Agri-food e Made in Italy al centro degli scambi commerciali con l’ASEAN

Le eccellenze italiane attirano nuovi consumatori nel Sud-Est asiatico

A seguito dell’incontro del 13 ottobre riguardo le nuove opportunità per la filiera agro-alimentare dell’Emilia-Romagna in ASEAN, è emerso, con un certo grado di consenso, quanto i Paesi della regione siano affascinati dal marchio “Made in Italy” e dal nostro Paese.  

Il nuovo trattato di libero scambio con il Vietnam, entrato in vigore il 1° agosto, promuove nuove possibilità di interazioni commerciali tra le due regioni e sottolinea la crescente attenzione che il Paese ha mostrato nei confronti dei prodotti italiani. A tal proposito, la creazione di accordi di libero scambio tra UE e ASEAN sarebbe utile a eliminare fenomeni di Italian Sounding. Si tratta di una pratica abbastanza diffusa da parte delle aziende estere che hanno l’obiettivo di attrarre nuovi consumatori proponendo loro delle riproduzioni delle eccellenze enogastronomiche italiane. 

La Dott.ssa Formentini, addetta all’ASEAN Desk presso la Commissione Europea, ha spiegato come riconoscerle, riservando particolare attenzione ai mezzi di identificazione quali i marchi IGP (Indicazione Geografica Protetta) e DOP (Denominazione di Origine Protetta). L’Italia è il Paese europeo con il maggior numero di prodotti agroalimentari a Denominazione di Origine Protetta e Indicazione Geografica Protetta riconosciuti dall’Unione Europea, per un totale di 299 prodotti, e ancora oggi ci sono prodotti che continuano a ricevere gli ambiti riconoscimenti, uno su tutti l’Olio Lucano che fa salire a 18 i prodotti d’eccellenza della Basilicata. 

I Paesi ASEAN non sono indifferenti a questi traguardi e mostrano un grande interesse nei confronti dei prodotti agro-alimentari di origine italiana, anche in virtù della loro rinomata reputazione a livello internazionale. Tuttavia, è bene non sottovalutare i rischi legati al libero commercio sui beni sostituti. L’apertura delle barriere e la crescente importazione di merci possono avere delle conseguenze negative sui prodotti autoctoni appartenenti alle medesime catene di produzione. Basti pensare alle opinioni che circolavano nel 2017 circa le conseguenze dell’esportazione di mozzarelle di bufala dall’Italia sul commercio dei formaggi freschi in Canada o la possibile imitazione del celebre latticino campano successivamente all’entrata in vigore del CETA. Si tratta di tutele che devono essere garantite anche ai prodotti IGP e DOP provenienti dall’Emilia-Romagna. La regione, infatti, ha mostrato grande interesse per cogliere le opportunità derivanti da eventuali accordi di libero scambio, al fine di ampliare la propria rete di contatti commerciali e garantire una ripresa agile delle aziende dopo la crisi innestata dalla pandemia da Covid-19. Gli imprenditori stanno dimostrando una grande capacità di reazione nei confronti di questo momento critico e un forte senso di apertura nei confronti di una regione del mondo in costante sviluppo. 

L’ASEAN è una delle poche aree del globo ad aver mostrato prontezza nella gestione dell’emergenza sanitaria e si rivela similarmente disposta a mettersi in contatto con nuovi interlocutori. Si è, infatti, tenuta il 9 agosto in Thailandia la fiera “Food and Hotel” organizzato da Bellavita Expo con la partecipazione della Camera di Commercio Italo-Thailandese. Si tratta della principale fiera commerciale nei settori dell’ospitalità e della gastronomia in Thailandia e nel Sud-Est asiatico, durante la quale sono stati descritti e pubblicizzati i migliori prodotti di food and beverage italiani per oltre 29.000 professionisti del settore. L’evento ha voluto dare un impulso deciso per segnalare la crescita del settore alimentare e dell’ospitalità in Thailandia, con l’auspicio di offrire opportunità eccezionali alle imprese Italiane di arricchire le proprie conoscenze con professionisti del settore, promuovendo le proprie imprese sul territorio. 

Gli ultimi sviluppi pongono, dunque, delle previsioni ottimistiche circa la popolarità dei prodotti di origine italiana e fanno ben sperare sul progredire delle relazioni commerciali tra UE e Sud-Est asiatico, nonchè sulla diffusione delle eccellenze enogastronomiche italiane nel mondo.

A cura di Hania Hasim 

Il percorso del Brunei Darussalam verso la trasformazione economica

La strategia del Paese per contenere la disoccupazione e l’esaurimento delle riserve petrolifere sembra promettere bene 

Pur trattandosi di un Paese di dimensioni ridotte, il Brunei è ricco di potenziale ed è noto per le sue riserve di petrolio e gas che hanno alimentato l’economia della nazione per oltre 85 anni. Nel 2019, il PIL pro capite del sultanato ha raggiunto i 13.469 miliardi di dollari, rendendolo il secondo Paese più ricco dell’ASEAN, dopo Singapore. Inoltre, il Brunei Darussalam è noto per i suoi eccellenti standard sulla la qualità della vita, con un Indice dello Sviluppo Umano pari allo 0.845 – come l’Ungheria – al 43º posto a livello mondiale. 

Il sultanato del Brunei intende realizzare il suo ambizioso piano di sviluppo a lungo termine, il Wawasan 2035, con l’obiettivo di mostrare il Paese come una nazione dinamica e sostenibile, sia a livello regionale che globale, con una società altamente istruita. Il piano nazionale è anche in linea con l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile, che il Paese appoggia pienamente. Il Brunei ha, infatti, presentato la sua prima Rassegna Nazionale Volontaria – un documento vincolante richiesto a tutte le nazioni come parte del loro impegno nell’attuazione dell’Agenda. 

Tuttavia, il Paese sta affrontando delle dirompenti sfide interne negli ultimi dieci anni, come l’aumento della disoccupazione giovanile. Sulla base di un rapporto del Fondo Monetario Internazionale, infatti, l’ultimo dato per il 2019 ammonta al 29.8%, rendendolo il più alto tra i Paesi ASEAN. Secondo gli esperti, questo fenomeno è dovuto al maggiore interesse dei potenziali lavoratori nei confronti del settore pubblico rispetto a quello privato. Ricevendo maggiori finanziamenti, il settore pubblico offre salari più elevati e benefici più attraenti per coloro che cercano un impiego. Lavorare nel settore privato, invece, è considerato più complesso, generando così un aumento della domanda di posti di lavoro per il settore pubblico, che però non può assumere tutti. 

A questo proposito, Sua Maestà Sultan Haji Hassanal Bolkiah ha istituito il Manpower Planning and the Employment Council (MPEC) con l’obiettivo di affrontare la questione sia sul piano della domanda che su quello dell’offerta. Attraverso programmi di aggiornamento e riqualificazione, il governo spera di incidere positivamente sull’etica e la mentalità della forza lavoro nel Paese. Sono state istituite inoltre, maggiori forme di cooperazione tra i ministeri e il settore privato, con l’obiettivo di aumentare il numero di posti di lavoro qualificati nel Paese. Il governo sta anche promuovendo la creazione di programmi mirati, come il progetto “District Connect e Institution Outreach”, al fine di abbinare le competenze e le qualifiche della forza lavoro con gli standard richiesti dai vari settori.

Un ulteriore questione critica riguarda la risorsa numero uno del Brunei: il petrolio. Secondo il “BP World Energy Outlook”, le riserve di petrolio del Paese dovrebbero esaurirsi entro il 2035. Questa previsione preoccupa il governo, in quanto le esportazioni di petrolio rappresentano quasi il 50% delle attività commerciali totali. Per rispondere a questa evenienza, il governo intende ridurre la dipendenza del Paese dall’industria degli idrocarburi e diversificare l’economia concentrandosi su altri settori, come il turismo, la tecnologia, o la produzione di cibo halal.  

Lo sforzo di diversificazione si riflette sulla strategia di politica estera del Brunei Darussalam che, negli ultimi due anni, sta aumentando il suo coinvolgimento in varie organizzazioni multilaterali – in particolare l’ASEAN Free Trade Area, l’Asia Pacific Economic Forum, e la Brunei-Indonesia-Malaysia-Philippines East ASEAN Growth Area (BIMP-EAGA). Inoltre, il Paese ha rafforzato i suoi legami economici con la Cina, il suo maggiore investitore. Nella riunione inaugurale del comitato direttivo congiunto tra Cina e Brunei tenutasi all’inizio di quest’anno, i due Paesi hanno concordato di approfondire ulteriormente la loro cooperazione per quanto concerne il corridoio economico Brunei-Guangxi (BGEC). Questa iniziativa ha finora generato oltre 500 milioni di dollari di investimento al fine di sviluppare diverse strategie industriali, in particolare nel campo della bio-innovazione, dell’agricoltura e dell’acquacoltura.

Sulla base di questi dati, risulta chiaro che l’innovazione sarà essenziale per la stabilità del sultanato nel lungo periodo. Fortunatamente però, sembra che il governo del Brunei possieda sia risorse che capacità sufficienti per mettere in atto le priorità strategiche del Paese. In tal senso, sono state adottate misure estese per affrontare le cause di entrambe i principali problemi del Paese, la disoccupazione e l’esaurimento delle riserve petrolifere. Nonostante le sfide dunque a cui è sottoposto, se il Paese continuerà a tenere il passo con l’innovazione sarà in grado di realizzare il suo ambizioso piano strategico entro il 2035.

A cura di Rizka Diandra 

Partire col Phad Thai giusto

Il Sud-Est asiatico si afferma sempre più in Italia ed Europa anche grazie alla sua ricca offerta gastronomica

“Non mangiate niente che la vostra bisnonna non riconoscerebbe come cibo”, direbbe lo scrittore statunitense Michael Pollan. Una regola d’oro osservata con rigore specialmente dagli italiani, famosi per essere pronti a scrutare con occhio critico qualsiasi piatto proveniente dall’estero. Eppure, negli ultimi anni la cucina del Sud-Est asiatico sta riuscendo a superare i limiti imposti dalla geografia e ad aggiudicarsi anche il cuore dei più scettici. Ne sono una prova non solo i numerosissimi ristoranti di cucina thailandese e vietnamita che stanno facendo la loro comparsa in tutta Italia, ma anche la produzione di nuove serie tv che raccontano i profumi, il gusto e i colori della cucina asiatica. Ma quali sono i piatti più apprezzati in Europa e in Italia oggi, che conquisterebbero persino la vostra bisnonna? 

Libri interi non basterebbero a spiegare la ricchezza e la varietà di ingredienti della cucina del Vietnam. Ancor prima della colonizzazione francese, che avrebbe dato via all’Unione Indocinese nel 1887 e influenzato in maniera importante le abitudini alimentari di questa regione, è la vicina Cina a dare un contributo fondamentale allo sviluppo di piatti popolari vietnamiti: non solo wonton e noodles di grano, ma anche ingredienti come peperoncini piccanti e granoturco si ritrovano, infatti, in entrambe le cucine. Con l’arrivo dei francesi, la lista degli ingredienti disponibili si è ampliata fino a comprendere patate, cipolle, asparagi, caffè. E sorprendentemente oggi due dei piatti più amati della cucina tipica vietnamita, sia dai locali che dagli europei, vengono proprio dall’influenza dei nostri cugini d’oltralpe! 

Il primo è il Bánh mì, un gustoso panino farcito nei modi più fantasiosi, come per esempio carne arrostita, coriandolo, verdure e salse. Il pane utilizzato è simile nella forma ad una baguette, ma al posto della farina di grano viene utilizzata quella di riso. Il secondo invece è il celeberrimo Pho, una zuppa di brodo di carne e spaghetti di riso. Si pensa che il nome Pho (pronuncia: fuh) venga dal francese pot au feu (stufato di carne), e proprio la presenza della carne di manzo, raramente presente in altri piatti tipici della cucina asiatica, è un altro indice del lascito coloniale. 

E che dire della cucina thailandese? Amata sempre di più in terra nostrana, come sottolineano i numerosi ristoranti che stanno nascendo dappertutto, non solo a Roma o a Milano, ma anche in altre città italiane. Oltre al classico Phad Thai (noodles di riso saltati in padella con verdure fresche, uova, arachidi tostati, salsa di pesce, salsa al tamarindo, aglio, peperoncino, zucchero di palma e lime), la grande varietà di sapori e ingredienti combinati con estro e creatività della cucina thailandese conquista l’occidente giorno dopo giorno: tanto che il thailandese Massaman curry, il “re dei curry”, si è aggiudicato il primo posto nella classifica “The world’s 50 best foods” rilasciata da CNN appena due settimane fa per l’anno 2020. Il motivo? “Persino la sua versione da supermercato sarebbe in grado di trasformare il più incapace dei cuochi in un potenziale Michelin”.

Sebbene sia più difficile trovare in Italia ristoranti di cucina indonesiana, singaporiana, o di altri Paesi del Sud-Est asiatico, l’interesse verso di essi in occidente rappresenta un trend in costante crescita. Basti pensare che molti altri piatti che si sono aggiudicati un posto nella classifica citata poco fa provengono da Paesi ASEAN. O che ben due serie tv (Street Food Asia e Chef’s Table) Netflix, il gigante mediatico sempre attento alle esigenze di mercato specialmente dei giovanissimi, dedicano molti episodi alla cucina di Bali, Yogyakarta, Cebu, e altre sue città. 

Tutti segnali incoraggianti che dimostrano, ancora una volta, come il Sud-Est asiatico, la sua storia, la sua tradizione, e (ovviamente) la sua ricca cucina, suscitino l’interesse sempre più vivo in Europa e nel mondo.

A cura di Valentina Beomonte Zobel

Singapore tra Innovazione e Rinnovamento

Nell’attuale contesto di crisi pandemica, innovazione tecnologica e capacità di rinnovamento saranno cruciali per determinare il futuro del modello Singapore  

La straordinaria trasformazione di Singapore da avamposto commerciale del fu impero britannico a vibrante centro economico del nascente mondo globalizzato è motivo di orgoglio per i Singaporiani e materia di studio per il resto del mondo. Al tempo dell’espulsione dalla Federazione della Malesia, nel 1965, la “Città del Leone” era una piccola isola all’estremo della penisola malese, senza risorse naturali, a parte una posizione geografica strategica ed il potenziale ancora inesplorato di una popolazione giovane e volenterosa formata in gran parte da migranti cinesi. Eppure, nei due decenni immediatamente successivi all’indipendenza, l’economia singaporiana ha registrato una crescita dell’8,5% annuo e, come ricordano spesso i suoi governanti, la neonata città-stato è passata dal terzo mondo al primo nel giro di appena una generazione. 

In molti si sono chiesti quale sia il segreto del successo di Singapore: posizione geografica o conformazione demografica; identità culturale o regime politico; fattori importanti ma, di per sé, non determinanti. “La risposta semplice – secondo l’ex diplomatico singaporiano Kishore Mahbubani – è una leadership fuori dal comune.” Una classe dirigente formata nelle migliori università del Regno Unito e tornata a Singapore con l’ambizione di mettere il tradizionale pragmatismo britannico al servizio del nascente sentimento nazionale. Lo stesso Lee Kuan Yew, padre fondatore e Primo Ministro di Singapore, l’uomo che ha governato la città stato, direttamente e indirettamente per oltre 50 anni, sosteneva che il successo del modello Singapore derivasse dalla sua capacità di rispondere efficacemente all’emergere di nuove situazioni.

Effettivamente il grandioso sviluppo di Singapore non sarebbe forse stato possibile se i suoi leader non fossero stati guidati nelle loro scelte da una salda fede nell’innovazione tecnologica e da una ferma convinzione che anche il successo economico dipenda dalla capacità di innovarsi e rinnovarsi. È anche in virtù di questa ‘fede’ che una città-stato conosciuta oggi in tutto il mondo come hub commerciale e finanziario non ha mai voluto rinunciare al settore manifatturiero. Il manifatturiero, motore della crescita economica degli anni ’60, ha attraversato una grande trasformazione tecnologica e rappresenta oggi un settore ad alto valore aggiunto che vale il 20% del PIL. Meg Whitman, CEO di Hewlett Packard Enterprise, una delle tante grandi aziende che ha deciso di puntare su Singapore, ha soprannominato la città-stato una “Silicon Valley in miniatura”. Le notizie di queste settimane sembrano confermarlo: messe alla porta nell’America di Donald Trump, le cinesi ByteDance e Tencent hanno pensato di ripartire proprio da Singapore con investimenti di svariati miliardi di dollari.

Da diversi anni ormai Singapore occupa le prime posizioni del Global Competitiveness Index e dell’Ease of Doing Business Index, solo per citare due degli innumerevoli indicatori mondiali che celebrano la città-stato come uno dei miglior luoghi al mondo per fare impresa. Ciò è possibile non solo grazie all’avanzato sistema finanziario e giudiziario, ma anche grazie a infrastrutture fisiche e digitali all’avanguardia. E’ proprio su queste ultime che il governo intende puntare per superare la crisi innescata dalla pandemia di Covid-19, che ha trascinato la città-stato nella peggiore recessione dal 1965. Singapore, nelle parole dell’attuale Primo Ministro Lee Hsien Loong, si deve preparare ad “un futuro molto diverso” che, come ha spiegato un alto funzionario al Financial Times, sarà fatto di “bit e byte, cavi sottomarini e dati”, non solo cargo e container. 

L’esecutivo ci stava lavorando da tempo: il Covid-19 ha reso necessaria un’accelerata. Già un anno fa, infatti, l’Enterprise Development Board, l’agenzia governativa che da sempre guida lo sviluppo industriale del Paese, presentava ai potenziali investitori esteri i risultati già ottenuti: la più grande concentrazione di cavi sottomarini al mondo, la connessione a banda larga più veloce ed un tasso di penetrazione di cellulari e smartphone del 159%. Il Digital Readiness Index 2019, l’indicatore elaborato da Cisco per identificare i Paesi più preparati ad accogliere le sfide della digitalizzazione, collocava Singapore al primo posto. Complice anche la crescente tensione tra Stati Uniti e Cina e la rapida involuzione della situazione di Hong Kong, anche grandi multinazionali del calibro di Amazon e Alibaba non hanno potuto resistere alla chiamata.

Cinque anni fa, Kishore Mahbubani, in un libro dal titolo evocativo, “Può Singapore Sopravvivere?”, individuava tre pericoli che la città-stato avrebbe dovuto affrontare negli anni a venire: la sfida del populismo, lo scontro geopolitico tra Stati Uniti e Cina, ed un ‘Cigno Nero’, un evento estremamente raro e difficile da prevedere che avrebbe messo in questione la posizione di Singapore nell’ordine mondiale. Almeno per quanto riguarda la sua dimensione internazionale, la profezia può dirsi avverata nel 2020. Dopo un iniziale momento di smarrimento, Singapore sembra aver reagito tornando in sé stessa: una città-stato connessa con il mondo, seppure attraverso nuove vie digitali, senza rinunciare mai all’ambizione di essere amica di tutti e nemica di nessuno. La fede nell’innovazione che ha accompagnato Singapore sin dalla nascita potrebbe garantirle ora la sopravvivenza.

A cura di Francesco Brusaporco

Nuove prospettive e future opportunità per il commercio in Vietnam

L’EVFTA apre a nuove possibilità di sviluppo degli investimenti europei nel Paese.

Ancora una volta la pandemia di COVID-19 non ostacola momenti di dialogo e condivisione circa i nuovi accordi con i Paesi ASEAN. L’8 ottobre si è tenuto il webinar “Vietnam: il nuovo accordo commerciale con l’UE e le opportunità per le imprese italiane”, organizzato da Assolombarda in collaborazione con l’Associazione Italia-ASEAN, alla luce dell’entrata in vigore dell’Accordo di libero scambio tra Unione Europea e Vietnam. 

Successivamente all’esperienza della pandemia, infatti, risulta sempre più evidente come la cooperazione internazionale sia ormai una valida ed efficace soluzione per la ripresa economica degli Stati. È il caso dell’EVFTA, che testimonia i risultati del miglioramento del dialogo tra le Istituzioni europee e quelle vietnamite. L’accordo garantisce una serie di facilitazioni e opportunità alle imprese che dall’Europa decidono di guardare verso il Vietnam e inserirsi in nuovi segmenti di mercato all’interno di un’area dalla crescente vivacità economica. Il Paese, infatti, prevede di crescere del 2.7% nel 2020, scongiurando la possibilità di una recessione, a differenza di molti altri Paesi in via di sviluppo che, invece, registreranno un segno negativo quest’anno, dopo anni di crescita continuata. Nel panorama delle tensioni geopolitiche e commerciali tra Cina e Stati Uniti, il Vietnam è divenuto la destinazione privilegiata di molte aziende, anche cinesi, che cosi facendo possono aggirare i dazi imposti da Washington. 

Nello specifico, la nuova normativa doganale offre al Vietnam delle agevolazioni tariffarie significative rispetto ad altri accordi. A tal proposito, la direttrice della Camera di Commercio e dell’Industria del Vietnam (VCCI), Thu Trang Nguyen, ha evidenziato i vantaggi dell’intesa commerciale rispetto al Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (CPTTP). L’Unione Europea ha, infatti, addirittura eliminato l’85.5% delle linee tariffarie nei confronti del Vietnam a fronte del 78%-95% garantito dal CPTPP. Di questo passo, entro il 2027, quasi tutti i prodotti di origine vietnamita esportati in UE godranno di una tassazione pari allo 0%, ad eccezione dei cosiddetti “beni sensibili” quali, ad esempio, i prodotti alimentari e il tabacco. Si tratta di obiettivi commerciali ambiziosi per UE e Vietnam, differentemente dal CPTTP, che impiega circa 10 anni per generare gli stessi effetti. L’accordo include regole tecniche riguardo la nuova normativa doganale e introduce strumenti che garantiscono la fluidità dei traffici attraverso la valorizzazione delle scelte di integrazione economica e la promozione della sostenibilità e dell’economia circolare. 

In tal senso, il Paese sta facendo passi da gigante nel settore energetico, potenziando e incentivando l’uso delle fonti di energia rinnovabile, come ad esempio le cosiddette “solar farms” che provvedono a soddisfare le esigenze energetiche garantendo un impatto minimo sull’ambiente. Il Vietnam intende, infatti, rilanciarsi da subito su questo fronte mirando ad un aumento della percentuale di energia solare ed eolica dal 10% attuale al 15%-20% entro il 2030 e al 25%-30% entro il 2045.

Si tratta di elementi che fanno ben sperare circa il futuro del Vietnam. Il Paese presenta ad oggi grandi potenzialità sulla scena economica internazionale e l’accordo pone finalmente le basi per una sempre migliore cooperazione bilaterale. L’EVFTA procede quindi in linea con gli altri accordi conclusi dalla UE negli ultimi anni e dovrebbe favorire la rapida ripresa economica del Vietnam, rendendolo una delle mete favorite per gli investimenti esteri e per il commercio di beni e servizi. Ad oggi, la crisi innestata dalla pandemia continua a porci di fronte ad un futuro incerto ed offuscato ma, attraverso accordi commerciali di questo calibro e migliorando la cooperazione internazionale, la ripresa potrà essere rapida e sostenibile.

A cura di Hania Hashim

L’importanza della sicurezza comune per l’ASEAN

Per affrontare le nuove sfide geopolitiche, l’ASEAN dovrebbe progredire verso forme di cooperazione più concrete nel settore della difesa 

Nella dichiarazione di Bangkok, documento fondante dell’Associazione, si legge che la pace e la stabilità della regione sono tra gli obiettivi primari dell’ASEAN. Tuttavia, la struttura stessa dell’organizzazione, rende difficile fare progressi significativi e concreti in materia di sicurezza e difesa comune. 

L’ASEAN nasce infatti dal raccordo di una serie di principi cardine che sono alla base della fiducia tra i Paesi membri. Questo approccio – definito The ASEAN Way – è fondato sul rispetto della sovranità nazionale, la non interferenza negli affari interni, la rinuncia all’uso della forza come strumento per sedare le dispute e l’unanimità nelle procedure decisionali. Il tema della sicurezza e della difesa comune è dunque sempre stato delicato da trattare, e i progressi in questo settore sono sempre stati modesti.  

Negli ultimi decenni, l’Indonesia è stato il Paese che più si è speso per accelerare il processo di integrazione in questo campo. Nel 2003, a margine del 9° ASEAN Summit a Bali, il governo indonesiano riuscì nel suo intento di inserire la ASEAN Security Community tra i tre pilastri fondamentali della struttura dell’Associazione. L’ASEAN Political-Security Community – come viene chiamata dal 2015 – ha rappresentato un passo in avanti notevole verso il rafforzamento dei legami tra i vari Paesi, costituendo una piattaforma utile a risolvere dispute e a favorire il dialogo e la cooperazione in materia di difesa e politica estera. A partire dal 2010 poi, hanno acquisito importanza e centralità anche i Meeting dei Ministri della Difesa dei Paesi ASEAN con i diversi partner internazionali dell’Associazione, dalla Cina, e il Giappone, fino all’Australia e gli USA. 

Nonostante i progressi degli ultimi anni però, l’ASEAN fatica ancora ad avanzare verso una comunità concreta nel settore della difesa. La cooperazione al momento è orientata alla consultazione dei partner e al dialogo, e i Paesi membri sono poco inclini alla formulazione di una strategia di lungo periodo comune e condivisa. Sul delicato tema del Mar Cinese Meridionale, che vede coinvolte diverse nazioni dell’ASEAN tra cui Indonesia, Malesia, Filippine e Vietnam, stenta a nascere la strategia comune di lungo periodo che sarebbe necessaria ad affrontare la sfida. 

Oggi infatti, il continuo evolvere del contesto geopolitico globale rende chiara la necessità per l’ASEAN di approfondire il discorso sulla sicurezza comune. Il ruolo degli USA nel Pacifico sta cambiando, la Cina avanza nel Mar Cinese Meridionale, lo scontro tra Washington e Pechino apre nuovi scenari e la crisi pandemica ha generato stravolgimenti senza precedenti negli equilibri regionali e globali. Dimensione economica e geopolitica vanno oramai di pari passo, ed è tempo per l’ASEAN di investire nella direzione di maggiori forme di cooperazione anche in materia di difesa. 

Il 2020 è un anno particolarmente importante per il settore della sicurezza nei Paesi del Sud-Est asiatico. Ben due nazioni dell’ASEAN, Indonesia e Vietnam, sono infatti membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Un’opportunità unica per far avanzare le priorità della regione ai tavoli diplomatici più rilevanti. La regione del Sud-Est asiatico sta acquisendo sempre maggiore importanza a livello economico e commerciale, ma dovrebbe ora iniziare a costruire anche una dimensione geopolitica per affrontare le nuove sfide con strumenti efficaci. Sarà dunque fondamentale per i Paesi ASEAN continuare nel percorso avviato verso la definizione di una vera e propria comunità di difesa e sicurezza, con l’obiettivo di garantire il principio di pace e stabilità che è alla base dell’Associazione stessa. 

A cura di Tullio Ambrosone e Luca Menghini 

2° Digital Round Table sulle relazioni economiche tra Italia e ASEAN

Al centro della discussione tecnologia e innovazione, con un focus sulle possibilità di investimento nei Paesi ASEAN

Si è svolta mercoledì 30 settembre la 2° tavola rotonda del digital High Level Dialogue organizzato da The European House Ambrosetti in collaborazione con l’Associazione Italia-ASEAN sul tema delle relazioni tra l’Italia e l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico. Ora che l’Italia è ufficialmente diventata Partner di Sviluppo dell’ASEAN infatti, cresce l’importanza della regione del Sud-Est asiatico per il commercio e l’export del nostro Paese. In particolare, nei settori della manifattura, della tecnologia e della connettività, Italia e ASEAN hanno ora un’occasione unica per avanzare le relazioni e raggiungere importanti obiettivi comuni. 

Preponderante dallo scoppio della pandemia è stato il tema della rivoluzione digitale. Durante le fasi più acute della crisi, il ruolo della connettività è stato fondamentale per assumere un approccio resiliente, permettendo di non interrompere il ciclo produttivo e spingendo le aziende a ripensare il proprio modello di sviluppo anche per il futuro. Nonostante il calo delle attività economiche a livello complessivo, il settore digitale è cresciuto in maniera significativa durante la pandemia e risulta oggi uno dei settori più dinamici, soprattutto nel Sud-Est asiatico. Sempre più aziende puntano ad ampliare l’offerta di servizi digitali nella regione, investendo su intelligenza artificiale e big data, e i governi ASEAN sembrano intenzionati ad accompagnare questo processo per raccogliere i frutti della rivoluzione digitale. Nella fase post-pandemica sarà dunque fondamentale aumentare gli investimenti nel settore digitale per sostenere la ripresa economica. 

In particolare, durante l’evento, diversi speaker hanno evidenziato la necessità di diversificare gli investimenti in tecnologia per sfruttare tutte le possibilità che questo settore può offrire. Particolarmente interessante il tema delle smart-cities e lo sviluppo tecnologico dei centri urbani. In quanto Paesi densamente popolati, diversi membri dell’ASEAN si trovano ad avere grosse difficoltà a gestire le sempre più caotiche e dinamiche megalopoli della regione. La tecnologia offre in questo senso strumenti estremamente interessanti, dalla gestione della mobilità, fino alle infrastrutture, l’approvvigionamento energetico e il settore alimentare. Secondo diversi esperti che sono intervenuti, maggiori investimenti in digitalizzazione saranno fondamentali per accrescere la competitività e la produttività delle aziende, e per creare ecosistemi sociali più innovativi e sostenibili. Lo spazio per intervenire è ampio e anche le aziende italiane dovrebbero puntare sul ricco mercato dell’Asia sud-orientale per diversificare gli investimenti e cavalcare l’onda della crescita dei Paesi ASEAN. 

Infine, particolare attenzione è stata posta al tema dello sviluppo del settore dell’aviazione, tra i più colpiti dalle conseguenze della crisi pandemica. I divieti di ingresso per i cittadini stranieri imposti in molti Paesi durante la fase più grave della pandemia, insieme alle misure restrittive ancora in vigore per contenere la diffusione del virus, hanno messo a dura prova le compagnie aree e dunque tutto il settore dell’aviazione. Tra gli speaker, Emanuele Lourier, Sales Manager di Leonardo, ha presentato due possibili scenari per il prossimo futuro. Il primo vedrebbe un recupero del traffico aereo a partire dal 2022, con un graduale ritorno ai livelli del 2019; il secondo invece, più pessimista, prevede un recupero del settore nel 2023, con un ritorno alla crescita effettiva solo nel 2024. Tuttavia, nonostante le difficoltà degli ultimi mesi e le sfide del futuro, il traffico aereo nel Sud-Est asiatico è destinato a crescere di diversi punti percentuali nei prossimi dieci anni, in linea con la crescita della popolazione. Anche questo settore dunque può ancora offrire opportunità interessanti per le aziende disposte a puntare sul lungo periodo. 

Nonostante la pandemia stia complicando i rapporti e le relazioni internazionali, Italia e ASEAN continuano a puntare sul multilateralismo e sul libero scambio per uscire da questa crisi. Solo attraverso maggiori forme di cooperazione le due regioni potranno rilanciare la crescita e costruire un modello economico innovativo e sostenibile. I prossimi anni saranno fondamentali in questo senso, toccherà ai governi e alle imprese gettare le basi per la ripresa, consapevoli delle potenzialità che la cooperazione tra Italia e ASEAN può offrire.

 A cura della Redazione 

L’avvenire della Malesia

Il Paese lavora per raggiungere gli obiettivi fissati per il 2030, ma restano alcuni problemi: il divario di reddito e il tema dell’olio di palma

Nel corso degli anni, lo sviluppo economico della Malesia è stato impressionante. Dalla sua indipendenza dal Regno Unito nel 1957, il Paese ha concentrato tutti i suoi sforzi sul potenziamento dell’economia e sul miglioramento del benessere dei suoi cittadini. Secondo un rapporto dell’OECD, per quasi 5 decenni (fino al 2018) la Malesia ha registrato una crescita stabile del PIL ad un tasso annuo medio del 6,1%. Il Paese vanta anche un indice di sviluppo umano relativamente alto, pari a 0,804, il terzo più alto dell’ASEAN dopo Singapore e Brunei Darussalam. 

Oltre a questi risultati già raggiunti, la Malesia ha fissato uno standard elevato anche per i suoi obiettivi di medio e lungo termine. Kuala Lumpur mira a conquistare lo status di Paese ad alto reddito entro il 2024, e sta anche lavorando per raggiungere una crescita sostenibile ed equa per tutte le fasce di reddito, le etnie e le diverse aree geografiche – come delineato nel documento Shared Prosperity Vision 2030. Ciononostante, nel lavorare verso questi obiettivi, il Paese deve ancora affrontare diverse sfide sia in patria che all’estero. 

Uno dei problemi più urgenti in Malesia è quello delle differenze strutturali nella popolazione. Ufficialmente, il tessuto sociale è diviso in due segmenti: la maggioranza Bumiputera o popolazione malese, e la minoranza non-Bumiputera, che è composta principalmente da popolazioni cinesi e indiane. Storicamente, la disparità economica è sempre stata un problema tra i due gruppi, in quanto la ricchezza nazionale era in gran parte concentrata nelle mani della popolazione cinese dominante sul mercato. Sebbene si stiano facendo progressi per quanto riguarda le pari opportunità tra i gruppi, ad oggi il divario è ancora evidente. La differenza di reddito tra Bumiputera, indiani e cinesi è aumentata di quattro volte negli ultimi 27 anni. Per questo motivo, il governo sta cercando di ridurre le disuguaglianze tra gruppi etnici, adottando un’agenda di empowerment dei Bumiputera, che mira a rafforzare la loro posizione socioeconomica. Inoltre, il governo è anche impegnato a porre maggiore attenzione sullo sviluppo di altre popolazioni non Bumiputera, per garantire a tutti parità di accesso all’istruzione, al lavoro e alle opportunità che la società offre.

Un’altra questione che potrebbe ostacolare lo sviluppo economico della Malesia è quella dell’olio di palma, e i suoi effetti sulle relazioni commerciali con l’UE. L’olio di palma è una delle industrie principali della Malesia, rappresenta il 2,8% del PIL, e il Paese ne è il secondo produttore mondiale dopo l’Indonesia. Dal 2010, il governo malese e l’UE stanno lavorando per raggiungere un accordo di libero scambio, tuttavia, le trattative sono sospese a causa di opinioni divergenti sull’impatto ambientale e sulle questioni di sostenibilità associate alla produzione di olio di palma. La reazione iniziale del Parlamento Europeo sulla questione è stata quella di vietarne l’uso per i biocarburanti fino al 2030. Tuttavia, considerando le conseguenze economiche di questa decisione, l’UE ha stabilito invece di limitare la quantità di biocarburanti ad alto rischio Indirect Land Use Change (ILUC) nel suo mercato. Per definizione, l’ILUC si verifica quando terreni agricoli precedentemente utilizzati per la coltivazione di alimenti vengono convertiti in favore di produzione di biocarburanti, con conseguente rilascio di ingenti emissioni di carbonio nell’aria. I biocarburanti classificati nelle categorie ad alto rischio ILUC sono quelli prodotti da aree che hanno una maggiore concentrazione di carbonio come le foreste e le zone umide. 

Sebbene l’UE abbia in qualche modo aperto all’uso di biocarburanti sostenibili, è ancora difficile per l’olio di palma malese qualificarsi nella categoria di carburanti a basso rischio ILUC. Il governo sta ora lavorando per aumentare la produzione sostenibile di olio di palma, limitando l’espansione di zone paludose e fangose, vietando la conversione delle riserve forestali per la produzione di olio di palma e stabilendo una particolare certificazione di sostenibilità, chiamata Malaysian Sustainable Palm Oil (MSPO). Permangono dubbi sul fatto che questo sistema di certificazione possa essere riconosciuto dall’UE, e una soluzione vantaggiosa per tutti sembra ancora lontana dall’essere trovata. Gli esperti però invitano entrambe le parti a rivalutare le loro posizioni al fine di raggiungere un risultato più favorevole sia per l’industria dell’olio di palma che per la sostenibilità ambientale a livello globale. 

Considerando gli elementi sopra menzionati, la Malesia si trova ad affrontare una situazione difficile. Il divario di reddito e le questioni di sostenibilità rimangono pregiudizievoli, in quanto possono influire in modo significativo sul Paese sia nelle dinamiche interne che in quelle relazionali con l’estero. Tuttavia, il governo si è molto impegnato ad affrontare queste problematiche e il Paese sembra essere sulla strada giusta per riprendersi dalla pandemia di Covid-19 e continuare verso il raggiungimento dei suoi obiettivi entro il 2030.

A cura di Rizka Diandra e Alessio Piazza 

Un’economia aperta: l’ultimo obiettivo dell’Indonesia

Dopo aver conquistato con successo l’unità nazionale e la democrazia, ora il Paese sta spingendo per una maggiore apertura economica 

L’Indonesia è un insieme di circa 14.000 isole, 700 lingue e 1.300 gruppi etnici. Eppure, nonostante le dimensioni e l’eterogeneità, l’Indonesia è riuscita a trovare nel suo motto nazionale “Bhineka Tunggal Ika“, ovvero “Unità nella diversità”, la chiave per rafforzare la coesione sociale e potenziare lo sviluppo economico. Oggi, il Paese è la sedicesima economia del mondo e secondo un report di McKinsey, si prevede che conquisterà il settimo posto entro il 2030. Tuttavia, questo successo non è arrivato dalla sera alla mattina. 

Secondo Kishore Mahbubani, un illustre membro dell’Asia Research Institute ed ex diplomatico di Singapore, una delle ragioni del successo dell’Indonesia è che il Paese ha avuto il giusto leader in ogni momento chiave della sua storia nazionale. Sukarno, il primo Presidente dell’Indonesia, ha contribuito a creare l’unità del popolo indonesiano attraverso la politica della Pancasila – la filosofia dello Stato unitario indonesiano – e la scelta di stabilire un’unica lingua nazionale per il Paese, bahasa Indonesia. Successivamente, nonostante l’approccio autoritario, il Presidente Suharto ha gettato le fondamenta per l’importante crescita economica che ha caratterizzato l’Indonesia nell’ultimo trentennio del novecento (6,6% di crescita media durante il suo regime). Infine, dal 2014, l’amministrazione del Presidente Susilo Bambang Yudhoyono ha registrato notevoli progressi in tema di democrazia e cooperazione internazionale. Anche grazie alla leadership dell’Indonesia nell’ASEAN, il Paese è stato ammesso al G20, ottenendo un ruolo permanente e visibile nello scenario geopolitico globale. 

Oggi l’attuale amministrazione, guidata dal Presidente Jokowi, si trova ad affrontare una grande sfida: l’apertura economica del Paese. L’Indonesia risulta infatti ancora restia ad aprire il mercato alla concorrenza, e la ragione di questa posizione è radicata nella storia stessa del Paese. L’Indonesia ha una tradizione di nazionalismo economico che ha avuto inizio all’epoca di Sukarno, quando la lotta per la libertà nazionale significava anche lotta per l’emancipazione economica. Venivano adottate infatti misure protezionistiche e politiche ostili nei confronti degli investitori stranieri, nel tentativo di rendere autosufficiente la nazione. Questo approccio iniziò a cambiare sotto la guida di Suharto, dal momento che vennero approvate diverse riforme orientate all’integrazione dell’Indonesia nel sistema economico globale. 

Attualmente l’obiettivo è quello di promuovere e rafforzare l’apertura economica dell’Indonesia. Il governo sta concentrando la sua attenzione sul completamento di vari accordi di libero scambio, tra i quali il Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) e l’Indonesia-EU Comprehensive Economic Partnership Agreement. Quest’ultimo in particolare, secondo il programma del prossimo trio di Presidenze del Consiglio dell’Unione Europea, sarà probabilmente concluso nel 2021. Quest’autunno, le due parti entreranno nel decimo round di negoziati e, considerando l’andamento dei precedenti, sono stati fatti considerevoli passi in avanti in diversi settori, tra cui la rimozione degli ostacoli tecnici al commercio, i sussidi e gli investimenti. D’altra parte, per trovare un accordo sul commercio di beni, sui diritti di proprietà intellettuale e sullo sviluppo sostenibile potrebbe essere necessario più tempo.  

I risultati positivi ottenuti dal governo negli ultimi anni si riflettono sul posizionamento dell’Indonesia nel Global Index of Economic Openness 2019 del Legatum Institute. In questo speciale indice che classifica i diversi Paesi in base alla loro apertura economica, l’Indonesia si è posizionata 68° su 157 Paesi, balzando sei posti in avanti nell’ultimo decennio. Nel complesso, l’Indonesia è riuscita concludere numerosi accordi commerciali, soprattutto con le controparti ASEAN e altri Paesi del continente asiatico. Tuttavia, permangono alcuni elementi di criticità. Le tariffe e le quote d’importazione sono applicate tuttora per proteggere il mercato interno. Inoltre, un rapporto della Banca Mondiale indica che gli investimenti esteri diretti in Indonesia sono meno della metà rispetto alla media globale – il 2% del suo PIL. Secondo gli esperti, questa carenza di investimenti potrebbe rallentare lo sviluppo in diversi settori, specialmente nelle infrastrutture.

Tuttavia, nonostante alcune limitazioni strutturali e la persistente questione del nazionalismo economico che potrebbero ostacolare lo sviluppo del Paese, l’Indonesia è sulla buona strada per diventare un attore importante nello scenario internazionale. Le azioni intraprese dal governo dimostrano che l’amministrazione del Presidente Jokowi sta dando priorità all’apertura del mercato indonesiano, per cogliere i benefici del commercio internazionale e del libero scambio. In questo momento, la vera sfida per l’Indonesia è quella di bilanciare i flussi di capitale nazionale con quelli esteri, così che il sistema economico possa effettivamente trarne giovamento. Una volta raggiunto il punto di equilibrio, senza dubbio l’Indonesia mostrerà tutto il suo vero potenziale. 

A cura di Rizka Diandra e Tullio Ambrosone 

Le ragioni della resilienza thailandese

Intelligenza diplomatica e scelte economiche determineranno la capacità della Thailandia di continuare la sua storia di sviluppo

Anche in un contesto estremamente variegato come il Sud-Est asiatico, la Thailandia è un Paese eccezionale sotto molti punti di vista. In primis, “la terra degli uomini liberi” – questo il significato di Thai Land – è l’unico Paese ASEAN a non essere mai stato colonizzato da Paesi occidentali. In secondo luogo, la straordinaria complessità della cultura thailandese è motivo di ammirazione per i turisti occidentali così come per le altre potenze asiatiche. Infine, grazie ad una geografia favorevole e ad una storia condivisa, la Thailandia si trova nella posizione perfetta per colmare le distanze tra Cina e India e mediare tra le diverse istanze presenti all’interno dell’ASEAN.

I numeri dell’economia hanno certamente contribuito a creare il mito dell’eccezionalità thailandese: il PIL è cresciuto mediamente del 7,5% annuo nel periodo 1960-1996 consacrando la Thailandia come una delle grandi storie di successo dello sviluppo internazionale. Un mix intelligente di investimenti ed incentivi hanno convinto diverse case automobilistiche a trasferire i loro impianti produttivi nel Paese trasformando Bangkok nella “Detroit dell’Asia”. La rapida crescita del reddito pro capite ha permesso alla Thailandia di entrare, nel 2011, nel novero dei Paesi a reddito medio-alto.  Qualche anno dopo, il governo ha messo a punto il masterplan Thailand 4.0 puntando sullo sviluppo di smart cities ed Internet of Things per sfuggire la temuta “trappola del reddito medio”.

Nelle ultime due decadi infatti il PIL thailandese è rallentato seguendo gli alti e bassi del commercio mondiale, e la Thailandia si è trovata ad affrontare il ritorno della povertà e l’aumento delle disuguaglianze. La pandemia di Covid-19 ha messo a nudo le debolezze strutturali dell’economia thailandese e la sua forte dipendenza dalla domanda esterna. L’improvvisa ed inevitabile chiusura dei confini nazionali, ad esempio, ha portato al collasso il settore turistico, che vale circa il 15% del PIL thailandese, mettendo così a rischio 2,5 milioni di posti di lavoro. La Banca Centrale ha previsto che il PIL quest’anno registrerà una flessione del -7.8%: un vero e proprio crollo visto soltanto negli anni della crisi finanziaria asiatica del 1997-1998.

La doppia crisi economica e sanitaria ha trovato l’esecutivo di Prayuth Chan-o-cha già impegnato in un difficile confronto con le migliaia di studenti thailandesi che dallo scorso febbraio sono scesi in piazza a protestare contro il governo dell’ex generale divenuto Primo Ministro. Le proteste di quest’anno si sono contraddistinte per una critica insolitamente esplicita contro i presunti abusi di potere del sovrano, il re Maha Vajiralongkorn, cosa non scontata in un Paese dove l’accusa di lesa maestà può costare fino a 15 anni di prigione. In generale però le proteste sono una manifestazione eclatante della costante tensione tra le speranze progressiste dei giovani e delle classi lavoratrici e le istanze conservatrici delle élite militari e politiche, da ormai diversi anni un tratto distintivo della politica thailandese. 

La Thailandia vanta un’età media relativamente giovane (circa 1/3 della popolazione ha meno di 25 anni), una dotazione infrastrutturale notevole e in costante espansione, ed una posizione geografica benevola, al centro del triangolo Beijing-Delhi-Jakarta. “Caratteristiche generali molto favorevoli” che, insieme alla tradizionale resilienza dei principali indicatori economici e ad alcune tendenze socioeconomiche significative, come la presenza di una forte classe media urbana, contribuiscono a spiegare l’annunciato ritorno di interesse degli investitori per il mercato thailandese. Le recenti manovre economiche del governo, che sembra aver compreso l’importanza dei consumi interni e la necessità di politiche fiscali espansive, potrebbero altresì rappresentare un’opportunità importante anche per le imprese italiane impegnate nelle importazioni di macchinari industriali e beni di consumo. 

La ripartenza del Paese dipenderà insomma dall’abilità di fare leva sull’eccezionalità thailandese di cui scrive anche Kishore Mahbubani, ex diplomatico singaporiano ed attento osservatore delle dinamiche regionali, nel suo libro ‘Il Miracolo ASEAN.’  Un distinto sentimento nazionale, un uso consapevole del soft power ed una raffinata capacità di mediazione sono elementi indispensabili a superare la difficile contingenza economica e sociale e a garantire l’armonia di cui il Paese ha bisogno per continuare la sua storia di crescita e sviluppo.

A cura di Francesco Brusaporco

Indonesia e Italia: un grande potenziale

L’esperienza della pandemia ha rafforzato il dialogo politico e commerciale tra Italia e Indonesia 

L’Associazione Italia-ASEAN ha organizzato un incontro sull’Indonesia e la sua risposta alla crisi causata dalla pandemia con l’Ambasciatore italiano in Indonesia, Benedetto Latteri, l’Ambasciatrice indonesiana in Italia, Esti Andayani, la Vicepresidente di Confindustria con delega all’internazionalizzazione, Barbara Beltrame, il Viceministro indonesiano per gli Affari Esteri con delega agli Affari europei e America, Ngurah Swajaya, e infine la Vicepresidente di KADIN, Shinta Kamdani.

L’esperienza della pandemia ha notevolmente colpito l’economia dell’Indonesia, indebolendo settori chiave come il commercio e il turismo. Ad oggi il virus si è diffuso in tutte le province del Paese e le aree più colpite sono quelle di Giacarta, Sumatra Settentrionale e Giava Orientale. Questo fenomeno ha generato una contrazione del PIL del 5.3% e una riduzione del valore degli scambi del 30% solo nel primo semestre del 2020. Tuttavia, questa esperienza ha evidenziato l’alto grado di resilienza dell’Indonesia nell’affrontare la crisi, ponendo le basi per un rinnovato spirito di cooperazione tra Indonesia e Italia.

L’Indonesia esporta una varietà di prodotti in Italia che vanno dalla frutta tropicale e gli oli vegetali ai prodotti di cosmetica, macchinari elettrici e componentistica. L’UE è infatti il terzo maggiore partner commerciale dell’Indonesia, con un valore totale degli scambi pari a 23,8 miliardi di euro nel 2019. I due Paesi sembrano avere esigenze complementari in termini di importazioni ed esportazioni e hanno intenzione di cogliere le opportunità del nuovo contesto internazionale per formulare strategie commerciali vincenti.

Per garantire un flusso di investimenti più intenso tra i due Paesi, anche l’UE si sta mostrando più flessibile nei confronti delle proprie aziende, sostenendole nella ripresa economica e rilanciando l’importanza del commercio estero e dell’internazionalizzazione. Le istituzioni europee riconoscono l’importanza strategica dell’ASEAN e stanno implementando negoziati internazionali per la realizzazione di una cooperazione più intensa che possa far fronte all’emergere di misure protezioniste da parte di altri partner. Il libero scambio è, infatti, la chiave per uscire dalla crisi e sarà lo strumento più efficace per promuovere la crescita economica dei due Paesi.

Due accordi internazionali in fase di negoziazione rappresentano un’opportunità interessante per Indonesia e UE: il Regional Comprehensive Economic Partnership, un accordo commerciale tra ben 15 Paesi asiatici, e l’Indonesia-EU Comprehensive Economic Partnership Agreement.  Quest’ultimo si concentra maggiormente sulle relazioni commerciali tra Indonesia e UE, e si pone l’obiettivo di garantire un rapporto più solido e produttivo tra l’Indonesia e i Paesi europei. I temi trattati spaziano dalla rimozione dei dazi alla promozione del flusso di investimenti, dalla protezione della proprietà intellettuale al rafforzamento della cooperazione internazionale. Con la conclusione di questi accordi, il valore degli scambi tra le due regioni aumenterebbe significativamente e garantirebbe vantaggi reciproci.

Si può concludere, dunque, che nonostante la pandemia abbia generato delle conseguenze notevoli per l’economia italiana e indonesiana, questa esperienza ha anche spalancato le porte a nuove opportunità di incontro tra i due Paesi. Essa ha, infatti, messo in risalto la volontà reciproca di esplorare i rispettivi mercati, adottando un rinnovato approccio che, riprendendo le parole dell’Ambasciatrice indonesiana in Italia Esti Andayani, miri a “trasformare il pessimismo in ottimismo”.

Articolo a cura di Hania Hashim 

Italia, Asia e la botanica: una lunga storia

Il 2020 celebra i 100 anni dalla morte di Odoardo Beccari, un botanico che ha contribuito enormemente alla conoscenza della biodiversità del Sud-Est asiatico 

Il 2020 segna due eventi importanti che collegano l’Italia ed il Sud-Est asiatico. Si celebrano i 500 anni della circumnavigazione del globo da parte del portoghese Ferdinando Magellano, con i rapporti del giovane italiano Antonio Pigafetta che descrissero agli europei le città, i popoli ed i costumi del Sud-Est asiatico. Quest’anno poi, si celebra anche il centenario dalla morte del botanico Odoardo Beccari. 

Anche se Odordo Beccari non è un nome famoso ai molti, i suoi lavori scientifici e le numerose piante descritte fanno di lui uno dei più importanti botanici tropicali a cavallo tra ottocento e novecento, sia in Italia che in Europa. I suoi scritti furono fonte di ispirazione per gli ambienti, i nomi e le avventure dei pirati di Sandokan di Emilio Salgari.

Toscano di nascita, con il Marchese Giacomo Doria, organizzarono il loro primo viaggio esplorativo nel Regno di Sarawak (Borneo) nel 1865. Il viaggio li portò nello Sri Lanka, quindi Singapore fino ad arrivare a Kuching, capitale del Sarawak. Dopo una prima permaneza, come ospiti del Rajah James Brooke, i due si spostarono sul monte Battang a circa 300 metri di altezza, cominciando da qui le loro collezioni. A questa prima spedizione ne seguirono altre, nel Sud-Est asiatico e in Africa, con altri importanti scienziati italiani. Le collezioni di Beccari si trovano oggi presso l’erbazio nazionale di Firenze, mentre le collezioni zoologiche ed antropologiche presso il Museo di Storia Naturale di Genova.

Con il centenario della morte sono state organizzate diverse iniziative in suo onore sia in Italia che nel Sud-Est asiatico. L’erbario di Firenze è prossimo ad inaugurare una mostra sulla vita e l’opera di Beccari (25 ottobre 2020 – 28 febbraio 2021). Per l’occasione verrà presentata la ristampa anastatica del libro Nelle foreste di Borneo

La città di Kuching (Sarawak) che vide il giovane ventenne affrontare le foreste tropicali, organizza ben quattro eventi di commemorazione. Il 25 luglio è stato inaugurato il ‘Beccari Discovery trail’ un percorso di 3.2 km sul monte Batang, lo stesso monte dove Beccari costruì il suo campo base (Villa Vallombrosa). A settembre verrà inaugurata la ‘Hidden Valley of the Rattans’ presso il Kubah National Park in collaborazione con il Corpo Forestale del Sarawak. Per il 2021 (eventi posticipati a causa del Covid), sono in programma una conferenza in onore di Beccari dal titolo ‘Wanderings in the Forests of Borneo’ in collaborazione con il Sarawak Biodiversity Centre ed una mostra a lui dedicata. 

Beccari scrisse i suoi racconti di viaggio nel libro: Nelle foreste di Borneo, l’opera tradotta in inglese: Wanderings in the Great Forests of Borneo, divenne l’unico best-seller scientifico italiano conosciuto all’estero. In quel libro egli scrisse che con il futuro sviluppo della Malesia, quelle foreste sarebbero state studiate da botanici locali. Oggi quegli stessi botanici lo celebrano per il suo grande contributo alla conoscenza della biodiversità. 

A cura di Daniele Cicuzza 

Membri attivi di recente
Foto del profilo di Alessio
Foto del profilo di Monika
Foto del profilo di Gabriel
Foto del profilo di Elena
Foto del profilo di Lorenzo
Foto del profilo di Alessandro
Foto del profilo di Cristina
Foto del profilo di Rocco
Foto del profilo di Clara Lomonaco
Foto del profilo di Redazione
Foto del profilo di Davide Gugliuzza
Foto del profilo di Anna Affranio
Foto del profilo di Ilaria Canali
Foto del profilo di Nicolò
Foto del profilo di Angelo Cangero
Chi è Online
Al momento non ci sono utenti online
Membri
  • Foto del profilo di Alessio
    Attivo 7 ore, 6 minuti fa
  • Foto del profilo di Monika
    Attivo 3 giorni, 20 ore fa
  • Foto del profilo di Gabriel
    Attivo 3 settimane, 4 giorni fa
  • Foto del profilo di Elena
    Attivo 1 anno, 4 mesi fa
  • Foto del profilo di Lorenzo
    Attivo 2 anni, 6 mesi fa