Nguyen Thi Phuong Thao, la donna d’affari più ricca del Vietnam

Tra le “100 donne più potenti del mondo” secondo Forbes, Nguyen Thi Phuong Thao ha rivoluzionato il settore dei viaggi aerei in Vietnam.

Nguyen Thi Phuong Thao è Presidente del Sovico Group, Vicepresidente permanente di HD Bank, fondatrice e CEO di VietJet Air. Ha fatto la storia in un business tradizionalmente dominato dagli uomini, diventando l’unica vietnamita ad aver avviato e gestito una compagnia aerea low cost.

VietJet – vendendo voli per meno di 50 dollari – è il motivo per cui milioni di vietnamiti sono saliti a bordo di un aereo per la prima volta negli ultimi dieci anni, rivoluzionando per sempre il settore dell’aviazione in Vietnam. Con questo successo è diventata la prima miliardaria del Vietnam e la donna più ricca del Sud-Est asiatico a “farsi da sola”. Forbes fissa la sua ricchezza a $ 2,5 miliardi: oltre che dal settore bancario, la sua fortuna proviene da beni immobili tra cui resort, progetti energetici e altre partecipazioni di Sovico.

Thao è nata nel 1970 ad Hanoi in una famiglia benestante. È cresciuta nell’ambiente della Guerra Fredda dei vietnamiti che si sono trasferiti nel vecchio blocco sovietico, dove ha conseguito tre lauree. Pacata e inconfondibile con i suoi occhiali senza montatura e la frangia corta, Thao è definita dai colleghi come una stacanovista che lavora fino a tarda notte. Madre di tre figli, Madame Thao dirige un impero commerciale con suo marito, mantenendo sempre un fitto programma di lavoro.

La sua compagnia aerea, lanciata nel 2011, è ora più grande della compagnia di bandiera Vietnam Airlines in termini di passeggeri trasportati. È cresciuta in parte attraverso un servizio audace: assistenti di volo in bikini per i voli verso le destinazioni delle vacanze al mare. Una rischiosa acrobazia che ha comportato una multa da parte del governo, ma ha fatto ottenere a VietJet pubblicità gratuita in tutto il mondo e, soprattutto, ha fatto vendere biglietti.

Da una manciata di rotte nazionali al momento del lancio, VietJet si è espansa fino a coprire più di 120 destinazioni. Posizionato fin dall’inizio come vettore regionale e internazionale, Thao ha delineato una strategia molto precisa: l’espansione in tutti i mercati ASEAN entro un raggio di 2.500 chilometri, in modo da poter creare basi che coprano metà della popolazione mondiale. La compagnia sarebbe già in trattative con partner in tutta la regione per espandersi al di fuori del Vietnam.  L’obiettivo di Thao è fare la storia una seconda volta trasformando VietJet nella prima compagnia aerea mondiale del Vietnam. “Se stabiliamo una compagnia aerea in Europa, possiamo volare in ogni paese. Con i nostri aerei, costi, capacità di gestione, e fornendo nuovi servizi, sono totalmente fiduciosa che possiamo competere negli altri mercati, in Europa o negli Stati Uniti”, ha affermato Thao.

Nel 2017, VietJet ha debuttato alla borsa di Ho Chi Minh City con una capitalizzazione di mercato di $ 1,4 miliardi. L’anno successivo ha trasportato 23 milioni di passeggeri, pari al 46% del mercato passeggeri del Vietnam. Anche se questa cifra rappresenta circa la metà dei passeggeri che AirAsia – il principale vettore economico asiatico – ha trasportato nel 2018, Vietjet è cresciuta più rapidamente. Le azioni della società sono più che raddoppiate dalla sua IPO del 2017, raggiungendo un valore di mercato di $ 3 miliardi, il secondo più grande del Sud-Est asiatico, dopo Singapore Airlines.

Nelle ultime settimane una donazione – 155 milioni di sterline – della holding di Thao a favore di un college dell’Università di Oxford ha provocato reazioni contrastanti. In seguito a questa sovvenzione, il Linacre College, specializzato in corsi post-laurea, diventerà il Thao College. Il MOU tra le due istituzioni è stato firmato durante la visita di Thao nel Regno Unito in coincidenza con il vertice sul clima COP26 delle Nazioni Unite. VietJet, che ha l’ambizione di espandersi in Europa, a margine del vertice ha anche siglato un accordo da $ 400 milioni per il motore a reazione con Rolls-Royce.

Dentro e fuori i social media, alcuni vietnamiti hanno apprezzato l’iniziativa benefica. Altri si sono chiesti il motivo della donazione a un Paese che registra 14 volte il reddito medio del Vietnam, mettendo in dubbio l’invio di una tale somma fuori dal Paese, che ha rigidi controlli sui capitali. Un post sul sito governativo ha affermato che 7,5 milioni di sterline della donazione finanzieranno borse di studio per i vietnamiti e altri nella regione. Anche voci del mondo accademico hanno espresso perplessità sulla nomina di un intero college all’interno del sistema federato di Oxford, perché questa azione potrebbe far pensare che Oxford possa essere messa in vendita. Il Linacre College ha affermato di essere stato poco sovvenzionato rispetto ad altre istituzioni di Oxford, definendo la donazione – concordata nell’ambito di un protocollo d’intesa con Sovico – “trasformativa”.

Thao è ben nota per le sue varie iniziative filantropiche nel corso degli anni e crede in una cultura aziendale con solide responsabilità sociali di sviluppo sostenibile. Fortemente colpita dall’ambiente accademico dell’Università di Oxford, Madame Thao ha affermato che Oxford è il posto giusto per dare il suo contributo all’umanità attraverso l’istruzione, la formazione e la ricerca. Questo sodalizio servirà anche a perseguire uno dei più importanti obiettivi di VietJet, la riduzione delle emissioni di carbonio. Il Gruppo Sovico, socio fondatore di VietJet, è impegnato a far sì che tutte le sue sussidiarie raggiungano lo zero netto di carbonio entro la fine del 2050 con il supporto dei principali accademici di Oxford.

Lo sviluppo delle monete digitali in ASEAN

Dall’e-riel cambogiano alle ultime dichiarazioni del MUI indonesiano: i Paesi del Sud-Est si interrogano su come regolamentare il mercato delle criptovalute e pensano a monete digitali ufficiali.

Articolo a cura di Fabrizia Candido

Si chiama ‘Cryptocurrency and Regulation of Official Digital Currency Bill’ il progetto di legge a cui l’India il 23 novembre ha annunciato di star lavorando. L’obiettivo sembrerebbe essere quello di vietare le  criptovalute private (sebbene si faccia riferimento ad alcune, vaghe, eccezioni) e, allo stesso tempo, aprire la strada a una valuta digitale ufficiale emessa dalla Reserve Bank of India. Non è una notizia del tutto inaspettata, se si considera che nel corso del 2021 il governo indiano aveva persino preso in considerazione la possibilità di criminalizzare il possesso, l’emissione, l’estrazione, il commercio e il trasferimento di asset in criptovalute. Il timore, come espresso dal Premier Narendra Modi qualche settimana fa, è che le criptovalute possano “finire nelle mani sbagliate, rovinando la gioventù”. Ma l’India non è l’unico Paese asiatico in cui le criptovalute, private e/o di Stato, sono oggetto di discussione.

A interrogarsi su come regolamentare il mercato, per definizione deregolamentato e intrinsecamente volatile, delle criptovalute e a immaginare una valuta digitale ufficiale ci sono anche alcuni dei Paesi ASEAN. 

In Indonesia, la banca centrale del paese dal 1 gennaio 2018 vieta l’uso di criptovalute, incluso il Bitcoin, come mezzo di pagamento: la rupiah è l’unica valuta legale nel Paese. Tuttavia, è permesso il trading di criptovalute come opzione d’investimento insieme ai commodity futures, ovvero contratti futuri in cui ci si obbliga a scambiare una prefissata quantità di merce a una data prefissata, e a un determinato prezzo fissato alla data della contrattazione. Lo scorso 11 novembre, però, il Consiglio Religioso Nazionale Indonesiano Ulema (MUI) ha dichiarato il trading di criptovalute haram e non conforme alla Sharia, ad eccezione di quei casi in cui esso comporta “chiari benefici”. Sebbene la decisione del MUI non significhi che tutto il trading di criptovalute verrà interrotto in Indonesia, ci si aspetta che il decreto dissuaderà parte dei musulmani dall’investire in criptovalute. Secondo il ministero del commercio indonesiano, alla fine del 2020 il numero di trader aveva raggiunto i 6.5 milioni. 

Meno rigida è la Malesia, che tramite uno statement sul sito web della Bank Negara dal 2014 avverte i propri cittadini che il Bitcoin non è riconosciuto come valuta legale nel Paese, che la banca centrale non ne regola le operazioni e che pertanto si raccomanda prudenza nell’utilizzo di questa criptovaluta. Nel luglio 2021, tuttavia, la nota piattaforma di scambio di criptovalute Binance è stata bannata dal Paese.

A non optare per il ban, ma per una rigida e selettiva regolamentazione che gli permetta al contempo di essere ancora un hub attivo, c’è infine Singapore. Circa 170 aziende hanno richiesto una licenza dalla Monetary Authority of Singapore (MAS), portando il numero totale di aziende che cercano di operare ai sensi del suo Payment Services Act a circa 400, dopo l’entrata in vigore della legge nel gennaio 2020. Da allora, solo tre società di criptovalute hanno ricevuto le tanto ambite licenze. “Non abbiamo bisogno che 160 di loro aprano un business qui. La metà di loro può farlo, ma con standard molto elevati, che penso sia un risultato migliore” aveva commentato in un’intervista a Bloomberg Ravi Menon, Direttore del Monetary Authority of Singapore

A guardare invece ad una valuta digitale di Stato sono Cambogia e Laos. La Cambogia, nello specifico, ha intrapreso un ambizioso progetto per far crescere la sua Central Bank Digital Currency (CBDC). Bakong, questo il nome scelto per la valuta digitale cambogiana, grazie ad un massivo progetto pilota oggi conta già 5.9 milioni di utenti. Secondo quanto riportato dal Nikkei Asia, durante la prima metà del 2021, gli utenti Bakong hanno effettuato circa 1.4 milioni di transazioni per un valore di 500 milioni di dollari. Il progetto è stato presentato per la prima volta dalla Banca nazionale della Cambogia (NBC) nell’ottobre dello scorso anno, basato sulla tecnologia blockchain sviluppata congiuntamente dalla società fintech giapponese Soramitsu. Obiettivo principale l’esplorazione dei pagamenti digitali, l’incoraggiamento all’uso della valuta locale e la riduzione della dipendenza dal dollaro, e l’inclusione finanziaria dei cittadini rimasti fuori dal sistema bancario tradizionale.

Lo scorso ottobre la fintech giapponese Soramitsu è stata ingaggiata anche dalla Banca centrale della Repubblica Democratica Popolare del Laos, per esplorare l’emissione di una CBDC laotiana. Una versione digitale del kip supporterebbe le autorità nel raccoglimento dei dati necessari a misurare il polso dell’economia, come la quantità di denaro in circolazione. Ma non solo: l’iniziativa segna un tentativo da parte del Laos di estendere la portata della sua valuta mentre lo e-yuan digitale si profila come una presenza potenzialmente invasiva nella nazione del sud-est asiatico per cui la Cina è il secondo partner economico.  

Anche il Vietnam ha deciso di esplorare la creazione di una propria valuta digitale, con la Decisione 942 del Primo Ministro che si allinea con la strategia per digitalizzare il governo entro il 2030. La policy invita la State Bank of Vietnam a ricercare, “sviluppare e sperimentare l’uso della valuta digitale basata sulla tecnologia blockchain.” In Vietnam, l’utilizzo di criptovalute per effettuare acquisti è illegale, ma queste vengono ancora acquistate attivamente come strumenti di investimento: il Paese è tra i primi tre a livello globale per percentuale di persone che affermano di detenere una qualche forma di criptovaluta, secondo un sondaggio di Statista.

Mobilità green, l’ASEAN punta sulle auto elettriche

L’ASEAN punta sulla produzione di veicoli elettrici per conciliare impegni di sostenibilità e crescita delle sue economie emergenti.

Sulla scia della conferenza sul clima di Glasgow 2021 (COP26), i Paesi del Sud-Est asiatico si sono impegnati ad accelerare la diffusione di veicoli elettrici per limitare le emissioni e rientrare negli standard stabiliti dall’accordo di Parigi. Secondo una ricerca di Our World in Data, i trasporti su strada sono responsabili del 15% circa delle emissioni totali di anidride carbonica, e la domanda di automobili è in aumento in tutto il mondo, in accordo con lo sviluppo delle economie emergenti e con l’incremento demografico. Per queste ragioni, molti decisori politici nell’area ASEAN hanno scommesso sulle nuove tecnologie per conciliare crescita economica e imperativi di sostenibilità. Il presidente della COP26, Alok Sharma, ha dichiarato che è necessario accelerare ulteriormente l’adozione di veicoli elettrici (EV) se si vuole fare la differenza per il pianeta: le stime che li vedono rappresentare circa la metà delle vendite di nuove auto entro il 2040, per quanto già ottimistiche, non sono più sufficienti.

In ASEAN la Thailandia e l’Indonesia guidano la svolta per la mobilità green, mentre le Filippine e la Malesia sono i Paesi più in ritardo. Anche il Vietnam, un’economia in rapida evoluzione nel panorama dei mercati emergenti asiatici, ha progetti nazionali molto ambiziosi in proposito. Ma gli approcci degli Stati Membri dell’ASEAN sono ancora frammentari, secondo gli esperti. Ad esempio, il Socio-Cultural Community Blueprint 2025 sulla cooperazione regionale non menziona la necessità di ricorrere alle nuove tecnologie dei trasporti nella sua agenda per il rafforzamento dell’Associazione come attore regionale e globale. In un’intervista rilasciata a Nikkei Asia, Vivek Vaidya, partner associato alla società di consulenza Frost & Sullivan, ha dichiarato che “ogni paese ha il proprio approccio, ogni paese ha le proprie considerazioni e quindi ha le proprie strategie”. Non ci sarebbe dunque una risposta univoca e coerente per la promozione degli EV nel blocco delle 10 nazioni del Sud-Est asiatico. 

La Thailandia è stata definita per anni la “Detroit dell’Asia”, per via del suo primato indiscusso nelle catene globali del valore che riguardano l’industria automobilistica. A questo proposito la strategia nazionale “Thailand 4.0” è il vettore della svolta elettrica intrapresa dal Paese, che cerca di mantenere i suoi vantaggi competitivi allineandosi con le istanze ambientaliste e con gli accordi internazionali. L’obiettivo finale per Bangkok è quello di permettere esclusivamente la vendita di veicoli elettrici dal 2035. Il piano prevede incentivi fiscali per attirare investimenti esteri di supporto alla sua crescita economica. Come suggerisce Pietro Borsano del Torino World Affairs Institute, si tratta di una strategia comprensiva volta ad “aumentare la competitività del sistema Thailandia”. La logica del governo thailandese ruota intorno al ruolo delle esportazioni come motore di crescita, per questo, secondo gli esperti, è ben accetto “qualsiasi tipo di investimento nella produzione che aumenterà le esportazioni”. Questo lascia spazio alla competizione tra i principali investitori internazionali del settore dell’automotive del Sud-Est asiatico, tra cui Giappone, Cina, Corea. 

Ma il ricorso alle nuove tecnologie ha aperto la strada ad un altro attore chiave nella global value chain delle automobili: l’Indonesia. Già in lizza per superare il primato di Bangkok grazie a una crescita del settore che si concentra più sulla domanda interna che sul commercio internazionale, Giacarta nasconde un asso nella manica che potrebbe segnare definitivamente il destino della sua rivale. Possiede, infatti, uno dei più grandi depositi di nichel grezzo del mondo. Si tratta di uno dei materiali fondamentali per la creazione delle batterie a ioni di litio, che alimentano le auto elettriche. Il governo thailandese ne ha recentemente vietato l’esportazione per spingere le aziende straniere a investire nella realizzazione in loco di prodotti finiti, e sta pensando di dare vita a un’industria di batterie a litio propria attraverso la Indonesia Battery Holding. 

Anche se i decisori politici manifestano spesso grande entusiasmo per questa nuova rivoluzione elettrica, alcuni attivisti ritengono che non sia la soluzione su cui puntare. Nonostante l’impiego di veicoli elettrici possa abbattere drasticamente le emissioni di CO2 attribuite ai trasporti su strada, ci sono una serie di altri fattori da considerare: le circostanze di estrazione del litio sono spesso controverse, la libertà di fare scelte sostenibili richiede un’autonomia economica che condanna le persone marginalizzate e, per estensione, i Paesi più poveri alla sistematica esclusione dal sogno della mobilità elettrica, e infine serve la volontà politica di coordinare gli sforzi rispondere alle istanze sindacali di quei settori che verrebbero sostituiti dall’elettrificazione del trasporto su strada. 

Quest’anno si è tenuta la prima conferenza su energia e ambiente promossa dall’ASEAN Center for Energy. In questa occasione è intervenuto l’esperto Muhammad Rizki Kresnawan, sintetizzando i temi principali della svolta elettrica nel Sud-Est asiatico. Innanzitutto, l’ingente fabbisogno di capitale per la creazione di infrastrutture potrebbe esporre ulteriormente le economie regionali alla dipendenza da investimenti esteri. Inoltre, i combustibili fossili dominano la produzione regionale di elettricità, e questo potrebbe comportare il ricorso a carburante importato che rischia di compromettere la sicurezza energetica dell’area. Anche se è opinione diffusa che le nuove tecnologie possano accelerare la transizione verso un’economia più verde, le sfide politiche, sociali e ambientali che si intersecano potrebbero rendere la diffusione di veicoli elettrici meno lineare di quanto le economie ASEAN avrebbero sperato.

Diaspore asiatiche: storie di luoghi e generazioni in Europa

Le diaspore asiatiche in Europa sono un fenomeno riconducibile ai fatti del Novecento, dal colonialismo alla Guerra Fredda passando per la Prima Guerra d’Indocina e la Guerra del Vietnam. Comunità asiatiche si sono stanziate nei confini cittadini e nei dintorni di Londra, Milano, Berlino e Parigi e continuano a crescere

Londra ospita la più grande diaspora del Sud-Est asiatico nel continente europeo. Sulle sponde del Tamigi è dove è più concentrata l’emigrazione filippina, circa 200.000 persone inizialmente fuggite dalla dittatura di Ferdinand Marcos Sr. negli anni Settanta e Ottanta e poi arrivate nel Regno Unito per motivi economici e di studio. Presenti anche circa 50.000 thailandesi e 50.000 vietnamiti, questi ultimi soprattutto in qualità di richiedenti asilo in seguito alla caduta di Saigon nel 1975.

La seconda comunità filippina in Europa si è stanziata a Milano e rappresenta anche la maggiore comunità dell’Asia sudorientale in Italia. La comunità ha vissuto una crescita straordinaria: dai 16 filippini giunti nel capoluogo lombardo nel 1970 si è passati ai quasi 50.000 di oggi. Un fattore rilevante che ha spinto molti di loro a scegliere l’Italia è quello religioso. L’affiliazione alla Chiesa Cattolica Romana è vitale per la loro vita comunitaria in quanto ponte di collegamento tra i due Paesi ed elemento di coesione tra le prime generazioni e le successive. All’ombra della Madonnina, oltre 200 associazioni filippine collaborano con il Comune e le nuove generazioni stanno dando vita a un solido tessuto imprenditoriale nella ristorazione tradizionale e nelle agenzie viaggio.

Dai tempi della Germania divisa, Berlino ospita la principale migrazione dal Sud-Est asiatico del Paese. Il principale gruppo etnico sono gli Hoa, sino-vietnamiti, concentrati a Little Hanoi nel quartiere di Lichtenberg, a Berlino Est. Il cuore della comunità è il Dong Xuan Center dove si trova la maggior parte delle attività imprenditoriali e dove si festeggiano le ricorrenze vietnamite. Esistono comunità vietnamite anche a Berlino Ovest che, a differenza della maggior parte dei connazionali che vivevano nell’Est, sono stati naturalizzati al momento della riunificazione nazionale. Questo ha fatto sì che oltre ai 20.000 vietnamiti legalmente nel Paese, altri 23.000 continuino a rimanere in Germania illegalmente.

La comunità vietnamita ha raggiunto anche la Repubblica Ceca, stabilendosi nella città di Praga a partire dall’ingresso del Paese all’interno del Patto di Varsavia del 1955. Little Hanoi si trova nel quartiere Sapa della capitale ceca, contando in tutto il Paese tra i 60-80.000 vietnamiti, crescendo molto rapidamente e rappresentando la terza etnia straniera nella Repubblica. All’infuori di Praga, la cittadina con la più alta concentrazione di vietnamiti è Cheb, vicino al confine con la Germania.

Nei Paesi Bassi, la migrazione asiatica proviene principalmente dall’arcipelago indonesiano, contando circa 352.000 persone arrivate per via dei legami coloniali e in seguito alla fuga dal Paese a causa della guerra d’indipendenza indonesiana protrattasi dal 1945 al 1949 conclusasi con la vittoria delle forze di Sukarno, primo presidente della Repubblica Indonesiana. Ad oggi la terza generazione conta circa 800.000 persone e sono concentrate nelle principali città del Paese.

La storia più peculiare, fatta di interculturalità e multietnica, viene dalla Francia. Conosciuta nel Paese come “la città del dragone addormentato”, Lognes è un villaggio della Seine-et-Marne a 20 chilometri a Est di Parigi con la più alta concentrazione asiatica dopo il XIII Arrondissement della capitale. L’epiteto non è stato scelto casualmente: in francese Lognes ha una pronuncia molto simile a “lóng” (龙), per l’appunto drago in cinese e in vietnamita. Qui la migrazione dal Sud-Est asiatico risale addirittura alla proclamazione della Repubblica Popolare Cinese del 1° ottobre 1949. Mentre Mao Zedong teneva il suo storico discorso dal Zhongnanhai di Pechino, in massa fuggirono dal sud della Cina nell’Indocina francese per poi raggiungere l’Europa dopo la Prima Guerra d’Indocina. In quanto le prime generazioni hanno vissuto nella Cina di Chiang Kai-Shek o sono figli di cinesi emigrati in Indocina prima della vittoria comunista del ’49, i legami con associazioni taiwanesi sono molto strette. Infatti, la vita comunitaria ruota attorno alla pagoda costruita dall’associazione taiwanese Fo Guang Shan, “la montagna della luce di Buddha”. Il villaggio vive da decenni un’esplosione demografica: da circa 250 abitanti nell’immediato secondo dopoguerra a oltre 15.000 attuali, al 70% di origine asiatica. La crescita è dovuta ai grandi finanziamenti del governo francese per facilitare l’acquisto di proprietà in loco, alla costruzione dell’Autostrada dell’Est A4, la cosiddetta Francilienne, e il collegamento ferroviario RER con Parigi e il resto della diaspora asiatica che vive nella capitale.

Ogni diaspora vive i suoi problemi d’identità. Le prime generazioni vivono la lontananza e il distacco dal Paese d’origine e da un passato da cui spesso sono fuggiti. Le generazioni successive vivono il dubbio esistenziale che li conduce a domandarsi se siano asiatici o europei. Non è raro che la gioventù asiatica europea scelga di recarsi nei Paesi dei propri genitori in viaggi di riscoperta: vedere i luoghi in cui i genitori sono cresciuti, incontrare i familiari mai conosciuti, vivere l’esperienza di quel posto cui, in fondo, ci si sente di appartenere. La gioventù asiatica europea ricuce così quei legami d’affetto che sembravano spezzati, il passato che sembrava non appartenergli ma che, in fondo, è sempre stato parte di loro.

High Level Meeting: i semi di un futuro condiviso

Si è svolto con successo il “vertice” tra top manager pubblici e privati dei Paesi ASEAN, Italia ed Emirati Arabi Uniti presso il Padiglione Italia di Expo Dubai 2020

Giovedì 9 dicembre si è svolto l’High Level Meeting, “A Partnership for Success in Asia, The Gulf and Europe”, organizzato dal Commissariato dell’Italia a Expo 2020 Dubai in collaborazione con l’Associazione Italia-ASEAN e la Camera di Commercio di Dubai.

Il “vertice” è stato aperto dall’intervento di Romano Prodi, Presidente dell’Associazione Italia-ASEAN ed ex Presidente della Commissione Europea, e da Lim Jock Hoi, Segretario Generale ASEAN e ha avuto l’obiettivo di definire modelli innovativi per il rilancio dell’economia dopo l’emergenza sanitaria attraverso collaborazioni multilaterali tra Paesi che svolgono un ruolo strategico nell’area del Mondo – dal Mediterraneo all’Asia passando per il Golfo – dove si avranno nei prossimi anni i tassi di maggiore crescita economica, tecnologica e finanziaria, ma anche le maggiori problematiche relative ai cambiamenti climatici, alla transizione energetica  e alla sostenibilità sociale. “L’Italia vuole approfondire la collaborazione già forte con l’ASEAN”, ha dichiarato Prodi. “Dopo la pandemia la sostenibilità non è più solo retorica ma è diventato un obiettivo strategico”, ha detto il Presidente dell’Associazione Italia-ASEAN: “Con la sostenibilità ambientale siamo chiamati a preservare anche la sostenibilità sociale. La pandemia non sarà la fine della globalizzazione, ma una sua profonda correzione. E dobbiamo farci trovare pronti”.

Lim Jock Hoi ha evidenziato la forza del legame tra Italia e ASEAN citando in particolare il settore dell’economia circolare, e ha sottolineato la traiettoria di sviluppo della regione, che deve però “trovare un modo più sostenibile di produzione e consumo” basato su uno sviluppo “più sicuro e più verde”. Sono poi intervenuti anche Jamal Saif Al Jarwan, Segretario Generale dello UAE International Investors Council, e Amedeo Scarpa, Direttore dell’Ufficio ICE di Dubai. L’evento si è poi sviluppato con tre gruppi di lavoro paralleli dedicati a: tecnologie e finanze per la sostenibilità, energie rinnovabili e agricoltura sostenibile.

Al termine hanno tracciato un bilancio i due Vicepresidenti dell’Associazione Italia-ASEAN. “Si è trattato di un meeting molto produttivo durante il quale sono stati stabiliti rapporti bilaterali e trilaterali. Con questo evento abbiamo aperto nuovi collegamenti utili a sviluppare follow up”, ha spiegato l’Ambasciatore Michelangelo Pipan. “La partecipazione è stata fantastica”, ha detto invece Romeo Orlandi. “Tutti concordano che bisogna andare verso le rinnovabili, ma come farlo? Abbiamo cercato di dare qualche risposta su eolico, solare e altri tipi di energia. Le conclusioni sono promettenti e tutte le parti coinvolte resteranno in contatto dopo questo evento”. Il Presidente Prodi ha tirato le somme: “Competenza, cultura e cuore. Siamo all’inizio di un processo di fertilizzazione per sviluppare le idee e le proposte che sono state messe sul tavolo durante questo incontro”.

Cambogia pronta alla presidenza di turno ASEAN 2022

L’ultima esperienza della Cambogia alla presidenza di turno è stata controversa, poiché la politica estera del regno asiatico predilige particolarmente la relazione con Pechino

La presidenza di turno presso l’ASEAN è una grande occasione per la diplomazia dei paesi del Sud-Est asiatico. Il 2022 è la volta della Cambogia, che si è detta pronta a lavorare per la creazione di una comunità regionale “equa, forte e inclusiva”, sotto la guida del primo ministro Hun Sen. Il capo del governo cambogiano ha dimostrato di prendere molto sul serio questo impegno, e ha dichiarato che il pilastro della “politica e sicurezza” dell’Associazione sarà in cima all’agenda durante il suo mandato all’organizzazione regionale. Quello che l’aspetta nel 2022 è vissuto come un onere prestigioso per Phnom Penh, che sfrutterà l’occasione per amplificare la sua aura diplomatica e godere delle prerogative associate al titolo presidenziale, come il rinnovato riconoscimento da parte dei grandi attori della scena globale.

Ma nella comunità internazionale l’entusiasmo non è così diffuso. L’ultima esperienza della Cambogia alla presidenza di turno è stata controversa, poiché la politica estera del regno asiatico predilige particolarmente la relazione con Pechino. Questa storica postura filo-cinese è stata rivendicata dal governo nazionale anche nel 2019, quando il primo ministro Hun Sen ha definito la Cambogia un “amico di ferro” della Cina. È proprio per via di questa prossimità che, secondo gli analisti, ci sarà da aspettarsi un’ASEAN molto diversa da quella lasciata dal Brunei nel 2021. Secondo voci esperte, mentre gran parte dei paesi del Sud-Est asiatico prendono le distanze da Pechino criticandone l’assertività, Phnom Penh resta fedele alla linea del bandwagoning: per questioni di sicurezza e sviluppo, la Cina rimane un alleato fondamentale per il regime cambogiano, e questo legame potrebbe compromettere il precario equilibrio dell’Associazione regionale.

I dossier più rilevanti del 2022 mettono in questione la centralità dell’ASEAN nella gestione della crisi sanitaria da Covid-19 e nella credibilità regionale e internazionale nei confronti delle controversie politiche più urgenti. La Cambogia succederà al Brunei dopo un anno saturo di criticità, ereditando le sfide politiche e sociali causate da due anni di pandemia globale, la crisi politica in Myanmar, e le annose diatribe nel Mar Cinese Meridionale. Ma secondo Charles Dunst del Center for Strategic and International Studies (CSIS), l’incombenza di Pechino potrebbe compromettere la libertà di manovra della Cambogia su questi temi, risultando in un pericoloso immobilismo dell’Associazione. Questo potrebbe dare il colpo di grazia al principio della centralità dell’ASEAN, già compromesso dalla tendenza degli altri attori internazionali a prediligere rapporti bilaterali con i paesi dell’area.

Per quanto riguarda le sfide causate dalla pandemia, è probabile che l’inasprirsi delle diseguaglianze sociali provochi ovunque nel Sud-Est asiatico fenomeni di instabilità politica. Anche Phnom Penh dovrà fare i conti con quell’aumento dei tassi di interesse globali che in molte economie regionali provocherà un incremento della pressione fiscale e limiterà le politiche pubbliche espansive, provocando malcontento e sofferenza economica sulle comunità locali. A questo proposito, il rapporto bilaterale con la Cina è cruciale per la Cambogia, che fa grande affidamento sugli aiuti e i finanziamenti infrastrutturali del fratello maggiore per i suoi programmi di sviluppo nazionale.

Sulla crisi in Myanmar, la Cambogia ha poi assunto comportamenti ambivalenti. Dopo aver ribadito con forza il principio di non interferenza rivendicato dall’ASEAN come caposaldo del suo paradigma di valori, ha poi sostenuto la decisione dell’Associazione di non volersi confrontare se non con rappresentanti “non politici” del Myanmar. Il primo ministro Hun Sen ha dichiarato a questo proposito: “L’ASEAN non ha espulso Myanmar dall’ASEAN. Il Myanmar ha abbandonato il suo diritto (…). Ora siamo in una situazione di ‘ASEAN meno uno’. È così non a causa dell’ASEAN, ma a causa del Myanmar stesso”. Secondo Dunst, però, la Cambogia non ritiene prioritario confrontarsi col regime birmano sui temi della democrazia e dei diritti umani. È per questo che sul Myanmar la prossima prima voce dell’ASEAN potrebbe risultare più flebile di quanto sperato da altri paesi membri, come Malesia e Indonesia.

Le controversie territoriali nel Mar Cinese Meridionale sono invece l’elefante nella stanza della presidenza cambogiana, e sembra che l’esperienza del mandato del 2012 potrebbe ripetersi ancora. All’epoca, come ora, Cambogia e Cina hanno prediletto il ricorso a meccanismi bilaterali di risoluzione delle controversie. Secondo Vannarith Chheang, ricercatore associato presso Istituto ISEAS-Yusof Ishak, la promozione di un codice di condotta (CoC) nel Mar Cinese Meridionale è un modo per evitare ingombranti misure vincolanti e favorire la cosiddetta diplomazia preventiva. “La Cambogia non è interessata a internazionalizzare la questione del Mar Cinese Meridionale”, osserva l’analista in un articolo apparso sulla rivista del Torino World Affairs Institute, “e sta cautamente limitando gli altri pretendenti come il Vietnam e le Filippine dall’usare l’ASEAN per contrastare o sfidare direttamente la Cina”. Al summit annuale dei rappresentanti ASEAN, tenutosi lo scorso 22 novembre, è intervenuto in videoconferenza anche il presidente Xi Jinping, rassicurando i presenti che la Cina non avrebbe mai cercato l’egemonia nella regione approfittando della sua forza per risolvere le controversie. Piuttosto, ha sottolineato il Segretario del Partito comunista cinese, l’auspicio è che l’ASEAN possa cooperare con la Cina per eliminare le “interferenze” straniere. Le parole di Xi sembrano accogliere profeticamente l’arrivo di Phnom Penh alla presidenza dell’organizzazione. Anche se ASEAN e Cina hanno già concordato il preambolo della CoC nell’estate del 2021, la Cambogia potrebbe rallentarne il processo di negoziazione, tutelando la storica amicizia con Pechino e limitando qualsiasi azione o dichiarazione da parte del blocco ASEAN che possa implicare una critica all’assertività cinese.

L’approccio della presidenza cambogiana alle sfide più rilevanti per il Sud-Est asiatico inciderà anche sui toni e le preferenze della cooperazione internazionale. Secondo David Hutt, del The Diplomat, il fatto che il regno sia considerato un “paria per le democrazie” e la sua reputazione sia quella di “lacchè di Pechino”, incide anche sulla politica estera dei grandi attori internazionali. Da una parte, è obiettivo dell’amministrazione Biden richiamare a raccolta i suoi alleati per mantenere un maggiore controllo sulle dinamiche regionali dell’Asia indo-pacifica. Si pensi alla nascita dell’alleanza per la difesa AUKUS, stipulata da Stati Uniti, Regno Unito e Australia, che è programmaticamente pensata per arginare le velleità internazionali della Cina. Anche il programma infrastrutturale per la ripresa post-pandemia, il Build Back Better World (B3W) è un chiaro antagonista della strategia di sviluppo globale promossa da Xi con la Belt and Road Initiative (BRI). Biden ha poi assunto un atteggiamento più intransigente nei confronti della stessa Cambogia, avendo sanzionato due alti funzionari per corruzione e annunciato una revisione degli accordi di commercio preferenziale il mese scorso. Per quanto riguarda l’UE, Phnom Penh ha ospitato il 13° Asia Europe Meeting (ASEM) il 25 e il 26 novembre, a riprova del rinnovato interesse europeo per le opportunità offerte dal Sud-Est asiatico, riaffermando la partnership con l’omologa organizzazione regionale. Tra tutti, quello con l’Unione potrebbe rivelarsi un legame strategico per l’ASEAN, per ponderare le contestate tendenze filo-cinesi della Cambogia e dedicarsi a valorizzare le relazioni con un altro attore regionale di rilevanza globale.

Da sempre nell’orbita di influenza cinese, la Cambogia condurrà il suo mandato alla presidenza dell’ASEAN all’insegna del rapporto “di ferro” con Pechino. Anche se alcuni analisti ritengono che il governo di Hun Sen sia oggi meno disposto ad accettare che la Cina detti i termini delle sue relazioni con l’estero, le sfide che dovrà affrontare l’ASEAN nel 2022 mettono tutte la Cambogia di fronte alla scelta: con Pechino o contro Pechino. A giudicare dal legame storico, reso tanto più forte dal comune passato coloniale e dalla cultura politica condivisa, sembra che la direzione della presidenza cambogiana all’ASEAN sia già segnata.

La transizione verde sarà più forte dell’inflazione

Nel lungo termine la domanda di fonti rinnovabili non diminuirà a causa dei costi di produzione

I costi della produzione di energia rinnovabile sono in considerevole aumento. L’inflazione associata alla transizione verso un’economia verde – meglio nota come “greenflation” – è un argomento di discussione controverso, in quanto potrebbe avere un impatto significativo sui bilanci di governi e imprese. Negli ultimi mesi, infatti, l’incremento della domanda di energia pulita ha alimentato il boom delle richieste di materie prime che hanno subito un’impennata dei costi dal momento che l’utilizzo dei tradizionali metodi di estrazione è stato ora limitato: i prezzi dei metalli, come stagno, alluminio, rame, nichel e cobalto, tutti essenziali per le tecnologie di transizione energetica, sono aumentati tra il 20% e il 91% quest’anno. Un trend che potrebbe scoraggiare l’impiego di energia pulita.

Tuttavia, per quanto la transizione ecologica sia sempre più costosa, almeno nel breve periodo, non bisogna temere per la sostenibilità economica del settore. Lo ha dichiarato il Reuters Global Markets Forum. Quando infatti pannelli solari o altri componenti necessari della filiera dell’energia rinnovabile vengono prodotti in serie, si riducono i costi di produzione, generando quelle che vengono chiamate “economie di scala”, facilitando l’abbattimento dei costi legati alla tassazione, alla manodopera e alla pubblicità, permettendo al settore di crescere ancora di più. “I costi complessivi per l’industria green tenderanno al ribasso”, ha affermato Harry Boyd Carpenter, l’amministratore delegato per l’economia verde e l’azione per il clima della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo.

Le previsioni sono dunque positive: l’Allied Market Research si aspetta che il mercato globale delle energie rinnovabili, oggi valutato oltre 1,2 trilioni di dollari USA, nel 2030 raddoppierà, raggiungendo quasi i 2 trilioni di dollari. Gauri Singh, vicedirettore generale dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili, ha affermato che, nonostante l’inflazione e le interruzioni della catena di approvvigionamento, la diminuzione dei costi di finanziamento ha contribuito alla generazione record di 260 gigawatt di energia provenienti da fonti rinnovabili lo scorso anno. “Il mercato delle energie rinnovabili si sta ammorbidendo – ha dichiarato Singh – Da ora in poi non sarà più tanto facile guadagnare da quei prodotti che vengono considerati dannosi per l’ambiente”.

Disponibile il programma completo dell’High Level Meeting

Siamo lieti di condividere con tutti voi il programma completo dell’ASEAN ⇆ UAE ⇆ ITALY High Level Meeting – a partnership for success in Asia, the Gulf and Europe che si terrà il giorno 9 dicembre 2021 presso il PADIGLIONE ITALIA – Expo 2020 Dubai ed anche da remoto.

Il programma dell’evento è disponibile sulla pagina dedicata, dalla quale è possibile anche registrarsi per prendere parte all’High Level Meeting.

L’Indonesia guida la transizione ASEAN verso un’agricoltura sostenibile

Speciale G20 Indonesia /

La sicurezza alimentare è una delle sfide del nostro tempo, ma l’ASEAN dovrà puntare su un’agricoltura sostenibile se vorrà limitare i rischi sociali e ambientali causati dal cambiamento climatico.

L’agricoltura sostenibile nel Sud-Est asiatico può essere la chiave di volta per la lotta globale al cambiamento climatico. Come sottolinea il giornalista statunitense David Wallace-Walls, “il futuro del pianeta sarà determinato in buona parte dalla traiettoria di crescita del mondo in via di sviluppo”, e le economie emergenti dell’ASEAN sono l’epicentro di questa trasformazione. Lo straordinario sviluppo demografico e la rapida urbanizzazione, l’aumento dei redditi, dei consumi, e il conseguente impennarsi della domanda di energia rendono difficilmente conciliabili interessi nazionali e imperativi di sostenibilità. Ma il Sud-Est asiatico è anche una delle regioni più vulnerabili al cambiamento antropogenico del clima. Secondo un rapporto dell’ISEAS, inondazioni, perdita di biodiversità e aumento del livello del mare sono le tre minacce percepite come più incombenti dalle comunità regionali, e per l’81,1% degli intervistati queste avranno un impatto diretto sull’approvvigionamento di cibo.

Il tema della sicurezza alimentare è una delle sfide del nostro tempo, e gli effetti della pandemia sul settore agricolo sono stati devastanti nel Sud-Est asiatico. Lo sviluppo dell’agricoltura sostenibile è infatti al centro del Comprehensive Recovery Framework, pensato dall’ASEAN per uscire dalla crisi causata dal Covid-19. Gli Stati membri hanno concordato sulla necessità di promuovere misure che tutelino le catene di approvvigionamento alimentare, essenziali per “mitigare il rischio di grandi shock, che hanno un impatto considerevole sulla società, specialmente sulle persone più povere e più vulnerabili”. 

La food security, però, deve essere promossa contestualmente ad altre iniziative di contrasto al cambiamento climatico. A questo proposito, oltre ad aver recentemente fornito una tassonomia che integrerà il linguaggio di tutti i progetti nazionali volti alla sostenibilità, l’ASEAN punta molto sulla cooperazione internazionale. Quello dell’agricoltura sostenibile sarà un punto all’ordine del giorno dell’High Level Meeting organizzato al Dubai Expo 2021, dove si incontreranno i vertici del settore privato e pubblico dei Paesi ASEAN, dell’Italia e degli Emirati Arabi Uniti, per discutere di una cooperazione futura all’insegna della sostenibilità. L’incontro si terrà il 9 dicembre a Dubai, ed è stato organizzato dal Commissariato Italiano all’Expo in collaborazione con la Camera di Commercio a Dubai e l’Associazione Italia-ASEAN. Gran parte della cooperazione climatica si svolge però a livello nazionale. Il Fondo internazionale per lo sviluppo dell’agricoltura (IFAD), ad esempio, collabora con il governo indonesiano per l’implementazione di otto progetti di sviluppo rurale sostenibile. Dal momento che il 44% della popolazione dell’Indonesia vive in aree rurali, e che l’agricoltura è la sua principale fonte di reddito, il successo dell’Agenda 2030 nel Paese è un indicatore dei progressi dell’intera regione. 

Le pratiche di produzione agricola alternative sperimentate in Indonesia sono d’ispirazione anche per gli altri Paesi ASEAN. Tali iniziative, incoraggiate dal governo di Joko Widodo, sono nate spesso dal basso. Questo perché la popolazione indonesiana è una delle più esposte agli effetti drammatici del cambiamento climatico, tra cui il rischio che buona parte delle sue città costiere finisca sepolta sotto il livello del mare. Questa condizione la rende particolarmente motivata a pensare a stili di vita, produzione e consumo alternativi. Durante la pandemia, a Giacarta ha spopolato il ricorso all’agricoltura urbana, che secondo gli esperti potrebbe rivelarsi alla causa della sicurezza alimentare, rispondendo anche alla forte pressione demografica della regione. Tahlim Sudaryanto, presidente dell’Indonesian Center for Agriculture Socio Economic and Policy Studies (ICASEPS) sotto il Ministero dell’Agricoltura indonesiano, ha lodato questi progetti. Considerando che entro il 2050 più di due terzi della popolazione globale vivranno nelle città, secondo uno studio del 2018 pubblicato su Earth’s Future, l’agricoltura urbana potrebbe produrre fino a 180 milioni di tonnellate di cibo l’anno, e fornire il 10% della produzione globale di legumi e verdure. 

Diversi progetti di agricoltura sostenibile si sono rivelati virtuosi nel Paese. L’Indonesia è la più grande economia del Sud-Est asiatico, e tre indonesiani su cinque vivono in campagna, ma il settore agricolo è la la principale fonte di reddito del 64% della popolazione che vive sotto la soglia di povertà. Quando Audria Evelinn ha fondato Little Spoon Farm, ad esempio, aveva ben in mente la situazione di precarietà in cui viveva buona parte dei suoi concittadini. Il suo obiettivo era quello di “migliorare il sistema alimentare locale in Indonesia riconciliando le relazioni tra natura, agricoltori e consumatori”. Dal momento che il cibo è una forza potente per il cambiamento, dare la possibilità ai consumatori di scegliere prodotti locali, biologici, diretti e stagionali, crea “una domanda che sostiene un’economia locale sostenibile, che dà da vivere agli agricoltori”. Ecco perché ha lanciato il suo progetto sull’isola indonesiana di Bali, dove le pressioni del settore turistico a volte divergono dalle istanze ambientaliste creando dibattito sul futuro dell’economia locale. Audria Evelinn ha voluto dare il suo contributo, progettando una piattaforma online da cui le persone possono ordinare direttamente i raccolti freschi locali. Nella sua azienda si sperimentano anche pratiche di gestione cooperativa e sistemi di reimpiego dei prodotti per risolvere il problema dello spreco alimentare. L’esperienza di Little Spoon Farm conferma che non solo sono necessarie misure di cooperazione internazionale dall’alto: il coinvolgimento delle giovani generazioni e delle istanze dal basso nella lotta al cambiamento climatico è imprescindibile se si vogliono trovare soluzioni efficaci per il futuro del pianeta.

Il Presidente Prodi interverrà al Global Business Forum ASEAN a Expo 2020 Dubai

Mercoledì 8 dicembre alle ore 9,45 locali, Romano Prodi – Presidente di Associazione Italia-ASEAN ed ex Presidente della Commissione Europea – interverrà al Global Business Forum ASEAN. Organizzato nell’ambito di Expo 2020 Dubai, l’evento durerà due giorni con una serie di incontri (qui il programma). Nel panel al quale interverrà il Presidente Prodi si parlerà del ribilanciamento delle catene di approvvigionamento globali post Covid e post RCEP.

Il giorno seguente, il Presidente Prodi aprirà l’High Level Meeting organizzato dal Commissariato dell’Italia a Expo 2020 Dubai in collaborazione con l’Associazione Italia-ASEAN e la Camera di Commercio di Dubai. Visti gli sviluppi pandemici, all’evento sarà consentito partecipare anche da remoto.

 

Indonesia: COP26 e road to G20 2022

Speciale G20 Indonesia /

Dagli impegni presi durante la conferenza sul clima di Glasgow agli obiettivi della presidenza di turno del G20: ecco quale può essere il futuro di Giacarta

Quest’anno il vertice COP26 è stato ospitato dai governi del Regno Unito e dell’Italia nella città scozzese di Glasgow. Come ogni anno, la COP è un momento importante che riunisce quasi tutti i Paesi con l’obiettivo di garantire un’azione tempestiva sui cambiamenti climatici. Nonostante le sfide poste dalla pandemia, i cambiamenti climatici continuano a generare gravi conseguenze ambientali, sociali ed economiche. Il vertice di quest’anno ha avuto l’arduo compito di affrontare il fallimento dell’ultima COP25 tenutasi a Madrid nel 2019, e ha presentato alcune sfide, tra cui interessi in competizione tra Paesi in via di sviluppo e Paesi sviluppati, la questione del finanziamento del clima e le regole irrisolte per i mercati internazionali del carbonio che figuravano nell’articolo 6 dell’accordo di Parigi.

L’agenda della conferenza è stata suddivisa in cinque sessioni:

  1. Adattamento allo scaling-up;
  2. Mantenere in vita 1,5°C;
  3. Perdita e danno;
  4. Finalizzazione del Regolamento di Parigi – Articolo 6;
  5. Mobilitazione delle finanze.

Sin dall’inizio della Conferenza è emersa la forte (ma soprattutto necessaria) volontà politica dei leader mondiali a raggiungere gli obiettivi ambientali globali, ma l’Indonesia, data la sua posizione tra i principali contributori al cambiamento climatico globale, quali sforzi climatici sta compiendo e quali strategie sta mettendo in atto per influenzare positivamente il suo impatto ambientale interno e internazionale?

“L’Indonesia è un Paese super potente nel campo della mitigazione dei cambiamenti climatici”, queste le parole di Alok Sharma, presidente designato per la 26a Conferenza delle parti sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite, al Ministro dell’ambiente indonesiano Siti Nurbaya durante l’attesissimo incontro di Glasgow. Il governo inglese ha affermato che la collaborazione con l’Indonesia è stato uno degli elementi più importanti del successo della Gran Bretagna come host della COP26 ed ha espresso il desiderio di una continuità tra i due soggetti, realizzata e rafforzata attraverso la leadership congiunta nell’ambito del dialogo relativo alla silvicoltura, all’agricoltura e al commercio delle materie prime (FACT).

Il vertice sul clima ha offerto al presidente indonesiano Joko Widodo (“Jokowi”) l’opportunità di dare voce alla sua visione dell’Indonesia come “costruttore di ponti” e risolutore di problemi globali. Il presidente ha sottolineato la serietà del governo nel voler controllare il cambiamento climatico, che ha affermato essere tra i principali interessi nazionali del Paese; ha incoraggiato i leader mondiali a promuovere lo sviluppo verde e ad aumentare la resilienza climatica, come si evince dall’aggiornamento del Nationally Determined Contribution (NDC) presentato alla Conferenza delle Nazioni Unite nel luglio di quest’anno.

Finora, l’Indonesia ha presentato diversi documenti alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), 8 in tutto, che vanno da quelli relativi all’adattamento a quelli inerenti al finanziamento di soluzioni nature-based. In ognuno di questi documenti, il governo indonesiano ha ribadito il suo impegno a ridurre le emissioni del 29% rispetto allo scenario Business As Usual (BAU) nel 2030. In sede di Conferenza, il Ministro per l’ambiente indonesiano, Siti Nurbaya Bakar, ha aggiunto che col supporto internazionale, si potrebbe ottenere uno scenario più ambizioso arrivando ad abbattere il 41% delle emissioni e rispettare, in questo modo, il Low Carbon Compatible with Paris Agreement (LCCP). Entro il 2030, l’Indonesia si avvicinerà allo stato di essere un pozzo di carbonio netto nel settore della silvicoltura e dell’uso del suolo: il governo ha in programma di ridurre gradualmente l’uso del carbone fino al 60% entro il 2050 e procederà verso una condizione di emissioni nette pari a zero entro il 2070.

In qualità di capo della delegazione della Repubblica di Indonesia per la COP26, alla Conferenza il ministro Siti ha introdotto la Road Map governativa per l’adattamento ai cambiamenti climatici fino al 2030. Questo nuovo percorso ha previsto (e prevede per il futuro) diverse iniziative: la prima ha visto il coinvolgimento attivo della comunità attraverso il Climate Village Program (ProKlim), Ecoriparian: un programma che mira al ripristino dell’ecosistema di mangrovie e agro-forestazione sociale come fase di lavoro per l’adattamento climatico. Il programma ha coinvolto e integrato anche i programmi di lavoro di Ministeri e Agenzie, i governi locali, il settore privato e i leader delle comunità locali.

La seconda iniziativa nell’azione per il controllo del cambiamento climatico è “Indonesia FoLU Net-sink 2030“. Questo ambizioso obiettivo sarà accompagnato da un manuale di operatività, il cui completamento è previsto entro la fine del 2021, con finalità di supervisione e controllo. L’azione indonesiana sui cambiamenti climatici nel settore energetico mira alla graduale eliminazione delle centrali elettriche a carbone, all’implementazione dei termovalorizzatori, allo sviluppo di energia da biomassa, energia idroelettrica, solare e fotovoltaica, all’energia geotermica e alla conversione di centrali diesel ad alto costo con gas e NRE.

Nella sessione dedicata al “Finalising the Paris Rulebook – Article 6”, il viceministro indonesiano Alue ha presentato una proposta per trovare una soluzione comune per mettere in atto l’articolo 6 dell’Accordo di Parigi:

  • aumentare l’ambizione e l’attuazione dei risultati del NDC (Nationally Determined Contriution) attraverso un approccio cooperativo e il sostegno finanziario tra gli Stati membri continuando a garantire il raggiungimento dell’integrità ambientale dalle azioni di mitigazione svolte;
  • al fine di evitare una doppia pretesa nella riduzione delle emissioni, l’Indonesia propone di utilizzare la migliore metodologia nella preparazione della linea di base, trasparente nella rendicontazione e basata sulle circostanze nazionali;
  • in termini di erogazione di fondi per le attività di adattamento possono essere effettuati previo accordo delle due parti che cooperano;
  • l’Indonesia incoraggia anche l’adozione dell’articolo 6 dell’accordo di Parigi alla COP 26 di Glasgow, considerando la sua importanza nel sostenere l’aumento dell’ambizione e l’attuazione degli NDC per raggiungere l’obiettivo a lungo termine di ridurre le temperature globali a 1,5°C.

La COP26 di Glasgow è anche stata il punto d’inizio della discussione sul New Collective Quantified Goal (NCQG). Per l’Indonesia, l’NCQG deve riflettere i bisogni reali e garantire che le finanze affluiscano effettivamente ai Paesi in via di sviluppo. Il processo di discussione del NCQG può essere avviato da una prospettiva politica e tecnica. Riunioni multilaterali o bilaterali formali e informali possono essere utilizzate per ottenere input e opinioni dalle parti, che possono essere parte del processo. L’intero processo deve essere inclusivo e trasparente. Il NCQG deve anche essere più ambizioso e comprensibile sia per i Paesi sviluppati che per quelli in via di sviluppo e più equilibrato in termini di utilizzo dei finanziamenti per il clima per la mitigazione e l’adattamento.

Il Ministro Siti Nurbaya Bakar ha posto particolare attenzione ed enfasi sull’aspetto economico e finanziario esortando i Paesi sviluppati ad assumere la guida nel fornire ai Paesi in via di sviluppo le risorse finanziarie necessarie per attuare i programmi climatici. Il trade-off tra economia e ambiente è un problema. Il coordinamento tra governo centrale e leader locali è un’altra sfida che l’Indonesia deve risolvere per raggiungere i suoi obiettivi climatici. Essendo un grande Paese in via di sviluppo, con la quarta popolazione mondiale, l’Indonesia avrà bisogno di 5,7 miliardi di dollari ogni anno per finanziare la sua transizione verso l’energia verde. La sfida non sta nella redazione o firma di accordi e decreti, ma nel coordinamento e nell’esecuzione necessari per attuarli efficacemente. Le azioni per il clima richiedono politiche strategiche e cooperazione finanziaria tra le parti interessate a livello nazionale e globale. Pertanto, la speranza del governo indonesiano è quella di continuare a spingere per un sostegno all’aumento dei finanziamenti per il clima, anche attraverso la politica fiscale e l’aumento dell’accesso alle finanze globali.

Il Ministro Siti ha voluto concludere il suo discorso con una nota positiva in riferimento alle giovani generazioni, le quali nutrono una grande preoccupazione per l’ambiente e spingono il governo indonesiano a prendere più seriamente il cambiamento climatico. Un sondaggio del 2020 dell’Indonesia Bright Foundation ha rilevato che il 97% dei millennials indonesiani vede che gli impatti dei cambiamenti climatici sono ugualmente o più pericolosi della pandemia di COVID-19. Il 63% degli intervistati ha affermato che le prestazioni del governo sono state il principale ostacolo agli sforzi per il clima. Anche il principale gruppo di politica estera indonesiana, la Foreign Policy Community of Indonesia, ha recentemente lanciato un forte appello al governo per proteggere la nazione in occasione del centenario d’oro (2045) dalla minaccia della crisi climatica. La consapevolezza del cambiamento climatico in Indonesia sta crescendo e potrebbe supportare uno sforzo del governo più robusto.

L’Indonesia alla presidenza del G20 nel 2022

Per la prima volta dalla fondazione del G20 nel 1999, l’Indonesia è stata nominata per assumere la presidenza del G20 dal 1° dicembre 2021 al 30 novembre 2022. Il modus operandi che il Paese adotterà per il Summit del prossimo anno sarà quello di concentrare il dialogo internazionale sugli sforzi per raggiungere un recupero economico sostenibile, stabile ed equilibrato nel mondo post-pandemico.

Il Ministro degli Esteri indonesiano Retno Marsudi ha anticipato che il Summit del prossimo anno sarà ospitato sull’isola di Bali nel rispetto di stretti protocolli sanitari e si intitolerà: “Recover Together, Recover Stronger”.

Il tema scelto (in italiano: “Recuperare insieme, recuperare più forte”) ha lo scopo di incoraggiare gli sforzi congiunti per la ripresa economica mondiale. Una crescita inclusiva, incentrata sulle persone, rispettosa dell’ambiente e sostenibile è il principale impegno dell’Indonesia come presidente del G20. “Questi sforzi devono essere portati avanti attraverso una più forte collaborazione globale e un’innovazione incessante. Il G20 deve essere il motore dello sviluppo dell’ecosistema che guida la collaborazione e l’innovazione”, ha aggiunto il Presidente Widodo.

All’epoca della creazione del G20, la crisi finanziaria asiatica degli anni 1997-98 ebbe forti conseguenze sull’Indonesia: il crollo del Pil (-13,1% nel 1998) e le sempre più forti potreste popolari portarono alla caduta del regime di Suharto. Sotto la guida del suo successore, Habibie, il Paese intraprese un percorso di democratizzazione e riforme economiche che l’hanno portato a diventare una delle più dinamiche economie del Sud-Est asiatico. Insieme all’Arabia Saudita e alla Turchia, Jakarta è un membro G20 a maggioranza islamica, ma porta avanti istanze ben diverse dagli altri due soggetti citati. Sin dall’inizio infatti, Giacarta si è assegnata il ruolo di mediatrice all’interno del Gruppo dei 20 tra le economie occidentali ed i Paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). La mediazione indonesiana è stata importante anche nel sensibilizzare il forum alle problematiche dei Paesi emergenti e delle economie esterne al Gruppo dei 20. L’esperienza indonesiana ha permesso a Giacarta di fornire al G20 il punto di vista di un Paese emergente e di individuare uno schema di supporto per le nazioni che, come spesso accade nel caso delle economie in via di sviluppo, hanno un ridotto margine di manovra fiscale.

Oltre al ruolo di mediatore, l’Indonesia nel G20 ha svolto la funzione fondamentale di rappresentante dell’ASEAN all’interno del Gruppo. Giacarta è infatti l’unico membro G20 appartenente all’unione economica che comprende anche Brunei, Cambogia, Thailandia, Laos, Filippine, Vietnam, Malesia, e Myanmar. In virtù di ciò, l’Indonesia ha dunque sempre partecipato al G20 facendosi portatrice anche delle posizioni dell’ASEAN.

La presenza dell’Indonesia all’interno del G20 è, quindi, sia dovuta al peso economico e demografico di Giacarta, ma anche alla necessità di inserire nel Gruppo dei Venti un rappresentante di una regione di crescente importanza nel commercio globale. Giacarta ha sempre visto nel G20 l’opportunità per portare sul piano globale le istanze del Sud-Est asiatico, in particolare la preservazione di un’architettura regionale stabile e l’integrazione della regione nell’economia globale.

Ora puoi partecipare anche online all’ASEAN-UAE-ITALY High Level Meeting

L’High Level Meeting “A Partnership for Success in Asia, The Gulf and Europe” si avvicina. Temporalmente ma anche fisicamente. Top manager pubblici e privati dei Paesi ASEAN, Italia ed Emirati Arabi Uniti saranno riuniti per la prima volta il 9 dicembre a Dubai per esplorare obiettivi e modalità concrete di collaborazioni bi e trilaterali nel campo dello sviluppo sostenibile attraverso l’uso di risorse tecnologiche e finanziarie innovative.

Ma, visti gli ultimi sviluppi sanitari legati alla pandemia di Covid-19, è stato deciso che sarà permessa la partecipazione anche da remoto. A tutti sarà dunque consentito seguire l’evento, a prescindere dal luogo in cui si trovano.

Il “vertice”, organizzato dal Commissariato dell’Italia a Expo 2020 Dubai in collaborazione con l’Associazione Italia-ASEAN e la Camera di Commercio di Dubai, sarà aperto dagli interventi di Romano Prodi, Presidente dell’Associazione Italia-ASEAN ed ex Presidente della Commissione Europea, Lim Jock Hoi, Segretario Generale dell’ASEAN, e di un esponente del governo degli Emirati Arabi Uniti.

L’High Level Meeting, “A Partnership for Success in Asia, The Gulf and Europe”, avrà l’obiettivo di definire modelli innovativi per il rilancio dell’economia dopo l’emergenza sanitaria attraverso collaborazioni multilaterali tra Paesi che svolgono un ruolo strategico nell’area del Mondo – dal Mediterraneo all’Asia passando per il Golfo – dove si avranno nei prossimi anni i tassi di maggiore crescita economica, tecnologica e finanziaria, ma anche le maggiori problematiche relative ai cambiamenti climatici, alla transizione energetica e alla sostenibilità sociale.

Con l’intento di aprire la strada per nuove partnership bilaterali e trilaterali tra operatori pubblici e privati dell’area, l’evento si focalizzerà sui seguenti temi: tecnologie e finanza per la sostenibilità; energie rinnovabili; agricoltura sostenibile. Gli argomenti saranno affrontati in tre separati Gruppi di Lavoro, guidati dai Vicepresidenti dell’Associazione Italia-ASEAN, l’Ambasciatore Michelangelo Pipan e Prof. Romeo Orlandi, e dal Vicecommissario per l’Expo di Dubai Marcello Fondi. I moderatori saranno affiancati da esponenti delle autorevoli istituzioni specializzate che hanno fornito la documentazione di base: ERIA (Economic Research Institute for ASEAN and East Asia), Irena (Agenzia internazionale per le energie rinnovabili), Confagricoltura con un membro del board.

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