Asean

Stati Uniti e ASEAN, un rapporto dinamico

Nel nuovo e complesso scenario geopolitico, sia gli USA che l’ASEAN hanno interesse a riscoprire l’importanza strategica reciproca. 

Il rapporto tra gli Stati Uniti e i Paesi del Sud-Est asiatico è stato senza dubbio alla base della creazione e dello sviluppo dell’ASEAN a partire dalla fine degli anni ‘60. Sebbene l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico sia nata nel 1967 dal sincero afflato comunitario dei suoi cinque membri fondatori e dal comune tentativo di fermare l’avanzata del comunismo sovietico nell’Asia sudorientale, è difficile negare che il contributo degli Stati Uniti sia stato fondamentale per lo sviluppo dell’ASEAN. Il comune sentire anti-sovietico ha fatto dell’ASEAN un prezioso alleato americano negli anni ’70 e ’80: non è un caso che, nel maggio 1986, l’allora Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan definì “il sostegno e la cooperazione con l’ASEAN il cardine della politica americana nel Pacifico”. Tuttavia, la fine della Guerra Fredda ha rappresentato anche la fine dell’idillio tra gli Stati Uniti e l’ASEAN. Benché formalmente le relazioni tra le parti non siano mai cessate, il collasso dell’URSS ha segnato la fine dell’espansionismo del comunismo sovietico e, con essa, il passaggio in secondo piano dell’Asia tra le priorità strategiche americane. Ben presto però, già a partire dai primi anni 2000, la comparsa del terrorismo internazionale e, più marcatamente, il riaffacciarsi della Cina sulla scena politica mondiale hanno imposto agli USA di rivalutare l’importanza strategica dell’Asia-Pacifico e dunque dell’ASEAN. L’avvento dell’amministrazione Obama ha poi sancito il coronamento di questo cambio di passo nella politica americana. In discontinuità con i suoi ultimi predecessori infatti, Obama ha riconosciuto immediatamente la centralità dell’Asia-Pacifico per le future sorti del pianeta e ha dichiarato, senza mezzi termini, che l’ASEAN plasmerà il 21esimo secolo.   

La ritrovata rilevanza del Sud-Est asiatico agli occhi statunitensi non è però soltanto geopolitica. L’ASEAN infatti, rappresenta il quarto partner commerciale degli USA, per un interscambio totale di beni e servizi di oltre 330 miliardi di dollari nel solo 2018. L’ASEAN vanta un surplus commerciale con gli Stati Uniti di oltre 85 miliardi di dollari l’anno ed è stata e rimane una destinazione privilegiata per gli investimenti esteri statunitensi, per un ammontare complessivo ad oggi di oltre 271 miliardi di dollari. Il crescente peso economico dell’ASEAN, abbinato al suo immenso potenziale nel bilanciare le mire cinesi nella regione, la rendono un alleato naturale degli USA nell’Asia-Pacifico. Allo stesso modo, gli Stati Uniti rappresentano per l’ASEAN un prezioso partner sul piano commerciale e un utile alleato sul piano geopolitico. In virtù dello status americano di terzo partner commerciale dell’ASEAN e dell’essenziale ruolo della potenza americana nel mantenimento di un equilibrio di potere stabile nella regione del Pacifico, entrambi elementi vitali per la prosperità dell’Associazione nel lungo termine, anche i Paesi del Sud-Est asiatico hanno interesse a mantenere una cooperazione forte e duratura con gli USA, sia sul fronte economico che su quello delle relazioni internazionali. Tuttavia, il recente avvento di Donald Trump alla Casa Bianca ha contribuito a modificare ulteriormente lo scenario. Lo scetticismo dell’attuale Presidente americano verso le soluzioni multilaterali, che l’ha portato a disertare per ben due volte i summit USA-ASEAN, ha fatto storcere il naso a molti nel Sud-Est asiatico. Nonostante l’innato bilateralismo che guida l’agenda politica di Trump, però, l’apparato diplomatico-militare americano conosce bene l’importanza strategica dell’ASEAN per gli Stati Uniti. Queste due anime determinano una certa ambivalenza della politica americana nel Sud-Est asiatico che si è manifestata più volte, anche all’interno della stessa amministrazione Trump. Il Segretario di Stato Mike Pompeo, non soltanto ha reiterato il proprio pieno sostegno alle istituzioni regionali dell’ASEAN, ma, in occasione di una videoconferenza congiunta svoltasi il 22 Aprile scorso tra i rappresentanti delle due potenze per discutere gli effetti della crisi Covid-19, ha lanciato la “US-ASEAN Health Futures initiative”, un piano da 35 milioni di dollari pensato per sostenere i Paesi ASEAN nella lotta al coronavirus e che va ad aggiungersi agli oltre 3,5 miliardi di dollari che gli USA hanno già investito nel Sud-Est asiatico negli ultimi 20 anni in campo sanitario. 

Con la fine della Guerra Fredda e del mondo bipolare ad essa associato, le relazioni tra Stati Uniti e ASEAN hanno vissuto più di tre decenni di alti e bassi. La complessità, e talvolta l’ambiguità, della strategia americana nel Pacifico ha determinato un rapporto dinamico e in continua evoluzione. Tuttavia, se desiderano mantenere salda la propria presenza nel Pacifico, sia l’ASEAN che gli Stati Uniti devono necessariamente riscoprire la reciproca centralità economica e geopolitica, collaborando per costruire un sistema regionale e internazionale più equilibrato. 

Articolo a cura di Andrea Dugo

Global Economic Recovery – New Goals & New Drivers

On June the 9th and 10th, the International Conference on Global Economic Recovery – New Goals & New Drivers was held in Beijing, organized by the China Center for International Economic Exchange, within the Global Think Tank Online Forum on International Cooperation to Combat Covid-19.

The Vice-President of the Italy-ASEAN Association, Professor Romeo Orlandi, attended the event. Here is the transcript of his speech:

It is obviously difficult to ascertain whether the recovery after the Covid-19 pandemic will be quick, full, partial and which shape it will take. Still, some forecasts are possible, based on current data and past experiences. Very likely, the L shaped recovery will be avoided. Actually, in this case it would be a stagnation, not a recovery. We have already signs in China, in Asia and in some European countries that probably and hopefully the worst is behind us. A fast rebound is on sight, as envisaged by the majority of international organizations and governments. If so, we have a couple of questions to be answered. Will the recovery compensate the recession? In addition, is a new crisis a clear and present danger? The first answer is quite easy: in a short period, the recovery will not regain what we have lost in terms of GDP. The negative impact has been – and still is – so deep that wiping out the loss would be a dream. Statistically, too, that will not be possible. Moreover, there is a good possibility of another crisis, due to the dynamics of the economy and the unpredictability of the Coronavirus. The best guess is a W shaped recovery, which means we are supposed to live with uncertainty, in both good and difficult times. Crisis and recoveries will probably be on governments’ agendas and on ordinary people’s lives for quite some time.

As a consequence, we will be asked to manage a complex situation, where concepts like collaboration and sharing will not simply sound as tools of propaganda. Take the case of the decoupling. Many augur that the economies of the industrialized countries should and must separate their destinies from those of emerging countries. The rationale for this position is in front of our eyes: a decline in China and Asia’s supply have repercussions on the global value chain. This is an obvious result of the globalized delocalization originated in the West. A virus in Asia affected the whole world. Then, with the spread of the epidemic, also the industrialized countries were affected with a tremendous slowdown in economic activities, a painful and blatant crisis of demand. So, what is the good in finding the culprit, to point the finger to others? Is it a wise policy to cancel the integration of different economies and replace it with protectionism and trade war? It is not a matter of right or wrong. It is crucial to consider if we can go back to the old times. Reshoring is now deemed fashionable, aimed at creating new employment in industrialized countries. Will it be possible? Are we going to see the restoration of smoking chimneys now dismissed? Are we ready to create overnight another “factory of the world”, the same we witnessed in Asia over the last few decades? The answer is probably not. You cannot build another industrial powerhouse overnight. So, my final remark, is that the only way to pass this tragic moment is to negotiate, continuing trade talks and accept the best sides of globalization without demonizing it after having created it.

 

La condizione delle donne in ASEAN ai tempi del Covid-19

L’emergenza sanitaria pone nuove sfide alla parità di genere

L’uguaglianza di genere è una partita ancora aperta per le donne dell’ASEAN: un report del World Economic Forum mostra infatti che, in assenza di grandi cambiamenti, ci vorranno altri 163 anni per colmare il gender gap nei Paesi del Sud-Est Asiatico e del Pacifico, più che per ogni altra regione del globo. Nonostante differenze significative tra Paesi (dalle Filippine classificate al 16° posto per uguaglianza di genere, al Myanmar in 114° posizione), questo report evidenzia una forte disuguaglianza di genere in tutti i Paesi dell’ASEAN.

Con l’avvento della pandemia di Covid-19 e le sue conseguenze, queste barriere all’emancipazione femminile si sono ulteriormente rafforzate. Come riportato da UN Women, nell’Asia-Pacifico donne e ragazze, durante il lockdown, hanno dovuto assumere maggiori responsabilità domestiche, di cura dei figli e di assistenza ad anziani e malati. Questo non solo ha esposto le donne al rischio di contrarre il virus, ma ha anche peggiorato le disuguaglianze nei nuclei domestici; avendo dovuto occuparsi della famiglia e delle faccende domestiche, le donne hanno avuto meno tempo a disposizione per lavorare, a differenza della loro controparte maschile. Inoltre, il settore sanitario dei Paesi ASEAN è caratterizzato da un divario retributivo tra uomini e donne, così come da una bassa rappresentanza femminile in posizioni decisionali. Sebbene più dell’80% di infermieri e assistenti sanitari siano donne in prima linea nella lotta al virus, nella leadership sanitaria gli uomini occupano il 72% delle posizioni di vertice, e ricevono una remunerazione più elevata rispetto alle loro colleghe.

Ciò nonostante, la pandemia ha portato con sé una serie di cambiamenti ed opportunità per l’emancipazione femminile nella regione. Il passaggio all’economia digitale, che ha causato un incremento massiccio nell’uso di piattaforme di e-commerce, di formazione e comunicazione a distanza, è un settore in cui le donne possono inserirsi come imprenditrici e aumentare la loro partecipazione all’economia. Per esempio, in Indonesia la rapida crescita del commercio elettronico ha favorito l’imprenditoria femminile. Per facilitare il loro ingresso in questo settore, i Paesi ASEAN possono investire in politiche per ridurre il digital gap tra uomini e donne. Ad incoraggiare la maggiore autonomia femminile contribuiscono inoltre numerose iniziative di carattere sociale ed istituzionale che vedono le donne come risorse fondamentali per la costruzione di un’economia sostenibile: in Cambogia, imprenditrici donne impegnate in attività sostenibili potranno finanziare le proprie idee tramite i fondi messi a disposizione dalla Women’s Livelihood Bond, una serie di obbligazioni messa a disposizione dalla Impact Investment Exchange.

Nonostante gli ostacoli posti dall’emergenza Covid-19, i Paesi ASEAN sembrano determinati a voler raggiungere una vera e propria parità di genere, mettendo a disposizione strumenti utili al fine di colmare le disparità. Oltre a vedere un aumento del numero di donne in posizioni di leadership nel 2020, recentemente l’ASEAN Women for Peace Registry ha convocato un incontro online per discutere le iniziative volte a promuovere il ruolo delle donne nelle società del Sud-Est asiatico. Si tratta di un’occasione che fa ben sperare sul futuro delle politiche di genere nella regione e che rafforza le speranze delle donne dell’ASEAN.

Articolo a cura di Elena Colonna.

UE e ASEAN: così lontani, così vicini

La cooperazione UE-ASEAN si estende via via a nuovi settori, tra cui la collaborazione nella gestione del Covid-19

L’Unione Europea e l’ASEAN rappresentano i due più avanzati progetti di integrazione regionale al mondo. Lo spirito multilaterale che caratterizza i due blocchi li rende interlocutori privilegiati sul piano internazionale: non è un caso che nell’EU-ASEAN Blue Book 2020, pubblicato dal Servizio europeo per l’azione esterna, l’UE e l’ASEAN vengano definiti “partner naturali” nel raggiungimento di numerosi obiettivi comuni, quali la tutela dell’ordine multilaterale, la promozione di uno sviluppo sostenibile e la protezione dei diritti umani.

Tuttavia, ad oggi, sono certamente le relazioni commerciali tra i due blocchi a costituire il fulcro del rapporto UE-ASEAN. L’UE è, dopo la Cina, il secondo partner commerciale dell’ASEAN e rappresenta il 14% del commercio estero dei Paesi del Sud-Est asiatico. Inoltre, l’UE è di gran lunga la prima fonte di investimenti diretti esteri nei Paesi ASEAN, per un valore cumulato di oltre 337 miliardi di euro. Nonostante un peso specifico relativamente limitato rispetto all’UE in termini di PIL (3111 miliardi di dollari contro oltre 18290 miliardi), l’ASEAN è a sua volta il terzo partner commerciale dell’Unione Europea, dopo Stati Uniti e Cina, e la sua quota di investimenti diretti esteri nei paesi UE è in constante crescita. L’UE e l’ASEAN sono determinati ad accrescere il loro interscambio commerciale, che già oggi conta oltre 273 miliardi di euro in beni e oltre 85 miliardi in servizi, attraverso la creazione di una vasta area di libero scambio tra le due regioni. La difficoltà a stringere un accordo di tale portata ha spinto l’UE a negoziare trattati bilaterali con singoli Paesi ASEAN, tra cui Singapore (già in vigore da Novembre 2019) e Vietnam (in vigore da Giugno 2020), ma sempre nell’ottica di un futuro accordo con l’intera Associazione, il quale rimane l’obiettivo primario dell’Unione.

Lo scoppio della pandemia di coronavirus ha indotto UE e ASEAN a collaborare su un versante inedito, quello sanitario. La comune vocazione multilaterale ha spinto le due potenze a organizzare una videoconferenza ministeriale congiunta il 20 Marzo, durante la quale entrambe hanno affermato l’importanza della cooperazione internazionale per l’efficace risoluzione della crisi Covid-19. In ossequio a questo principio, in data 24 Aprile, l’UE ha donato 350 milioni di euro ai paesi ASEAN per sostenerli nella lotta al Covid-19 e alle sue conseguenze economiche e sociali.

UE e ASEAN, in virtù della comune fede negli ideali della cooperazione sovranazionale, si stanno avvicinando sempre più, sia in un’ottica economico-commerciale che in un’ottica politica. La crisi Covid-19, la vera prova del fuoco del rapporto UE-ASEAN, sta mostrando, una volta per tutte, l’indispensabilità della collaborazione internazionale nella risoluzione dei problemi che non conoscono frontiere e che coinvolgono tutti.

 

Articolo a cura di Andrea Dugo.

E-commerce: un volano per l’economia dell’ASEAN

Nonostante la crisi causata dal virus, l’economia ASEAN potrebbe risollevarsi grazie alle opportunità del commercio digitale

Le misure restrittive adottate per contrastare il Covid-19 hanno avuto un forte impatto sulle attività economiche e sulle abitudini dei cittadini, provocando una profonda crisi a livello globale. L’Asia, nonostante le previsioni incoraggianti del Fondo Monetario Internazionale, sarà una tra le regioni più colpite, con un alto rischio di aumento della povertà.

Di fronte agli sconvolgimenti del mercato regionale ed internazionale, le imprese e i governi dell’area ASEAN sono ora impegnati a trovare nuove modalità di incontro tra domanda e offerta, nel rispetto della sicurezza e del distanziamento sociale necessari per gestire il virus.  A questo proposito sembra proprio che il commercio digitale possa risultare uno strumento interessante.

Uno studio di Facebook e Bain & Company prevede che entro il 2025 i consumatori dell’area spenderanno circa il triplo sulle piattaforme digitali rispetto al 2018, grazie ad un maggiore potere d’acquisto e un più capillare accesso ad internet. Il settore è dunque in grande crescita e potrebbe raggiungere nel 2025 circa 150 miliardi di dollari di valore.

Proprio la pandemia sembra aver accelerato tale processo, come sostiene Pierre Poignant, CEO di Lazada, uno dei maggiori portali di e-commerce dell’area ASEAN, controllato da Alibaba. Con le restrizioni agli spostamenti e il distanziamento sociale, necessari per contenere la pandemia, è cambiato il rapporto tra domanda e offerta, moltiplicando le occasioni di interazione online. L’allargamento della base di consumatori associata ai cambiamenti nei consumi degli ultimi mesi ha visto un forte incremento nell’acquisto di prodotti online di qualsiasi tipologia.

Anche le imprese hanno compreso la potenzialità dell’e-commerce dopo le restrizioni imposte dalla pandemia: avendo dovuto chiudere il canale del commercio al dettaglio hanno investito ingenti risorse su nuove infrastrutture digitali, come mostrano i dati dello studio “Riding the Digital Wave: Southeast Asia’s Discovery Generation”, cui hanno partecipato circa 13mila intervistati e oltre 30 CEO e venture capitalists.

Il digitale può dunque dimostrarsi un’opportunità per lo sviluppo dei Paesi ASEAN ed in particolare per le PMI che ne caratterizzano il tessuto economico e che operano nelle aree extra-urbane. In queste zone infatti l’incontro tra domanda e offerta avveniva generalmente in loco, con una relativamente stretta cerchia di consumatori dello stesso territorio. Ora, grazie ai canali digitali le imprese potranno invece accedere a mercati anche geograficamente distanti e lo stesso accadrà per i consumatori che vedranno la moltiplicazione di beni e servizi altrimenti non accessibili con il tradizionale scambio brevi manu.

Molti Paesi del Sud-Est asiatico hanno capito l’importanza del commercio online e appaiono determinati a sfruttarne le opportunità. Il Vietnam, dopo un aumento degli scambi online del 20% causato dal lockdown e dalle restrizioni alla circolazione imposte, punta ad arrivare sul podio delle economie digitalizzate dell’ASEAN entro il 2030 con una copertura completa 5G del territorio nazionale. La Malesia intende rafforzare la strategia di sviluppo lanciata nel 2019 al motto di “One click, a million opportunities”,  incrementando l’adozione delle nuove tecnologie per supportare e stimolare l’economia nazionale, supportando le PMI nel processo di digitalizzazione. Singapore ha invece messo in campo alcune misure per rafforzare l’e-commerce e stimolare i commercianti e le aziende ad espandere la propria attività sul mercato online, fornendo loro anche formazione, assistenza e consulenza, nonché i mezzi per le spese di inizio attività sui portali online.

Nell’economie dei Paesi ASEAN sta dunque crescendo e si sta sviluppando il commercio 4.0, ma sarà fondamentale che i governi locali assecondino questo processo. Il primo passo sarà capillarizzare l’accesso a internet anche nelle zone rurali e poi incentivare la diffusione dei pagamenti mobile e cashless. Infine, sarà necessario predisporre norme snelle ed efficienti per regolamentare il settore e metterlo nelle condizioni di produrre benefici per tutti. Risulta infatti che l’e-commerce potrà rappresentare uno strumento utile per rilanciare le economie ASEAN nel contesto della crisi causata dall’emergenza sanitaria.

 

Articolo a cura di Gabriel Zurlo.

La risposta dell’ASEAN all’emergenza COVID-19

Dopo una reazione iniziale tardiva, l'ASEAN ha adottato un approccio multilaterale efficace alla lotta contro il virus

Data la vicinanza geografica e le intense relazioni economiche con la Cina, i Paesi ASEAN hanno presto confermato i primi casi di coronavirus. All’inizio della pandemia, l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico ha ricevuto critiche a livello internazionali per la lenta risposta e poca cooperazione nella gestione della crisi. Tuttavia, negli ultimi mesi, l’ASEAN ha efficacemente contribuito a contenere l’epidemia dimostrando solidarietà regionale e rafforzando la cooperazione internazionale.

 

L’organizzazione, di natura intergovernativa, ha adottato misure comuni significative, dando prova di unità in un momento di grande crisi. Attraverso diverse videoconferenze tenute con il Consiglio dell’ASEAN, i Paesi membri hanno scambiato informazioni sulle misure di contenimento e mitigazione del virus. Nel quadro degli obiettivi dichiarati nell’ASEAN Post-2015 Health Development Agenda, il Centro operativo ha fornito una piattaforma per aggiornamenti quotidiani e informazioni su misure di prevenzione; inoltre, l’ASEAN BioDiaspora Regional Virtual Centre ha fornito rapporti sui rischi a tutti i Paesi, attraverso l’analisi di dati statistici. Gli Stati membri dell’ASEAN hanno poi mostrato solidarietà per quanto riguarda le attività di laboratorio e le esigenze di assistenza medica: Vietnam e Brunei hanno offerto sostegno sotto forma di attrezzature mediche a Laos e Cambogia. Il 9 aprile l’ASEAN ha istituito una riserva regionale di forniture mediche e un fondo COVID-19, per sostenere le esigenze degli Stati membri e consentire una risposta rapida all’emergenza sanitaria. Tutti questi accordi regionali hanno garantito una risposta positiva all’epidemia di COVID-19, come dimostra il basso numero di casi nella maggior parte dei 10 Stati membri dell’ASEAN.

 

Oltre a tali sforzi, i membri dell’ASEAN sono riusciti a contenere la pandemia attraverso la cooperazione con Paesi esteri e istituzioni internazionali. Il 10 marzo i ministri dell’ASEAN hanno tenuto una videoconferenza con l’Unione Europea per discutere le misure da adottare immediatamente per i rischi sulla salute pubblica, e a più lungo termine per quanto riguarda le preoccupazioni socio-economiche causate dal virus. Il 14 aprile si è tenuto un video summit tra i 10 membri dell’ASEAN e  Cina, Giappone e Corea del Sud, per rafforzare la cooperazione, lo scambio di informazioni, gli aggiornamenti sui trattamenti clinici, le misure di prevenzione e l’approvvigionamento di forniture mediche tra i Paesi. Il 30 aprile, infine, è seguita un’altra videoconferenza tra i Ministri della Salute dell’ASEAN e degli Stati Uniti, che ha ribadito l’importanza della cooperazione internazionale per combattere efficacemente la pandemia.

 

Articolo a cura di Elena Colonna

Il rischio autoritario del Covid-19 in ASEAN

Lo stato d’emergenza ha spinto le autorità di alcuni Paesi a imporre misure preoccupanti

Le misure d’emergenza prese da alcuni governi dei Paesi ASEAN per affrontare la crisi sanitaria stanno destando preoccupazione nella comunità internazionale. Si teme infatti che alcuni potrebbero approfittare della situazione per consolidare il proprio potere a scapito delle libertà e dei diritti dei cittadini.

Già all’inizio di marzo, l’Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani aveva esortato tutti i Paesi coinvolti nell’emergenza sanitaria a garantire la centralità dei diritti umani e delle norme internazionali. A tal proposito è intervenuto anche il Presidente del Comitato dei Parlamentari ASEAN per i diritti umani che ha voluto ricordare ai governi dell’area che le restrizioni per motivi di salute pubblica devono essere strettamente necessarie, di durata limitata, basate su prove scientifiche e non discriminatorie.

Tuttavia, l’approccio di alcuni governi dei Paesi ASEAN rischia di deludere tali auspici. L’Asian Forum for Human Rights and Development denuncia che Filippine, Thailandia, Cambogia e Myanmar stanno attuando politiche che rischiano di violare le norme internazionali. In Thailandia e Myanmar preoccupa la situazione relativa alla libertà di espressione, soprattutto online. Nelle Filippine sono stati conferiti ampi poteri alle forze dell’ordine, la cui azione è spesso lasciata alla discrezionalità degli agenti.

Ma a destare particolare attenzione è la situazione in Cambogia. Il 31 marzo il governo cambogiano ha approvato una legge che conferisce pieni poteri all’esecutivo per la gestione dell’emergenza, tra cui il potere di sorveglianza illimitata delle telecomunicazioni, il controllo dei media e dei social network, e la possibilità di proibire o limitare la diffusione di informazioni diverse da quelle di fonte governativa. Un giornalista è già stato arrestato per aver citato sul giornale un discorso del Primo Ministro Hun Sen e decine di persone sono state accusate ed arrestate per aver diffuso “fake news” online. Diversi gruppi di attivisti e istituzioni della comunità internazionale hanno fortemente condannato le misure imposte dal Primo Ministro Hun Sen, ritenendole eccessive e preoccupanti. Si teme infatti che le disposizioni d’emergenza attuate dalle autorità cambogiane possano restare in vigore ed essere applicate anche dopo la fine dell’emergenza.

La situazione in Cambogia, ed altri Paesi del Sud-Est asiatico come Filippine, Thailandia e Myanmar, sono ora sotto osservazione da parte degli organismi internazionali. Sarà importante capire come si comporteranno i governi con la graduale ripresa dalla crisi sanitaria ed economica, nel momento in cui verrà meno lo stato d’emergenza. La speranza della comunità internazionale, rappresentata in questo caso dalle parole dell’Alta Commissaria dell’ONU per i diritti umani e dal Presidente del Comitato dei Parlamentari ASEAN per i diritti umani, è che la fase di ripresa coincida con il ripristino della normalità, nel rispetto dei diritti e le libertà di tutti i cittadini.

 

Articolo a cura di Gabriel Zurlo Sconosciuto.

La rilevanza del Mar Cinese Meridionale

Con l’abbondanza di risorse naturali e la sua posizione strategica questo mare è diventato il teatro di un teso scontro regionale

Il Mar Cinese Meridionale è al centro di un lungo e complesso scontro geopolitico che coinvolge diversi Paesi del Sud-Est asiatico, la Cina e altre potenze globali tra cui gli Stati Uniti. L’area è infatti incredibilmente ricca di risorse naturali con riserve di circa 11 miliardi di barili di petrolio, oltre 50 trilioni m³ di gas naturale e il 10% delle riserve ittiche mondiali. L’elemento più importante, tuttavia, è che il 30% del commercio marittimo mondiale transita nel Mar Cinese Meridionale, conferendo una cruciale rilevanza geopolitica alla regione. Si tratta dunque di uno specchio d’acqua di fondamentale importanza strategica, e diversi Paesi nella regione avanzano rivendicazioni territoriali, spesso contrastanti.

Nel cuore geografico e simbolico del Mar Cinese Meridionale ci sono diversi arcipelaghi di isole remote e disabitate, rivendicate da Cina, Vietnam, Filippine, Malesia, Taiwan e Brunei. Per molti di questi Paesi, l’accesso alle risorse di quest’area potrebbe rivelarsi fondamentale nel lungo periodo. Chi riuscisse a fare valere le proprie rivendicazioni territoriali su queste isole potrebbe includerle nella propria zona economica esclusiva, ottenendo diritti esclusivi su tutto il territorio e dunque il sottosuolo circostante.

La maggior parte di questi Paesi basa le proprie rivendicazioni sulla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, ma la Cina sembra avere una posizione diversa, in contrasto con la comunità internazionale. Pechino avanza una rivendicazione storica sul Mar Cinese Meridionale che risale ad alcune esplorazioni navali del XV secolo. Il governo cinese individua i propri confini nell’area compresa all’interno della linea tratteggiata, la famosa “nine-dash line”, tracciata alla fine della Seconda Guerra Mondiale e comprendente circa il 90% del conteso specchio d’acqua.

Negli ultimi anni, la Cina ha portato avanti una politica di potenza volta a imporre le proprie rivendicazioni territoriali con la costruzione di isole artificiali, basi militari e distretti amministrativi, scatenando le proteste delle nazioni coinvolte. Le mosse di Pechino non hanno solo indispettito i Paesi della regione, ma anche la comunità internazionale, con gli Stati Uniti in testa. Gli USA hanno grossi interessi geopolitici nella regione, e sono dunque interessati a contenere le ambizioni di Pechino e a rafforzare il proprio ruolo di potenza militare e geopolitica nell’area del Pacifico.

Meccanismi di risoluzione delle dispute internazionali hanno più volte contestato l’approccio cinese nella regione, cercando di proteggere i diritti territoriali legittimi di Paesi più piccoli, come le Filippine o il Vietnam. Ma la Cina sembra trascurare le risoluzioni delle Corti internazionali e pare determinata a non retrocedere, paventando anche l’uso della forza per affermare le proprie rivendicazioni.

Finora le dispute nel Mar Cinese Meridionale non hanno preso una piega violenta, ma si sono limitate alla sfera politica e diplomatica. Dal 2017, la Cina e i Paesi ASEAN hanno deciso di provare a risolvere la contesa sul piano diplomatico, attraverso la redazione di un Codice di Condotta per il Mar Cinese Meridionale, ovvero un sistema regolatore per risolvere le dispute nella regione. Tuttavia, l’accordo è ancora lontano dalla sua conclusione, e le difficoltà che stanno emergendo non sono poche.

I Paesi coinvolti tendono sempre più a difendere le proprie rivendicazioni militarizzando la regione e provocandosi a vicenda, con gravi rischi per tutta l’area. È una situazione complessa che continuerà ad attirare l’attenzione della comunità internazionale, evidenziando segnali importanti sull’atteggiamento geopolitico della Cina nei prossimi anni e il suo rapporto con i Paesi del Sud-Est asiatico.

 

Articolo a cura di Tullio Ambrosone.

L’outsourcing nelle Filippine

Come le Filippine sono diventate un hub del BPO

Il Business Process Outsourcing (BPO) è uno dei settori in più rapida crescita nelle Filippine, al punto da rappresentare uno dei tre pilastri dell’economia del paese, insieme alle rimesse inviate dai lavoratori filippini all’estero ed al turismo.

La crescita del BPO nelle Filippine ha mostrato infatti un tasso di espansione medio annuo del 20% nel corso dello scorso decennio. Secondo i dati dell’Oxford Business Group, il settore rappresentava solo lo 0,075% del PIL nel 2000, dato cresciuto progressivamente fino a raggiungere il 12% nel 2019.

Secondo gli ultimi dati del governo filippino l’industria del BPO impiega 1,35 milioni di lavoratori, la maggior parte dei quali (87,6%) nei call center, mentre quasi il 12% lavora in aziende di computer e servizi informatici. Nell’ultimo anno, è emerso un forte trend di crescita anche del segmento del Data Analytics.

La Roadmap 2016-2022 della IT and Business Process Association of the Philippines (IBPAP) si pone tuttavia obiettivi di crescita ancora maggiori per il settore, puntando a toccare – entro un paio di anni – 1,8 milioni di persone occupate, 40 miliardi di dollari di fatturato complessivo e una quota del 15% nel mercato globale del BPO.

Il settore BPO è fortemente internazionalizzato nelle Filippine: il 55% delle aziende opera a livello globale (il 65% delle quali esporta verso gli Stati Uniti), il 27% a livello regionale e solo il 18% all’interno del Paese. Sono tre le ragioni principali per cui le Filippine sono riuscite a diventare un hub internazionale del BPO.

In primo luogo, il governo filippino si è attivato fin dai primi anni 2000 per incentivare gli investitori ad esternalizzare nel Paese. Ha infatti messo in atto diverse politiche liberali, inclusi benefici fiscali e misure di semplificazione nelle procedure in materia di occupazione.

Il secondo aspetto riguarda il bilinguismo. Oltre al filippino, gli studenti imparano fin da subito l’American English. La padronanza della lingua inglese e l’affinità con la cultura occidentale conferiscono alle Filippine un vantaggio concorrenziale rispetto ai suoi diretti competitors nel BPO, come l’India.

Infine, il salario medio dei lavoratori filippini nel settore è meno della metà di quello delle loro controparti nei paesi occidentali. Gli Stati Uniti ed altre imprese anglofone sfruttano questo fattore per abbassare i loro costi fissi.

Nonostante la crisi legata al COVID-19 abbia avuto un impatto negativo e rallentato la crescita del BPO nelle Filippine, le multinazionali straniere non hanno abbandonato il paese. Se la crisi continuerà a favorire la domanda di servizi telematici è infatti probabile che il settore riprenda presto la propria traiettoria positiva di crescita.

Articolo a cura di Amiel Masarap e Maria Viola.

Gli equilibri commerciali in Asia ai tempi del Covid-19

Nel primo trimestre del 2020 l’ASEAN è risultato il primo partner commerciale della Cina

Negli ultimi anni il panorama commerciale globale ha subito profonde trasformazioni che hanno contribuito a produrre nuove e significative dinamiche economiche nel continente asiatico.

Fino a qualche anno fa, prima della guerra commerciale tra USA e Cina e prima dello scoppio della pandemia, Unione Europea e Stati Uniti erano rispettivamente il primo e il secondo partner commerciale della Repubblica Popolare Cinese. Oggi invece, nel bel mezzo di una crisi sanitaria ed economica globale, l’ASEAN ha scavalcato UE e USA ed è risultato il maggior partner commerciale della Cina nel primo trimestre del 2020. Secondo l’Amministrazione generale cinese delle dogane, nei primi tre mesi di quest’anno, il commercio bilaterale totale tra ASEAN e Cina è aumentato del 6,1% su base annua a 140,62 miliardi di dollari, nonostante l’emergenza sanitaria.

Diversi elementi sono intervenuti a produrre questo scenario, con cambiamenti profondi per tutto il sistema commerciale e per gli equilibri di potere globali.

Sul versante europeo, ha sicuramente influito la Brexit. La Gran Bretagna rappresentava infatti circa il 10% degli scambi commerciali tra UE e Cina. Con la sua uscita dall’Unione dunque, i Paesi europei hanno perso una quota significativa del rapporto commerciale con la Cina, che ha influito pesantemente sui dati aggregati relativi al commercio UE-Cina.

Dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, invece, la guerra commerciale avviata dall’amministrazione di Donald Trump ha contribuito in maniera decisiva al deterioramento dei rapporti commerciali tra USA e Cina, scatenando diversi effetti collaterali. Non sono cambiati solo i rapporti tra Washington e Pechino, le tensioni commerciali hanno finito per spingere molte aziende a trasferire capacità produttive dalla Cina ai Paesi del Sud-Est asiatico, rinforzando catene di valore e sistemi produttivi regionali. Lo scontro con gli USA ha anche indotto le autorità cinesi a rafforzare i legami economici e diplomatici con i partner del continente asiatico, mettendo i Paesi ASEAN in una posizione di primo piano, date le dimensioni del blocco commerciale.

Inoltre, la gravità dello shock economico causato dalla pandemia di COVID-19 ha contribuito ad acuire tali trasformazioni, mettendo in crisi il sistema economico e commerciale globale. Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, i Paesi più colpiti a livello economico sono quelli occidentali, in Europa e Nord America, mettendo Paesi come quelli del Sud-Est asiatico nelle condizioni di guadagnare terreno a livello commerciale. Inoltre, rafforzando le dinamiche scaturite dalla guerra commerciale, le misure restrittive attuate dai governi per limitare i contagi stanno inducendo molte aziende a rivedere le catene di produzione e fornitura, favorendo soluzioni regionali a scapito di meccanismi globali.

Sembra dunque che le trasformazioni degli ultimi anni stiano spingendo il continente asiatico verso maggiori forme di cooperazione economica e commerciale. Cina e ASEAN sono oggi più vicine dal punto di vista economico e diplomatico di quanto non lo fossero qualche anno fa. Lo scenario resta complesso e indefinito, sarà fondamentale seguire l’evolversi della situazione nei prossimi mesi per capire la portata dei cambiamenti in corso e analizzarne l’impatto a livello globale.

Articolo a cura di Tullio Ambrosone

Emergenza COVID-19: le opportunità per l’ASEAN

Smart working ASEAN

Nonostante la gravità della crisi, si aprono scenari interessanti

Anche nei Paesi del Sud-Est asiatico l’epidemia di coronavirus sta avendo un impatto significativo: diverse aree sono in isolamento, i grandi eventi sono stati annullati o rinviati, le strutture mediche sono in difficoltà e il sistema economico ne sta risentendo. Tuttavia, la grave emergenza sanitaria ed economica che i Paesi ASEAN stanno affrontando sta aprendo nuovi scenari, che potrebbero recare alcuni benefici nel lungo termine.

Le aziende stanno iniziando a diversificare le loro catene produttive, spostando investimenti e capitali dalla Cina verso i Paesi del Sud-Est asiatico. Anche prima della pandemia, tensioni politiche come la guerra commerciale tra Washington e Pechino, stavano spingendo le grandi compagnie a dirottare le catene di produzione dalla Cina a Paesi terzi, ma l’emergenza sanitaria ha finito per accelerare questo trend. Nel tentativo di diversificare la produzione infatti, grandi aziende come Google e Microsoft trasferiranno le attività di fabbricazione di nuovi telefoni, computer e altri dispositivi dalla Cina a Vietnam e Thailandia. Altri giganti come Sony e Nokia investiranno in Indonesia, mentre Samsung sta puntando sul Vietnam. Questi esempi non solo dimostrano l’intenzione delle grandi aziende di evitare la dipendenza dalla Cina e scommettere sulle economie del Sud-Est asiatico, ma rivelano anche una grande opportunità per la regione di sviluppare maggiori competenze nel settore della produzione tecnologica.

La crisi sanitaria, che obbliga i Paesi a imporre misure di distanziamento sociale, sta anche trasformando il mondo del lavoro. Sta cambiando infatti anche la mentalità imprenditoriale, che si sta adattando al contesto di crisi e sta sfruttando la tecnologia per affrontare le limitazioni ai movimenti e il distanziamento sociale. Aziende come CoXplore o AngkorHub, specializzate in co-working e piattaforme di smart-working, stanno crescendo in maniera significativa negli ultimi mesi, evidenziando un trend che potrebbe sopravvivere alla crisi. Specialmente nel Sud-Est asiatico, regione densamente popolata, queste start-up hanno il potenziale per trasformare l’approccio al lavoro e numerose aziende sono pronte a investire in questa direzione, anche dopo l’emergenza.

L’isolamento di migliaia di persone, inoltre, sta offrendo grandi occasioni al crescente settore del ride-hailing nel Sud-Est asiatico. Aziende come Grab e Gojek stanno intensificando le proprie attività nei Paesi ASEAN, con l’obiettivo di fornire servizi di consegna a domicilio a più persone possibile durante l’emergenza. Altri settori, come quello della vendita di prodotti alimentari online, stanno crescendo nella regione, aprendo nuovi scenari non solo per le aziende, ma anche per i lavoratori.

Ancora una volta dunque un momento di crisi sta offrendo opportunità e dando vita a nuove tendenze economiche e sociali. Nonostante il contesto di grande tensione, la crisi del sistema sta avviando trasformazioni che porteranno benefici nel lungo termine. Sarà interessante continuare a seguire l’evoluzione della situazione per identificare nuovi trend e capire che volto avrà la regione del Sud-Est asiatico dopo questa epocale crisi sanitaria ed economica.

Articolo a cura di Tullio Ambrosone

La BRI è stata contagiata?

L’impatto del Covid-19 sui Paesi ASEAN, tra approvvigionamenti interrotti e lavoratori quarantenati

Dopo la Cina, anche i Paesi ASEAN sono impegnati nel contrasto al Covid-19. Ne è risultato il blocco di diversi stabilimenti produttivi (come in Cambogia, dove più di 200 fabbriche hanno interrotto la produzione per la mancanza di materie prime provenienti dalla Cina) e lo stop di importanti cantieri infrastrutturali, fra cui quelli legati alla Belt and Road Initiative (BRI; il progetto strategico sotto il quale la Cina sta pianificando la costruzione di grosse arterie strategiche stradali, ferroviarie e marittime, che la colleghino ai principali Paesi partner).

Le autorità dei Paesi ASEAN hanno iniziato a calcolare i danni di questi ritardi: in particolare, il rallentamento dei cantieri della BRI rischia di rappresentare un freno alla ripresa economica, una volta superata la fase di emergenza sanitaria.

In Indonesia, il Ministro per gli affari marittimi e gli investimenti ha annunciato ritardi nella costruzione della ferrovia ad alta velocità da 6 mld di dollari che collegherà Jakarta a Bandung. Non solo il 50% dei materiali provengono dalla Cina, ma anche i lavoratori nel cantiere sono per quasi il 20% cinesi. Inoltre, risulta interrotta anche la costruzione della diga da 510 megawatt nella foresta di Batang Toru.

Rallentamenti si registrano anche in Cambogia, dove la BRI prevede grossi cantieri nella zona economica speciale di Sihanoukville (la quale si propone di diventare un hub per l’intero ASEAN). Il progetto ha subito una graduale interruzione degli approvvigionamenti dalla Cina ed ha visto gli uffici dei dirigenti cinesi restare vuoti. Ciò allungherà le tempistiche e farà lievitare i costi. Il Primo Ministro cambogiano Hun Sen si è detto comunque fiducioso, prevedendo che i lavori possano riprendere già nel mese di aprile.

In Malaysia, fino ad un mese fa, la Malaysia Rail Link assicurava che non ci sarebbero stati invece ritardi nella costruzione della East Coast Rail Link, il progetto da oltre 10 miliardi di dollari che collegherà la capitale malese Kuala Lumpur e la capitale amministrativa Putrajaya agli Stati della costa orientale di Pahang, Terengganu e Kelantan. Tuttavia, a causa dei provvedimenti del governo malese (che dal 18 marzo ha posto lo Stato in una quarantena totale, dalla durata di almeno 14 giorni), non è possibile escludere rallentamenti o temporanee interruzioni del progetto, che ad oggi risulta completato solo al 15%.

Al contrario, il Covid-19 non sembra rallentare la Cina-Laos Railway, il progetto che entro il 2021 vuole trasformare il Paese in un hub per il commercio via terra nella regione. La direzione centrale aveva deciso di non interrompere i lavori nonostante le festività per il Capodanno cinese: funzionari e operai sono così rimasti in cantiere, al riparo dall’epidemia. Inoltre, in questi giorni, gli ingegneri cinesi e laotiani sono al lavoro sulla linea di energia elettrica che alimenterà la ferrovia; si tratta del primo progetto energetico per il quale il Laos ricorre alla formula di project-financing conosciuta come BOT (build-operate-transfer).

Il completamento totale della Belt and Road Initiative è previsto per il 2049, ma gli analisti mettono ora in dubbio che questa data possa essere realmente rispettata, nel caso in cui gli effetti del Covid-19 pesino per un lungo periodo.

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Articolo a cura di Gabriel Zurlo Sconosciuto