L’UE e le foreste della Malesia

La visione del Sud-Est asiatico sul nuovo regolamento che blocca le importazioni di olio di palma derivanti dalla deforestazione


“Può l’Europa salvare le foreste senza uccidere posti di lavoro in Malesia?” Se lo è chiesto in un recente articolo il New York Times, a testimonianza che si tratta di un tema particolarmente rilevante non solo a livello bilaterale ma anche internazionale. L’imminente divieto dell’Unione Europea sulle importazioni legate alla deforestazione è stato salutato come un nuovo standard da rispettare nella politica climatica: un passo significativo per proteggere le foreste del mondo, che aiutano a rimuovere dall’atmosfera i gas serra che uccidono il pianeta. “La legge impone ai commercianti di risalire alle origini di una varietà di prodotti da capogiro: carne di manzo e libri, cioccolato e carbone, rossetto e pelle. Per l’Unione Europea, il mandato, che entrerà in vigore il prossimo anno, è una testimonianza del ruolo del blocco come leader globale sul cambiamento climatico”, scrive il New York Times, che però aggiunge: “La mossa, tuttavia, è rimasta intrappolata in correnti contrastanti su come affrontare i compromessi economici e politici richiesti dal cambiamento climatico”. I Paesi in via di sviluppo non sono infatti certo contenti, con Malesia e Indonesia tra i più espliciti nel criticare la novità normativa. Insieme, i due Paesi del Sud-Est asiatico forniscono l’85% dell’olio di palma mondiale, uno dei sette prodotti critici coperti dal divieto dell’Unione Europea. E sostengono che la legge mette a rischio le loro economie. Ai loro occhi, scrive il New York Times, i Paesi ricchi e tecnologicamente avanzati (ed ex potenze coloniali) “stanno ancora una volta dettando termini e cambiando le regole del commercio quando gli fa comodo”. Questa visione concorda con le lamentele dei Paesi in via di sviluppo secondo cui l’ordine internazionale dominante trascura le loro preoccupazioni. La disputa sull’olio di palma racchiude anche uno snodo centrale nell’economia del cambiamento climatico, sottolinea il quotidiano statunitense: la tesi secondo cui le nazioni a reddito medio e basso sono costrette a sostenere il costo di rovinosi cambiamenti ambientali causati principalmente dalle nazioni più ricche. Nel suo sondaggio annuale del 2022, il World Resources Institute ha rilevato che la Malesia è stato uno dei pochi luoghi in cui la deforestazione non è peggiorata. E forse c’è uno spazio per tutelare sia le esigenze climatiche sia quelle economiche, preservando i fruttuosi rapporti tra i Paesi del Sud-Est asiatico e l’Unione Europea.

Il ruolo sempre più centrale della Malesia sui microchip

Kuala Lumpur sta attirando sempre più investitori stranieri nel suo settore dei semiconduttori, con l’obiettivo di avanzare nella catena del valore dei chip, in particolare quelli per i veicoli elettrici

Di Walter Minutella

La Malesia sta emergendo come un nodo cruciale nella catena di approvvigionamento dei microchip.  Questo ruolo di primo piano è sostenuto non solo dalla sua posizione strategica nel cuore dell’ASEAN e dalla stabilità politica ed economica relativa del paese, ma anche dalle infrastrutture sviluppate, dalla manodopera altamente qualificata e dalle politiche governative favorevoli agli investimenti stranieri. 

Inoltre, la crescita del mercato interno e la presenza di risorse naturali contribuiscono a rendere la Malesia un’opzione sempre più attraente per gli investitori specialmente statunitensi ed europee nel settore dei microchip, che cercano di diversificare la loro produzione in diverse aree. Questo fenomeno riflette il modo in cui la geopolitica sta plasmando la produzione tecnologica.

Secondo quanto riportato dal Financial Times, la Malesia è diventata un polo di attrazione per le principali aziende del settore, tra cui Intel, Micron e altri. Con un aumento significativo degli investimenti esteri diretti, il settore dei semiconduttori in Malesia sta vivendo un periodo di espansione senza precedenti. Solo nello Stato settentrionale di Penang, sono stati attivati investimenti esteri diretti per un valore di 12.8 miliardi di dollari l’anno scorso, superando quelli degli anni precedenti.

Il governo malese ha riconosciuto l’importanza strategica dell’industria dei semiconduttori e si impegna attivamente a svilupparla ulteriormente. Il Primo Ministro Anwar Ibrahim ha dichiarato che lo sviluppo dell’industria dei semiconduttori è un obiettivo cruciale per il paese.

Le aziende tecnologiche statunitensi stanno giocando un ruolo chiave in questo scenario di crescita. Intel, ad esempio, ha investito 7 miliardi di dollari per nuovi impianti in Malesia, incluso un impianto sperimentale dedicato al packaging in 3D. Micron, un altro gigante del settore, ha aperto un secondo stabilimento a Penang l’anno scorso, mentre Infineon ha annunciato un piano di espansione da 5.4 miliardi di dollari.

Questi investimenti non solo indicano il crescente ruolo della Malesia nel settore dei semiconduttori, ma hanno anche riflessi significativi sull’economia locale. Il prezzo dei terreni industriali è aumentato del 60% dal 2002, mentre il traffico stradale ha registrato ingorghi sempre più frequenti.

Tuttavia, la Malesia deve affrontare sfide cruciali per mantenere questa crescita sostenibile. Uno dei problemi principali è il deficit di manodopera specializzata, con il settore in espansione che richiede almeno 50.000 nuovi ingegneri all’anno, mentre le università del Paese producono solo 5.000 laureati nel settore.

La scelta di investire nei Paesi del Sud-Est asiatico come la Malesia è motivata anche dalla loro posizione strategica nel Mar Cinese Meridionale, che assume un ruolo cruciale nel settore dei chip. Questa posizione strategica consente alle aziende di avere un accesso privilegiato alle rotte commerciali chiave per il trasporto di componenti e prodotti finiti nel settore dei semiconduttori. Inoltre, essendo una delle vie navigabili più importanti al mondo, il Mar Cinese Meridionale facilita il trasporto efficiente di materiali e prodotti verso i mercati asiatici e globali, contribuendo così alla competitività delle aziende che operano in questo settore.

I vantaggi economici derivanti dall’investimento in queste regioni includono una forza lavoro altamente qualificata e relativamente a basso costo, infrastrutture moderne e una politica favorevole agli investimenti stranieri. La presenza di zone economiche speciali e incentivi fiscali aggiuntivi rende ancora più attraente l’investimento in queste aree, offrendo alle aziende un ambiente favorevole per espandere le proprie operazioni e massimizzare i rendimenti sugli investimenti.

Inoltre, l’interesse per la Malesia è aumentato dopo che la pandemia di Covid-19 ha evidenziato le fragilità delle catene di approvvigionamento globali. Le tensioni tra Stati Uniti e Cina hanno spinto entrambi i Paesi a cercare fonti di semiconduttori affidabili al di fuori della Cina continentale, accelerando ulteriormente l’interesse per la Malesia.

Con l’industria dei semiconduttori che continua a crescere in Malesia, il Paese si prepara ad affrontare sfide come l’espansione delle infrastrutture e la transizione verso energie pulite. Nonostante queste sfide, molti dirigenti aziendali sono fiduciosi nel ruolo della Malesia nella catena di approvvigionamento tecnologico globale, riconoscendo il suo potenziale nel diventare un punto di riferimento nell’industria elettronica a livello mondiale.

La Malesia sta attirando sempre più investitori stranieri nel suo settore dei semiconduttori, con l’obiettivo di avanzare nella catena del valore dei chip, in particolare per i chip utilizzati nei veicoli elettrici.

Attualmente, il Paese detiene una quota del 13% del mercato globale per i servizi di confezionamento, assemblaggio e test dei semiconduttori. Inoltre, la Malesia si colloca come il sesto esportatore mondiale di semiconduttori, confezionando il 23% di tutti i chip americani, il che contribuisce al 25% del PIL della nazione. Questo la rende un attore chiave nel mercato globale dei semiconduttori.

In passato, la Malesia è stata riconosciuta come la Silicon Valley dell’Est, essendo stata una pioniera nella produzione di chip negli anni ’70. Tuttavia, nel corso dei decenni successivi, ha perso progressivamente terreno a favore di Corea del Sud e Taiwan. Nonostante ciò, attualmente la Malesia sta cercando di riconquistare la leadership nel settore, spingendo per diversificare la sua produzione. Tra i possibili vantaggi per la Malesia c’è il fatto che le aziende cercano una collocazione meno esposta alle turbolenze globali e con scenari futuri più stabili rispetto a Taiwan, che attualmente domina il comparto fabbricazione e assemblaggio. 

Il Nuovo Piano Industriale della Malesia (NIMP) 2030 offre una roadmap per aumentare il valore aggiunto del settore manifatturiero, incoraggiando attività più sofisticate come la fabbricazione di apparecchiature per semiconduttori e la progettazione di circuiti integrati. Il Paese mira a sviluppare il settore dei semiconduttori, concentrandosi su attività ad alto valore aggiunto come la fabbricazione di wafer e la progettazione di circuiti integrati.

Negli ultimi anni, il Paese ha visto grandi investimenti da parte di aziende europee e statunitensi, come abbiamo visto nel caso di Intel e Texas Instruments. Tuttavia, ci sono sfide che gli investitori devono affrontare, tra cui la carenza di talenti qualificati nel settore dei semiconduttori e la forte dipendenza dalle aziende straniere per sostenere l’industria. Nonostante queste sfide, la Malesia rimane un’importante destinazione per i produttori di chip stranieri, attratti dalla sua posizione strategica nel Sud-est asiatico e dalle politiche governative di sostegno.

La diversificazione delle catene di approvvigionamento offre opportunità alla Malesia per espandere la sua presenza nell’industria elettronica globale, muovendosi verso una produzione più sofisticata e innovativa. Con investimenti mirati nella ricerca e nello sviluppo, oltre a programmi di formazione, la Malesia potrebbe rafforzare ulteriormente il suo ruolo nel settore dei semiconduttori, contribuendo alla crescita economica e all’innovazione.

L’imminente trasformazione digitale

Il valore dell’industria di settore passerà da 300 a mille miliardi entro il 2030, ma potrebbe arrivare persino a duemila miliardi

“I Paesi del Sud-Est asiatico sono in procinto di raccogliere una fortuna economica digitale, ma la strada verso la ricchezza dipende dalla qualificazione della forza lavoro della regione”. A sostenerlo è Rich Lesser, Presidente della società di consulenza statunitense Boston Consulting Group, in una recente intervista a Nikkei Asia. La BCG prevede che il valore delle industrie digitali della regione, come l’e-commerce, passerà dagli attuali 300 miliardi di dollari a 1.000 miliardi entro il 2030. “Ma se si creano le giuste basi, questa cifra potrebbe addirittura raddoppiare fino a 2.000 miliardi di dollari”, ha dichiarato Lesser. Questa trasformazione della digitalizzazione rimodellerà intere industrie, dai settori tecnologici come il software, le telecomunicazioni e l’intelligenza artificiale a quelli come l’assistenza sanitaria, l’istruzione e l’agricoltura. “Per le aziende sarà una vera e propria trasformazione”, ha detto Lesser, “sia per stimolare la produttività che per aprire nuove fonti di crescita”. Lesser suggerisce che la regione deve dare priorità alla creazione di “capitale umano in modo significativo” per sfruttare il potenziale di crescita digitale. “La riqualificazione non consiste solo nel far lavorare le persone nell’hardware, nel software, nelle telecomunicazioni, ma anche nel far sì che gli operatori sanitari sappiano usare la tecnologia o l’agri-tech per far sì che gli agricoltori usino queste tecnologie”, ha affermato. “L’ASEAN, come altre parti del mondo, dovrà investire per migliorare e riqualificare le attuali generazioni di lavoratori e per offrire diversi tipi di apprendimento e sviluppo delle competenze ai più giovani per prepararli”. L’espansione dell’economia digitale nell’ASEAN rafforzerà la posizione del blocco nell’economia globale nei prossimi 10 anni. “È ormai una parte fondamentale delle catene di approvvigionamento con la Cina e una parte fondamentale delle catene di approvvigionamento con il resto del mondo”, ha detto Lesser, che ritiene l’ASEAN sia diventata più importante per il modo in cui sta affrontando la relazione tra Stati Uniti e Cina. “L’ASEAN non vuole essere costretta a scegliere da che parte stare… e non vuole dipendere da una relazione con la Cina escludendo altre relazioni con gli Stati Uniti e altri Paesi occidentali”, sostiene Lesser. La posta in gioco economica e politica per l’ASEAN deriva dalla sua posizione strategica, che spinge altri Paesi ad approfondire i loro legami per paura che “se non lo fanno loro, lo faranno altri e loro resteranno indietro”, ha aggiunto Lesser. “Si tratta piuttosto di un quadro di opportunità perché nel mondo attuale l’ASEAN svolge un ruolo cruciale”.

Libero scambio UE-Filippine, scambi su fino a 6 miliardi

Lo scorso 18 marzo, l’UE e le Filippine hanno annunciato la ripresa ufficiale dei negoziati, sospesi nel 2017. L’Accordo potrebbe aumentare in modo netto gli scambi bilaterali. Per Bruxelles, l’accordo si inserisce in una strategia politica e commerciale più ampia

Articolo di Sophia Ordoña (European Chamber of Commerce of the Philippines – ECCP), Pierfrancesco Mattiolo, Università di Anversa

In seguito a un incontro a Bruxelles il 18 marzo, il Vicepresidente della Commissione Europea e Commissario al Commercio, Valdis Dombrovskis, insieme al Segretario del Dipartimento del Commercio e dell’Industria delle Filippine, Alfredo Pascual, hanno annunciato la ripresa ufficiale dei negoziati per l’Accordo di Libero Scambio (ALS) tra l’UE e le Filippine. I partner inizieranno ora a preparare il primo round dei nuovi negoziati, previsto nel secondo semestre del 2024. 

L’annuncio non sorprende visto che la volontà di riprendere i negoziati era stata solennemente espressa a livello di leadership nel luglio 2023. La Presidente della Commissione Ursula Von der Leyen, nel corso di una visita ufficiale alle Filippine, aveva manifestato l’interesse del blocco nell’alzare il livello della cooperazione con Manila. Il presidente delle Filippine Ferdinand Marcos Jr. aveva a sua volta espresso il suo appoggio a una rapida conclusione del trattato prima del termine del suo mandato, nel 2028. L’agenda economica di Marcos è orientata verso una decisa apertura del mercato nazionale: dopo aver liberalizzato le telecomunicazioni, i traporti e le energie rinnovabili, la conclusione dell’ALS segnerebbe un ulteriore, deciso, passo in questa direzione. In occasione dell’annuncio, il Vicepresidente Dombrovskis ha osservato che l’accordo commerciale potrebbe aumentare il commercio bilaterale fino a 6 miliardi di euro.

Il potenziale impatto dell’ALS però va ben oltre la sola dimensione dei rapporti commerciali bilaterali. Per l’UE la posta in gioco è anche politica. I negoziati con Manila si inseriscono in due più ampie strategie dell’Unione. Da un lato, Bruxelles vuole rafforzare il proprio ruolo nell’Indo-pacifico, una regione particolarmente delicata per i suoi interessi economici e strategici. La strategia europea conta di riuscire a concludere sia nuovi accordi di cooperazione politica con i Paesi ASEAN, sia nuovi ALS con Filippine, Indonesia e Tailandia, sulla scia di quelli già in vigore con Singapore and Vietnam. L’UE riconosce nelle Filippine un like-minded partner sul piano dei valori democratici, ma anche dello sviluppo sostenibile: i negoziati con Manila saranno meno condizionati da questioni legate alla sostenibilità, come la disputa sull’olio di palma, causa di forti tensioni tra Bruxelles e alcuni altri Paesi ASEAN. Inoltre, nel marzo 2024, l’UE ha ufficialmente avviato uno dei progetti principali del Global Gateway: il Programma per l’Economia Verde nelle Filippine (Green Economy Programme in the Philippines, GEPP). Questa iniziativa promuove l’economia circolare e le energie rinnovabili, sottolineando ulteriormente l’impegno di entrambe le parti nel promuovere la sostenibilità e la transizione verso un’economia verde.

Approfondire i legami con le Filippine – e con altri partner ASEAN – permette all’UE di proseguire nel suo sforzo di de-risking, ossia coltivare i rapporti con nuovi partner commerciali e mitigare i rischi politici ed economici legati al dipendere troppo da Paesi percepiti come ‘rivali’. Un altro quadro concettuale per leggere queste recenti mosse dell’UE è la dottrina dell’autonomia strategica aperta. Bruxelles cerca, anche con la sua politica commerciale, di proteggersi dalle ingerenze esterne, ma anche di far rispettare, sviluppando e impiegando le cosiddette ‘politiche autonome’, gli obblighi assunti dai partner a livello bilaterale e multilaterale, come l’Accordo di Parigi o i trattati OMC.  Allo stesso tempo, l’Europa vuole rimanere aperte alla cooperazione politica ed economica, per quanto possibile.

Per l’amministrazione Marcos concludere il trattato è una priorità. Attualmente il Paese beneficia dello Schema Generale di Preferenze Plus (GSP+), che garantisce maggiore accesso al mercato europeo a 6274 prodotti filippini azzerando i dazi all’ingresso. Questo regime preferenziale è stato esteso fino alla fine del 2027. Si prevede che le Filippine diventeranno un’economia a reddito medio-alto intorno al 2025. Tale “promozione” avvierebbe un periodo di transizione di tre anni, dopo il quale Manila perderebbe i benefici del GSP+. Se concluso prima del 2028, l’ALS sostituirebbe il GSP+ e consentirebbe quindi alle aziende filippine di mantenere l’accesso al mercato europeo senza dazi sui prodotti coperti dal trattato.

Dal punto di vista filippino, i settori che trarrebbero beneficio dall’accordo sono molti, ad esempio l’agricoltura e l’energia. Più nello specifico, l’abbigliamento vedrebbe un aumento degli impiegati tra i 120.000 e i 250.000 e delle esportazioni per 600 milioni di dollari nei primi due anni dall’attuazione dell’accordo. L’arcipelago è anche ricco di materie prime essenziali (ad esempio, nickel, rame e cromite) di importanza cruciale per le tecnologie verdi. Ma anche lo scambio di servizi potrebbe aumentare. Il settore IT filippino vale 50 miliardi di dollari ed è molto dinamico, quindi potrebbe espandere le sue quote di mercato in Europa.

Per le aziende europee, sarebbe conveniente avere maggiore accesso a un Paese è in crescita sotto ogni punto di vista: economico (il PIL è cresciuto del 7,6% nel 2022), demografico e sociale, con una classe media giovane e sempre più numerosa. L’Accordo potrebbe finalmente sbloccare un potenziale economico ancora inespresso: gli scambi bilaterali Bruxelles-Manila sono relativamente bassi quando confrontati a quelli tra Europa e altri Paesi ASEAN e solo il 4% degli investimenti europei nelle economie ASEAN è diretto verso le Filippine. Anche l’Italia ha un forte interesse alla conclusione del trattato. Le relazioni economiche tra Roma e Manila sono solide, nel 2022 valevano 1.24 miliardi di euro, e l’ALS aumenterebbe le opportunità in settori chiave come i macchinari agricoli, le infrastrutture e il tessile. 

I negoziati per l’ALS dovranno anche superare alcuni ostacoli. La tutela dei diritti di proprietà intellettuale è stato uno dei capitoli più delicati dei precedenti round negoziali tra Bruxelles e Manila, ma ora potrebbe essere più facile trovare un punto di incontro, dato che le Filippine non sono più nella watch list sulla proprietà intellettuale della Commissione Europea dal 2019. Il capitolo sulla proprietà intellettuale nel futuro ALS includerebbe, con ogni probabilità, regole più forti sulla tutela delle indicazioni geografiche (DOP, IGP,…) dei prodotti alimentari europei e italiani. Infine, nel corso della sua visita ufficiale Von der Leyen aveva indicato la necessità di un più profondo allineamento tra i due partner in materia di protezione ambientale e dei lavoratori. La Presidente della Commissione, e più recentemente il Vicepresidente Dombrovskis, hanno anche riconosciuto i progressi compiuti dal Paese sulla tutela dei diritti umani, e il dialogo bilaterale in corso mira ad affrontare le questioni ancora irrisolte. Questi ostacoli possono trasformarsi in opportunità se l’ALS riuscirà a includere regole efficaci in queste aree. Un accordo rappresenterebbe non solo una significativa opportunità economica, ma anche politica e sociale per entrambi i partner.

UE-Filippine verso un accordo di libero scambio

Riprendono ufficialmente i colloqui tra il blocco dei 27 e Manila. Ecco su quali basi


Luned’ 18 marzo, l’Unione Europea e le Filippine hanno annunciato ufficialmente la ripresa dei negoziati per un accordo di libero scambio. La Commissione Europea ha parlato di progetto “ambizioso, moderno ed equilibrato, con la sostenibilità al centro”. Aggiungendo che “accordi commerciali come questo sono una pietra miliare della sicurezza economica dell’UE, in quanto aprono nuove opportunità per le imprese e i consumatori, rafforzano le catene di approvvigionamento e promuovono pratiche commerciali sostenibili”. Un accordo di libero scambio con le Filippine, un’economia in espansione di 115 milioni di persone nel cuore della regione indo-pacifica, strategicamente importante, sarebbe un’aggiunta preziosa alla rete di accordi commerciali dell’UE. Il blocco dei 27 e Manila hanno già relazioni commerciali consolidate, con un chiaro potenziale per un rapporto ancora più stretto: secondo i dati ufficiali diffusi da Bruxelles, gli scambi di merci hanno raggiunto un valore di oltre 18,4 miliardi di euro nel 2022, mentre gli scambi di servizi hanno raggiunto un valore di 4,7 miliardi di euro nel 2021. L’UE è anche uno dei maggiori investitori nelle Filippine, con uno stock di investimenti diretti esteri dell’UE nelle Filippine che raggiungerà i 13,7 miliardi di euro nel 2021. Oltre a essere un’economia importante e in crescita, le Filippine possiedono anche importanti riserve di materie prime critiche, tra cui nichel, rame e cromite. “Insieme ai rinnovati sforzi delle Filippine per sfruttare il proprio potenziale di energia rinnovabile e alla recente liberalizzazione per gli investitori stranieri nel settore, le Filippine sono un partner importante nella transizione green”, sottolinea la Commissione Europea. L’UE e le Filippine faranno ora i rispettivi preparativi tecnici per il primo round della ripresa dei negoziati, previsto per la fine dell’anno. L’UE ha già concluso accordi di libero scambio all’avanguardia con due Paesi dell’ASEAN (Singapore e Vietnam), sta negoziando accordi di libero scambio con l’Indonesia e la Thailandia e sta effettuando una valutazione per un ulteriore accordo con la Malesia. Le Filippine godono attualmente di preferenze commerciali nell’ambito del Sistema di preferenze generalizzate + dell’UE, un regime speciale di incentivi per lo sviluppo sostenibile e il buon governo che garantisce l’accesso in esenzione doganale al mercato dell’UE per due terzi delle linee tariffarie.

Nusantara, la scommessa della nuova capitale

Il governo si è impegnato a finanziare il 20% dei costi dal bilancio statale, e per il resto punta su capitali privati, anche esteri. Ma la nuova capitale tarda ad attrarre investitori, sia nazionali che esteri

A cura di Annalisa Manzo 

Nel 2019 il presidente Joko Widodo “Jokowi” annuncia l’ubicazione della nuova capitale dell’Indonesia nella provincia di Kalimantan orientale, la parte indonesiana dell’isola del Borneo. Sarà costruita su 180.000 ettari di terreno già di proprietà del governo, riducendo così al minimo i costi di acquisizione, a cavallo di due distretti, Penajam Paser Utara e Kutai Kartanegara, vicino a Balikpapan e Samarinda, le due città più grandi della provincia. Balikpapan ospita raffinerie di petrolio e un porto, rendendolo uno dei principali centri economici. Samarinda è la capitale della provincia del Kalimantan orientale. Rispetto ad altre zone di Kalimantan precedentemente considerate, gran parte delle infrastrutture necessarie sono già presenti. Entrambe le città dispongono di un aeroporto internazionale e potrebbero essere collegate al resto dell’isola tramite autostrade e ferrovie. Kalimantan si trova geograficamente al centro del Paese ed è meno esposto a eruzioni vulcaniche, terremoti e inondazioni.
“Non possiamo lasciare che Giacarta e l’isola di Giava continuino a sopportare il peso sempre più grave della densità di popolazione, della subsidenza, del traffico e dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua”, ha detto Jokowi in un discorso trasmesso in diretta televisiva. “Il divario economico tra Giava e le altre isole dell’arcipelago ha continuato ad ampliarsi nonostante la politica di autonomia regionale lanciata nel 2001”, ha aggiunto. Il 54% degli oltre 260 milioni di abitanti dell’Indonesia risiedono a Giava e il 58% del PIL del Paese viene prodotto sull’isola, nonostante sia la più piccola delle cinque isole principali dell’Indonesia.

Il megaprogetto da 32 miliardi di dollari mira a creare una nuova capitale dal nulla. Il suo nome è Nusantara – in indonesiano significa ‘arcipelago’ – proprio per riflettere la geografia dello Stato-arcipelago più grande al mondo. La sua costruzione è stata pianificata in cinque fasi fino al 2045, anno del centesimo anniversario dell’indipendenza indonesiana. I lavori della prima fase sono iniziati nel 2022 e dovrebbero terminare entro quest’anno.

L’obiettivo primario dichiarato nel progetto Ibu Kota Negara Nusantara – in breve IKN – come è ufficialmente noto, è quello di creare un nuovo hub geograficamente più centrale per l’Indonesia e guidare la trasformazione economica della nazione, senza più centralizzare l’Indonesia attorno a Giava. Il governo stima che la popolazione della città raggiungerà i 60 mila abitanti nel 2024, per salire a 2 milioni entro il 2040.

Il trasferimento della capitale è attualmente in fase di sviluppo delle infrastrutture. Il Ministero dei Lavori Pubblici e dell’Edilizia ha garantito che il progetto dell’IKN sta procedendo secondo i piani. I lavori si stanno concentrando sullo sviluppo delle infrastrutture di base e degli edifici governativi. Lo sviluppo dell’area del governo centrale (KIPP, Kawasan Inti Pusat Pemerintahan), in particolare il Palazzo Presidenziale, che sarà il più grande complesso del KIPP, è fondamentale per costruire la fiducia del pubblico e attrarre investitori. Il palazzo coprirà il doppio della superficie occupata a Gicarta e sarà in grado di ospitare fino a ottomila persone per le attività cerimoniali del 17 agosto. Verranno poi costruite anche infrastrutture pubbliche, come luoghi di culto, strutture sanitarie, parchi, aree sportive, educative e commerciali, e gli alloggi per i funzionari. Questa zona sarà inoltre circondata da cinture verdi in linea con l’obiettivo di rendere la capitale una “smart forest city”, con il 65% del territorio ricoperto da foreste urbane, che contribuirà a raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2045 attraverso l’utilizzo di energia rinnovabile. A partire da agosto, molti ministeri e agenzie governative apriranno uffici lì, e il governo prevede di trasferire 3mila dipendenti pubblici da luglio a novembre. Invece, le ambasciate e le sedi centrali delle imprese straniere situate a Giacarta si sono mostrate riluttanti a discutere il trasferimento. 

Riguardo gli investimenti, il governo si è impegnato a finanziare il 20% dei costi dal bilancio statale, e per il resto punta su capitali privati, anche esteri. Ma Nusantara ha tardato ad attrarre investitori, sia nazionali che esteri. SoftBank ha ritirato i piani citando preoccupazioni sulla sostenibilità economica. Il governo rivendica gli interessi di quasi 300 aziende in tutto il mondo, ma le trattative devono ancora concludersi. Pochi investitori sono disposti a impegnare fondi finché il successore di Jokowi – e le sue opinioni sulla nuova capitale – non saranno chiari. Anche per gli investitori stranieri è necessario assicurarsi che i piani di Nusantara vadano avanti dopo le elezioni. 

Jokowi ha fatto ogni sforzo per garantire che il suo successore continui il progetto, arrivando al punto di approvare una legge sulla nuova capitale all’inizio del 2022, sostenuta dal 93% dei partiti della Camera dei Rappresentanti. Un’altra garanzia è diventata chiara lo scorso ottobre, quando Prabowo Subianto, il 72enne Ministro della Difesa ed ex generale dell’esercito, ora alla guida del risultato preliminare delle elezioni presidenziali del 14 febbraio, ha annunciato che il suo compagno di corsa alle prossime elezioni sarebbe stato il figlio 36enne di Jokowi, Gibran Rakabuming, che intende portare avanti l’eredità di suo padre.

Lo scetticismo degli investitori stranieri riflette inoltre la constatazione che storicamente ci sono stati pochi trasferimenti di successo. Molti temono che Nusantara possa condividere il destino dei simili progetti portati avanti dai suoi vicini nel Sud-Est asiatico che hanno trasferito le loro capitali nell’era post coloniale. Nel 1999, ad esempio, la Malesia ha iniziato a trasferire i ministeri federali e le agenzie governative nella nuova capitale amministrativa, Putrajaya, 25 chilometri a sud di Kuala Lumpur, che rimane ancora oggi la capitale finanziaria e commerciale del Paese. Allo stesso modo, il Myanmar nel 2005 ha spostare la sua capitale amministrativa da Yangon a Naypyidaw, ma la maggior parte delle principali ambasciate sono rimaste a Yangon.

Sono in molti a dubitare che Nusantara riuscirà a sostituire rapidamente Jakarta come centro finanziario. Kalimantan ha industrie che potrebbero sostenere lo sviluppo, tra cui la silvicoltura, l’agricoltura e l’estrazione mineraria, ma Giava ha un’economia industriale e basata sui servizi. Non si sa se riuscirà a sostenere il ruolo di una vera capitale: connettività con altre città globali, creazione di conoscenza, servizi amministrativi. 

Nonostante dubbi e forti critiche, Nusantara Capital Authority ha affermato che la metropoli segue i modelli di Shenzhen e Dubai, due centri economici costruiti da zero, oltre agli altri riferimenti di Canberra, Putrajaya o Washington D.C. per diventare un centro dell’economia mondiale, nonché perno del governo e della crescita economica.

Se i piani andranno avanti, Jokowi e il suo successore riusciranno laddove i precedenti leader indonesiani hanno fallito. Tuttavia, l’enorme opera di deforestazione, i rischi per la biodiversità e la fauna selvatica, e l’eccessivo sfruttamento delle risorse minerarie della zona restano le maggiori preoccupazioni, oltre al pericolo della corruzione e dell’eccessivo indebitamento. Come affermato da I. M. Sukma, “un mega progetto infrastrutturale presenta due distinte possibilità: il potenziale di uno spreco di fondi in caso di abbandono completo, con il progetto già in corso, o il rischio di una città fallita, soprattutto date le continue sfide del governo per attrarre gli investimenti necessari per rendere il centro della ‘nuova Indonesia’ una realtà”. Staremo a vedere. Il futuro di Nusantara e del nuovo governo entrante è ancora tutto da scrivere. 

L’ASEAN e la sfida di mantenere l’armonia nel Mar Cinese Meridionale

Una delle maggiori rotte commerciali al mondo e ricchissima di risorse marine e minerali, quest’area ricopre un’importanza geostrategica ed economica incredibile

Di Walter Minutella

In un mondo in cui l’economia rappresenta il motore trainante del sistema globale, ogni attore cerca di ottenere un’influenza sempre più significativa. I pilastri su cui questo sistema economico si regge possono essere individuati in due elementi chiave: il commercio e le risorse. Nel contesto di questa dinamica, il Mar Cinese Meridionale emerge come una regione che detiene entrambi questi fattori.

Il Mar Cinese Meridionale è un tratto di mare di enorme importanza strategica che confina con numerosi Paesi. Tra quelli che si affacciano su questo mare troviamo diversi membri dell’ASEAN, come Filippine, Malesia, Vietnam, Indonesia,  Singapore, Thailandia e Brunei. I restanti attori presenti nell’area sono Cina e Taiwan. Essendo il Mar Cinese Meridionale una delle maggiori rotte commerciali al mondo ed essendo ricca di risorse marine e minerali, tra cui il petrolio, quest’area ricopre un’importanza geostrategica ed economica incredibile, ma non è priva di tensioni.

L’ASEAN in questo contesto è stata fondamentale nella promozione della stabilità e della cooperazione nella regione asiatica fin dalla sua istituzione. Tutto ciò è dovuto anche grazie alla sua filosofia, nota come “l’ASEAN Way”, la quale ha contribuito a creare un ambiente in cui le nazioni membri collaborano per affrontare sfide comuni. 

L’ASEAN Way è un approccio diplomatico adottato dall’ASEAN che si basa su principi come il consenso decisionale unanime, la non-interferenza negli affari interni, la sensibilità culturale, il gradualismo e la flessibilità. Questo modello mira a promuovere la cooperazione pacifica tra gli stati membri, evitando il conflitto aperto e incoraggiando la coesistenza armoniosa. Tuttavia, è stato oggetto di critiche per la sua tendenza a ritardare decisioni assertive in situazioni complesse, come quelle che possono verificarsi nell’area del Mar Cinese Meridionale.

Nel contesto delle dispute nel Mar Cinese Meridionale, l’ASEAN si è trovata a gestire tensioni complesse. Da un punto di vista storico, la situazione in quest’area è stata sempre complicata. Fino al 1984, gli Stati membri originali dell’ASEAN avevano una posizione anti-comunista comune, che si rifletteva nella diffidenza verso l’espansionismo cinese. Con l’ammissione di Vietnam, Laos, Myanmar e Cambogia, il dinamismo politico ed economico della regione è cambiato. Questi nuovi membri, con profonde dipendenze economiche dalla Cina, hanno influenzato il modo in cui l’ASEAN affronta le tensioni, indebolendo gradualmente la diffidenza iniziale.

Nonostante il successo dell’ASEAN nel mantenere la pace in una regione storicamente turbolenta, la sua risposta alle dispute nel Mar Cinese Meridionale è stata meno assertiva. Dato il principio di unanimità presente nell’ASEAN Way, era difficile trovare soluzioni che andassero incontro a tutte le necessità. Gli sviluppi recenti, però, mostrano come le azioni degli stati dell’ASEAN sia come singoli che come membri, siano volte a stabilire una sempre maggiore pace e stabilità nell’area.

Nel 2016, la sentenza della Corte Permanente d’Arbitrato dell’Aia rappresentò un momento cruciale nella risoluzione delle dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale, in particolare tra la Cina e le Filippine. La Corte ha respinto le rivendicazioni territoriali cinesi basate sulla “Linea a Nove Tratti”, una mappa disegnata unilateralmente della Cina che stabilisce la sua sovranità su gran parte del Mar Cinese Meridionale.

La decisione della Corte riconobbe il diritto delle Filippine di perseguire risorse nelle loro acque esclusive, respingendo le affermazioni cinesi che limitavano l’accesso e l’uso delle risorse naturali nella regione. Questo verdetto rappresentò una svolta significativa, sottolineando la validità delle rivendicazioni marittime basate sul diritto internazionale, in contrasto con le posizioni unilaterali della Cina.

Negli ultimi anni, a causa di queste dispute, il Vietnam ha iniziato a manifestare crescenti preoccupazioni riguardo alle azioni di Pechino nel Mar Cinese Meridionale. Nello specifico, le inquietudini riguardano diversi episodi: la costruzione di infrastrutture militari sulle Paracelso, manovre volte a impedire a navi di ricerca petrolifere vietnamite di operare in alcune zone; limitazioni delle attività di pesca.

Nel 2020, nonostante la pandemia di COVID-19, il 53° AMM dichiarò il proseguimento degli sforzi per attuare il Codice di Condotta (COC) nel Mar Cinese Meridionale. La persistenza nell’impegno, nonostante le difficoltà, riflette il desiderio dell’ASEAN di stabilire un quadro normativo e diplomatico volto a gestire le tensioni nella regione, per favorire la pace e la stabilità. Tuttavia, persiste una mancanza di posizione comune chiara all’interno dell’ASEAN, evidenziando i contrasti interni tra gli stati membri e il complesso meccanismo che si cela dietro queste dichiarazioni.

Tuttavia, le recenti dichiarazioni dei ministri degli esteri dell’ASEAN pubblicate a fine dicembre 2023, hanno acquisito un’importanza significativa, essendo il primo comunicato autonomo emesso dall’ASEAN sulla questione del Mar Cinese Meridionale. In queste dichiarazioni viene ribadito l’impegno per la pace nel Mar Cinese Meridionale, esprimendo preoccupazione per gli sviluppi recenti. Sottolineano la necessità di risolvere le dispute pacificamente, implementare pienamente la Dichiarazione sul Comportamento delle Parti (DOC) e lavorare rapidamente verso un COC conforme al diritto internazionale, incluso l’UNCLOS del 1982. L’obiettivo dei ministri è quello di promuovere il dialogo come strumento per la stabilità regionale.

Nonostante la risposta un po’ tardiva, le dichiarazioni esprimono forti preoccupazioni per le tensioni recenti, come quelle avvenute tra la Cina e le Filippine, specialmente intorno al banco sommerso di Second Thomas Shoal. Nello specifico, la Cina ha intrapreso azioni percepite dalle Filippine come aggressive, per impedire alle forze filippine di rifornire una nave ancorata, mentre la Cina sostiene la legittimità delle sue azioni in base alla “linea dei nove tratti”. Secondo la Cina tali azioni rappresentano misure di sicurezza necessarie per proteggere i propri interessi nazionali nella regione. 

La risposta coalizzata da parte dei ministri degli esteri dell’ASEAN dà un forte segnale di coesione e solidarietà nell’affrontare le dispute interne e internazionali. Tuttavia, alcuni osservatori sostengono che non basta un comunicato e che bisogna fare di più per affrontare le delicate sfide che costellano la zona del Mar Cinese Meridionale in maniera efficace.

Effettivamente, pochi mesi dopo, l’ASEAN ha proseguito nel suo impegno per cercare una maggiore stabilità nella regione. Durante la prima settimana di marzo del 2024 per il summit speciale tra i membri dell’ASEAN e l’Australia a Melbourne, il governo australiano ha elogiato gli sforzi dei membri dell’ASEAN nel delimitare i loro confini marittimi e ha deciso di stanziare un finanziamento di più di 40 milioni di dollari per la sicurezza marittima del Mar Cinese Meridionale. Il finanziamento è stato annunciato durante il cinquantesimo anniversario della partnership dialogica tra le due parti. 

La dichiarazione congiunta ASEAN-Australia è un altro passo verso la collaborazione regionale. Tuttavia, resta da vedere se questo impegno finanziario contribuirà in modo significativo alla risoluzione delle tensioni e l’ASEAN potrebbe essere chiamata a svolgere un ruolo più attivo nel promuovere la stabilità nella regione.

Resta da vedere come l’ASEAN si evolverà nel gestire le complesse dinamiche del Mar Cinese Meridionale. Vale la pena menzionare le iniziative minilaterali adottate da alcuni Stati membri, come evidenziato dalle recenti dinamiche tra Filippine e Vietnam. Le due nazioni hanno recentemente firmato un accordo di cooperazione tra le rispettive Guardie costiere. Questo memorandum d’intesa è mirato a ridurre il rischio delle operazioni nelle acque contestate e rappresenta un passo significativo verso la gestione congiunta delle tensioni. Questa iniziativa dimostra come i Paesi membri, anche in modo bilaterale, stiano cercando attivamente soluzioni pragmatiche per promuovere la pace e la stabilità nella regione.

Il ruolo della Cina nel commercio ASEAN

Negli ultimi anni Pechino e i Paesi del Sud-Est asiatico hanno firmato una serie di accordi di cooperazione economica

Editoriale a cura di Lorenzo Riccardi, Managing Partner RsA Asia

Il ruolo di Pechino in Asia è promosso dal volume degli scambi commerciali e dal numero di accordi bilaterali e multilaterali. Nella regione Asia-Pacifico, la Cina ha firmato 42 accordi contro la doppia imposizione, dieci accordi di libero scambio e ha promosso accordi multilaterali di libero scambio con l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN), i Paesi del Partenariato Economico Complessivo Regionale (RCEP), le economie del Golfo (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti) e i Paesi del Nord-Est Asiatico (Giappone e Corea). Il numero di trattati fiscali, accordi di investimento e accordi di libero scambio è proporzionalmente molto più alto nei Paesi vicini dell’area orientale rispetto ad altre regioni del pianeta. Ciò determina una tendenza all’accelerazione delle relazioni economiche, soprattutto con il principale partner commerciale: il blocco ASEAN. Per rafforzare la partnership commerciale, negli ultimi 20 anni Cina e ASEAN hanno firmato una serie di accordi di cooperazione economica. Tra questi, un accordo globale sulla cooperazione economica globale tra ASEAN e Cina nel 2002, l’istituzione dell’Area di libero scambio ASEAN-Cina (ACFTA) attuata in diverse fasi tra il 2005 e il 2010, l’Accordo di libero scambio Cina-Singapore in vigore dal 2008, un accordo sugli investimenti ASEAN-Cina nel 2009, l’Accordo di libero scambio ASEAN-Hong Kong SAR Cina in vigore dal 2019, il Partenariato economico globale regionale firmato nel 2020 e l’accordo di libero scambio con la Cambogia in vigore dal 2022. Pechino ha inoltre firmato accordi di esenzione reciproca dal visto tra il 2023 e il 2024 con Thailandia, Malesia e Singapore. È prevista una procedura di visto all’arrivo per i cittadini cinesi che si recano in Brunei, Cambogia, Indonesia, Laos e Myanmar e una procedura semplificata di visto elettronico per il Vietnam. Tra i Paesi ASEAN, solo le Filippine richiedono un visto preventivo per i visitatori cinesi. Nel commercio Cina-ASEAN, Kuala Lumpur è il maggior esportatore con 102 miliardi di dollari di dati delle dogane cinesi nel 2023 (quasi quattro volte il volume delle esportazioni italiane in Cina), mentre Hanoi è il maggior importatore di prodotti cinesi con circa 137 miliardi di dollari. L’ASEAN e Pechino crescono oltre la media globale e la Cina ha nel Sud-Est asiatico il suo primo partner commerciale con 911 miliardi di dollari di scambi nel dicembre 2023, superando il volume aggregato di importazioni ed esportazioni registrato dalla Repubblica Popolare con l’Unione Europea (783 miliardi di dollari) e gli Stati Uniti (664 miliardi di dollari).

Le tendenze demografiche nel Sud-Est asiatico

La gestione delle sfide legate all’urbanizzazione, all’equità di genere e agli spostamenti migratori interni sarà cruciale per plasmare il futuro del Sud-Est asiatico

Di Walter Minutella

Nella regione vibrante e ricca di culture del Sud-Est asiatico, un luogo noto per le sue economie in rapida espansione, stanno emergendo sfide legate alla demografia. Mentre grandi potenze come Cina, Giappone e Corea del Sud sono alle prese con il preoccupante calo della popolazione, emerge un’interessante opportunità per il Sud-Est asiatico. La Cina, ad esempio, nel 2024 ha continuato la sua striscia negativa, con un tasso di mortalità che ha superato il tasso di natalità e una conseguente diminuzione della popolazione di oltre 2 milioni. Inoltre, la Cina si trova ad affrontare il problema di un’età media sempre più avanzata, simile a quella del Giappone, che è una delle più alte al mondo. Tuttavia, è importante concentrarsi anche sui paesi del Sud-Est asiatico, poiché svolgono un ruolo cruciale nel contesto della demografia globale. Mentre i giganti asiatici devono far fronte al calo dei tassi di natalità e all’invecchiamento della popolazione, un esame più attento delle tendenze demografiche nei paesi del Sud-Est Asiatico rivela una storia di crescita e trasformazione.

Dando uno sguardo attento all’ESCAP, la Commissione Economica e Sociale per l’Asia e il Pacifico, nonché una delle cinque commissioni economiche regionali che riportano al Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, vediamo come, al contrario dei grandi paesi asiatici, il Sud-Est Asiatico stia sperimentando una grande impennata demografica.

Questo dato favorevole è principalmente il risultato di diversi elementi significativi che si stanno verificando in questa specifica regione. Questi fattori sono principalmente influenzati dalle strategie politiche legate allo sviluppo urbano, all’espansione economica e al miglioramento delle infrastrutture, i cui sforzi hanno facilitato notevoli progressi, tra cui l’attuale aspettativa di vita di 73,2 anni alla nascita, con proiezioni che indicano che salirà a quasi 78 entro il 2050.

I dati demografici evidenziano anche la favorevole età media della popolazione, che attualmente si attesta poco sopra i 29 anni. Se si considera il tasso di natalità superiore a 2, diventa evidente che la regione del Sud-Est Asiatico prevede una forte crescita demografica nei prossimi anni.

Ovviamente, la prospettiva regionale non si allinea perfettamente con tutti i paesi dell’ASEAN. All’interno dei panorami socioeconomici del Sud-Est asiatico, alcuni paesi stanno sperimentando un’importante crescita demografica, mentre alcuni vivono sfide simili alle nazioni orientali, il che aggiunge profondità e complessità alla narrazione complessiva. Questo fenomeno è strettamente legato a una serie di fattori che mettono in risalto le caratteristiche uniche di ogni singola nazione.

L’Indonesia, con la sua geografia espansiva e il ricco patrimonio culturale, sperimenta una continua crescita demografica. L’attuazione di iniziative di pianificazione familiare e la priorità data all’istruzione, in particolare nelle zone rurali, svolgono un ruolo fondamentale nel favorire un aumento del tasso di fertilità.

Le Filippine, con la loro ricca miscela di influenze culturali e condizioni economiche eterogenee, adottano sempre più politiche che favoriscono l’uguaglianza di genere e migliorano l’accesso ai servizi sanitari, generando così una crescita demografica rilevante. Questa combinazione unica di fattori contribuisce a mantenere un tasso di natalità notevole.

La Thailandia, che sta affrontando un rapido invecchiamento della popolazione, cerca di gestire questa transizione demografica attraverso politiche che mirano a sostenere le famiglie, con un particolare focus sull’equilibrio tra lavoro e vita familiare. 

La Malesia, invece, è alle prese con cambiamenti nelle dinamiche familiari e pressioni economiche, in parte a causa dell’accelerata urbanizzazione degli ultimi anni. Pertanto, le politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia sono cruciali per adattarsi a queste trasformazioni.

Tuttavia, nel contesto di queste dinamiche demografiche nella regione del Sud-Est asiatico, è cruciale notare il caso di Singapore e del Vietnam, costretti ad affrontare una sfida unica. 

Singapore, nonostante la sua storica politica di reclutamento di lavoratori stranieri per sostenere la crescita economica, si trova ad affrontare le complessità di un’inversione demografica. Secondo quanto comunicato dal governo, un quarto della popolazione di Singapore sarà over 65 entro il 2030. L’invecchiamento accelerato della popolazione definita “super-aged” e il declino del tasso di fertilità rappresentano una minaccia per il tessuto sociale ed economico di Singapore. Questo problema è ulteriormente accentuato dalla necessità di attrarre e trattenere personale sanitario come evidenziato dai recenti incentivi finanziari per gli infermieri, che di solito emigrano per cercare compensi maggiori.

Il Vietnam, noto per il suo rapido progresso economico, si distingue per miglioramenti nelle condizioni di vita e un crescente processo di urbanizzazione. Questi fattori, insieme a politiche che sostengono la pianificazione familiare e garantiscono un accesso equo all’istruzione, convergono per sostenere una crescita demografica in equilibrio. Tuttavia, nonostante le prospettive positive del Vietnam, si prevede che il numero di individui over 60 triplicherà prima del 2050. Con un tasso di natalità che è sceso da 6.5 alcuni decenni fa a 2 attualmente, il Vietnam potrebbe affrontare un notevole declino demografico, raggiungendo poco più di 70 milioni di abitanti entro il 2100, rispetto agli oltre 100 milioni attuali. Di conseguenza, il governo vietnamita sta attivamente intervenendo per sostenere economicamente le famiglie numerose, cercando di stimolare un aumento del tasso di natalità.

Analizzare approfonditamente le politiche demografiche, economiche e sociali di ciascun Paese è essenziale per comprendere appieno le ragioni di queste tendenze demografiche e anticiparne gli impatti futuri nella complessa regione del Sud-Est asiatico. Secondo gli esperti, le politiche di sostegno alle famiglie, l’accesso all’istruzione e le opportunità di lavoro influenzeranno significativamente la direzione demografica della regione. Inoltre, la gestione delle sfide legate all’urbanizzazione, all’equità di genere e agli spostamenti migratori interni sarà cruciale per plasmare il futuro del Sud-Est asiatico.

Si può pertanto evincere che il Sud-Est asiatico presenta una complessa varietà di scenari demografici, ciascuno con le proprie peculiarità. Monitorare attentamente queste dinamiche e comprendere il contesto socio-economico di ciascun Paese è essenziale per delineare con precisione il futuro demografico di questa regione che acquisisce sempre più importanza nello scenario globale e che attualmente sembra essere in pieno aumento con ottime prospettive future.

Un viaggio, tre destinazioni

Laos, Cambogia e Vietnam puntano a massimizzare i ricavi del settore turistico proponendo un pacchetto “tri-paese”

Di Tommaso Magrini

I leader di Laos, Vietnam e Cambogia stanno facendo un grande sforzo per incoraggiare un maggior numero di turisti internazionali a visitare i loro tre Paesi in un unico viaggio. In quella che viene presentata come un’esperienza di viaggio unica e senza soluzione di continuità, i premier hanno sollevato questa iniziativa – denominata “Un viaggio, tre destinazioni” – più volte nei mesi scorsi, in occasione dei loro incontri a margine del vertice ASEAN di Giacarta e del vertice commemorativo ASEAN-Giappone di Tokyo. Il Primo Ministro cambogiano Hun Manet ha dichiarato che il Paese si spingerà oltre, ospitando una conferenza che coinvolgerà i ministri del turismo dei tre Paesi per sviluppare lo sforzo congiunto. Molte agenzie di viaggio stanno già conducendo questi cosiddetti tour “tri-paese” da qualche tempo. I tre Paesi, che condividono i confini, hanno punti di forza complementari per offrire un’esperienza diversificata ai viaggiatori, dato che offrono una miscela di patrimoni storici, culturali e naturali. Il Laos, senza sbocco sul mare, è rinomato per la sua atmosfera tranquilla e il suo vibrante patrimonio culturale. La Cambogia vanta antichi templi e ricchezze spirituali, mentre il Vietnam offre un mix di città vivaci e meraviglie naturali immerse in una campagna serena e nella lunga costa del Paese. Gli operatori del settore hanno dichiarato che la questione dei visti rimane uno degli ostacoli da superare per il successo di questa spinta turistica tra i tre Paesi. I tre governi chiedono un processo di rilascio dei visti più snello, che preveda il riconoscimento reciproco dei visti, la standardizzazione delle procedure di richiesta dei visti, l’unificazione delle tariffe e l’utilizzo di database condivisi per lo scambio di informazioni. Dal 2012 la Cambogia e la Thailandia hanno per esempio istituito un sistema che consente ai turisti di visitare entrambi i Paesi con un unico visto. Un precedente che potrebbe presto fare scuola.

Associazione Italia-ASEAN alla Camera dei Deputati

Il 12 marzo 2024 i rappresentanti dell’Associazione Italia-ASEAN sono stati auditi presso la Commissione Affari Esteri dal Comitato permanente sulla politica estera per l’Indo-Pacifico istituito presso la Commissione stessa, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle tematiche relative alla proiezione dell’Italia e dei Paesi europei nell’Indo-Pacifico. Sono intervenuti l’Ambasciatore Michelangelo Pipan, Presidente dell’Associazione Italia-ASEAN, e Romeo Orlandi, Vice Presidente dell’Associazione Italia-ASEAN.

Si può vedere il video integrale sul sito della Camera.

L’AUSTRALIA PUNTA SULL’ASEAN

Pubblichiamo qui uno stralcio del discorso della Ministra degli Esteri Penny Wong al summit di Melbourne tra Australia e ASEAN

Quando l’ASEAN era ancora agli albori, circa cinquant’anni fa, il nostro visionario Primo Ministro Gough Whitlam riconobbe che l’ASEAN era già centrale nella gestione delle sfide della regione, e capì che lo sarebbe diventata sempre di più. Per questo motivo, si impegnò con entusiasmo a favore dell’ASEAN e ben presto l’Australia divenne il primo paese non membro a stabilire relazioni formali, quando il Primo Ministro Whitlam firmò per l’Australia come primo partner di dialogo dell’ASEAN. Il Primo Ministro Whitlam sapeva che, sebbene gran parte della nostra storia fosse in Europa, la nostra casa e il nostro futuro sono nella nostra regione. Ha riconosciuto il ruolo che il Sud-Est asiatico avrebbe avuto nel destino dell’Australia e del mondo. A sua volta, Whitlam vedeva l’Australia come “un vero partecipante al destino della regione”. E, come sempre, pensando al futuro, disse: “Non si può tornare indietro da questo impegno”. In effetti, è stato dimostrato che aveva ragione. E il nostro impegno è cresciuto fino a diventare un Partenariato strategico globale tra l’ASEAN e l’Australia, la formalizzazione dell’impegno permanente dell’Australia nei confronti della centralità dell’ASEAN. La formalizzazione di una verità che l’Australia non solo riconosce, ma abbraccia: condividiamo una regione e un futuro. Siamo legati dalla geografia che il destino ha scelto per noi e siamo rafforzati dal partenariato che abbiamo scelto per noi stessi. Le nostre nazioni e i nostri popoli si arricchiscono con gli scambi commerciali. Le nostre nazioni e i nostri popoli beneficiano della pace, della stabilità e della sicurezza che costruiamo insieme. La nostra fede nel successo condiviso è alla base dell’impegno dell’Australia per un maggiore partenariato economico. Abbiamo tutti la responsabilità di plasmare la regione che vogliamo condividere: pacifica, stabile e prospera. I nostri partenariati di difesa di lunga data nella regione, anche con gli Stati membri dell’ASEAN, non costruiscono solo interoperabilità, ma anche amicizia e comprensione. I Paesi della nostra regione dipendono dagli oceani, dai mari e dai fiumi per il loro sostentamento e per il commercio, comprese le rotte marittime libere e aperte nel Mar Cinese Meridionale. Per questo sono lieta di annunciare che nei prossimi quattro anni stanzieremo altri 64 milioni di dollari, di cui 40 milioni di dollari di nuovi finanziamenti, per potenziare i partenariati marittimi australiani nel Sud-Est asiatico. Sono inoltre lieta di annunciare un ulteriore stanziamento di 222,5 milioni di dollari per sostenere la resilienza nella subregione del Mekong. Una seconda fase del Partenariato Mekong-Australia porterà investimenti nella sicurezza idrica, nella resilienza ai cambiamenti climatici, nella lotta alla criminalità transnazionale e nel rafforzamento della leadership subregionale.

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