai governi di quelle nazioni con un’economia improntata sull’industria petrolchimica.

L’accordo, però, è più complesso: i Paesi hanno concordato una risoluzione che prevede il monitoraggio dell’inquinamento da plastica lungo tutta la filiera produttiva, dalla creazione allo smaltimento. Osservati speciali saranno i Paesi asiatici considerati i maggiori responsabili della dispersione di rifiuti plastici nell’ambiente, in particolar modo le Filippine. Anche la Malesia, destinazione preferita da molte altre nazioni per lo smaltimento della plastica, sarà al centro dell’attenzione. 

Secondo alcuni esperti, rendere più costoso il processo di smaltimento è l’unico modo per incentivare le Nazioni al riciclo. Non a caso, la maggior parte dei rifiuti plastici deriva dai Paesi del Sud-Est asiatico, dove le politiche sullo smaltimento dei rifiuti sono fin troppo permissive e le concentrazioni di plastica finiscono perlopiù bruciate nelle discariche o, direttamente, negli oceani.

Questa situazione, oltre che dannosa per l’ambiente, si traduce anche in una consistente perdita economica. Una serie di studi condotti dalla Banca mondiale conferma infatti come in Tailandia, Malesia e Filippine si perde oltre il 75% del valore materiale della plastica riciclabile – l’equivalente di sei miliardi di dollari l’anno – quando viene utilizzata una sola volta. Secondo il Programma sull’Ambiente ONU, globalmente vengono spesi tra i 6 e 19 miliardi di dollari all’anno per ripulire la sporcizia che deriva dall’inquinamento da plastica.

Una possibile soluzione, auspicata dagli esperti, potrebbe essere la creazione di centri di riciclaggio a livello internazionale, dove far confluire i rifiuti plastici. Un’altra area di interesse, che il trattato dovrebbe prendere in considerazione riguarda il coordinamento della strategia tra diversi Paesi e regioni, per appianare le discrepanze nelle azioni anti inquinamento. Senza contare che gli effetti dell’inquinamento si manifestano soprattutto nelle aree geografiche più arretrate. Questo significa che, anche se questo trattato è già stato incoronato come “il più grande accordo dai tempi di Parigi”, la strada è ancora lunga. 

ASEAN history and politics

Partito il primo corso “ASEAN History and Politics” diretto dall’Associazione Italia-ASEAN

Lo scorso mercoledì 23 marzo ha avuto inizio, presso l’Istituto Italiano di Studi Orientali della Sapienza Università di Roma, il primo corso interamente in lingua inglese su “Storia e politica dell’ASEAN” che l’Associazione Italia-ASEAN ha l’onore di dirigere e condurre. Il ciclo di lezioni si protrarrà fino a giugno e si inserisce all’interno della laurea in Global Humanities dell’Ateneo romano. Circa 70 studenti provenienti da tutto il mondo, dall’Indonesia passando per il Giappone fino all’Africa e all’Europa, affronteranno nei prossimi mesi le più importanti tematiche riguardanti la regione del Sud-Est asiatico: dagli aspetti storici a quelli economici e geopolitici, dai diritti umani al commercio internazionale, passando per la transizione digitale e sostenibile della regione. Durante la prima lezione, il Vicepresidente scientifico dell’Associazione, il prof. Romeo Orlandi, ha effettuato una panoramica sulla storia dell’Association, dalla fondazione alle sfide della pandemia e dei prossimi anni, compiendo un’attenta analisi sulle peculiarità dei singoli Paesi. Nelle prossime lezioni le studentesse e gli studenti avranno la possibilità di ascoltare le testimonianze di alcuni degli Ambasciatori dei Paesi ASEAN a Roma e di diversi analisti della regione, si confronteranno, inoltre, con i temi centrali che riguardano il Sud-Est asiatico, con laboratori e presentazioni che gli permetteranno di entrare in prima persona nel vivo di tutte le questioni. Questo corso sarà l’ennesima occasione di migliorare il grado di conoscenza e la percezione dell’ASEAN nel nostro Paese. Obiettivo al quale l’Associazione Italia-ASEAN lavora sin dalla sua fondazione e che ritiene essenziale per accompagnare presso istituti universitari, opinione pubblica e decision maker una ancora maggiore consapevolezza di una regione del mondo con la quale abbiamo molti interessi in comune.