Le Connector Economies – Il Vietnam

Hanoi è riuscita a ritagliarsi un ruolo fondamentale per l’economia globale, sfruttando la sua posizione unica tra Cina, Sud-Est asiatico e Occidente

Di Francesca Leva

Nell’attuale momento di frammentazione geopolitica, siamo portati a concepire gli assetti economici in un’ottica binaria e mutualmente esclusiva: o alleati di Pechino, o alleati di Washington. In questo contesto, uno Stato che intrattiene rapporti economici con uno che segue una traiettoria politica divergente, è uno stato a rischio. 

Non deve essere necessariamente così. Vi sono infatti Paesi che sono stati negli ultimi anni in grado di navigare le fratture geopolitiche e beneficiare della possibilità di commerciare con plurimi partners: questo approccio li ha anzi resi resilienti vis-a ’-vis le ostilità politiche e commerciali, rendendoli beneficiari di flussi di investimenti diversificati. Questi Paesi vengono chiamati “connector economies”, e tra i più prominenti figurano Vietnam, Indonesia, Polonia, Messico e Marocco. Le connector economies a loro volta si suddividono lungo due linee: “connectors” tra diversi Paesi – quali il Vietnam, che si posiziona come interlocutore sia di Cina che di Stati Uniti – e connettori tra diversi tipi di transazioni economiche – il Messico -. 

Il successo delle connector economies in un periodo così turbolento sta nella capacità mantenere una politica estera bilanciata rispetto alle politiche di friendshoring e reshoring cinesi e statunitensi, al contempo sviluppando le capacità economiche e le infrastrutture necessarie per attrarre investimenti di tipo greenfield, beni e servizi e tradurli in capacità di export. Gli allineamenti geopolitici hanno infatti fortemente contribuito alla riconfigurazione dei flussi di investimenti globali: nel 2000 gli FDI – foreign direct investments, o IDE – contribuivano al 3,3% del PIL globale, negli ultimi cinque anni solo al 1,3%. In termini assoluti, gli investimenti diretti esteri sono aumentati modestamente: nel 2023 i flussi globali di IDE hanno raggiunto un valore stimato di 1,3 trilioni di dollari, il 3% in più rispetto al 2022. La frenata degli IDE ha però colpito in modo sproporzionato i paesi emergenti e in via di sviluppo: flussi di IDE verso i paesi sviluppati sono aumentati del 29%, raggiungendo i 524 miliardi di dollari, mentre i flussi verso i paesi in via di sviluppo sono diminuiti del 9%, arrivando a 841 miliardi di dollari. A titolo esemplificativo, tra il 2019 e il 2023, gli FDI dagli Stati Uniti verso la Cina sono scesi da una quota del 5,2% del totale, al 1,8%. Al contrario, le quote di FDI statunitensi verso paesi più allineati dal punto di vista geopolitico sono aumentate: di quattro punti percentuali verso l’India; di 3,4 punti percentuali verso gli Emirati Arabi Uniti; di 2,2 punti percentuali verso il Messico; e di circa un punto percentuale verso diversi Paesi del Sud-Est asiatico come la Malaysia, le Filippine e il Vietnam. Similmente, anche gli FDI provenienti dalla Cina verso i Paesi occidentali sono diminuiti da un picco di 196 miliardi di dollari – 1,9% del PIL – nel 2016 a 146 miliardi di dollari – 0,8% del PIL – nel 2022 e hanno sempre maggiormente favorito le nazioni Asiatiche e sud-est Asiatiche, peraltro beneficiarie degli investimenti facenti capo alla Belt and Road Initiative. 

In questo contesto di riconfigurazione dei rapporti commerciali, basti pensare che le connector economies rappresentano il 4% del prodotto interno lordo globale, eppure hanno attratto più del 10%, ovvero 550 miliardi di dollari, di tutti gli investimenti greenfield dal 2017. Se è vero che questo ci permette di guardare al decoupling tra Pechino e Washington sotto una nuova ottica, è altresì vero che l’allungamento e la frammentazione delle supply chains porterà comunque a un aumento dei costi dei beni e a una continua inflazione, con un impatto maggiore sui Paesi più poveri.

In questo contesto, il Vietnam è un esempio virtuoso di come un Paese sia stato in grado di posizionarsi strategicamente in un’area caratterizzata da intensa competizione economica, dispute territoriali, nonché la presenza di un vicino con un enorme leverage politico ed economico, la Cina. Già destinazione di numerosi investimenti globali nell’ambito della China Plus One Strategy – sviluppata nei primi anni 2000 dai Paesi minacciati dai competitivi costi del lavoro cinesi e volta alla diversificazione delle strutture delle supply chains globali -, nel 2023 Hanoi ha accolto $8.2 miliardi di investimenti dalla Cina e $500 milioni dagli Stati Uniti, principalmente nel settore dell’elettronica. Attualmente, gli Stati Uniti sono la destinazione di circa un terzo delle esportazioni del Vietnam, mentre la Cina è anche il principale partner commerciale del Vietnam, e il commercio bilaterale è caratterizzato da una vasta gamma di beni, tra cui elettronica, macchinari, tessuti e prodotti agricoli. Il commercio tra Vietnam e Cina nel primo semestre del 2024 ha raggiunto i 123 miliardi di dollari, con 77 miliardi di dollari di esportazioni dalla Cina e 46 miliardi di dollari importati dal Vietnam verso il continente cinese. Il Vietnam commercia con gli Stati Uniti nell’ambito di una Comprehensive Strategic Partnership, stipulata proprio nel 2023, e con la Cina nell’ambito dell’RCEP e dell’ASEAN-China Free Trade Agreement.

Il rapporto commerciale molto stretto tra Hanoi e Pechino potrebbe tuttavia portare al deterioramento dell’economia locale, che si protegge invece tramite tre principali strategie. In primo luogo, il Vietnam è in grado di salvaguardare il sistema di produzione nazionale grazie alle rules of origins che impongono che, se il 30% o più del valore di un bene è generato  localmente, deve essere etichettato come “Made in Vietnam”. In secondo luogo, il Vietnam intrattiene forti relazioni commerciali con vari partners: se la Cina rappresenta infatti il 39% degli import di materiali elettronici del Vietnam – che si traducono in un 30% degli import statunitensi nello stesso settore -, Pechino pesa solo per il 33.21% sugli import totali del Paese, che ha infatti forti partnerships commerciali anche con Corea del Sud, Giappone e Taiwan. Infine, Hanoi è in grado di posizionarsi come partner commerciale internazionale non unicamente focalizzato sulla manifattura a basso costo, ma altresì sull’attrazione di investimenti e lo sviluppo di servizi ed industrie ad alto valore aggiunto. Esempi recenti includono l’adesione di Hanoi alla Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (“CPTPP”) e all’ EU-Vietnam Free Trade Agreement (“EVFTA”).

Come sarà la presidenza ASEAN della Malesia

Di fronte alle difficoltà interne, il primo ministro malese Anwar Ibrahim guarda all’esterno per rafforzare la propria legittimità. Sotto la sua guida, Kuala Lumpur è diventata un alfiere dirompente della causa del “Sud Globale”. La sfida della presidenza ASEAN potrebbe richiedere un approccio diverso

Articolo di Pierfrancesco Mattiolo 

Lo scorso 11 ottobre, il primo ministro malese Anwar Ibrahim ha ricevuto dal suo omologo del Laos, Sonexay Siphandone, il martelletto simbolo della presidenza di turno dell’ASEAN. La presidenza ASEAN è annuale e ruota per ordine alfabetico tra i suoi membri. Lo Stato presidente ha poteri tutto sommato limitati, dato che l’Organizzazione prende decisioni per consenso, ma può influenzare i rapporti diplomatici tra i membri e l’esterno. Kuala Lumpur sembra intenzionata a interpretare questo ruolo con decisione, in linea con il protagonismo di Anwar in politica estera. Tale protagonismo può essere spiegato dalla fame di successi di fronte alle difficoltà a livello interno. Eletto nel 2022 come candidato del Pakatan Harapan (“Alleanza della Speranza”), la coalizione progressista, Anwar è ora accusato dai riformisti malesi di non aver realizzato le sue promesse e non fare abbastanza per risollevare l’economia e combattere la corruzione. La politica malese non è facile da navigare, ma non è detto che quella internazionale sia più agibile per Anwar. Quali sono le ambizioni del leader per il suo Paese e per l’ASEAN?

Lo scorso luglio, Anwar ha annunciato che la Malesia aveva presentato la sua candidatura ad entrare nel gruppo BRICS alla Russia, nella sua veste di presidente del raggruppamento. L’interesse ad approfondire il legame con questi Paesi è in linea con le sue posizioni sulla contrapposizione tra “Nord e Sud globali”. Anwar è noto anche per il suo sostegno alla causa palestinese, il quale può essere spiegato sia per la comune fede islamica, sia per la sua visione del mondo  – diviso appunto tra Nord e Sud. Per l’attuale governo malese, i Paesi del Sud globale devono cooperare per difendere un ordine internazionale “basato sulle regole” e confutare la “doppia morale occidentale”. La politica si intreccia, come al solito, con l’economia. I BRICS offrono ottime opportunità per le aziende malesi, alla ricerca di nuovi mercati per le loro esportazioni di olio di palma, gomma ed elettronica. Questo ultimo settore si sta espandendo vivacemente, soprattutto nella regione del Penang, rendendo la Malesia un potenziale partner strategico per chi ne voglia essere alleato, anche se i produttori locali potrebbero dover fare i conti con le richieste degli Stati Uniti, poco propensi a lasciar arrivare i preziosi semiconduttori ai loro avversari. Se la maggior parte dei Paesi ASEAN cerca di mantenere un’equa distanza tra Washington e Pechino, con l’obiettivo di ottenere i vantaggi offerti da entrambi, Anwar si è concentrato ultimamente soprattutto sui rapporti con quest’ultima e la Russia

Questa tendenza potrebbe creare delle difficoltà per Kuala Lumpur durante la presidenza ASEAN, dato che uno dei dossier più delicati è quello della disputa tra alcuni membri, Malesia inclusa, e Pechino sul Mar Cinese Meridionale. In particolare, Vietnam e Filippine difendono con vigore le proprie rivendicazioni sulle acque contese. I malesi dovranno trovare una mediazione tra queste richieste, la propria linea più conciliante e l’assertività cinese, nella speranza di concludere i negoziati sul Codice di Condotta nel Mar Cinese Meridionale entro la fine del 2025. Un altro dossier caldo della presidenza di turno sarà, ancora una volta, Myanmar. Anwar ha indicato che adotterà una linea più dura nei confronti del regime del Tatmadaw, in discontinuità con la presidenza uscente del Laos. La Malesia è stata una delle voci più critiche rispetto all’inefficace risposta dell’Organizzazione di fronte al genocidio condotto contro i Rohingya, una minoranza di fede islamica, dal 2017 e potrebbe continuare su questa linea, sollecitando un intervento più deciso nella crisi che ha seguito l’ultimo colpo di stato.

L’agenda della presidenza malese include anche obiettivi economici, come la piena implementazione del Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), un accordo commerciale che coinvolge 15 Paesi nell’Asia-Pacifico, per un PIL combinato di quasi 30 trilioni di dollari. A inizio Ottobre, Anwar ha indicato tre priorità economiche per l’ASEAN: rafforzare le catene di approvvigionamento, consolidare i settori fondamentali per l’economia di ciascuno Stato e rimodellare l’economia regionale sfruttando le sinergie tra Paesi. L’obiettivo di lungo periodo di questa strategia sembra essere la riduzione delle disuguaglianze in termini di sviluppo tra i membri ASEAN, alla base della scarsa coesione e resilienza economica del blocco. 

Non sarà facile tenere insieme l’Organizzazione, date le divergenze politiche, oltre che economiche. Un recente studio dell’ISEAS-Yusof Ishak Institute di Singapore ha rilevato che l’ASEAN è spaccata sulla questione “Stati Uniti o Cina” quale partner strategico fondamentale. Gli intervistati in Vietnam, Filippine e Singapore preferiscono Washington, mentre il campione in Malesia, Indonesia, Brunei, Cambogia, Myanmar e Laos preferisce Pechino. La Malesia dovrà muoversi con cautela tra le due potenze e i loro alleati nell’Organizzazione per non approfondirne le divisioni. Il 2025 ci rivelerà se Kuala Lumpur alzerà il volume della sua campagna come voce emergente, e dirompente, del Sud Globale o se preferirà un approccio più moderato, nella speranza di coinvolgere gli altri membri dell’ASEAN.

Petronas e Pertamina, i pilastri dell’energia ASEAN

Analisi comparativa di due dei giganti energetici del Sud-Est asiatico

DI Luca Menghini

Petronas, la compagnia petrolifera statale della Malesia, e Pertamina, la sua corrispondente indonesiana, rappresentano due dei principali attori nel settore energetico del Sud-est Asiatico. Queste aziende sono state fondamentali nel promuovere la crescita economica e nella gestione delle risorse energetiche dei rispettivi paesi. Nonostante il ruolo comune di campioni nazionali dell’energia, le loro strategie, priorità operative e approcci alla transizione energetica globale differiscono significativamente, influenzati da realtà interne e considerazioni geopolitiche diverse. Mentre Petronas ha perseguito una strategia orientata all’export per affermarsi come leader globale nel settore energetico, Pertamina si è concentrata sulle ampie esigenze energetiche interne dell’Indonesia, spesso dando priorità all’accessibilità economica rispetto alla redditività.

Fondata nel 1974, Petronas è nata come un’iniziativa strategica della Malesia per assumere il controllo delle proprie risorse naturali e ridurre la dipendenza dalle compagnie petrolifere straniere. L’azienda è rapidamente passata dalla gestione dei giacimenti petroliferi domestici alla costruzione di una solida presenza internazionale, con oltre il 70% dei suoi ricavi attualmente derivanti da esportazioni e operazioni all’estero. Progetti emblematici come il complesso RAPID a Johor rappresentano l’ambizione di Petronas di integrare le attività downstream con le esigenze dei mercati globali, sfruttando tecnologie avanzate per migliorare efficienza e sostenibilità. Al contrario, Pertamina, fondata nel 1957, ha operato come un pilastro della sicurezza energetica dell’Indonesia. Il suo obiettivo principale è stato il mercato interno, che rappresenta la maggior parte dei suoi ricavi, riflettendo il suo ruolo nel garantire un accesso all’energia a prezzi accessibili per la vasta e crescente popolazione dell’Indonesia. I sussidi e i controlli sui prezzi hanno storicamente limitato le performance finanziarie di Pertamina, ma hanno anche consolidato la sua posizione come strumento chiave delle politiche governative.

La transizione energetica globale ha presentato sfide e opportunità uniche per entrambe le aziende. Petronas ha abbracciato il passaggio verso un’energia più pulita con una chiara strategia per raggiungere le emissioni nette di carbonio pari a zero entro il 2050. Le sue iniziative includono investimenti significativi nelle energie rinnovabili, nell’idrogeno e nelle tecnologie di cattura del carbonio. Progetti di rilievo come l’impianto di cattura e stoccaggio del carbonio Kasawari e la collaborazione per la bioraffineria con Eni ed Euglena dimostrano l’impegno di Petronas verso l’innovazione e la sostenibilità. Pertamina, pur impegnandosi nello sviluppo delle energie rinnovabili, ha adottato un approccio più orientato alle risorse. Sfruttando le ricche riserve geotermiche dell’Indonesia, l’azienda ha dato priorità a progetti come l’espansione dell’energia geotermica, la produzione di biocarburanti e l’esplorazione dell’idrogeno verde. Il Sustainable Finance Framework di Pertamina sottolinea il suo impegno a lungo termine verso i principi di governance ambientale e sociale, allineando la sua strategia di investimento all’obiettivo dell’Indonesia di raggiungere emissioni nette zero entro il 2060.

Le dinamiche geopolitiche differenziano ulteriormente le traiettorie di questi due giganti energetici. Petronas opera in un contesto complesso, caratterizzato da dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale. Le sue attività di esplorazione in acque contese, come il giacimento di gas Kasawari, evidenziano l’intersezione tra sicurezza energetica e diplomazia regionale. Pur mantenendo solide relazioni commerciali con la Cina, la Malesia deve gestire con attenzione le tensioni legate a queste operazioni per garantire la stabilità delle entrate di Petronas e del mercato energetico più ampio. Pertamina, meno coinvolta in tali dispute internazionali, si è concentrata su priorità nazionali, come l’autosufficienza energetica e lo sviluppo delle infrastrutture. Tuttavia, la partecipazione dell’Indonesia ai forum globali sul clima e il crescente focus sulla sostenibilità indicano il ruolo sempre più importante di Pertamina nella diplomazia energetica internazionale.

Nonostante queste differenze, entrambe le aziende affrontano sfide comuni nell’adattarsi a un panorama energetico in rapida evoluzione.  I rapporti suggeriscono che le loro strutture di produzione petrolifera ad alto costo potrebbero rappresentare rischi fiscali mentre il mondo si sposta verso le energie rinnovabili e una minore dipendenza dai combustibili fossili. Per Petronas, la transizione richiede un equilibrio tra il suo ruolo di leader energetico globale e la responsabilità di contribuire all’economia della Malesia attraverso dividendi e tasse. Pertamina, d’altra parte, deve conciliare il suo ruolo di fornitore di energia domestica con l’ambizione di diventare un leader regionale nelle energie rinnovabili e nelle tecnologie a basse emissioni di carbonio.

Il modello orientato all’export di Petronas le ha permesso di reinvestire i profitti nell’innovazione tecnologica e nell’espansione globale, posizionando l’azienda come un attore lungimirante nella transizione energetica. La sua controllata Gentari esemplifica questo approccio, concentrandosi sulle energie rinnovabili e sullo sviluppo dell’idrogeno. Pertamina, pur vincolata dal suo mandato nazionale, ha compiuto progressi significativi nell’allineare le sue operazioni agli obiettivi di sostenibilità globale. Iniziative come lo sviluppo di biocarburanti e i progetti di energia geotermica riflettono il suo impegno a ridurre le emissioni di carbonio, soddisfacendo al contempo la crescente domanda energetica dell’Indonesia. Entrambe le aziende hanno abbracciato le collaborazioni per migliorare le proprie capacità, con Petronas impegnata in progetti internazionali e Pertamina che forma alleanze con aziende come Hitachi Energy e Genvia per sviluppare tecnologie per le energie rinnovabili.

Il confronto tra Petronas e Pertamina rivela le più ampie dinamiche economiche e politiche del Sud-est Asiatico. Il mercato interno più ridotto della Malesia ha permesso a Petronas di concentrarsi sulle esportazioni e sulla crescita internazionale, creando un modello che punta sulla redditività e sull’innovazione. La popolazione più numerosa e le maggiori esigenze energetiche dell’Indonesia hanno posizionato Pertamina come uno strumento fondamentale delle politiche sociali, dando priorità all’accessibilità economica e alla disponibilità. Questi approcci divergenti evidenziano la complessità della gestione delle imprese statali in una regione in cui si intrecciano le esigenze energetiche, le sfide ambientali e le pressioni geopolitiche.

Sempre più partner di sviluppo dell’ASEAN

L’Italia conferma il suo ruolo di partnership con una nuova missione in Indonesia

Il 28 novembre, una delegazione dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, AICS, Ufficio di Hanoi, composta da Margherita Lulli, Responsabile della Cooperazione allo Sviluppo, Michele Boario, Coordinatore del Programma e Luciana Andreini, Coordinatore del Partenariato Italia-ASEAN, ha partecipato alla quarta riunione dello Steering Committee presso il Segretariato dell’ASEAN a Giacarta, in Indonesia, insieme all’Ambasciatore italiano a Giacarta, Benedetto Latteri e al Consigliere Ruben Caruccio. Durante l’incontro, entrambe le istituzioni hanno rinnovato i loro impegni per il Partenariato, che vede l’Italia come partner di sviluppo di supporto nella Cooperazione per la politica e la sicurezza, economica e socio-culturale, per la promozione della connettività e la riduzione del divario di sviluppo. “Questo Comitato per l’Italia è uno strumento utile per condividere esperienze e progetti di reciproco interesse per una crescita economica e sociale comune. Il Comitato è anche uno strumento per sostenere l’ASEAN e la sua centralità nell’Indo-Pacifico, come ribadito durante la sessione di outreach per l’Indo-Pacifico del G7 appena tenutasi a Fiuggi”, ha dichiarato l’Ambasciatore Latteri. L’Ufficio AICS di Hanoi, con la recente apertura dell’ufficio progetti di Giacarta, come unità tecnico-operativa, rappresenta un volano per una Cooperazione innovativa nella Regione, soprattutto per quanto riguarda le tematiche ambientali. “La Cooperazione italiana guarda all’ASEAN come motore di sviluppo sostenibile ed equo per l’intera Regione, particolarmente esposta agli effetti dei cambiamenti climatici e dei disastri naturali. In questo contesto, il contributo dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo si inserisce nell’ambito dell’Agenda ASEAN Net Zero e dello sviluppo di un’economia a basse emissioni e inclusiva attraverso la realizzazione di iniziative a beneficio di tutta la popolazione dell’area” ha dichiarato Margherita Lulli a margine dell’incontro. Attualmente, l’AICS di Hanoi ha tre iniziative di cooperazione allo sviluppo attive con l’ASEAN, in particolare per quanto riguarda la lotta al cambiamento climatico, la salute, la sicurezza alimentare e lo sviluppo rurale sostenibile, compresa la pesca e l’acquacoltura. La presenza dell’ufficio AICS di Hanoi a Giacarta è stata anche l’occasione per confermare l’impegno per una più ampia integrazione all’interno dell’area, riducendo i divari di sviluppo tra gli Stati membri dell’ASEAN e condividendo un modello di cooperazione incentrato su cambiamenti misurabili, trasparenza e sostenibilità attraverso l’approccio della Gestione Basata sui Risultati e la Teoria del Cambiamento nella definizione e nell’implementazione di iniziative di interesse comune.

L’eredità del Laos sulla crisi birmana

La presidenza dell’ASEAN di Vientiane ha fatto segnare progressi rilevanti sul dossier Myanmar. Il linguaggio più morbido è probabilmente volto a “corteggiare” la giunta, allo scopo di non allontanarla dai forum di dialogo, ma anche a responsabilizzare i ribelli

Di Francesco Mattogno

Da qualche anno a questa parte l’ASEAN, nata per favorire l’integrazione economica tra gli stati regionali, è costretta a non occuparsi più solo di economia, investimenti e commercio. Alle decennali tensioni sul mar Cinese meridionale tra la Cina e vari Paesi membri (Filippine, Vietnam, Malesia, Brunei, Indonesia) si è aggiunta la guerra civile in Myanmar, che dal 2021 è il vero dossier caldo di ogni ministeriale e summit dell’associazione. È stato così anche a Vientiane.

Nonostante diversi osservatori e analisti temessero che il ridotto peso diplomatico del Laos potesse minare gli sforzi del gruppo per trovare una soluzione alla crisi birmana, la presidenza laotiana è stata invece la più significativa in tal senso, anche se non solo per meriti di Vientiane. Per la prima volta in oltre tre anni un rappresentante non politico della giunta militare birmana (ovvero il segretario permanente del ministero degli Esteri, Aung Kyaw Moe) ha partecipato a un vertice ASEAN, aprendo almeno idealmente alla prospettiva di un dialogo regionale volto a favorire il ritorno della pace in Myanmar.

La presenza di Aung Kyaw Moe a Vientiane va registrata all’interno di un processo in corso già da diversi mesi. A seguito delle enormi perdite territoriali dell’ultimo anno, la giunta birmana, alla ricerca di legittimità internazionale, ha assunto un atteggiamento più aperto e dialogante nei confronti dell’associazione. Nell’aprile del 2021, due mesi dopo il golpe, l’esercito aveva firmato con l’ASEAN un documento (il “Consenso in 5 punti”) nel quale si impegnava a interrompere le violenze e ad avviare un dialogo con tutte le forze di opposizione al regime, salvo poi violare ogni termine dell’accordo. Da tre anni la giunta bombarda regolarmente i civili e si riferisce alle forze di resistenza come “terroristi”: non proprio un segnale di grande propensione a delle trattative di pace.

Come conseguenza del mancato rispetto del Consenso in 5 punti, l’ASEAN ha vietato all’esercito birmano di presenziare a ogni incontro dell’associazione, permettendo al regime di inviare solamente dei “rappresentanti non politici”, cioè segretari e membri dell’amministrazione. Per quasi tre anni Naypyidaw si è rifiutata di farlo, ritenendolo un affronto, prima di cambiare idea lo scorso gennaio alla luce dell’avanzata dei ribelli in gran parte delle periferie del paese. Con la presidenza del Laos – la cui leadership mantiene rapporti ambigui con il regime birmano – è cominciato dunque un graduale reinserimento del Myanmar all’interno dei meccanismi del blocco, e sono arrivati anche i primi (piccoli) risultati diplomatici.

Si è iniziato a muovere qualcosa già alla vigilia degli incontri di Vientiane (6-11 ottobre). La settimana precedente al summit l’Indonesia ha ospitato i rappresentanti dei paesi ASEAN, insieme a quelli di Unione Europea, Stati Uniti, Nazioni Unite, India, Giappone e ai rappresentanti dei gruppi di resistenza in Myanmar per parlare della crisi birmana (non erano presenti né la giunta, che avrebbe rifiutato l’invito, né la Cina). I dettagli dell’incontro non sono stati divulgati, ma pochi giorni dopo la prima ministra thailandese, Paetongtarn Shinawatra, si è detta disponibile a ospitare a Bangkok i rappresentanti dei paesi ASEAN allo scopo di presentare nuove proposte di pace per il Myanmar. L’associazione ha accettato, e i colloqui si terranno a dicembre.

Come ha scritto Sebastian Strangio sul Diplomat, l’ASEAN sembra essersi resa conto di dover adottare un approccio più creativo e flessibile alla crisi birmana. Lo ha ammesso anche il presidente filippino Ferdinand Marcos Jr, che ha parlato della necessità di trovare «nuove strategie». L’evolversi della situazione sul campo, con l’avanzata dei ribelli, ha reso obsoleto il Consenso in 5 punti fondato sulla centralità del ruolo dell’esercito, che ormai non controlla più de facto vaste porzioni del territorio birmano. Il rischio quindi è che i vicini del Myanmar esterni all’associazione (Cina, India, Bangladesh) diventino più influenti ed efficaci dell’ASEAN nel trovare una soluzione al conflitto. L’India, ad esempio, ha invitato vari gruppi ribelli a partecipare a una conferenza sul federalismo che si terrà a novembre a Nuova Delhi.

L’ASEAN starebbe quindi iniziando ad accettare la legittimità delle forze di resistenza birmane, dalle milizie etniche armate (EAO) alle People’s Defence Forces (PDF) che fanno riferimento al governo democratico in esilio. Lo si noterebbe anche dal comunicato congiunto sul Myanmar pubblicato in settimana. Il documento è meno duro rispetto a quello del 2023, nel quale i paesi membri dichiaravano esplicitamente che l’esercito birmano fosse il principale attore responsabile degli attacchi ai civili, ed esorta «tutte le forze armate» a ridurre il livello delle violenze.

Se da un lato il linguaggio più morbido è probabilmente volto a “corteggiare” la giunta, allo scopo di non allontanarla dai forum di dialogo, dall’altro potrebbe anche essere finalizzato a responsabilizzare i ribelli, riconoscendogli un ruolo importante nelle logiche del processo di pace. Eventualità che l’approccio stato-centrico del Consenso in 5 punti non teneva in considerazione. È vero anche che molti gruppi della resistenza sembrano ormai restii al dialogo. Forti delle numerose vittorie sul campo, sempre più EAO ambiscono alla rivoluzione e non vogliono sentir parlare di trattative di pace. O in alternativa chiedono come condizione di partenza la totale resa della giunta, con annessi processi per crimini di guerra e contro l’umanità a carico dei vertici e dei soldati dell’esercito regolare. Una prospettiva che i militari non sono disposti ad accettare.

Il settore agroalimentare dell’ASEAN

Affrontare le sfide del clima e della tecnologia in un settore economico chiave

Articolo di Luca Menghini

Il settore agroalimentare riveste un ruolo essenziale nell’economia dell’ASEAN, sia come pilastro della sicurezza alimentare che come fonte cruciale di occupazione, in particolare nelle aree rurali. In una regione in cui colture di base come riso, olio di palma, frutti di mare e frutta sono centrali per la vita quotidiana, l’agricoltura sostiene milioni di persone e rimane una componente chiave del PIL di paesi come Myanmar, Cambogia e Laos. Tuttavia, con l’accelerazione dei cambiamenti climatici, le pressioni ambientali minacciano queste risorse vitali, ponendo sfide significative sia alla stabilità regionale che alla crescita economica. Il panorama agroalimentare dell’ASEAN, che è stato a lungo il fulcro dell’approvvigionamento alimentare nel Sud-est asiatico, sta affrontando pressioni senza precedenti causate dal cambiamento climatico, dalla deforestazione e dalla perdita di biodiversità.

Il Sud-est asiatico è sempre stato suscettibile a condizioni meteorologiche estreme. Oggi, ci sono modelli meteorologici sempre più irregolari, come inondazioni, ondate di calore e siccità, che interrompono i raccolti e rendono la produzione alimentare meno prevedibile. Il riso, un alimento di base per milioni di persone, è particolarmente vulnerabile alle fluttuazioni di temperatura e alla scarsità d’acqua, mettendo a rischio sia i mezzi di sussistenza che la sicurezza alimentare. Va sottolineato che l’agricoltura è un importante contributore alle emissioni di gas serra, in particolare attraverso le risaie, l’allevamento di bestiame e il disboscamento per le piantagioni. La coltivazione del riso, ad esempio, produce emissioni significative di metano, mentre l’espansione delle piantagioni di olio di palma e di altre colture porta spesso alla deforestazione e alla perdita di biodiversità. Bilanciare la necessità di nutrire una popolazione in crescita con l’esigenza di ridurre l’impatto ambientale è una sfida complessa che evidenzia la necessità di un’azione strategica da parte degli Stati membri dell’ASEAN.

I paesi dell’ASEAN stanno iniziando a riconoscere questi problemi, come evidenziato da iniziative come l’ASEAN Vision and Strategic Plan of Action for Food, Agriculture, and Forestry, che mira ad affrontare le sfide del cambiamento climatico e della sicurezza alimentare. A livello individuale, i paesi stanno implementando i propri programmi nazionali, come il progetto “One Million Hectare Low Emission Rice” del Vietnam. Attraverso questa iniziativa, il Vietnam punta a ridurre le emissioni di gas serra derivanti dalla produzione del riso del 30% entro il 2030, dimostrando come riforme agricole mirate possano contribuire sia agli obiettivi climatici che alla sicurezza alimentare. Tuttavia, la portata e l’urgenza di questi sforzi sottolineano la necessità di una maggiore collaborazione tra i paesi dell’ASEAN per mitigare in modo efficace gli impatti ambientali.

Per affrontare queste sfide, l’adozione di nuove tecnologie è sempre più riconosciuta come una soluzione valida per aumentare la produttività riducendo al contempo l’impatto ambientale dell’agricoltura. Strumenti innovativi, come droni e sensori dell’Internet delle cose (IoT), permettono agli agricoltori di monitorare la salute delle colture, le condizioni del suolo e i livelli d’acqua con una precisione senza precedenti. L’analisi dei dati e il machine learning offrono anche informazioni utili per ottimizzare l’uso di fertilizzanti e acqua, migliorando così i rendimenti e riducendo la pressione ambientale. Questa transizione verso l’“agricoltura intelligente” consente un’allocazione più efficiente delle risorse e riduce l’impronta ecologica della produzione agroalimentare. Grazie all’applicazione precisa di acqua e nutrienti, questi strumenti aiutano a stabilizzare i raccolti anche in climi volatili, rafforzando così la sicurezza alimentare. Il ruolo del settore privato in questo cambiamento, dallo sviluppo della tecnologia alla formazione, è cruciale per garantire che i piccoli agricoltori della regione possano accedere e implementare questi progressi.

L’ASEAN ha gettato le basi per risposte collaborative a queste sfide. Programmi come l’ASEAN Integrated Food Security Framework e l’ASEAN Climate Resilient Network supportano standard e pratiche agricole condivise, promuovendo la resilienza oltre i confini nazionali. La cooperazione transfrontaliera permette la condivisione delle risorse, la diffusione di tecniche agricole sostenibili e l’implementazione di sistemi di allerta precoce, essenziali per costruire capacità di adattamento in tutta la regione. Ad esempio, il Centro di Ricerca sul Clima di Singapore ha offerto di condividere i dati climatici con i paesi vicini, con l’obiettivo di migliorare la pianificazione agricola e la resilienza. Iniziative collaborative come queste dimostrano come l’integrazione regionale possa migliorare la resilienza e ottimizzare l’uso delle risorse.

Guardando al futuro, le strategie agroalimentari dell’ASEAN oltre il 2025 dovranno dare priorità alle pratiche agricole sostenibili e all’adozione di tecnologie. I governi possono costruire su iniziative già esistenti creando politiche che supportino la diffusione delle tecnologie, come l’agricoltura intelligente basata sull’IoT, che ridurrà gli sprechi e aumenterà l’efficienza dei raccolti. Inoltre, espandere iniziative come il progetto del Vietnam sul riso a basse emissioni ad altri paesi membri sarebbe un passo forte verso la sostenibilità regionale. Un quadro post-2025 che includa partenariati pubblico-privato sarà vitale per raggiungere gli obiettivi climatici del settore agroalimentare. Progetti collaborativi tra governi e settore privato possono anche fornire supporto finanziario e tecnico ai piccoli agricoltori, aiutandoli ad adottare pratiche efficienti in termini di risorse e a partecipare a mercati ambientalmente responsabili. Un maggiore coordinamento regionale e meccanismi di condivisione delle informazioni, come l’ASEAN Food Security Information System, supporterebbero ulteriormente questi sforzi, fornendo dati tempestivi sulle forniture alimentari e sulle condizioni meteorologiche.

Mentre il settore agroalimentare dell’ASEAN affronta queste sfide complesse, mantenere un equilibrio tra produttività agricola e resilienza climatica è essenziale per uno sviluppo sostenibile. L’adozione della tecnologia e la cooperazione regionale offrono percorsi per raggiungere questo equilibrio, ma il successo richiederà sforzi concertati da parte di tutti gli Stati membri dell’ASEAN. Con continui investimenti in pratiche sostenibili e un impegno condiviso verso l’azione climatica, il settore agroalimentare dell’ASEAN può continuare a garantire sicurezza alimentare, occupazione e stabilità economica per milioni di persone nella regione. Di fronte alle sfide climatiche e ambientali, l’ASEAN deve rafforzare la propria azione collettiva e promuovere un sistema agroalimentare resiliente e adattabile per tutelare il benessere delle sue popolazioni e assicurare una crescita sostenibile negli anni a venire.

Affari, prosperità e pace sul Pacifico

Il discorso del Presidente indonesiano Prabowo Subianto al summit della Cooperazione Economica Asia-Pacifico (APEC) a Lima

Come tutti sappiamo, la pace e la prosperità sono guidate dall’attività economica, dal ruolo della comunità imprenditoriale, dal ruolo degli imprenditori, dal ruolo dell’industria. Senza la partecipazione dinamica del settore economico, fondamentalmente non possiamo avere crescita e prosperità. Senza crescita, non possiamo alleviare la povertà, non possiamo creare occupazione. La regione del Pacifico è una delle aree più dinamiche del mondo. La crescita economica, i potenziali risultati tecnologici, la demografia, le risorse disponibili  lasciano presagire un futuro economico brillante per tutti. Al momento ci sono tensioni geopolitiche, ma io sono un ottimista nell’interesse dell’umanità. Credo che i leader delle grandi potenze del mondo, in ultima analisi, opteranno sempre per il bene comune. La rivalità è storica, ci sarà sempre, ma il nostro pianeta è diventato più piccolo. Le enormi scoperte tecnologiche richiedono che i leader siano più saggi, più pazienti, più accomodanti, perché il potere della tecnologia può portare progressi significativi alla vita umana, ma il potere della tecnologia può anche distruggere la vita umana molto velocemente. Pertanto, scelgo sempre la strada della collaborazione, dell’impegno, della comunicazione, della negoziazione. Certo, dobbiamo rispettare e vivere secondo le leggi comuni, le regole internazionali, ma dobbiamo anche avere una comprensione comune degli interessi di tutti. Vengo da un Paese, l’Indonesia , che è uno dei più grandi Paesi del mondo, il quarto per popolazione. Il nostro territorio, da ovest a est, è lungo quasi quanto l’Europa. L’Europa ha 27 Paesi o più, noi siamo un solo Paese. Abbiamo le nostre sfide importanti, ma siamo benedetti da risorse abbondanti e abbiamo la fortuna di poter essere in pochi anni completamente autosufficienti dal punto di vista energetico. Saremo forse uno dei pochi Paesi in grado di raggiungere il 100% di energia rinnovabile entro pochi anni. Possiamo sostituire i combustibili fossili con le energie rinnovabili. Abbiamo il più grande potenziale geotermico e di energia solare, ma la nostra forza principale verrà dalla bioenergia, dal carburante di origine vegetale che possiamo produrre. L’Indonesia è aperta a fare affari. Sono determinato a proteggere tutti gli investimenti, a creare una condizione economica favorevole, a partecipare alle principali organizzazioni economiche del mondo e a lavorare insieme a tutti voi per creare prosperità reciproca. Credo che la prosperità possa venire solo dalla pace. La pace viene dalla comprensione. La comprensione deriva dall’impegno e dalla negoziazione. Invito alla cooperazione tra tutti voi, il settore privato del Pacifico, per raggiungere insieme la prosperità. Prosperità che, alla fine, garantisce pace e stabilità.

Le iniziative dell’ASEAN sul cyberspazio

La particolarità dell’attivismo dell’ASEAN in materia di cybersicurezza è legata alla sua stretta collaborazione con le organizzazioni internazionali e soprattutto con l’INTERPOL

Di Emanuele Ballestracci

Il cyberspazio è una rete digitale globale che è incorporata in ogni aspetto della vita quotidiana moderna. Non comprende solo Internet, ma anche le infrastrutture critiche che sostengono le società moderne, come le reti elettriche, i sistemi di approvvigionamento idrico, le transazioni bancarie e i sistemi di trasporto. Negli ultimi due decenni, la rapida evoluzione del cyberspazio ha influenzato il modo in cui le società comunicano e interagiscono nella sfera politica, economica e sociale. Dal 1988 con la creazione dell’ICANN sono quindi emersi i primi tentativi di creare un sistema di governance globale di Internet, inizialmente focalizzato sulla gestione di aspetti tecnici. Con l’ampliarsi del cyberspazio, soprattutto dall’inizio del nuovo millennio, i tentativi di regolamentare questa “nuova” dimensione di vita pubblica e privata sono aumentati esponenzialmente.

Oggi esiste una costellazione di iniziative pubbliche e private per la gestione multilaterale del cyberspazio, la promozione della cooperazione tra i vari stakeholder e la tutela dei singoli utenti. Negli ultimi anni particolare attenzione è stata data al tema della cybersicurezza e la quasi totalità delle organizzazioni regionali hanno lanciato delle iniziative in materia. Le iniziative dei vari G7, NATO, BRICS, Lega Araba e Unione Eurasiatica hanno però in comune il difetto di collaborare limitatamente con le organizzazioni internazionali, nonostante il loro grande attivismo in materia. Le Nazioni Unite hanno infatti lanciato negli anni una lunga serie di gruppi di lavoro e conferenze per rilanciare la governance globale in questo campo. Anche l’INTERPOL tramite il suo Global Cybersecurity Programme si propone come un partner efficace per la lotta al crimine nel cyberspazio. Tutte queste iniziative non vengono tuttavia sfruttate adeguatamente da Stati e organizzazioni regionali, con l’unica eccezione dell’ASEAN. 

Nel 2016 l’ASEAN lanciò la sua prima iniziativa sulla cybersicurezza: l’ASEAN Cyber Capacity Programme. Il Programma si concentra sullo sviluppo delle capacità tecniche, legali e istituzionali dei Paesi membri per affrontare le sfide della sicurezza informatica. Fornisce inoltre formazione, condivisione delle conoscenze e risorse per sostenere la cooperazione e il coordinamento regionale nell’affrontare le minacce informatiche. Nel 2017 al Programma è susseguita la pubblicazione dall’ASEAN Cybersecurity Cooperation Strategy, di durata quadriennale e rinnovata nel 2021. La prima Strategia si è concentrata sul rafforzamento della cooperazione e del potenziamento delle capacità dei CERT (Squadra per la risposta informatica d’emergenza) nazionali e sul coordinamento delle iniziative regionali di cooperazione in materia di cybersicurezza. L’obiettivo era aumentare le capacità informatiche regionali contro minacce informatiche, in continua evoluzione e sempre più sofisticate, evitando la duplicazione delle risorse. È stato inoltre fondato un CERT regionale facente direttamente riferimento all’ASEAN. La seconda Strategia, in continuità con la prima, si focalizza su cinque principali dimensioni: promozione della cooperazione in materia di prontezza informatica; rafforzamento del coordinamento delle politiche regionali; rafforzamento della fiducia nel cyberspazio; sviluppo delle capacità regionali; cooperazione internazionale.

Tuttavia, come accennato precedentemente, la particolarità dell’attivismo dell’ASEAN in materia di cybersicurezza è legata alla sua stretta collaborazione con le organizzazioni internazionali e soprattutto con l’INTERPOL. Quest’ultimo offre sostegno alle forze dell’ordine a livello mondiale nella prevenzione e nella lotta alla criminalità informatica tramite la promozione di maggiore cooperazione e la formazione degli agenti locali. Nel 2018 INTERPOL ha quindi istituito l’ASEAN Cybercrime Operations Desk al fine di affrontare le crescenti minacce informatiche nella regione. L’ASEAN Desk è l’hub regionale per lo scambio di informazioni e d’intelligence sulla criminalità informatica. Tramite la capacità del Cyber Fusion Centre dell’INTERPOL e i partenariati pubblico-privati fornisce una serie di prodotti di analisi strategica che consentono alle autorità dell’ASEAN di prendere decisioni efficaci sulla prevenzione e la lotta alla criminalità nel cyberspazio. Nel 2020 è stato inoltre lanciato l’ASEAN Cybercrime Knowledge Exchange Workspace, che consente alle forze dell’ordine di condividere informazioni non operative come le migliori pratiche e le informazioni open source sulle minacce nella regione. Infine, sempre dal 2020, viene pubblicato con cadenza annuale l’ASEAN Cyber Threat Assessment. Il rapporto offre analisi e approfondimenti sull’attuale panorama dei rischi per la cybersicurezza, nonché consigli di policy per le azioni future.

L’ASEAN alla COP29

Il documento programmatico approvato dall’ASEAN sul contrasto al cambiamento climatico, apripista alla partecipazione al vertice in corso a Baku

I Paesi membri dell’ASEAN esprimono profonda preoccupazione per il continuo aumento delle emissioni globali di gas a effetto serra e per la conseguenza dell’aumento dei rischi climatici e degli impatti sui sistemi naturali e umani, che rimane una minaccia significativa per la diversità ecologica nella regione dell’ASEAN e, in generale, per la sostenibilità dei guadagni di sviluppo che abbiamo raggiunto finora. Vogliamo richiamare l’attenzione sul costo dei cambiamenti climatici per le economie dell’ASEAN, che rappresenta una perdita economica stimata di 97,3 miliardi di dollari tra il 2009-2020 e un costo di adattamento stimato in 422 miliardi di dollari fino al 2030 per la regione. Vogliamo evidenziare i progressi significativi e le nuove opportunità offerte dalla COP28 e dal Consenso degli Emirati Arabi Uniti per garantire un clima stabile, che costituisce una base importante per sostenere i guadagni in termini di sviluppo nella regione dell’ASEAN, tenendo conto delle responsabilità comuni ma differenziate degli Stati Parte dell’ASEAN. Per questo motivo, chiediamo che venga accelerata l’attuazione delle azioni per il clima e dei meccanismi finanziari previsti dall’UNFCCC, come prova dell’impegno a favore di un’azione per il clima e di una transizione energetica rapida ed equa. Chiediamo di riconoscere le persistenti lacune nell’attuazione delle ambiziose azioni concordate in materia di clima, tra cui la mitigazione, l’adattamento e la finanza. E auspichiamo l’adempimento dei mezzi di attuazione, come da impegni assunti dai Paesi sviluppati, ossia finanziamenti, sviluppo e trasferimento di tecnologie e sviluppo di capacità, compreso lo sviluppo e l’attuazione di tecnologie a basse emissioni e di infrastrutture abilitanti, che sono fondamentali per la nostra transizione verso un’economia regionale a basse emissioni di carbonio e per garantire la capacità dell’ASEAN e dei Paesi in via di sviluppo di accedere ai finanziamenti per il clima. Auspichiamo inoltre l’attuazione delle decisioni adottate nelle precedenti COP per rafforzare il sostegno finanziario all’azione per il clima nei Paesi in via di sviluppo. Chiediamo poi di riconoscere i contributi potenziali degli Stati membri dell’ASEAN attraverso l’evitamento delle emissioni, la riduzione delle emissioni, l’eliminazione delle emissioni e l’aumento dello stock di carbonio, in funzione dei progressi scientifici e tecnologici, della cooperazione internazionale e di un maggiore sostegno da parte dei Paesi sviluppati, comprese le iniziative pertinenti relative ai mercati del carbonio da parte degli Stati membri dell’ASEAN per fungere da modello per un approccio integrato allo sviluppo sostenibile e alla resilienza climatica nella regione.

La crescita del settore tecnologico nelle Filippine

Dai semiconduttori a una nuova era di innovazione: Manila sta diventando un attore chiave nei settori tech emergenti

Di Luca Menghini

Negli ultimi anni, le Filippine hanno attraversato una significativa trasformazione tecnologica, affermandosi come un leader emergente nel panorama dell’innovazione del Sud-est asiatico. Un fattore chiave di questo cambiamento è la crescente industria dei semiconduttori, che sta portando a far crescere l’economia del Paese e  sta posizionando le Filippine in una situazione di primo piano per lo sviluppo di ulteriori avanzamenti tecnologici. Grazie alle iniziative governative e agli investimenti del settore privato, le Filippine stanno capitalizzando gli sviluppi strategici per diventare un hub regionale specializzato in tecnologie avanzate come semiconduttori, nanotecnologie e intelligenza artificiale. Con l’aumento vertiginoso della domanda globale di semiconduttori e tecnologie correlate, le Filippine si stanno posizionando in un ruolo cruciale per plasmare il futuro del settore tecnologico della regione.

Il settore dei semiconduttori nelle Filippine ha assistito a un boom significativo, con una crescita annuale prevista tra il 10 e il 15% dal 2024 al 2027. Questa crescita è in linea con i trend globali, poiché la domanda di semiconduttori continua ad aumentare, trainata dai progressi nell’intelligenza artificiale, nella tecnologia 5G e nei veicoli elettrici. Mentre le industrie mondiali fanno sempre più affidamento su chip avanzati e loro componenti, le Filippine stanno emergendo come un attore vitale nel panorama globale della manifattura e dei servizi legati ai semiconduttori.

Uno dei fattori principali che contribuiscono alla crescita delle Filippine in questo settore è il suo ruolo nella catena di fornitura globale. La vicinanza geografica ai principali produttori di semiconduttori come Taiwan, Cina e Giappone fornisce un vantaggio strategico. Mentre le aziende di tutto il mondo cercano di diversificare le loro catene di fornitura e ridurre la dipendenza da una singola fonte, le Filippine sono viste come un’alternativa affidabile. La sua posizione nella regione dell’Asia-Pacifico, combinata con infrastrutture avanzate, l’accesso alle rotte commerciali marittime e una capacità sviluppata di trasporto aereo, aumenta l’attrattiva delle Filippine come hub per i semiconduttori.

Le Filippine fanno parte da tempo della catena di fornitura globale per componenti elettronici, eccellendo in particolare nei semiconduttori, con forti capacità di assemblaggio, test e packaging. Sono oltre 500 le aziende di elettronica e semiconduttori che operano nel Paese, tra cui giganti globali come Texas Instruments, Philips e Toshiba. Il settore gioca un ruolo fondamentale nell’economia nazionale, rappresentando circa il 60% delle esportazioni totali, con i semiconduttori che costituiscono una parte significativa di questo contributo. Tutto questo fa si che le Filippine sono ben posizionate per soddisfare la crescente domanda globale di componenti per semiconduttori.

Uno dei principali motori della crescita di questa industria è il supporto del governo. Le Filippine hanno intrapreso mosse strategiche per allinearsi alle politiche industriali che vanno nella direzione delle tecnologie avanzate, seguendo i principali trend globali. La Inclusive Innovation Industrial Strategy (I3S) del governo è stata fondamentale per stimolare l’innovazione e attrarre investimenti nel settore high-tech, inclusi i semiconduttori. Questa strategia mira a sviluppare industrie competitive a livello globale, integrando tecnologie di Industria 4.0, come automazione, robotica e intelligenza artificiale, nei processi di produzione.

Ulteriori iniziative per stimolare il settore dei semiconduttori includono la partecipazione delle Filippine a sforzi internazionali come il CHIPS and Science Act degli Stati Uniti del 2022. Grazie a questa legge, le Filippine sono state selezionate come uno dei sette Paesi partner che beneficeranno di un fondo di 500 milioni di dollari destinato a sostenere lo sviluppo dell’industria dei semiconduttori. Questa partnership sottolinea l’importanza strategica delle Filippine nell’ecosistema globale dei semiconduttori e rafforza i suoi legami con i principali attori tecnologici. Nell’ambito di questa iniziativa, le Filippine hanno stabilito un ambizioso obiettivo di formare 128.000 ingegneri entro il 2028 per sostenere l’industria dei semiconduttori in crescita, garantendo un’offerta costante di lavoratori qualificati per soddisfare la domanda del settore.

Nonostante la sua rapida crescita, l’industria dei semiconduttori filippina sta affrontando sfide che devono essere risolte per mantenere il suo vantaggio competitivo. Il Paese rimane indietro rispetto ad alcuni dei suoi concorrenti regionali in termini di infrastrutture e facilità di fare impresa. La necessità di migliorare le reti di trasporto, l’affidabilità dell’energia e i quadri normativi per attrarre più investimenti stranieri è un problema ben noto. Inoltre, l’industria affronta una carenza di talenti altamente specializzati in aree come la progettazione e la fabbricazione di chip. Sebbene governo e settore privato stiano lavorando insieme per potenziare la forza lavoro attraverso iniziative come il programma Advanced Manufacturing Workforce Development (AMDev), il Paese deve continuare a investire in istruzione e formazione per colmare il divario di competenze.

Il successo dell’industria dei semiconduttori fa parte di una tendenza più ampia di avanzamento tecnologico nelle Filippine. Il Paese si sta espandendo in altre tecnologie emergenti, incluse nanotecnologie, robotica e data science. Il Department of Science and Technology (DOST) è stato al centro di questi sforzi, lanciando iniziative mirate ad aumentare l’innovazione in vari settori considerati strategici. Ad esempio, la creazione di un Advanced Manufacturing Center (AMCen) ha permesso alle industrie locali di esplorare la stampa 3D e le tecnologie di produzione additiva, promuovendo l’innovazione in settori come aerospazio, sanità e automotive.

Inoltre, le Filippine stanno investendo in tecnologie sostenibili dal punto di vista ambientale. Il Green Packaging Laboratory del DOST sta sviluppando materiali di imballaggio ecologici, mentre il Metrology in Chemistry Laboratory sostiene la manifattura locale e gli standard di sicurezza alimentare fornendo misurazioni accurate per il controllo della qualità. Queste iniziative dimostrano l’impegno del Paese a sfruttare la tecnologia non solo per la crescita economica, ma anche per la sostenibilità ambientale e il benessere pubblico.

Mentre le Filippine continuano a progredire nel settore dei semiconduttori e in altri campi tecnologici, il loro impatto nel panorama tecnologico del Sud-est asiatico sta diventando sempre più evidente. I Paesi dell’ASEAN, noti per le loro politiche di non interferenza e consenso, stanno osservando con attenzione i progressi tecnologici delle Filippine. La capacità del Paese di affermarsi come hub per i semiconduttori ha il potenziale di ridefinire la catena di fornitura regionale e di aumentare la competitività complessiva dei mercati del Sud-est asiatico nello scenario globale.

L’importanza strategica delle Filippine si estende oltre la sua posizione geografica. La giovane forza lavoro del Paese, ben istruita e con una buona conoscenza dell’inglese, insieme alla sua adesione agli standard internazionali del lavoro, rende le Filippine una destinazione attraente per gli investitori stranieri. Questi fattori, insieme all’impegno del governo a promuovere l’innovazione attraverso politiche e iniziative di supporto, posizionano le Filippine come una stella nascente nel settore tecnologico globale.

In conclusione, le Filippine sono al centro di un’avanzata tecnologica nel Sud-est asiatico, trainata dalla crescita dell’industria dei semiconduttori e dagli investimenti crescenti nelle tecnologie emergenti. Anche se ci sono molte sfide da affrontare, la posizione strategica del Paese, il supporto governativo e le partnership internazionali forniscono una solida base per una crescita sostenibile. Man mano che le Filippine rafforzano il loro ruolo come hub per i semiconduttori, non solo contribuiranno alla catena di fornitura globale, ma ridefiniranno anche il futuro dell’innovazione tecnologica nella regione. I progressi del Paese in questi settori sono il preludio di un futuro brillante per la sua economia e una posizione più forte e resiliente nel mercato globale.

Italia e Singapore, visione comune

Il discorso del Vice Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Valentino Valentini, al Villaggio Italia di Singapore durante la visita della nave Amerigo Vespucci

Singapore è uno dei porti più importanti di tutta l’Asia, una delle piazze finanziarie più importanti e qui non solo portiamo l’Italia e quello che rappresenta ma con il Villaggio Italia portiamo l’esperienza italiana. Questo serve non soltanto come messaggio di amicizia e collaborazione ma anche a favorire sempre di più gli investimenti reciproci che in questo momento si stanno svolgendo dalle due parti degli oceani. L’arrivo dell’Amerigo Vespucci in questo straordinario porto simboleggia l’incontro di due nazioni con storie ricche e intrecciate. Italia e Singapore sono geograficamente distanti, ma vicine nella loro visione di progresso e di sviluppo sostenibile. L’importanza del libero scambio e dei commerci internazionali rimane fondamentale per la prosperità delle nostre nazioni. In un mondo in rapida evoluzione, o piuttosto in pericolosa involuzione, Italia e Singapore rappresentano portali di accesso privilegiati all’Asia, e all’ Europa e attraverso il Mediterraneo al continente africano, facilitando non solo lo scambio di merci, ma anche di idee, tecnologie vettori di pace e stabilità. Italia e Singapore intendono rappresentare un modello per un commercio internazionale che sia al contempo dinamico ma equo, responsabile ed orientato al futuro. Nei prossimi giorni, attraverso una serie di eventi mirati, esploreremo le molteplici opportunità di cooperazione nei settori dell’economia blu, dello spazio, delle tecnologie avanzate e dell’innovazione sostenibile. Le nostre economie, caratterizzate da un tessuto di piccole e medie imprese dinamiche e innovative, trovano in questa collaborazione un terreno ideale per crescere e prosperare. Lo scambio di conoscenze, tecnologie e capitale umano tra i nostri paesi può catalizzare l’innovazione e aprire nuove frontiere in settori strategici come la digitalizzazione, le scienze della vita e le tecnologie pulite. L’Italia, con la sua ricca tradizione manifatturiera, il suo patrimonio culturale e la sua creatività nel design si combina armoniosamente con Singapore, hub globale di innovazione, finanza e tecnologia. Questa sinergia offre opportunità uniche per entrambi i paesi di espandere i propri orizzonti economici e culturali.

Il quadro delle relazioni economiche Italia-ASEAN

Negli ultimi anni, l’interscambio commerciale bilaterale e gli investimenti diretti sono aumentati in modo esponenziale, anche grazie all’HLD. Ora ci sono spazi per crescere ancora

Le relazioni economiche tra Italia e ASEAN sono in continuo approfondimento. L’High Level DIalogue on ASEAN Italy Economic Relations 2024, che si è svolto il 5 e 6 novembre a Manila, è stato un’occasione per mettere in evidenza lo stato attuale delle relazioni e discutere di come rafforzarle ulteriormente. Come si evince dal position paper pubblicato da The European House Ambrosetti in occasione dell’evento, l’interscambio commerciale ASEAN-Italia vale oltre 20 miliardi di dollari, di cui 9,7 miliardi sono rappresentati dall’export italiano verso l’ASEAN e 12 miliardi si riferiscono all’export ASEAN verso l’Italia. Negli ultimi sei anni, l’interscambio commerciale complessivo tra Italia e ASEAN è cresciuto del 38%, più di Regno Unito, Germania e Francia, evidenziando il grande dinamismo delle relazioni economiche Italia-ASEAN. 

Gli strumenti di cooperazione economica tra l’ASEAN e l’Italia sono diversi e sfaccettati. Comprendono accordi commerciali, trattati di investimento, joint venture e programmi di cooperazione economica e tecnica. Questi strumenti mirano a ridurre le barriere commerciali, a promuovere gli investimenti, a favorire il trasferimento di tecnologia e a rafforzare i legami economici tra le due regioni. Insieme, costruiscono partenariati economici resistenti e reciprocamente vantaggiosi. Ad oggi, gli IDE italiani nell’ASEAN valgono 7,7 miliardi di euro, mentre gli IDE ASEAN ammontano a più di 800 milioni di euro. Si tratta di aumenti esponenziali da quando sono iniziate le edizioni dell’HLD e da quando è stata fondata l’Associazione Italia-ASEAN. 

Come evidenzia Lorenzo Tavazzi, Senior Partner e Board Member di The European House Ambrosetti, nel suo position paper, i risultati concreti raggiunti negli ultimi anni sono ragguardevoli. Qualche esempio? L’apertura di unità produttive, centri di progettazione e di assistenza in Vietnam, Thailandia e Indonesia da parte di un’azienda italiana operante nel settore metallurgico; l’apertura di uno stabilimento di produzione da parte di 2 produttori italiani di motocicli in Thailandia e Indonesia; l’inaugurazione di un nuovo impianto di produzione di pneumatici in Thailandia; l’acquisizione di una quota di minoranza di un’azienda italiana produttrice di cosmetici da parte di un fondo sovrano di proprietà del governo di Singapore; l’aumento delle esportazioni di prodotti Made in Italy nell’ASEAN, in particolare a Singapore, Malesia, Thailandia e Vietnam; l’introduzione di corsi di formazione e di business per l’accesso al mercato ASEAN offerti da agenzie governative italiane.

In alcuni settori ci sono enormi potenzialità di crescita. Per esempio sul digitale. L’ASEAN presenta oggi diversi livelli di preparazione digitale e ambientale e sta dando priorità alla crescita verde e all’adozione di tecnologie, con l’obiettivo di migliorare la competitività regionale, soprattutto attraverso la diffusione dell’intelligenza artificiale, un solido ecosistema di startup e l’infrastruttura 5G. L’Italia, con la sua forte base industriale e le sue tecnologie avanzate, sta puntando sull’energia pulita, sulle pratiche sostenibili e sulla digitalizzazione per stimolare la crescita economica e la resilienza e può contribuire ad aumentare la competitività dell’ASEAN. Poiché i Paesi ASEAN continuano a dare priorità alla resilienza e all’innovazione, i settori ad alta tecnologia come quello spaziale offrono un supporto fondamentale per garantire la continuità aziendale, la stabilità regionale e la cooperazione in un settore altamente strategico. L’Italia, rinomata per le sue competenze in materia di tecnologia avanzata e ricerca, ha molto da contribuire alla crescita dell’ASEAN in questi settori. Il potenziale per i progetti congiunti, il trasferimento di tecnologia e la condivisione delle conoscenze è significativo e offre a entrambe le regioni vantaggi unici di collaborazione. Non a caso, proprio nelle scorse settimane si è concluso con un evento presso la sede dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) a Roma il progetto ASEAN-Italy Cooperation Initiative on Space and Smart Technologies. L’iniziativa, finanziata dal Ministero degli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale, Direzione Generale per la Mondializzazione e le Questioni Globali, rientra nel quadro formale della partnership stipulata tra il MAECI e il Segretariato ASEAN e denominata ASEAN-Italy Development Partnership (2022-2026). E mira tra le altre cose a creare opportunità di business, aumentare la presenza internazionale, migliorare la conoscenza scientifica sulla base di esperienze condivise, best practices e lessons learned. 

Membri attivi di recente
Foto del profilo di Alessio
Foto del profilo di Monika
Foto del profilo di Gabriel
Foto del profilo di Elena
Foto del profilo di Lorenzo
Foto del profilo di Alessandro
Foto del profilo di Cristina
Foto del profilo di Rocco
Foto del profilo di Clara Lomonaco
Foto del profilo di Redazione
Foto del profilo di Davide Gugliuzza
Foto del profilo di Anna Affranio
Foto del profilo di Ilaria Canali
Foto del profilo di Nicolò
Foto del profilo di Angelo Cangero
Chi è Online
Al momento non ci sono utenti online
Membri
  • Foto del profilo di Alessio
    Attivo 1 ora, 9 minuti fa
  • Foto del profilo di Monika
    Attivo 3 giorni, 8 ore fa
  • Foto del profilo di Gabriel
    Attivo 3 settimane, 4 giorni fa
  • Foto del profilo di Elena
    Attivo 1 anno, 4 mesi fa
  • Foto del profilo di Lorenzo
    Attivo 2 anni, 6 mesi fa