Dopo la rimozione della premier Paetongtarn sancita dalla Corte costituzionale, il Paese cerca nuovi equilibri politici
Di Tommaso Magrini
Paetongtarn Shinawatra non è più la premier della Thailandia, dopo la sentenza della Corte costituzionale del 29 agosto che l’ha rimossa definitivamente dal suo incarico. Nata il 21 agosto 1986 a Bangkok, Paetongtarn è parte della potente dinastia Shinawatra: figlia dell’ex primo ministro Thaksin Shinawatra e nipote di Yingluck Shinawatra, a sua volta ex premier. Conseguita una laurea alla Chulalongkorn University e un master all’University of Surrey, Paetongtarn entrò in politica nel 2023, divenendo leader del Partito Pheu Thai. Nel agosto 2024, divenne la giovane premier più giovane della storia thailandese e la seconda donna a ricoprire tale ruolo. Il suo governo era basato su una coalizione fragile, inclusiva di partiti tradizionalmente conservatori, costruita anche grazie all’influenza del padre, Thaksin, rientrato in patria dopo anni di esilio. Nei primi mesi, Paetongtarn godeva di un discreto consenso. Un sondaggio di settembre 2024 la vedeva favorita per il 31% degli elettori, ma di recente il sostegno era crollato, a causa dell’impossibilità di mantenere le promesse in tema di stimoli economici, crescita e riforme. Colpa anche dei dazi imposti da Donald Trump contro la Thailandia.
A giugno, scoppia lo scandalo. Un colloquio privato tra Paetongtarn e Hun Sen, l’ex leader della Cambogia, viene registrato e diffuso online. Nella conversazione, Paetongtarn si rivolge a lui chiamandolo “zio” e dice: “ti prego, fatti un po’ di solidarietà con questa tua nipote”, offrendo di “occuparsi di qualsiasi cosa di cui avesse bisogno”. Inoltre, critica un generale thailandese e lo definisce come “avversario”. Il tutto durante una crescente crisi al confine tra i due Paesi che – settimane dopo – sfocia in scambi di fuoco lungo cinque giorni, con decine di morti e centinaia di migliaia di sfollati.
Il 1° luglio, a seguito dell’audio diventato pubblico, 36 senatori presentano una petizione alla Corte Costituzionale accusandola di violare l’etica, l’onestà e mettere gli interessi personali prima di quelli nazionali. La Corte sospende Paetongtarn con una votazione di 7 a 2 sul mandato, mentre il 29 agosto, con una maggioranza di 6 a 3, i giudici hanno deciso la rimozione definitiva di Paetongtarn per violazione etica ed esigenze costituzionali. Paetongtarn ha accettato la decisione, ribadendo di aver agito per la sicurezza dei cittadini e invitando all’unità nazionale. La sua rimozione segna un altro colpo alla dinastia Shinawatra: è infatti la sesta figura legata alla famiglia ad essere estromessa tramite interventi istituzionali negli ultimi due decenni.
Ora si apre una fase di instabilità politica. Il partito Pheu Thai pare destinato a perdere potere contrattuale. Il suo candidato rimasto idoneo è Chaikasem Nitisiri, 77 anni, ex procuratore generale, ma serve un accordo con i conservatori e il Senato per avere i voti della Camera (247 su 492). Tra gli scenari, si parla anche di un governo di compromesso guidato da Anutin Charnvirakul (Bhumjaithai), oppure di elezioni anticipate, viste le divisioni e l’opposizione crescente, compreso il progressista People’s Party
Paetongtarn Shinawatra era salita al potere come simbolo di rinascita e continuità della famiglia Shinawatra, incarnando speranze di riforma e rinnovamento. Giovane, pragmatica e promessa di progresso, era diventata premier in un momento di trasformazione per la Thailandia. Eppure, il dialogo privato con Hun Sen si è trasformato in un boomerang: comunicazione internazionalmente strategica percepita come tradimento, scatenando un crollo di consenso e l’ira dell’establishment. In pochi mesi, la neonata leadership si è dissolta, travolta dalla furia di una Corte giudicante ed elettori delusi. Ora la Thailandia si trova a un nuovo bivio: ridisegnare la mappa del potere politico nei corridoi del Parlamento, oppure nuove urne in un momento in cui servirebbe però soprattutto stabilità.












