Il Libro Blu ASEAN-UE 2024-2025

Il documento sottolinea il partenariato strategico tra l’ASEAN e l’UE e presenta nuovi programmi di cooperazione

L’ASEAN e l’UE hanno lanciato il Libro Blu ASEAN-UE 2024-2025 presso la sede dell’ASEAN a Giacarta. Il Libro Blu sottolinea il partenariato strategico tra l’ASEAN e l’UE e illustra i nuovi programmi di cooperazione nell’ambito della strategia Global Gateway dell’UE. Il Libro Blu testimonia la solida e completa cooperazione tra l’ASEAN e l’UE con l’obiettivo di garantire la pace e la sicurezza regionale, favorire la connettività sostenibile, promuovere un commercio libero ed equo e promuovere lo sviluppo sostenibile in tutta l’ASEAN. Il Libro Blu di quest’anno evidenzia anche l’approccio e le iniziative del Team Europe sulla connettività sostenibile e la transizione verde nella regione ASEAN. Nell’ambito della strategia Global Gateway, l’UE si è impegnata a mobilitare 10 miliardi di euro di investimenti da parte del Team Europe per programmi verdi e di connettività nell’ASEAN. In 47 anni di relazioni ASEAN-UE, abbiamo dimostrato la forza del nostro partenariato strategico e ciò che possiamo fare insieme di fronte alle sfide globali. Questo Libro Blu offre una panoramica completa delle relazioni sfaccettate e profonde tra le nostre regioni e dell’impegno delle nostre due regioni a unire le forze per perseguire i nostri obiettivi comuni”, ha dichiarato S.E. Sujiro Seam, ambasciatore dell’Unione europea presso l’ASEAN. Il Libro Blu ASEAN-UE continua ad essere una preziosa piattaforma per illustrare il significativo sostegno dell’UE agli sforzi di costruzione della comunità ASEAN, il potenziale del nostro partenariato strategico e i progressi e i principali risultati ottenuti nell’attuazione del Piano d’azione ASEAN-UE (2023-2027)”, ha dichiarato S.E. Dr. Kao Kim Hourn, Segretario Generale dell’ASEAN. L’ambasciatore Hjayceelyn M. Quintana ha dichiarato: “L’approfondimento del partenariato strategico tra l’ASEAN e l’UE, due delle organizzazioni regionali più avanzate e di successo al mondo, potrebbe servire da modello di partenariato per altri raggruppamenti in tutto il mondo, che contribuiscono alla promozione della pace, della stabilità e della prosperità internazionali”.

I punti salienti del Libro blu ASEAN-UE 2024-2025 comprendono: 

  1. Il vertice commemorativo ASEAN-UE del dicembre 2022 e la 24a riunione ministeriale ASEAN-UE, che si terrà nel febbraio 2024 a Bruxelles;
  2. L’iniziativa Global Gateway, che illustra l’impegno dell’UE di 10 miliardi di euro dal Team Europe per progetti verdi e di connettività nell’ASEAN;
  3. il 5° dialogo politico ASEAN-UE sui diritti umani dell’ottobre 2023, preceduto dal 3° Forum della società civile ASEAN-UE e seguito dalla visita di studio AICHR-UE a Strasburgo;
  4. Priorità di cooperazione dell’UE e aggiornamenti sui progetti sostenuti dall’UE nei settori chiave dell’ASEAN;
  5. storie avvincenti dal campo, che illustrano l’impatto tangibile della cooperazione ASEAN-UE sulla vita dei cittadini dell’ASEAN.

Qui per scaricare il Libro Blu

Sostenibilità significa redditività

Pubblichiamo qui uno stralcio dell’analisi di Benjamin Soh per e27

I Paesi dell’ASEAN hanno costantemente raggiunto alti tassi di crescita economica, attribuiti ad attente strategie macroeconomiche, a politiche commerciali e di investimento aperte e all’accesso ai mercati di esportazione dei Paesi sviluppati. Un motore fondamentale delle economie dell’ASEAN è costituito dalle catene di fornitura manifatturiere. Dal 2015 al 2019, le esportazioni manifatturiere dei dieci Stati membri dell’ASEAN hanno registrato una crescita media annua del 5%, superiore alla media globale del 3%. Man mano che i governi di tutto il mondo implementano le normative ESG e di rendicontazione, le imprese e i produttori dell’ASEAN si trovano di fronte a una maggiore urgenza e pressione nell’adottare pratiche sostenibili per mantenere la competitività nelle catene di fornitura globali. Vi sono notevoli opportunità di estendere le proprie capacità produttive e di affermare la propria competitività nel settore della produzione verde. A livello globale, i quadri normativi si sono evoluti rapidamente. Nell’ambito del Carbon Border Adjustment Mechanism, le esportazioni verso l’Europa saranno soggette a una carbon tax sulle loro emissioni a partire dal 2026. Molti governi dell’ASEAN hanno iniziato ad adottare un approccio graduale per incorporare i nuovi standard globali di rendicontazione della sostenibilità, con la rendicontazione delle emissioni che diventerà obbligatoria secondo gli standard normativi a partire dal 2025. Non c’è dubbio che la sostenibilità equivalga alla redditività nel lungo periodo. È tempo che i Paesi ASEAN estendano la loro attenzione e le loro capacità dalla produzione alla produzione verde per mantenere la competitività nel mercato globale. I Paesi ASEAN possono trarre vantaggio dalla collaborazione transfrontaliera per costruire la loro economia e forza lavoro verde. Ad esempio, il bilancio 2024 del governo di Singapore ha previsto un approccio di sostegno graduale per le imprese sulla loro tabella di marcia per la digitalizzazione, concentrandosi in particolare sul sostegno finanziario per la formazione e l’adozione del digitale e delle tecnologie digitali come l’IA. Si tratta di un approccio che gli altri governi dell’ASEAN possono considerare di emulare per far progredire le iniziative ESG nella regione. I governi dell’ASEAN possono anche prendere in considerazione l’introduzione di una serie di linee guida standardizzate in relazione all’informativa ESG per aiutare le aziende a essere a prova di futuro rispetto all’obbligo di rendicontazione della sostenibilità che verrà implementato nel 2025. Esempi rilevanti già implementati nella regione sono il Simplified ESG Disclosure Guide (SEDG) Adopter Programme in Malesia e il Sustainability Report (SuRe) Form nelle Filippine.

Chi è Lawrence Wong, nuovo Premier di Singapore

Dopo 20 anni Singapore cambia Premier. E per la prima volta non si tratta di un membro della famiglia Lee

Di Francesco Mattogno

Il 15 maggio Singapore avrà un nuovo primo ministro, il quarto della sua storia. Come è sempre accaduto dall’indipendenza della città-stato (1965) a oggi, anche in questo caso il passaggio di consegne non sarà dovuto al risultato di un’elezione, o a un voto di sfiducia in parlamento. Per la terza volta da quando è al potere, cioè da sempre, il Partito Popolare d’Azione (PAP) ha programmato con cura e largo anticipo il cambio di leadership, che passerà nelle mani della “quarta generazione” (4G) di leader del partito.

Lo scorso 15 aprile l’attuale premier Lee Hsien Loong, in carica dal 2004, ha annunciato che lascerà il posto a Wong Shyun Tsai, per tutti Lawrence Wong. A sottolineare come tutto sia stato organizzato nei minimi particolari, con un mese di anticipo si è già a conoscenza dell’orario in cui si terrà la cerimonia di giuramento nel palazzo presidenziale di Singapore, cioè alle 20:00 del 15 maggio, appunto. Wong diventerà così il quarto primo ministro nella storia del Paese, il secondo a non essere un membro della famiglia Lee.

Lee Hsien Loong è infatti il figlio maggiore di Lee Kuan Yew, salito al potere nel 1959 e primo premier della storia indipendente della Repubblica di Singapore, divenuta uno stato autonomo nel 1965 a seguito della scissione dalla Malaysia. Il PAP governa ininterrottamente da allora, legittimato dall’enorme crescita economica della città-stato, che nel corso dei decenni ha trasformato in uno dei principali centri finanziari del mondo. A Singapore si tengono regolarmente delle elezioni, che il PAP ha sempre stravinto, monopolizzando il parlamento. Le prossime sono previste entro novembre del 2025, ma potrebbero essere anticipate.

Il cambio di leadership avviene forse nel momento più delicato della storia del PAP. Intanto, al contrario di quello che accadde durante il passaggio di consegne nel 1990 tra Lee Kuan Yew e il suo successore, Goh Chok Tong, la storica presa della famiglia Lee sul partito sembra destinata a svanire nel prossimo futuro. All’epoca Goh nominò subito Lee Hsien Loong come suo vice, rendendo già chiaro come sarebbe stato lui il futuro leader del PAP e premier del paese, con un oltre decennio di anticipo.

Oggi invece non sembrano vedersi all’orizzonte degli eredi dei Lee pronti a mantenere il PAP un bene di proprietà della famiglia anche nei decenni a venire. Questo farà di Wong il primo premier a non avere connessioni esplicite con i Lee, anche se è probabile che, almeno per i prossimi anni, Lee Hsien Loong continuerà a esercitare la sua influenza sul PAP e quindi sul paese.

Complice anche questa situazione, il partito ha iniziato a mostrare segni di fragilità. Wong non era la prima scelta per il cambio di leadership. Prima di lui nel 2018 era stato designato Heng Swee Keat, che avrebbe dovuto prendere il posto di Lee già qualche anno fa. Lo scoppio della pandemia da Covid ha portato il PAP a rimandare la transizione, la cui stabilità è stata poi messa in discussione dalle elezioni del 2020, nelle quali il partito ha conquistato “solo” 83 dei 93 seggi elettivi, uno dei peggiori risultati della sua storia. L’esito relativamente modesto del voto ha convinto Heng a farsi da parte.

La pandemia si è invece rivelata un’occasione, per Wong. Già ministro delle Finanze e vicepremier, Wong si è fatto notare per il buon lavoro portato avanti da copresidente della task force messa in piedi dal governo per gestire l’emergenza causata dal Covid. Nel 2022 i vertici del PAP lo hanno quindi nominato leader della 4G e di fatto successore di Lee, ma non all’unanimità (15 favorevoli su 19), denotando quantomeno una leggera frammentazione interna. A questo vanno sommati gli scandali che negli ultimi mesi hanno portato tecnicamente alle dimissioni, in pratica all’allontanamento, dello speaker del parlamento Tan Chuan-Jin (per una storia extraconiugale con una deputata) e del ministro dei Trasporti, Subramaniam Iswaran, accusato di corruzione (ne avevamo parlato qui).

Le due vicende hanno fatto scalpore, minando l’immagine di integrità e correttezza che il PAP si è costruito nel corso dei decenni e contribuendo al rafforzamento dell’opposizione, guidata dal Partito dei Lavoratori (WP). Gli esponenti della 4G del partito non godono quindi dello stesso livello di adulazione mostrata dai singaporiani verso i leader precedenti (non mancano già i nostalgici e le agiografie di Lee Hsien Loong).

Wong dovrà vedersela con questo e con una situazione interna che non è delle migliori. Nonostante il reddito pro-capite di Singapore resti tra i più alti al mondo (80 mila dollari nel 2022), le disuguaglianze di reddito tra la fascia alta e bassa della popolazione sono in aumento, così come il costo della vita. Questo sta portando i singaporiani a fare sempre meno figli o a lasciare la città-stato, mentre la percezione del paese come centro finanziario stabile sta venendo intaccata dall’incremento della corruzione e dal riciclaggio di denaro “sporco”. Le varie crisi internazionali stanno inoltre mettendo in discussione l’ordine internazionale che ha permesso a Singapore di prosperare negli ultimi decenni.

Il ruolo globale delle Filippine

La nuova postura geopolitica delle Filippine dopo il summit Marcos-Biden-Kishida: un cambio radicale dalle politiche di Duterte e le sue implicazioni per l’ASEAN

Di Luca Menghini

Lo storico summit trilaterale tenutosi a Washington, presieduto dal Presidente filippino Ferdinand Marcos Jr., dal Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, e dal Presidente giapponese Fumio Kishida, ha marcato un cambiamento radicale nella politica estera delle Filippine. Questo cambiamento non solo ridefinisce le relazioni internazionali di Manila ma ha anche delle implicazioni più vaste per l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN).

Durante la precedente amministrazione del Presidente Rodrigo Duterte, le Filippine hanno perseguito una politica di avvicinamento verso la Cina, adottando un tono sommesso nelle dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale in favore di incentivi economici. Questo approccio è stato spesso criticato per aver compromesso la sovranità nazionale del paese in cambio di un ritorno economico. Infatti, l’amministrazione Duterte ha prioritizzato gli investimenti cinesi nelle infrastrutture a discapito di una maggiore difesa dei propri confini marittimi. Tuttavia, sembra ormai chiaro che queste politiche sono state abbandonate dal nuovo presidente Marcos Jr., che sta prioritizzando la difesa territoriale.

Il summit trilaterale rappresenta un chiaro cambio di passo rispetto alle politiche sino-centriche di Duterte, legando le Filippine militarmente e strategicamente al Giappone e agli Stati Uniti. Questo cambiamento è una chiara risposta alle crescenti preoccupazioni che riguardano le azioni cinesi che stanno sempre di più minacciando l’integrità territoriale del paese. In questo contesto, le Filippine stanno puntando ad aumentare le loro difese marittime e a garantirsi un supporto in caso di scoppio di un conflitto regionale.

Questo riorientamento è profondo e non solo aumenta la sicurezza delle infrastrutture filippine ma accresce le sinergie economiche e tecnologiche con due delle più grandi economie a livello mondiale. La discussione del summit ha coperto vari aspetti che vanno dalla cooperazione della guardia costiera alla difesa, dalla cybersicurezza ai minerali rari, fino ad arrivare all’energia, aprendo la strada a una diversificazione degli investimenti nelle Filippine al di là dei settori tradizionali.

La strategia di Marcos Jr. riflette una comprensione più profonda dello scenario geopolitico della regione. Sebbene i legami economici con la Cina siano importanti, essi non possono essere secondari alla sicurezza nazionale e alla sovranità territoriale. Questo atto, volto a bilanciare la situazione è cruciale, specialmente visto il fatto che le Filippine sono in una posizione strategica nel Mar Cinese Meridionale, che è diventato sempre più rilevante come rotta cruciale per il commercio e ha visto un aumento delle manovre da parte della marina militare cinese.

Le implicazioni di questo cambio strategico si riflettono non solo a livello nazionale ma anche a livello dell’ASEAN nel suo insieme. L’ASEAN, conosciuto per essere un blocco regionale che si pone come obiettivo di raggiungere il consenso e la non interferenza, sta affrontando delle sfide nel mantenere l’unità alla luce degli approcci che i singoli stati membri stanno adottando nei confronti della Cina e degli Stati Uniti. La nuova posizione delle Filippine potrebbe potenzialmente influenzare altri stati membri a ribilanciare il loro posizionamento portando gli stati ad orientarsi verso una maggiore cooperazione con gli Stati Uniti e gli altri partner occidentali o ad affermare ulteriormente la loro indipendenza evitando un confronto diretto con la Cina.

Inoltre, il cambio della posizione di Manila è destinato a influenzare la posizione collettiva dell’ASEAN verso la Cina. Tradizionalmente, l’ASEAN ha sempre adottato un approccio cauto verso Pechino, dato il suo potere economico e militare. Tuttavia, con le Filippine pronte ad allinearsi apertamente verso un approccio più fermo verso la superpotenza asiatica, altri paesi membri dell’ASEAN potrebbero sentirsi più incoraggiati o facilitati a prendere una posizione più ferma nella difesa dei diritti marittimi, che potrebbe potenzialmente portare a una riconfigurazione delle dinamiche regionali.

Dalla prospettiva economica, l’allineamento delle Filippine con gli Stati Uniti e il Giappone potrebbe portare ad un aumento degli investimenti americani e giapponesi nella regione, che potrebbe bilanciare gli investimenti massicci e l’influenza esercitata dai cinesi attraverso la Belt and Road Initiative. Questo potrebbe portare a un più diversificato panorama di investimenti per i paesi dell’ASEAN, riducendo la dipendenza dalla Cina e potenzialmente anche riducendo il rischio associato alle tensioni geopolitiche.

La diversificazione delle fonti di investimento potrebbe avere l’effetto di stimolare la crescita economica in settori come quello tecnologico, delle fonti rinnovabili e della manifattura avanzata, offrendo nuove opportunità per lo sviluppo economico all’interno dell’ASEAN. Un cambiamento di questo tipo potrebbe aumentare il potere negoziale del blocco nei negoziati internazionali, promuovendo in questa maniera una distribuzione più equa dei benefici economici tra i suoi membri.

In conclusione, il cambio strategico delle Filippine seguito da un summit trilaterale con Giappone e Stati Uniti rappresenta una evoluzione significativa all’interno dello scacchiere geopolitico del Sud-Est asiatico. Questa mossa, divergendo in maniera sostanziale dalle politiche adottate dai predecessori di Marcos Jr., sottolinea la complessità della sicurezza nell’ASEAN e come gli attori si debbano muovere per essere indipendenti, anche da un punto di vista economico. Mentre le Filippine aumentano i loro legami con le potenze occidentali, le implicazioni per l’ASEAN possono includere un posizionamento più ambivalente verso le potenze globali. Come l’ASEAN gestirà questi cambiamenti sarà cruciale per la stabilità e la prosperità della regione negli anni a venire.

Cogliere le opportunità del mercato Halal

Le imprese italiane possono beneficiare dell’esperienza malese.

Editoriale a cura di Consulate of Malaysia / Malaysia External Trade Development Corporation (MATRADE)

Visto attraverso una lente commerciale, l’attuale mercato Halal offre una miriade di opportunità interessanti con un notevole valore economico su scala globale. Come evidenziato nel rapporto di analisi intitolato “Global Halal Economy Growth Opportunities” della società di ricerca e consulenza Frost & Sullivan, si prevede che il mercato dell’economia halal globale subirà una crescita significativa, con l’aspettativa di raggiungere i 4,96 trilioni di dollari entro il 2030, rispetto ai 2,30 trilioni di dollari del 2020. Mentre i mercati halal tradizionali, principalmente nei Paesi a maggioranza musulmana, si stanno avvicinando alla saturazione, nuovi mercati stanno sorgendo in tutto il mondo, offrendo prospettive commerciali lucrative per il settore, anche in regioni come l’Europa.

Ravidran Manogaran, Console e Commissario per il Commercio della Malesia a Milano, ha sottolineato le opportunità commerciali inesplorate nel settore Halal italiano, ben posizionato per servire la crescente comunità musulmana e l’afflusso di turisti musulmani. Ha espresso la speranza che si percepisca l’halal non solo per i suoi valori etici islamici, ma anche come una proposta di valore globale. Ha sottolineato che l’economia halal significa garanzia di qualità ed è in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Inoltre, Ravidran ha sottolineato che quando si guarda all’halal in modo olistico, esso include aspetti come l’igiene, la pulizia, la sicurezza sanitaria e l’inclusività, tutti elementi che esercitano un fascino su diverse comunità.

Nell’ambito della strategia nazionale volta a fare della Malesia il principale hub Halal a livello mondiale, la Malaysia External Trade Development Corporation (MATRADE) è impegnata a promuovere l’internazionalizzazione dei prodotti e dei servizi Halal attraverso il Malaysia International Halal Showcase (MIHAS), uno stimato evento annuale riconosciuto a livello mondiale come la più grande esposizione Halal. Ravidran rivolge un invito alle aziende italiane interessate a partecipare alla MIHAS di quest’anno, in programma al Malaysia International Trade and Exhibition Centre (MITEC) di Kuala Lumpur dal 17 al 20 settembre 2024. La partecipazione al MIHAS rappresenterà una preziosa opportunità per le imprese italiane di entrare in contatto con i consumatori musulmani in Italia e nelle regioni circostanti. Attraverso la collaborazione con i produttori certificati Halal della Malesia, le aziende italiane possono esplorare le possibilità di branding di marchi privati e addentrarsi in diversi settori Halal in espansione oltre a quello alimentare, come quello farmaceutico, della finanza islamica, della moda modesta e del turismo musulmano.

Gli importatori italiani che cercano prodotti/servizi Halal dalla Malesia sono incoraggiati a partecipare a sessioni di incontro commerciale B2B attraverso l’International Sourcing Programme (INSP) insieme al MIHAS, disponibile in formato virtuale, fisico e ibrido. Nel frattempo, le aziende italiane interessate a esportare in Malesia sono invitate a esporre i loro prodotti e servizi Halal al MIHAS.

Gli interessati possono contattare il Consolato della Malesia / MATRADE a Milano per maggiori informazioni al numero di telefono +39 02 669 81839 o all’indirizzo e-mail milan@matrade.gov.my. 

* Nota: MATRADE è l’agenzia nazionale per la promozione del commercio sotto il Ministero degli  Investimenti, Commercio e Industria (MITI) della Malesia, responsabile della promozione delle esportazioni e del posizionamento delle aziende malesi sul mercato.

Mr. Ravidran Manogaran
Consul & Trade Commissioner
Consulate of Malaysia,
Malaysia External Trade Development Corporation (MATRADE),
Via Alberico Albricci 9
Milan, Lombardy 20122
Italy.
Tel : +39-02-669 81839 
Fax : +39-02-670 2872 
Email: milan@matrade.gov.my
Countries of Coverage: Albania, Corsica, Croatia, Cyprus, Greece, Italy, Kosovo, Malta, Montenegro, Serbia, Slovenia

Photos of MIHAS

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International Sourcing Programme (INSP) ) in-conjunction with MIHAS

(B2B Business Matching)

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Global Halal Summit (GHaS)

(Halal summit/conference)

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Knowledge Hub 

(Halal Seminar/Talks)

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Fashion Show

(focused on modest fashion)

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Event Venue: MITEC

Address: 8 Jalan Dutamas 2, 50480 Kuala Lumpur

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The Malaysia International Trade and Exhibition Centre (MITEC) is the country’s largest exhibition centre with 1 million square feet of gross exhibition space. The first component and flagship of KL Metropolis, a city within a city where trade, commerce, living and transport converge over 75.5 acres of prime land development, MITEC is poised to be the exhibition venue of choice in the Southeast Asia region. The 12,960 sqm of column free space on level 3 providing an unobstructed and expansive view, making it the largest pillar-less exhibition hall in Malaysia. The entire combined exhibition halls are able to accommodate up to 47,700 visitors in theatre style seating and 28,300 guests in the banquet arrangement at any one time. 

Lo sviluppo dell’alta velocità in ASEAN

Dal Vietnam all’Indonesia fino alla Thailandia. I Paesi del Sud-Est asiatico accelerano sui progetti ferroviari

Di Walter Minutella

Nel contesto dell’accelerata urbanizzazione e della crescente domanda di infrastrutture di trasporto efficienti nella regione dell’ASEAN, i Paesi membri stanno compiendo passi avanti significativi nello sviluppo della rete ferroviaria ad alta velocità. Questo trend è motivato dalla necessità di fornire soluzioni di trasporto rapide, sicure e sostenibili per connettere le crescenti aree urbane e facilitare lo sviluppo economico regionale. L’adozione di sistemi ferroviari ad alta velocità rappresenta una risposta strategica a sfide quali la congestione del traffico, l’inquinamento atmosferico e la necessità di ridurre le emissioni di gas serra. Pertanto, i Paesi dell’ASEAN stanno investendo in progetti ambiziosi volti a modernizzare le loro reti ferroviarie e a creare collegamenti di trasporto transnazionali per migliorare l’accessibilità e promuovere lo sviluppo sostenibile nella regione. 

Uno dei progetti più rilevanti riguarda il VIetnam, che sta cercando di imparare dalla Cina per sviluppare la sua prima rete ferroviaria ad alta velocità. Il governo vietnamita sta pianificando la costruzione di una rete ferroviaria ad alta velocità, con un costo stimato fino a 72 miliardi di dollari. Questo progetto proposto, noto come North–South express railway, mira a collegare le due aree più urbanizzate del paese: Hanoi nel Delta del Fiume Rosso a nord e Ho Chi Minh City nel Delta del Fiume Mekong a sud. 

 La lunghezza totale proposta sarebbe di 2.070 chilometri, e il suo costo sarebbe finanziato principalmente dal governo vietnamita stesso. Il progetto è parte della strategia di sviluppo del trasporto ferroviario del paese con una visione fino al 2050 e fa parte della rete ferroviaria trans-asiatica. Questo progetto potrebbe migliorare notevolmente la connettività e la mobilità all’interno del Paese, oltre a facilitare gli scambi commerciali con i paesi confinanti.

Tuttavia, non tutti i progetti proposti hanno ricevuto il via libera. Nel 2023, il governo cinese ha presentato una proposta simile che avrebbe visto la costruzione di una nuova ferrovia ad alta velocità tra Ho Chi Minh City e Hanoi, continuando verso nord fino in Cina e collegandosi al sistema ferroviario ad alta velocità esistente della Cina a Nanning. Questo piano è stato però respinto dall’Assemblea Nazionale del Vietnam, evidenziando le complessità politiche e strategiche associate a tali progetti transnazionali.

Il Vietnam, nonostante sia dotato di un sistema ferroviario relativamente completo e precoce nella regione del Sud-Est asiatico, si trova ad affrontare sfide nel modernizzare e ampliare la sua rete ferroviaria. Attualmente, il viaggio di 1700 km da Hanoi a Ho Chi Minh City richiede più di 30 ore in treno convenzionale e in autobus interurbano, e circa 3 ore in aereo. Questa mancanza di infrastrutture di trasporto lungo il corridoio nord-sud del Paese ha portato a congestionamenti del traffico e a impatti negativi sullo sviluppo economico regionale, la produttività nazionale e la qualità ambientale. 

Tuttavia, una volta che il progetto riceverà l’approvazione, si prevede che porterà diversi benefici, tra cui la riduzione della domanda di trasporto interurbano, la congestione del traffico e l’aumento della sicurezza stradale. Il progetto potrebbe anche svolgere un ruolo fondamentale nel ridurre i costi logistici e migliorare la competitività nazionale, contribuendo così allo sviluppo infrastrutturale e all’espansione economica complessiva del Vietnam.

Un altro progetto importante è stato il lancio del primo treno ad alta velocità del Sud-Est asiatico in Indonesia, inaugurato il 2 ottobre 2023. Questo treno ad alta velocità collega la capitale Giacarta alla città di Bandung, riducendo drasticamente i tempi di viaggio da 2-3 ore a soli 40 minuti. 

L’iniziativa, parte della Nuova Via della Seta, progetto portato avanti dalla Repubblica Popolare Cinese, è stata realizzata attraverso il consorzio Kereta Cepat Indonesia China (PT KCIC), che comprende quattro società statali indonesiane e China Railway International, una controllata del China Railway Group.  Inoltre, l’Indonesia ha annunciato piani ambiziosi per estendere la rete ferroviaria ad alta velocità fino a Surabaya, la seconda città più grande del Paese. Questo riflette l’impegno del governo indonesiano nel modernizzare e ampliare l’infrastruttura di trasporto.

Anche in Thailandia, il progetto ferroviario ad alta velocità che collega Bangkok al confine con il Laos ha subito ritardi, ma il Ministro degli Esteri cinese ha recentemente esortato entrambi i Paesi ad accelerare la sua costruzione.  

Infine, va sottolineata l’importanza della cooperazione regionale per il successo di questi progetti. Gli sforzi congiunti tra i Paesi ASEAN e con i partner esterni possono giocare un ruolo cruciale nel superare le sfide tecniche, finanziarie e politiche che possono emergere durante lo sviluppo di infrastrutture su vasta scala. Collaborare a livello regionale non solo favorisce lo scambio di conoscenze e risorse, ma promuove anche la coesione e la solidarietà tra le nazioni coinvolte. Inoltre, una cooperazione efficace può garantire una migliore integrazione delle reti di trasporto e favorire una crescita economica equilibrata e sostenibile nell’intera regione dell’ASEAN.

L’ASEAN vuole evitare una nuova guerra fredda

Pubblichiamo qui uno stralcio di un commento di Alex Lo, pubblicato sul South China Morning Post

La Cina ha detronizzato gli Stati Uniti come partner privilegiato della superpotenza nel Sud-Est asiatico. I risultati emergono dall’ultimo sondaggio annuale condotto su 1.994 politici, giornalisti, uomini d’affari e analisti dei Paesi ASEAN dal think tank con sede a Singapore, l’ASEAN Studies Centre dell’ISEAS-Yusof Ishak Institute. Alla domanda su quale superpotenza si schiererebbero se costretti a farlo, il 50,5% ha scelto la Cina contro il 49,5% che ha scelto gli Stati Uniti. È un margine molto ristretto e rientra nel margine di errore. Quindi, diciamo che è un pareggio. Questo dovrebbe comunque preoccupare Washington, perché l’anno scorso i risultati sono stati 61,1% per gli Stati Uniti e 38,9% per la Cina. Vale la pena sottolineare che si tratta di un sondaggio tra le élite, non tra i cittadini comuni. Quindi, anche se non riflette direttamente i sentimenti popolari, può dire molto sulle reali direzioni politiche dei Paesi interessati. C’è un’altra ovvia conclusione: il Sud-Est asiatico non vuole scegliere da che parte stare, così come l’America Latina e l’Africa. Così, mentre è normale che gli alleati degli Stati Uniti debbano seguire la guida di Washington, il resto del mondo, in particolare il Sud globale, non ritiene che sia nel proprio interesse unirsi alla rivalità tra superpotenze. Anzi, ritengono che possa causare molti danni. Non sorprende che l’ASEAN consideri la disoccupazione e la recessione la preoccupazione più pressante della regione (57,7%). Che piaccia o no, la sua fortuna economica è legata a quella della Cina. Ecco perché la Cina è considerata “la potenza economica (59,5%) e politico-strategica (43,9%) più influente della regione, superando gli Stati Uniti con margini significativi in entrambi i settori”. La Cina, con un punteggio medio di 8,98 su 11,0, è in cima alla classifica in termini di rilevanza strategica per l’ASEAN, seguita da Stati Uniti (8,79) e Giappone (7,48). I partner di minore rilevanza strategica sono: India (5,04), Canada (3,81) e Nuova Zelanda (3,70). Il  sondaggio appare abbastanza indicativo della situazione nell’ASEAN. La regione che l’Associazione rappresenta vuole la sicurezza fornita dagli Stati Uniti, ma diffida delle loro iniziative economiche. Con la Cina è il contrario. Non vuole che la Cina minacci la sua sicurezza, né che gli Stati Uniti minino la sua prosperità faticosamente conquistata, in una nuova guerra fredda. Nessuno vuole essere intrappolato tra due gorilla.

La fluidità dell’Islam indonesiano

A chiedere l’istituzione della sharia sono solo dei gruppi minoritari, che alle ultime elezioni del 14 febbraio hanno contato molto meno che in passato. Questo è probabilmente dovuto alla fluidità con la quale la fede islamica si è imposta in Indonesia e all’impostazione costituzionale contenuta nella Pancasila – Dall’ebook “Indonesia” pubblicato con China Files

Articolo di Francesco Mattogno

Essere islamici, in Indonesia, è da sempre una scelta strategica. O almeno lo è secondo le teorie di alcuni storici. C’è chi sostiene che l’Islam si sia diffuso nel paese a partire dal tredicesimo secolo come conseguenza dei rapporti commerciali con i mercanti dell’Asia Meridionale e della penisola araba, provenienti in particolare dal Gujarat indiano e dallo Yemen. Altri che abbia contribuito alla sua espansione anche l’ammiraglio cinese musulmano Cheng Ho, approdato a Giava nel quindicesimo secolo. Ma, al di là del proselitismo, buona parte del successo dell’islam in Indonesia potrebbe essere dovuto alla geografia.

Quello indonesiano è un territorio distribuito su 17 mila isole, totalmente circondato dall’acqua, non particolarmente famoso per la qualità dei suoi terreni e dunque costretto al commercio. «Stanchi di pagare i tributi ai grandi e prosperi imperi indù e buddhisti della regione», ha detto a TRT World lo storico Carool Kersten, molti sovrani indonesiani videro come un’opportunità quella di convertirsi all’islam e di «cercare alleati in Africa e Medio Oriente» in un’epoca nella quale i musulmani, dopo la caduta di Costantinopoli nel quindicesimo secolo, controllavano le rotte marittime mondiali.

Non fu la conseguenza di una conquista straniera, né frutto dell’opera di ondate di predicatori. L’Islam in Indonesia si diffuse attraverso un processo fluido, lento, diversificato e probabilmente pacifico. Oggi quasi il 90% degli oltre 275 milioni di indonesiani è musulmano, statistica che rende il paese lo Stato a maggioranza islamica più grande del mondo. Un paese non pienamente laico, ma comunque democratico e tollerante. 

Nel preambolo della costituzione è ancora presente la Pancasila, ovvero i cinque principi fondamentali sui quali si fonda lo Stato indonesiano, stipulati nel 1945. Il primo afferma la “fede in un unico Dio”, ed è un concetto volutamente vago. Nelle prime bozze del testo si parlava esplicitamente di introdurre nella costituzione la sharia, cioè la legge islamica, possibilità poi accantonata in favore di una maggiore apertura religiosa. Di fatto, in Indonesia non si può dichiarare di essere atei, ma la costituzione riconosce altre sei grandi religioni (tra cui il cattolicesimo) e le minoranze religiose sono integrate nelle discussioni di interesse nazionale.

La grande maggioranza degli indonesiani, figlia di questa impostazione culturale e costituzionale, è prima di tutto nazionalista e rifiuta le correnti estremiste che disconoscono il concetto di appartenenza allo Stato-nazione indonesiano. Il radicalismo islamico è presente, ma minoritario, e le ultime elezioni del 14 febbraio hanno certificato la marginalità del mondo musulmano in quanto tale all’interno del sistema democratico di Giacarta.

Raramente i gruppi islamici estremisti hanno contato davvero a livello politico, ma nel 2014 e nel 2019 il duplice scontro tra Joko Widodo e Prabowo Subianto si era giocato anche sul piano della polarizzazione religiosa. Se Jokowi poteva contare sul sostegno dell’Islam moderato, nella seconda corsa alla presidenza Prabowo aveva portato dalla sua parte le organizzazioni islamiste che si erano sviluppate a partire dal movimento “212”, nato tra il 2016 e il 2017 durante la campagna elettorale per il posto di governatore di Giacarta tra Anies Baswedan e Basuki Tjahaja Purnama (“Ahok”). Ahok, cristiano di etnia cinese e favorito per la rielezione, venne accusato di blasfemia da Anies, che aizzò i suoi sostenitori più radicali contro di lui e di fatto diede il via al processo che portò il suo avversario alla condanna a due anni di carcere.

Sull’onda di una maggiore rilevanza politica, i gruppi nati dal movimento “212” avevano scelto Prabowo come portavoce della proprie istanze per le presidenziali del 2019. Questo nonostante la storia dell’ex generale e del Gerindra, il suo partito di destra nazionalista, fosse totalmente estranea all’estremismo religioso. Si trattava di reciproco opportunismo politico. Prabowo cercava elettori, gli islamisti un appoggio per entrare nelle istituzioni statali. La vittoria di Jokowi spense le loro speranze.

Dopo il caso Ahok, il presidente indonesiano aveva già sciolto il gruppo radicale Hizbut Tahrir Indonesia, nel 2017, facendo poi lo stesso con il Fronte dei Difensori Islamici (FDI) nel 2020. Durante il secondo mandato di Jokowi l’ascesa delle organizzazioni estremiste ha progressivamente perso slancio, a causa della repressione governativa e del ridotto sostegno popolare, mentre le associazioni moderate hanno finito con il legarsi ancora di più alle istituzioni. 

Le due più importanti organizzazioni moderate islamiche non politiche sono il Nahdlatul Ulama (NU) e il Muhammadiyah, alle quali aderiscono decine di milioni di persone. A loro sono connessi vari esponenti della società civile e della classe politica indonesiana, distribuiti abbastanza uniformemente nelle varie forze politiche, non solo in quelle prettamente islamiche, anzi. Fin dalle prime elezioni del 1955 i partiti musulmani non sono mai stati abbastanza forti per governare da soli, e anche i risultati preliminari del voto parlamentare del 14 febbraio hanno confermato la loro secondarietà. Per poter entrare nelle istituzioni, dunque, l’Islam moderato è sempre stato costretto a distribuire il proprio sostegno tra vari leader politici, soprattutto dopo le riforme democratiche del 1998 e la fine dell’era Suharto.

Pur mantenendo una facciata di neutralità, il supporto ai giusti candidati garantisce a NU e Muhammadiyah l’accesso agli incarichi pubblici. Ad esempio, nell’ultimo governo Jokowi il NU ha espresso il vicepresidente Ma’Ruf Amin e quattro ministri, tra cui quello degli Affari religiosi. Di fronte alla sempre minore rilevanza dell’aspetto ideologico, il pragmatismo e l’opportunismo politico hanno portato i due maggiori gruppi islamici moderati indonesiani a sostenere con diversi esponenti di spicco tutti e tre i candidati alle ultime elezioni: il vincitore Prabowo Subianto, Anies Baswedan e Ganjar Pranowo.

Il processo di depolarizzazione ha dunque ridotto il valore di un appoggio politico da parte delle associazioni religiose, rendendo marginale il ruolo dell’Islam nel determinare l’esito delle elezioni del 2024. Per Anies, che visto il precedente con Ahok era ritenuto il candidato più radicale, il supporto pubblico da parte di Abu Bakar Bashir – leader spirituale del Jemaah Islamiyah, il gruppo terroristico affiliato ad Al-Qaeda che ha organizzato gli attentati di Bali del 2002, dove sono morte 202 persone – stava anzi rischiando di minare la sua immagine ripulita di politico moderato. 

Più che il fine ultimo, con l’istituzione della sharia, l’Islam in Indonesia conta sempre di più come mezzo per il raggiungimento di obiettivi politici e come strumento di posizionamento, interno e internazionale. Per quanto ormai esteso a quasi tutte le forze politiche, il sostegno di almeno una parte dell’Islam moderato è una condizione di legittimità essenziale per qualunque candidato che punti a governare il paese, ed è per questo che a NU e Muhammadiyah (ultimamente più in difficoltà) vengono riservati ruoli di spicco nell’esecutivo. In politica estera, inoltre, la fede islamica è utilizzata come leva diplomatica per elevare l’Indonesia a uno dei paesi leader del mondo musulmano, e generalmente il governo è più incline a tollerare la mobilitazione islamica della propria società civile quando al centro del discorso pubblico ci sono questioni internazionali.


Il sostegno universale alla Palestina in questi mesi di escalation del conflitto con Israele, sia da parte della classe politica che dell’opinione pubblica, mostra come l’Islam rimanga una componente identitaria molto importante per la gran parte degli indonesiani. Alcuni osservatori ritengono che nei prossimi anni si potrebbe assistere a un ritorno dei gruppi conservatori, che durante il secondo mandato di Jokowi avrebbero solo abbassato i toni in attesa di condizioni politiche più favorevoli. Ma resta un’ipotesi remota. L’Islam indonesiano non è mai stato monolitico e, dopo aver superato una fase di polarizzazione, sembra essere tornato a quello stato fluido e opportunista che gli ha permesso di penetrare nel paese tra il tredicesimo e il quindicesimo secolo.

Le imprese ASEAN guardano all’UE

I Paesi del Sud-Est asiatico puntano sempre di più al miglioramento dei rapporti commerciali con Bruxelles

Di Tommaso Magrini

I Paesi dell’ASEAN continuano a bilanciare strategicamente i loro delicati rapporti con le due grandi economie di Cina e Stati Uniti. Gli stakeholder del settore privato continuano a mostrare una forte preferenza per l’equilibrio. Rispetto a un anno fa (26,5%), secondo un report di Fulcrum, una percentuale maggiore di intervistati ha optato per una posizione neutrale, senza schierarsi (31,4%). Alla domanda dell’Indagine 2024 sulla scelta dell’allineamento strategico tra Cina e Stati Uniti, i due Paesi si trovano in una situazione di relativa parità, con la Cina che si aggiudica marginalmente la prima preferenza degli intervistati (50,5%) rispetto agli Stati Uniti (49,5%). Detto questo, un’analisi del divario tra le preferenze del settore privato (35,5%) e la media ponderata complessiva dell’ASEAN (32,6%) mostra che le aziende sono più favorevoli alla crescente influenza economica della Cina rispetto agli Stati Uniti. Ma la realtà è che i Paesi della regione vedono come particolarmente strategica  la ricerca di partner strategici terzi. A questo proposito, l’UE è ancora al primo posto (scelta dal 37,6% degli intervistati). Inoltre, gli aspetti che attirano le imprese private dell’ASEAN verso l’UE come partner strategico preferito si sono rafforzati. Il 31,7% degli intervistati ha citato il blocco come interlocutore responsabile e rispettoso del diritto internazionale, rispetto al 24,4% del sondaggio del 2023. Inoltre, il 30,8% degli intervistati valuta positivamente l’UE, date le sue vaste risorse economiche e la forte volontà politica di fornire una leadership globale (il dato del 2023 era del 17,0%). Negli ultimi tempi, i Paesi ASEAN stanno perseguendo attivamente livelli più elevati di impegno economico con l’UE e viceversa. Tra questi sviluppi vi è la prospettiva che la Malesia e l’UE riprendano i colloqui per un accordo di libero scambio, interrotti nel 2012, e che la Thailandia e l’UE si spingano a firmare un accordo di libero scambio nel 2025.

La centralità dell’ASEAN

Il principio che vede i Paesi del Sud-Est asiatico come motore dell’architettura regionale è ormai ampiamente accettato, scrive Rahman Yaacob per il Lowy Institute

L’ASEAN si propone come la principale piattaforma del Sud-Est asiatico per affrontare le sfide regionali e confrontarsi con le potenze esterne. Come sottolineano diversi studi, la “centralità dell’ASEAN” si basa sul presupposto che l’organizzazione regionale del Sud-Est asiatico debba essere il motore della “architettura regionale in evoluzione dell’Asia-Pacifico”.

All’inizio del XXI secolo, l’ASEAN è passata dai cinque membri originari a dieci, aggiungendo Brunei, Cambogia, Laos, Myanmar e Vietnam. Ciò ha creato la necessità per l’ASEAN di definire un nuovo quadro per le relazioni intra-ASEAN e per le relazioni dell’ASEAN con il mondo. La Carta dell’ASEAN del 2008 ha segnato la prima occasione in cui è stato utilizzato il termine “centralità dell’ASEAN”. La Carta spiega che l’ASEAN dovrebbe essere la forza motrice principale dei membri nei rapporti con i partner esterni.

In una dichiarazione della Casa Bianca a seguito della visita della vicepresidente americana Kamala Harris a Giacarta per partecipare al Vertice ASEAN 2023, il termine “centralità dell’ASEAN” è stato utilizzato due volte, con Washington che ha dichiarato il suo impegno nei confronti di questo principio. Gli americani non erano soli. Da diversi anni, è un’abitudine che i partner dell’ASEAN, come l’Unione europea, dichiarino il loro sostegno alla centralità dell’ASEAN.

In apparenza, ciò suggerisce che il concetto di centralità dell’ASEAN è stato accettato dalle grandi e medie potenze. Inoltre, la pletora di iniziative dell’ASEAN per coinvolgere le potenze esterne, come il Vertice dell’Asia orientale e il Forum regionale dell’ASEAN, sono la prova del potere di convocazione dell’ASEAN per contribuire alla formazione dell’ordine regionale.

Affinché la centralità dell’ASEAN funzioni in modo ottimale, i suoi membri devono essere uniti e servire gli interessi reciproci. Tuttavia, l’unità dell’ASEAN è altamente migliorabile e potenziabile, per far fronte in maniera unitaria non solo alle sfide economiche e commerciali, ma anche diplomatiche e politiche.

L’ASEAN conosce i suoi limiti e la necessità di riformarsi. A gennaio, l’ASEAN ha convocato un workshop Track 2 con la partecipazione di ricercatori del Sud-Est asiatico per rivedere le sue norme e pratiche. L’obiettivo era quello di mantenere la rilevanza dell’ASEAN in un contesto di sicurezza regionale in continua evoluzione. Tuttavia, qualsiasi riforma delle pratiche e delle norme dell’ASEAN sarà un processo lungo. Nel frattempo, l’ASEAN può considerare le numerose dichiarazioni di sostegno alla centralità dell’ASEAN come un ottimo risultato.

Filippine, cooperazione con USA E Giappone

Joe Biden ospita Fumio Kishida e Ferdinand Marcos Junior per un inedito summit trilaterale. Ecco il significato del rapporto trilaterale per Manila

Di Walter Minutella

Negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno costantemente cercato di approfondire i propri rapporti diplomatici e di sicurezza in Asia. In questo contesto, si svolge giovedì 11 aprile un inedito summit trilaterale fra il Presidente statunitense Joe Biden, il Primo Ministro giapponese Fumio Kishida e il Presidente filippino Ferdinand Marcos Junior. Il vertice offre un’occasione unica per analizzare più approfonditamente la natura dei rapporti tra questi tre Paesi e delineare le prospettive future di cooperazione, a partire da quella nel contesto del Mar Cinese Meridionale.

Quest’area si è trasformata in un cruciale teatro geopolitico, con diversi Paesi che rivendicano la sovranità su isole e formazioni rocciose sparse in tutta la regione. La Cina ha avanzato rivendicazioni territoriali decise, militarizzando isole contese e conducendo operazioni marittime sempre più assertive. D’altro canto, anche le conseguenze della guerra in Ucraina hanno portato a un rafforzamento della cooperazione in materia di sicurezza e difesa tra gli Stati Uniti e diversi Paesi della regione.

Giappone e Filippine occupano un ruolo particolare, visto che sono da sempre i pilastri della strategia di sicurezza degli Stati Uniti in Asia-Pacifico. La decisione di organizzare questo summit trilaterale ha radici nella necessità di coordinare le risposte alle sfide nel Mar Cinese Meridionale. 

Oltre alla dimensione geopolitica, la cooperazione economica rappresenta un altro pilastro fondamentale del rapporto trilaterale. Stati Uniti, Giappone e Filippine possono unire le loro forze per favorire la crescita economica attraverso lo sviluppo di infrastrutture, la facilitazione degli scambi commerciali e degli investimenti e la promozione di politiche economiche inclusive. Inoltre, la collaborazione tra questi Paesi può aiutare ad affrontare le nuove sfide emergenti, come la digitalizzazione dell’economia, aprendo nuove opportunità per la crescita e lo sviluppo sostenibile nella regione.

L’innovazione e la tecnologia svolgono un ruolo sempre più significativo nella competitività economica e nella risoluzione delle sfide globali. Stati Uniti, Giappone e Filippine possono collaborare per promuovere lo sviluppo di tecnologie avanzate, garantendo nel contempo la sicurezza delle infrastrutture digitali e l’adozione responsabile delle nuove tecnologie. Attraverso la ricerca congiunta e lo scambio di conoscenze, è possibile affrontare sfide cruciali come il cambiamento climatico e la sicurezza alimentare, contribuendo così alla prosperità e al benessere nella regione.

Il cambiamento climatico e la conservazione dell’ambiente marino sono sfide urgenti che richiedono una risposta globale e coordinata. Stati Uniti, Giappone e Filippine possono unire le forze per promuovere politiche e iniziative volte a mitigare gli effetti del cambiamento climatico, proteggere gli ecosistemi marini e incentivare la sostenibilità ambientale. Questo potrebbe includere la promozione di energie rinnovabili, la gestione responsabile delle risorse ittiche e la conservazione degli ecosistemi marini, contribuendo così a preservare l’ambiente per le future generazioni.

Infine, la sicurezza regionale rimane una priorità essenziale per tutti e tre i Paesi. Stati Uniti, Giappone e Filippine intendono potenziare la loro cooperazione in materia di sicurezza e difesa, attraverso esercitazioni militari congiunte, scambio di intelligence e promozione della sicurezza marittima. Questo può contribuire a rafforzare la deterrenza nella regione, cercando al contempo di preservare il cruciale obiettivo della crescita economica.

Mekong, biodiversità da difendere

Il WWF e i suoi partner affermano che i governi, gli investitori in dighe e i consulenti politici devono trovare un accordo per salvare le specie fluviali

Di Tommaso Magrini

Gli ambientalisti hanno proposto un piano di recupero in extremis per salvare quella che definiscono “insostituibile” biodiversità del fiume Mekong. Il valore economico della pesca – da cui dipendono 40 milioni di persone che si snodano per oltre 4.900 chilometri dalla sorgente in Cina al delta del Vietnam – è crollato a causa dello sviluppo che ha decimato l’ecosistema fluviale, secondo un recente report pubblicato da circa due dozzine di organizzazioni per la tutela della natura guidate dall’organizzazione non governativa WWF. Nello studio “Mekong’s Forgotten Fisheries and Emergency Plan to Save Them” sono elencate 74 specie ittiche in pericolo, tra cui il pesce gatto gigante e la razza gigante d’acqua dolce – i due pesci d’acqua dolce più grandi del mondo – e il pesce persico rampicante, l’anabas testudineus, noto per la sua capacità di uscire dall’acqua e “camminare” sulla terraferma.  Il forte declino della pesca è stato in gran parte attribuito dagli esperti a 12 dighe cinesi sul Lancang (il Mekong superiore) e a due dighe a valle in Laos che avrebbero danneggiato drasticamente l’ecosistema. Il WWF e i suoi partner affermano che i governi, gli investitori in dighe e i consulenti politici devono trovare un accordo per salvare le specie fluviali, suggerendo sei passi, tra cui proteggere i fiumi che scorrono liberamente, ripristinare le abitudini critiche come le pianure alluvionali e porre fine alla gestione insostenibile delle risorse, in particolare l’estrazione della sabbia. Secondo gli attivisti, la Cambogia potrebbe essere un punto di forza, dopo aver respinto due grandi progetti di dighe lungo il tratto del Mekong che va dal confine con il Laos alla provincia di Kratie, nell’ambito di una dichiarazione di moratoria sulla costruzione di dighe, rilasciata nel 2020. Gli ambientalisti hanno lodato la decisione della Cambogia di proteggere una zona di biodiversità importante a livello globale, che ospita circa 80 delfini Irrawaddy e 41 specie in pericolo.

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