Thailandia

Thailandia, inizia il post Shinawatra

Dopo la rimozione della premier Paetongtarn sancita dalla Corte costituzionale, il Paese cerca nuovi equilibri politici

Di Tommaso Magrini

Paetongtarn Shinawatra non è più la premier della Thailandia, dopo la sentenza della Corte costituzionale del 29 agosto che l’ha rimossa definitivamente dal suo incarico. Nata il 21 agosto 1986 a Bangkok, Paetongtarn è parte della potente dinastia Shinawatra: figlia dell’ex primo ministro Thaksin Shinawatra e nipote di Yingluck Shinawatra, a sua volta ex premier. Conseguita una laurea alla Chulalongkorn University e un master all’University of Surrey, Paetongtarn entrò in politica nel 2023, divenendo leader del Partito Pheu Thai. Nel agosto 2024, divenne la giovane premier più giovane della storia thailandese e la seconda donna a ricoprire tale ruolo. Il suo governo era basato su una coalizione fragile, inclusiva di partiti tradizionalmente conservatori, costruita anche grazie all’influenza del padre, Thaksin, rientrato in patria dopo anni di esilio. Nei primi mesi, Paetongtarn godeva di un discreto consenso. Un sondaggio di settembre 2024 la vedeva favorita per il 31% degli elettori, ma di recente il sostegno era crollato, a causa dell’impossibilità di mantenere le promesse in tema di stimoli economici, crescita e riforme. Colpa anche dei dazi imposti da Donald Trump contro la Thailandia.

A giugno, scoppia lo scandalo. Un colloquio privato tra Paetongtarn e Hun Sen, l’ex leader della Cambogia, viene registrato e diffuso online. Nella conversazione, Paetongtarn si rivolge a lui chiamandolo “zio” e dice: “ti prego, fatti un po’ di solidarietà con questa tua nipote”, offrendo di “occuparsi di qualsiasi cosa di cui avesse bisogno”. Inoltre, critica un generale thailandese e lo definisce come “avversario”. Il tutto durante una crescente crisi al confine tra i due Paesi che – settimane dopo – sfocia in scambi di fuoco lungo cinque giorni, con decine di morti e centinaia di migliaia di sfollati. 

Il 1° luglio, a seguito dell’audio diventato pubblico, 36 senatori presentano una petizione alla Corte Costituzionale accusandola di violare l’etica, l’onestà e mettere gli interessi personali prima di quelli nazionali. La Corte sospende Paetongtarn con una votazione di 7 a 2 sul mandato, mentre il 29 agosto, con una maggioranza di 6 a 3, i giudici hanno deciso la rimozione definitiva di Paetongtarn per violazione etica ed esigenze costituzionali. Paetongtarn ha accettato la decisione, ribadendo di aver agito per la sicurezza dei cittadini e invitando all’unità nazionale. La sua rimozione segna un altro colpo alla dinastia Shinawatra: è infatti la sesta figura legata alla famiglia ad essere estromessa tramite interventi istituzionali negli ultimi due decenni.

Ora si apre una fase di instabilità politica. Il partito Pheu Thai pare destinato a perdere potere contrattuale. Il suo candidato rimasto idoneo è Chaikasem Nitisiri, 77 anni, ex procuratore generale, ma serve un accordo con i conservatori e il Senato per avere i voti della Camera (247 su 492). Tra gli scenari, si parla anche di un governo di compromesso guidato da Anutin Charnvirakul (Bhumjaithai), oppure di elezioni anticipate, viste le divisioni e l’opposizione crescente, compreso il progressista People’s Party

Paetongtarn Shinawatra era salita al potere come simbolo di rinascita e continuità della famiglia Shinawatra, incarnando speranze di riforma e rinnovamento. Giovane, pragmatica e promessa di progresso, era diventata premier in un momento di trasformazione per la Thailandia. Eppure, il dialogo privato con Hun Sen si è trasformato in un boomerang: comunicazione internazionalmente strategica percepita come tradimento, scatenando un crollo di consenso e l’ira dell’establishment. In pochi mesi, la neonata leadership si è dissolta, travolta dalla furia di una Corte giudicante ed elettori delusi. Ora la Thailandia si trova a un nuovo bivio: ridisegnare la mappa del potere politico nei corridoi del Parlamento, oppure nuove urne in un momento in cui servirebbe però soprattutto stabilità.

La Centralità dell’ASEAN al test Thailandia-Cambogia

I recenti scontri armati al confine tra i due Paesi membri del gruppo del Sud-Est asiatico mettono in discussione il principio cardine della regione

Di Emanuele Ballestracci

Dal 2008, con la codificazione del principio di “Centralità dell’ASEAN”, i suoi dieci Paesi membri hanno perseguito l’ambizione di rendere l’organizzazione l’architrave dell’architettura regionale dell’Indo-Pacifico e il principale strumento di interlocuzione con i partner esterni. Tale prospettiva è stata da subito messa alla prova da crisi interne – come la guerra civile in Myanmar – e dall’incapacità di adottare posizioni diplomatiche comuni, in particolare sulle dispute marittime con la Cina. In questo contesto, il recente conflitto tra Thailandia e Cambogia non ha fatto che accentuare le difficoltà nell’attuazione di tale principio.

Con l’entrata in vigore della Carta dell’ASEAN – il suo documento costitutivo – il principio di “Centralità” venne formalmente sancito, concetto già emerso negli anni Novanta con l’istituzione dell’ASEAN Regional Forum e del formato ASEAN+3. La Carta giungeva in un clima di rinnovato ottimismo, successivo al completamento dell’allargamento che aveva portato l’organizzazione a comprendere, oltre ai cinque membri fondatori (Indonesia, Malaysia, Singapore, Thailandia e Filippine), anche Brunei, Vietnam, Laos, Myanmar e Cambogia. Si trattava di un passo in avanti destinato a rafforzare la rilevanza dell’ASEAN sullo scacchiere internazionale e, soprattutto, regionale. Tuttavia, l’effettiva applicazione della “Centralità” appariva sin dall’inizio ardua per una serie di fattori: dispute territoriali irrisolte; un’architettura istituzionale non concepita per assolvere a tale ruolo; la crescente instabilità internazionale; i diversi sistemi di alleanza dei membri – pur nel solco della tradizionale politica di non-allineamento che li accomuna.

Sebbene la “Centralità dell’ASEAN” sia stata riconosciuta da Stati Uniti, Unione Europea e numerose altre piccole e medie potenze, e attuata attraverso piattaforme quali l’East Asia Summit e l’ASEAN Regional Forum, l’incapacità di elaborare posizioni comuni su dossier cruciali – dalla crisi in Myanmar alle dispute nel Mar Cinese Meridionale – ha reso evidente come la sua piena implementazione resti complicata. Significativi in tal senso il mancato consenso nel 2012 su un joint communiqué, che avrebbe dovuto esplicitare una posizione comune sulla crescente assertività cinese nel Mar Cinese Meridionale, e l’incapacità di condurre unitariamente le negoziazioni per il Codice di Condotta (CoC) volto a regolamentare le attività nell’area. Nel primo caso, Cambogia e Laos bloccarono l’iniziativa sotto pressione di Pechino – loro principale partner economico e di sicurezza – mentre la stagnazione del CoC, spesso attribuita alla scarsa volontà di alcuni membri, sta spingendo le Filippine a rafforzare la cooperazione di difesa con gli Stati Uniti. Ne emerge come la mancanza di unità tra i Paesi ASEAN sia il principale ostacolo al principio stesso di “Centralità”.

Queste criticità erano già state riconosciute all’interno dell’organizzazione, tanto che a gennaio 2025 è stato lanciato un workshop volto a esplorare possibili riforme di norme e pratiche per consentire all’ASEAN di riposizionarsi al centro dell’architettura di sicurezza regionale. Tuttavia, il conflitto tra Thailandia e Cambogia esploso in luglio, che ha causato 36 morti e oltre 300.000 sfollati, ha ulteriormente indebolito tali sforzi. Le dispute territoriali latenti, il forte nazionalismo e la necessità dei due governi di dirottare il malcontento interno verso l’esterno hanno almeno momentaneamente interrotto uno dei vanti dell’ASEAN: l’assenza di conflitti armati tra Paesi membri sin dalla sua fondazione nel 1967. 

L’incapacità di giungere a un accordo sulla risoluzione della disputa solleva ulteriori interrogativi, poiché l’escalation ha reso ogni concessione ancora più costosa per entrambe le parti. Inoltre, qualora le tensioni dovessero persistere, uno scenario plausibile prevede la riapertura di basi militari statunitensi in Thailandia e un ulteriore rafforzamento della cooperazione sino-cambogiana in materia di difesa.

Il principio di centralità dell’ASEAN, costantemente messo alla prova da sfide interne e internazionali che, al momento, avrebbe bisogno di essere riaffermato e promosso in maniera coesa.

La scommessa elettrica della Thailandia

Tra incertezze globali e nuove aperture, Bangkok sta conquistando un ruolo da protagonista nel settore delle auto elettriche

Di Alessandro Forte

Il settore dei veicoli elettrici è uno dei fulcri strategici che connotano più significativamente le relazioni commerciali fra le maggiori economie mondiali, nonché oggetto di attenta discussione di tutta la comunità internazionale. Caratterizzato da una crescita sempre più galoppante, la vendita di auto elettriche nel 2023 ha costituito circa il 18% dell’intero settore automobilistico, risultando in un distacco eclatante rispetto all’assai minore 2% di 5 anni prima, e proiettandosi verso un valore di mercato di 990.4 miliardi di dollari statunitensi entro il 2029.

Dato il suo rilievo economico, politico ed ambientale, il settore è stato spesso veicolo di contese strategiche fra grandi potenze: la Repubblica Popolare Cinese, che oggi detiene circa il 60% di questo mercato, ha recentemente subito le limitazioni tariffarie della Commissione Europea, che tenta di controbilanciare i sussidi del governo di Pechino alle imprese cinesi; d’altro canto, il più importante attore privato nel settore, Tesla, accusa il calo delle proprie vendite nel mercato cinese, pena la competizione sempre più accesa con le alternative proposte dagli attori nazionali.

Se da un lato lo scenario delineato sembra descrivere questo segmento di mercato come un gioco relegato alle sole grandi potenze, un player regionale che, defilato, ha acquisito un’importanza sempre più rimarcata nel settore è la Thailandia. Il paese ASEAN, infatti, si è dimostrato il più proattivo nella regione in quanto a partecipazione alle catene di approvvigionamento dei veicoli elettrici, affermandosi come attore solido nella produzione ed esportazione di motori, convertitori ed invertitori statici elettrici. Oltretutto, la politica “EV 3.0” lanciata nel 2022 dal governo thailandese ha stimolato decisamente l’acquisto del prodotto nel mercato interno, concedendo detrazioni fiscali che hanno reso la spesa di un’auto elettrica equiparabile a quella di un’auto normale, e riscontrando così un incremento delle vendite del 320% nel 2023. Non stupisce, del resto, che sia proprio la Thailandia a ricoprire il ruolo di leader regionale nel settore: già nel 2001, l’allora primo ministro thailandese Thaksin Shinawatra si adoperò a rendere il suo paese “la Detroit dell’Est”, promuovendo politiche di orientamento all’export ed agevolazioni agli investimenti esteri che trasformarono la Thailandia in hub del Sud-est Asiatico nel settore automobilistico.

Ciò che risulta interessante, ma non del tutto imprevedibile, è che ad aver beneficiato maggiormente dei vantaggi promossi dal governo thailandese sia stata soprattutto la Cina. Più di 20 imprese automobilistiche cinesi, includendo le rinomate BYD e Great Wall Motor, hanno penetrato il mercato del paese ASEAN, in più casi aprendo centri di produzione locali, e si stima che ad oggi contribuiscano a più della metà delle vendite di auto elettriche, un dato che sembra destinato ad aumentare. Se ciò ha favorito la crescita del settore dell’automotive in Thailandia, d’altro canto occorrerà prima o poi che Bangkok diversifichi maggiormente la gamma dei suoi investitori, per non rischiare di dipendere troppo da Pechino. Ed oggi potrebbero presentarsi valide opportunità per iniziare. 

Durante lo scorso anno, infatti, Tesla aveva già considerato l’idea di fondare una propria sede produttiva in Thailandia per espandere la sua presenza nel mercato interno, ed aumentare la proiezione nel Sud-Est Asiatico, optando infine per la sola implementazione di reti di ricarica nel paese. La gigafactory di Tesla a Shanghai avverte le pressioni della contesa commerciale Cina-USA: ad aprile, infatti, si è registrato un calo del 6% delle vendite di veicoli Tesla Made-in-China rispetto all’anno precedente. Oltretutto, l’azienda di Elon Musk ha ritirato dal mercato cinese i modelli S e X prodotti negli Stati Uniti, in concomitanza con l’inasprimento della guerra tariffaria, sebbene il CEO non abbia rilasciato dichiarazioni che confermino un nesso diretto tra i due eventi.

In un contesto pieno di sfide ed imprevisti, Bangkok potrebbe ritrovarsi in una posizione molto interessante per catturare più favorevoli intenzioni da parte dell’impresa statunitense, diversificare gli investimenti nel suo territorio, ed accrescere il proprio leverage nel settore dell’automotive. Tuttavia, è opportuno che si muova cautamente, ricercando un equilibrio nelle relazioni bilaterali con entrambe le potenze. Patientia vincit omnia.

Thailandia, via libera ai matrimoni Lgbtq+

Dal 22 gennaio Bangkok è il primo Paese del Sud-Est asiatico a consentire le nozze tra persone dello stesso sesso. Un evento di portata storica 

Vittoria Mazzieri

Dopo il voto favorevole di Camera dei rappresentanti e Senato della Thailandia, rispettivamente ad aprile e a giugno 2024, il Marriage Equality Bill è stato approvato dal re Maha Vajiralongkorn a settembre. Un evento storico che ha confermato le speranze di migliaia di coppie Lgbtq+, in attesa di celebrare legalmente la loro unione. Dalla firma del sovrano, come comunicato dalla Royal Gazette, devono trascorrere 120 giorni affinché la legge entri in vigore. 

Dal 22 gennaio la Thailandia è il primo Paese del Sud-Est asiatico ad aver compiuto questo passo. La nuova legge thailandese concede anche i diritti all’adozione, all’assistenza sanitaria e all’eredità, oltre a modificare il Codice civile e commerciale della nazione con termini come “individui”, al posto di “uomini” e “donne”.

Bangkok si avvicina alla data catartica con una serie di riconoscimenti alle spalle. A giugno del 2024 le strade della capitale hanno ospitato un pride da record con oltre 200 mila persone presenti, il più grande della storia del paese. E alcune città hanno festeggiato la loro prima parata, tra cui la piccola località balneare di Hua Hin e Phuket, capitale dell’omonima isola diventata una delle mete turistiche più popolari del paese.

Ad agosto, inoltre, le autorità per l’immigrazione hanno lanciato la campagna “Welcome Pride by Immigration”, facendo uso come già accaduto per altre comunicazioni della sigla estesa lgbtqia2s+ (dove “2s” sta a indicare i “due spiriti”, termine della tradizione delle comunità indigene nel Nord America). In sostanza, uno sforzo congiunto per far fronte ai problemi che in sede di controlli possono nascere quando si registrano discrepanze tra l’aspetto fisico, qualora ci si trovi davanti a una persona che si è sottoposta a interventi chirurgici e terapie ormonali, e i marcatori di genere sul passaporto, spesso regolati dalle leggi dei paesi di origine. Agli uffici di competenza viene ora chiesto di esaminare documenti di identità alternativi, come cartelle cliniche e dati biometrici.

Questa misura ha contribuito alla solida reputazione che la Thailandia ha costruito nel tempo: una sorta di paradiso per la comunità lgbtq+, dove locali gay friendly ormai iconici sorgono negli stessi quartieri divenuti tappe obbligate per i fruitori dell’enorme industria sessuale del paese (che incide per oltre il 10% sul Pil nazionale). A Bangkok e a Pattaya, sulla costa occidentale, eventi drag si svolgono a fianco dei go-go bar dove si affollano giovani e paganti turisti maschi. Sul portale Medium, l’utente Tracy.3 racconta le proprie esperienze personali citandone alcuni: l’ormai celebre DJ Station, a Si Lom Road, e The Stranger Bar, a Soi 4, entrambe affollate vie di Bangkok. Ma anche il Silversands Bar a Samed, piccola isola diventata dagli anni Ottanta una popolare meta turistica. 

L’impatto economico di questo genere di attività non è passato inosservato. Se ne parla addirittura in termini di “baht rosa”, a indicare la capacità di spesa dei consumatori queer a cui le agenzie sparse in tutto il paese dedicano pacchetti di viaggio sempre più specifici. “Abbiamo qualcosa per tutti”, si legge sul sito di “Go Thai Be Free”, la campagna lanciata nel 2022 dall’Autorità per il turismo (TAT) per incoraggiare le persone della comunità a visitare il paese. Sulla piattaforma la Thailandia viene presentata come “il paese più accogliente per le persone lgbtq+ in Asia”.

In termini di impatto turistico, il 2025 si prospetta come un anno ancora più promettente. Intanto, nel tentativo di recuperare lo slancio perso durante il Covid-19, il governo thailandese ha recentemente fissato per il 2025 l’obiettivo di superare gli ingressi registrati nel 2019 e toccare quota 40 milioni di visitatori. Una sfida per Paetongtarn Shinawatra, erede della più famosa dinastia politica thailandese ed eletta premier lo scorso agosto dopo lo scioglimento del Move Forward, il partito progressista che aveva tecnicamente vinto le elezioni del 2023: si punta a crescere e raggiungere numeri da record, al contempo dovendo rispondere agli avvertimenti sull’impatto del turismo di massa sulle aree naturalistiche. Una tra tutte Maya Bay, sull’isola di Ko Phi Phi Leh, chiusa ai visitatori dal 2018 al 2022.

I “baht rosa” contribuiranno allo scopo. Un rapporto commissionato dalla piattaforma di viaggi Agoda stima che la nuova legge potrebbe far crescere del 10% i viaggi in entrata, con un aumento di oltre 2 miliardi di dollari della spesa turistica. I diretti interessati potrebbero essere le oltre 3,5 milioni di persone che vivono a meno di cinque ore di volo e a cui è negata la possibilità di convolare a nozze nel loro paese di origine. “Stiamo già prendendo registrazioni di coppie internazionali pronte a sposarsi in Thailandia”, ha dichiarato l’attivista Ann Chumaporn, cofondatrice del Bangkok Pride, che intende coinvolgere oltre mille coppie lgbtq+ per un matrimonio di massa che si svolgerà proprio il 22 gennaio.

Ma al di là dei riconoscimenti ottenuti e del grado di visibilità raggiunto nei media, sono necessari tempo e impegno per allentare lo stigma sociale che ancora permea gran parte della società. “Tolleranza e visibilità non equivalgono a sicurezza e diritti”, avvertono gli attivisti. Da un rapporto risalente al 2019 del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) emerge che il 50% delle persone queer intervistate ha subito discriminazioni nel contesto familiare. Lo scenario che si delinea è chiaro: i thailandesi sono generalmente più tolleranti fuori che dentro la propria famiglia.
La Thailandia continuerà a essere un’isola felice per i turisti queer, ma le associazioni puntano ai grandi eventi per rafforzare il proprio riconoscimento sul fronte internazionale. Phuket è stata proposta come città ospitante per l’InterPride 2025, l’incontro di tutte le associazioni attive per i diritti della comunità che quest’anno si è tenuto a Medellín, Colombia. E l’intenzione è di dimostrare il proprio “rainbow soft power” mirando all’evento più grande: il WorldPride del 2030.

Thailandia e Malesia in prima fila per i BRICS

Bangkok e Kuala Lumpur sono i primi due governi del Sud-Est asiatico ad aver manifestato interesse ad aderire al gruppo

Di Silvia Zaccaria

Con l’acronimo BRICS si intende il raggruppamento che comprende le economie emergenti Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Nel 2024 si sono uniti Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Solo i cinque Paesi membri originari costituiscono circa il 26% della superficie terrestre, il 30% dell’economia globale e il 43% della popolazione globale, dato in continua crescita. Così come i BRICS hanno tra i loro propositi l’obiettivo di riunire le economie del Sud Globale, anche l’ASEAN contribuisce allo sviluppo economico, sociale e culturale dei Paesi del Sud-Est asiatico, assicurandone la stabilità, favorendone la promozione economica, la riduzione della povertà e incoraggiando gli scambi tra Paesi con livelli economici e di sviluppo profondamente diversi. In virtù della sempre maggiore importanza economica e politica che i BRICS stanno conquistando, molti membri ASEAN, hanno espresso interesse più o meno concreto su una loro possibile entrata nel raggruppamento, già dal summit 2023 di Johannesburg. Il 28 maggio scorso, la Thailandia ha approvato la lettera che manifesta ufficialmente l’intenzione di aderire ai BRICS. Pronta a seguire la Malesia, il cui Primo Ministro Anwar Ibrahim ha espresso un forte interesse sul possibile ingresso. Anche l’Indonesia, che ha partecipato come ospite al Summit dei BRICS del 2023, tramite la Ministra degli Esteri Retno Marsudi ha affermato di essere in fase di valutazione dei possibili benefici derivanti dall’entrata nel gruppo. Da ultimo, anche il Vietnam ha asserito che prendendo in seria considerazione l’entrata nei BRICS. Paesi come la Thailandia e la Malesia puntano all’entrata nei BRICS per importanti obiettivi di crescita economica e sociale di interesse nazionale. Il governo di Bangkok ritiene che “l’adesione ai BRICS gioverebbe alla Thailandia sotto molti punti di vista, ad esempio accrescendo il suo ruolo sulla scena internazionale e aumentando le sue prospettive di essere uno dei responsabili della politica economica internazionale”.

La Thailandia ha una nuova premier

Paetongtarn Shinawatra è stata nominata Prima Ministra della seconda economia del Sud-Est asiatico, la più giovane di sempre

“Sono onorata. Ho parlato con la mia famiglia e le persone del Pheu Thai. E ho deciso che è arrivato il momento di fare qualcosa per il Paese e per il partito, darò il mio meglio per riuscire a fare andare avanti la Thailandia”. Venerdì 16 agosto, una visibilmente emozionata Paetongtarn Shinawatra pronuncia le sue prime parole da Premier della Thailandia. Pochi minuti prima, il Parlamento di Bangkok l’ha nominata con 319 voti a favore, 145 contrari e 27 astenuti. Prende il posto di Srettha Thavisin, suo compagno di partito rimosso pochi giorni prima dall’incarico da una sentenza della Corte Costituzionale, scaturita dalla nomina a Ministro di un ex avvocato che in passato era stato condannato a sei mesi di carcere per corruzione.

Nata il 21 agosto 1986, Paetongtarn diventa così coi suoi appena 38 anni la leader di governo più giovane di sempre per la seconda economia del Sud-Est asiatico. Paetongtarn è la figlia di Thaksin Shinawatra, Primo Ministro dal 2001 al 2006 rientrato lo scorso anno da un lungo esilio all’estero, e nipote di Yingluck Shinawatra, sorella di Thaksin e a sua volta Premier dal 2011 al 2014. Da bambina, ha seguito il padre mentre faceva campagna elettorale e giocava a golf. Si è laureata in scienze politiche all’Università Chulalongkorn, una delle migliori scuole della Thailandia. Ha poi studiato gestione alberghiera internazionale presso l’Università del Surrey in Inghilterra.

La nuova leader del governo thailandese è poi tornata in patria per aiutare a gestire l’impero aziendale di famiglia. Entrata in politica nel 2021, prima della nomina dello scorso 16 agosto non aveva mai ricoperto un ruolo di governo. Durante la campagna elettorale dell’anno scorso, ha guadagnato popolarità tenendo comizi nonostante fosse incinta. Dopo le urne, ha dialogato con Move Forward, il partito vincitore rimasto prima all’opposizione e di cui poi la Corte Costituzionale ha ordinato la dissoluzione a inizio agosto.

La vera sfida di Paetongtarn sarà quella di sostenere il rilancio dell’economia, decidendo anche sulla sorte del programma di portafoglio digitale che Srettha Thavisin aveva lanciato nei mesi scorsi. “Se restiamo tutti uniti possiamo farcela, io darò tutta me stessa per migliorare ulteriormente la vita dei thailandesi”, ha promesso la nuova e giovane Premier.

Passo storico: la Thailandia legalizza il matrimonio egualitario

Momento da ricordare per Bangkok, che approva la norma che legalizza le nozze tra persone dello stesso sesso

Di Alice Freguglia

Il 18 giugno 2024 sventolano le bandiere arcobaleno in Thailandia, diventato il primo Paese del Sud-Est asiatico pronto a legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Un decisivo passo in avanti per i diritti LGBTQ+, mosso da forti ideali di uguaglianza ed inclusione, promossi dal Partito Pheu Thai e dallo stesso Primo Ministro Srettha Thavisin. 130 su 134, infatti, sono stati i voti favorevoli enunciati dal Senato, per i quali, ora, la legge attenderà il consenso pronunciato dal Re Maha Vajiralongkorn, considerato, però, una mera formalità. 

Sebbene la Thailandia sia celebre per la vibrante cultura LGBTQ+ e la tolleranza generale, gli attivisti hanno a lungo criticato le attitudini conservative e il quadro giuridico del Paese, soprattutto in merito al riconoscimento delle persone transgender e non binarie, alle quali viene ancora impedito di cambiare il proprio genere sui documenti identificativi. Negli ultimi dieci anni, infatti, diversi sono stati i tentativi da parte del Governo di legalizzare le unioni tra persone dello stesso sesso, sintetizzati nelle ultime elezioni presidenziali del 2023 con la vittoria del Partito Pheu Thai, il quale propose la legalizzazione dei matrimoni egualitari nel proprio programma elettorale, ottenendo il consenso soprattutto degli elettri più giovani.

La legislazione recentemente approvata ridefinisce il matrimonio come un’unione tra due individui, eliminando i termini specifici di genere come “uomini”, “donne”, “mariti” e “mogli” a favore di un linguaggio neutrale rispetto al genere. In seguito a ciò, questo cambiamento conferisce alle coppie LGBTQ+ gli stessi diritti legali delle coppie eterosessuali, compresi i diritti di eredità e di adozione.  Lo stesso Plaifah Kyoka Shodladd, membro del Comitato Parlamentare sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, ha espresso orgoglio per il risultato ottenuto, sottolineando che “l’amore ha trionfato sul pregiudizio” dopo decenni di lotta.

In seguito ai recenti sviluppi, la Thailandia si unisce a Nepal e Taiwan in qualità delle uniche giurisdizioni in Asia ad aver legalizzato i matrimoni tra persone dello stesso tempo. Nello specifico, in quella parte del mondo in cui i diritti nei riguardi delle persone LGBTQ+ sono spesso repressi, quale il Sud-est asiatico, la Thailandia rappresenta una fonte di cambiamento e inclusività. In Myanmar e Brunei, infatti, le relazioni tra persone dello stesso sesso sono tutt’oggi considerate un crimine perseguibile, mentre in Indonesia e Malesia sono ricorrenti discriminazioni e ostilità. Chanatip Tatiyakaroonwong, ricercatore di Amnesty International in Thailandia, l’ha descritta come un passo storico e una ricompensa per gli sforzi instancabili degli attivisti, delle organizzazioni della società civile e dei legislatori favorevoli. 

La nuova legge promette di trasformare la vita di innumerevoli coppie e di promuovere una società più giusta ed equa. Mentre la Thailandia celebra questo traguardo, stabilisce anche un precedente che potrebbe influenzare positivamente il cambiamento in tutta la regione, dimostrando che l’uguaglianza e l’amore possono davvero trionfare sul pregiudizio e la discriminazione.

La Thailandia chiede l’ingresso nei BRICS

Il governo di Bangkok ha deciso di aderire al sempre più nutrito gruppo guidato dalle economie emergenti

Il Sud-Est asiatico è pronto a fare il suo ingresso ufficiale nei BRICS. Il 28 maggio, il governo thailandese ha approvato la presentazione di una lettera di intenti per l’adesione alla piattaforma multilaterale guidata dalle economie emergenti. Se la richiesta sarà approvata, come tutto lascia intendere, la Thailandia diventerà il primo membro del gruppo proveniente dall’area ASEAN. I BRICS erano inizialmente composti da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, ma a partire dal 1° gennaio 2024 hanno aderito altri cinque Paesi: Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti. La Thailandia è attualmente inserita nella lista dei 15 Paesi che verranno presto presi in considerazione per l’ammissione. La decisione presa da Bangkok dovrebbe accelerare l’iter in vista del prossimo summit, in programma a ottobre a Kazan, Russia. “L’adesione ai BRICS rafforzerà il ruolo della Thailandia come leader tra i Paesi in via di sviluppo”, ha dichiarato Chai Wacharonke, portavoce del governo, in una conferenza stampa organizzata per annunciare il passo formale. La lettera delinea decine di vantaggi per Bangkok nell’adesione ai BRICS, uno dei quali è la possibilità di collaborare con altri Paesi del Sud globale per rafforzare la propria presenza sulla scena mondiale. La Tailandia sta d’altronde cercando di inquadrare le sue mosse di politica estera come parte di un più ampio approccio diplomatico proattivo che enfatizza il coinvolgimento di istituzioni come i BRICS e l’OCSE. Non tanto come un atto di bilanciamento tra grandi potenze, ma per promuovere i propri interessi economici e coltivare legami con una più ampia cerchia di Paesi sviluppati e in via di sviluppo. L’iniziativa thailandese è un segnale interessante perché mostra il dinamismo del cosiddetto “Sud globale”, con i Paesi emergenti impegnati a rafforzare diverse piattaforme multilaterali. Mentre Bangkok ufficializza l’intenzione di entrare nei BRICS, infatti, l’Indonesia fa passi altrettanto decisivi per l’ingresso nell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). L’Indonesia, che già fa parte del G20 in rappresentanza dell’ASEAN, è il primo Paese del Sud-Est asiatico a chiedere formalmente di discutere l’adesione. Nei giorni scorsi, Mathias Cormann, Segretario dell’OCSE, è stato in visita a Giacarta per dare un’accelerata al processo destinato a portare lo status del Paese a quello di una piena adesione. Cormann ha incontrato il Presidente uscente Joko Widodo per discutere i prossimi passi da compiere. Giacarta mira a ottenere la piena adesione entro tre anni.

Nuovi orizzonti di cooperazione tra Italia e Thailandia

Il bilancio della visita a Roma del premier thailandese Srettha Thavisin

Di Alice Freguglia

Il 21 maggio 2024 Palazzo Chigi ha ospitato il Primo Ministro thailandese Srettha Thavisin, in visita alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Infrastrutture, digitalizzazione, energia e promozione del turismo sono stati i temi maggiormente trattati dai due leader, nell’ottica di promuovere i rapporti bilaterali in favore di una maggiore coesione socio politica e con l’obiettivo di garantire il pieno sviluppo di entrambi i Paesi.

Già l’anno scorso, nel 2023, in occasione del 155esimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Italia e Thailandia, le Camere di Commercio di entrambe le nazioni hanno sottoscritto un memorandum di intesa, promosso dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e da Unioncamere, il quale ha rafforzato ulteriormente i legami economici e commerciali, oltre a sottolineare l’importanza della Thailandia come partner. Con una popolazione giovane e in costante crescita, infatti, il territorio thailandese rappresenterebbe davvero un’importante risorsa per l’economia italiana, in grado di offrire notevoli opportunità per le imprese, come sottolineato anche dallo stesso Andrea Prete, Presidente di Unioncamere.

La Thailandia, infatti, in quanto cuore politico dell’ASEAN, rappresenta un punto d’ingresso naturale per le aziende italiane che desiderano accedere ai mercati del Sud-Est asiatico, un’area che, oltre a comprendere più di 600 milioni di persone, possiede un interessante potenziale di mercato. Notevole, infatti, è il volume degli scambi Roma — Bangkok, il quale nel 2023 ha raggiunto un valore di circa 4 miliardi di euro, con un export italiano di 1,9 miliardi e un import di oltre 2,1, rappresentando un mercato alleato e affidabile, fonte di stabilità economica e politica.

“Intendiamo discutere della cooperazione con l’ltalia, che si tratti di commercio e investimenti, agricoltura, moda o energie rinnovabili. Così come di turismo. Infatti, più di 190.000 italiani vengono in Thailandia ogni anno”. Sono queste le parole del leader thailandese, preludio di un incontro successivamente definito ‘soddisfacente’ da parte di Giorgia Meloni, nel quale l’ItaIia ha promosso e rafforzato le sue relazioni internazionali con il partner.

L’ampliamento e il miglioramento degli spostamenti all’interno del territorio, infatti, rappresenta uno degli obiettivi chiave di politica interna per la Thailandia, e quale esempio migliore dal quale prendere ispirazione se non l’ItaIia? Il nostro Paese, infatti, vanta alcune delle aziende di maggiore spicco e riconoscimento mondiale per quanto riguarda qualità e innovazione. Il timbro Made in Italy, infatti, si può apporre su numerosissimi progetti di grande scala, come la rete di alta velocità ferroviaria, ma anche sulla costruzione e gestione di opere civili quali ponti, strade, porti e aeroporti.

Allo stesso modo, anche recenti iniziative come il PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, focalizzato sulla realizzazione di importanti investimenti volti a garantire una maggiore digitalizzazione della pubblica amministrazione e a sostenere le industrie italiane, costituisce un imprinting esemplare per la Thailandia che, a suo modo, con l’implementazione del cosiddetto piano ‘Thailand 4.0’ mira a realizzare un’economia basata sulI’innovazione e la tecnologia.

Anche l’ambiente verrà positivamente influenzato da questo rafforzamento dei rapporti italo-thailandesi. In particolar modo, l’esperienza maturata daII’Italia in merito alle energie rinnovabili rappresenterebbe un significativo ‘know how’ per la Thailandia, la quale potrebbe non solo prendere spunto dalle tecnologie adottate per far fronte all’emergenza del surriscaldamento globale, ma anche contare su preziosi investimenti che gli permetterebbero di sfruttare al massimo il proprio potenziale naturale.

Se c’è qualcosa che accomuna, però, queste due realtà apparentemente distanti è, sicuramente, la bellezza che ogni anno attira milioni e milioni di turisti, amanti sia della pizza che del pad thai. Rafforzare le relazioni commerciali, infatti, sarà in grado di garantire anche un maggiore afflusso di ospiti e visitatori in entrambi i territori, una fonte economica importantissima, soprattutto per due Paesi che dal punto di vista storico, naturalistico e monumentale, hanno molto da offrire agli occhi di chi li guarda con curiosità e desiderio di ampliare i propri orizzonti.

Srettha Thavisin, inoltre, sembrerebbe aver convinto anche Giorgia Meloni riguardo al desiderio di adesione della Thailandia all’interno deIl’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e Io Sviluppo Economico. Fondata nel 1961, l’OCSE rappresenta una piattaforma a disposizione dei governi per discutere e coordinare politiche economiche e sociali. Gli Stati membri collaborano su questioni come la crescita economica, l’occupazione, l’educazione, l’innovazione e il commercio, con l’obiettivo di creare un’economia globale più forte e sostenibile. Entrare a farne parte, quindi, eleverebbe notevolmente lo status del Paese, permettendo alla Thailandia di farsi riconoscere sul piano internazionale e di usufruire di uno scambio di conoscenze socioeconomiche che le permetterebbero di promuovere un migliore dialogo politico e di cooperazione economica.

A tal proposito, inoltre, sembrerebbe che Giorgia Meloni abbia accettato l’invito da parte del Primo Ministro Thavisin di recarsi in Thailandia, significativo passo avanti nella cooperazione bilaterale tra i due Paesi, oltre che conferma dell’impegno italiano nelI’aprire la strada a ulteriori discussioni e collaborazioni su temi strategici.

La Thailandia cambia idea sulla cannabis

A due anni dalla depenalizzazione, la Thailandia potrebbe inserire nuovamente la cannabis nella lista degli stupefacenti, smantellando un settore potenzialmente da miliardi di dollari

Di Francesco Mattogno

La depenalizzazione del consumo di cannabis a basso contenuto di tetraidrocannabinolo (THC), ufficializzata il 9 giugno 2022, rientra senza dubbio tra le tante contraddizioni che caratterizzano la Thailandia. Il contesto politico nel quale due anni fa Bangkok decise di allentare la repressione della marijuana, trasformando la Thailandia nel primo Stato asiatico a permetterne l’uso ricreativo, era quello del governo di Prayut Chan-o-cha, con una forte componente militare e una serie di partiti civili. Il più grande di questi era il Bhumjaithai (BJT) dell’allora vicepremier e ministro della Salute, Anutin Charnvirakul, tra i maggiori sostenitori della depenalizzazione della marijuana in Thailandia.

Dopo averlo promesso in campagna elettorale, nell’estate del 2022 Anutin è riuscito a convincere gli alleati e a ottenere una larga maggioranza in parlamento per portare alla rimozione della cannabis a basso contenuto di THC dalla lista delle sostanze stupefacenti. Una vittoria che, a distanza di poco meno di due anni, potrebbe essere cancellata da un nuovo governo, questa volta a trazione civile, del quale lui stesso è vicepremier e ministro degli Interni. 

Attraverso un post su X, l’8 maggio il primo ministro thailandese, Srettha Thavisin, ha annunciato di voler reinserire la marijuana a basso contenuto di THC nella lista degli stupefacenti. La cannabis non sarebbe considerata una droga pesante come eroina o cocaina, ma tornerebbe a esserne illegale la coltivazione, la vendita e il possesso, con pene fino a 15 anni di carcere. Srettha e il suo partito, il Pheu Thai, avevano promesso di reprimere il consumo di marijuana già in campagna elettorale, e lo stesso avevano fatto tutti i grandi partiti, compreso il progressista Move Forward e in parte anche il BJT di Anutin, che sosteneva di volerne rafforzare la regolamentazione.

Secondo quanto annunciato, l’uso medico della cannabis resterà legale e la repressione si limiterà al consumo ricreativo, cioè il vero oggetto di quella che Srettha ha definito essere una «guerra alle droghe», che prevede misure anche contro altre sostanze, molto più pericolose della marijuana. Tecnicamente, la depenalizzazione del 2022 è arrivata a seguito di un’ordinanza del ministero della Salute che si è limitato a inserire la canapa all’interno delle “erbe controllate”: non si è trattata di una vera e propria legge, e questo si è rivelato essere il suo più grande problema.

Al di là di alcune indicazioni minime (come la necessità di una licenza per la coltivazione, il divieto di fumare in pubblico o di vendita ai minori di vent’anni), l’uso ricreativo della cannabis non è mai stato davvero regolamentato, ed è diventato tollerabile solo a seguito di un vuoto normativo. Un vuoto dovuto anche al fatto che, nei mesi successivi alla depenalizzazione, il parlamento ha cambiato idea sulla questione, non permettendo di trasformare in legge le diverse bozze presentate da Anutin. Una legge avrebbe rafforzato i controlli e la solidità normativa del consumo legalizzato di cannabis, che oggi sarebbe risultato più difficile da rovesciare.

Mentre i partiti litigavano sulla questione, poi accantonata con l’inizio della campagna elettorale per le elezioni del maggio 2023, in due anni sono nati circa 8 mila negozi in tutto il Paese per la vendita al pubblico di infiorescenze, oli o altri prodotti a base di canapa, e oltre 1 milione di thailandesi hanno richiesto e ottenuto le licenze per la coltivazione. Nonostante sia teoricamente legale solo la vendita di marijuana con un contenuto di THC inferiore allo 0,2% (simile alla “cannabis light” in Italia), la mancanza di una legge ha reso possibile anche il commercio di cannabis a un livello normale di THC, ovvero il principio attivo che rende psicotropo il consumo di erba. Le infiorescenze con bassissima percentuale di THC non hanno però alcun effetto alterante. Parlare di “guerra alle droghe” sarebbe dunque in questo caso non del tutto appropriato.

Lo affermano anche diverse associazioni thailandesi a sostegno della legalizzazione della cannabis, che hanno chiesto al governo di portare delle prove scientifiche a sostegno del fatto che la marijuana sia più dannosa di alcol e sigarette. A due anni dalla depenalizzazione, l’industria della coltivazione e vendita dei prodotti a base di canapa si è ormai consolidata come una realtà importante all’interno del sistema economico thailandese: un divieto metterebbe in ginocchio migliaia di piccoli imprenditori e lavoratori.

Secondo le stime, il settore potrebbe arrivare a valere 1,2 miliardi di dollari nel 2025, per superare i 9 miliardi entro il 2030. La “guerra alla droga” rischierebbe di consegnare nuovamente questo enorme mercato nelle mani della criminalità organizzata, ma Srettha non sembra propenso a tornare indietro. Il Primo Ministro ha detto al suo nuovo ministro della Salute, Somsak Thepsutin, che ha 90 giorni di tempo per presentare dei progressi a riguardo. A eccezione degli usi medici, consumare cannabis in Thailandia potrebbe tornare a essere illegale entro la fine del 2024.

Il Landbridge thailandese avvicinerà Est e Ovest

Pubblichiamo qui uno stralcio del discorso del Premier della Thailandia Srettha Thavisin sul progetto Landbridge

Il progetto della mega infrastruttura Landbridge della Thailandia è uno sforzo verso la creazione di una connettività senza soluzione di continuità per aumentare le prospettive di crescita a lungo termine nella regione ed è pienamente in linea con la diplomazia economica proattiva del mio governo.

Il progetto comprenderà la costruzione di porti d’alto mare a Ranong, sulla costa tailandese delle Andamane, e a Chumphon, nel Golfo della Thailandia. Situati a circa 90 chilometri di distanza, i due porti opereranno secondo il concetto “un porto, due lati”, supportati da un’autostrada e da linee ferroviarie a doppio binario per collegare i porti tra loro e con la rete nazionale del paese.

Ogni porto avrà la capacità di gestire fino a 20 milioni di container standard all’anno. Il piano prevede anche l’installazione di una rete di oleodotti e gasdotti. Il costo totale stimato ammonta a 1 trilione di baht (28 miliardi di dollari).

Il progetto Landbridge rappresenta un’opportunità senza precedenti per migliorare la connettività tra gli oceani Pacifico e Indiano e per collegare l’attività economica tra le due regioni.

Promette di facilitare un maggiore movimento di merci e persone tra Oriente e Occidente, offrendo una via praticabile per il commercio marittimo oltre allo Stretto di Malacca.

Una volta completato, si prevede che il Landbridge ridurrà i tempi di viaggio in media di quattro giorni tra l’Oceano Indiano e il Pacifico e ridurrà i costi di trasporto del 15%. Per un’azienda che spedisce merci da Chennai a Yokohama, ad esempio, ciò potrebbe significare un risparmio fino a cinque giorni e il 4% sui costi.

Coloro che hanno familiarità con lo sviluppo logistico della Thailandia potrebbero vedere il Landbridge come una rielaborazione moderna di una proposta secolare di dragare un canale attraverso l’istmo di Kra.

Nonostante sia stato originariamente approvato nel 1989 come parte del Corridoio Economico Meridionale della Thailandia, varie considerazioni hanno lasciato questo progetto irrealizzato fino ad oggi. Ora i tempi si allineeranno bene con le prospettive di crescita delle economie del subcontinente indiano e dell’Africa.

I piani prevedono che la prima fase di costruzione inizi nel settembre 2025 e duri fino all’ottobre 2030. Gli appaltatori saranno probabilmente in grado di fare offerte per il progetto tra aprile e giugno 2025.

Si prevede che il Landbridge porterà benefici per 1,3 trilioni di baht all’economia tailandese e aumenterà il tasso di crescita annuo del prodotto interno lordo del paese dell’1,5% attraverso maggiori opportunità di esportazione e la creazione di 280.000 posti di lavoro. Porterà anche nuove opportunità di sviluppo per altre province del sud della Thailandia.

Il successo spaziale della Thailandia

Grazie al costo relativamente basso della manodopera, il Paese è un candidato interessante per la produzione avanzata nel settore spaziale

Di Tommaso Magrini

Il satellite thailandese in orbita terrestre bassa, Theos-2, è stato lanciato con successo lo scorso 9 ottobre dal Centro spaziale della Guyana. Il satellite di osservazione della Terra Theos-2 è stato sviluppato congiuntamente dall’Agenzia per lo sviluppo della geoinformatica e della tecnologia spaziale (GISTDA) e Airbus per registrare immagini dallo spazio, proseguendo la missione di Theos-1, lanciato nel 2008. Ci vorranno ancora alcune settimane per controllare i vari sistemi del satellite, compresa la capacità di fotografare, prima che possa iniziare la sua missione. Theos-2 può scattare immagini ad alta risoluzione fino a 50 centimetri e scansionare circa 74.000 chilometri quadrati al giorno. Le agenzie spaziali thailandesi stanno inoltre lavorando per sviluppare un satellite al 100% di produzione autoctona, chiamato “Theos-3”. Sì, perché il programma spaziale di Bangkok procede a grande ritmo. La Thailandia è sede di una produzione avanzata di componenti per veicoli e di una serie di prodotti elettronici. Grazie al costo relativamente basso della manodopera, il Paese è un candidato interessante per la produzione avanzata in generale. Di conseguenza, il GISTDA ha spinto per sviluppare un centro di assemblaggio, integrazione e test satellitare nel Paese, sfruttando questi punti di forza.All’inizio di quest’anno, la Thailandia e la Corea del Sud hanno annunciato l’intenzione di effettuare uno studio di fattibilità congiunto per un sito di lancio. Un giorno potremmo vedere i razzi partire dal Paese del sorriso. La Thailandia non è l’unico Paese del Sud-Est asiatico a condurre un ambizioso programma spaziale. L’Indonesia è stata un pioniere delle comunicazioni satellitari tra i Paesi dell’Asia-Pacifico, avendo lanciato il suo primo satellite Palapa a metà degli anni Settanta. Negli ultimi anni, però, gli indonesiani hanno superato loro stessi: il programma BAKTI, gestito dal Ministero delle Telecomunicazioni (KOMINFO), ha l’ambizione di collegare circa 150.000 siti alla banda larga satellitare nei prossimi anni.