Elezioni in Indonesia: i temi del voto

Mercoledì 14 febbraio si svolgono le presidenziali indonesiane. Il voto è molto atteso per capire chi sarà il successore di Joko Widodo

Di Aniello Iannone

Il 12 dicembre, il dibattito presidenziale in Indonesia ha visto riuniti i candidati presidenziali Ganjar Pranowo (PDI-P), Prabowo Subianto (Gerindra) e Anies (coalizione AMIN composta da (PAN): il Partito dell’Impegno Nazionale, un partito nazionalista moderato e islamico, e (PKS): il Partito della Giustizia e della Prosperità, un partito politico islamico che si basa sui principi dell’Islam e cerca di attuare politiche in linea con i valori islamici nella società e nel governo. Il candidato alla vicepresidenza accanto ad Anies Baswedan, Muhaimin Iskandar, è il segretario del partito. Infine, il (PPP): il Partito dell’Unità e dello Sviluppo, è un partito politico formato da organizzazioni islamiche, le cui politiche sono incentrate sui principi dell’Islam e sulla partecipazione attiva alla costruzione e allo sviluppo della nazione. ), i quali hanno dibattuto su questioni politiche indonesiane. Tra i temi discussi la lotta alla corruzione, la protezione delle minoranze, la questione di Papua, l’indice di democrazia e lo sviluppo economico. Sebbene il dibattito abbia evidenziato le differenze nei programmi dei candidati, la questione etica, in particolare legata a Gibran, figlio di Joko Widodo e candidato vicepresidente, ha aggiunto una complessità unica in vista delle imminenti elezioni, tra le più significative post-Soeharto.

Questioni familiari

La scelta del vicepresidente assume un ruolo cruciale nelle elezioni indonesiane, coinvolgendo in particolare coloro che potrebbero non identificarsi completamente con il candidato presidenziale. Tale dinamica è emersa chiaramente durante le elezioni del 2019, soprattutto dopo lo scandalo del caso Ahok, ex governatore di Jakarta che nel 2018 fu accusato di blasfemia, dal quale Joko Widodo ha dovuto affrontare instabilità e critiche politiche, specialmente da parte di gruppi musulmani radicali in Indonesia, come il Fronte di Difesa Musulmano,  che lo accusavano di essere comunista e di discendenza cinese. L’utilizzo dell’identità politica in Indonesia riflette parzialmente il processo storico e politico del paese, non basato su un’ideologia narrativa, bensì sull’identità politica. 

In questo contesto, durante la campagna elettorale del 2019, Jokowi ha scelto Ma’ruf Amin, un alto rappresentante dell’organizzazione musulmana indonesiana, come strategia per guadagnare il sostegno di una popolazione musulmana scettica verso il suo partito. Tale scelta si è rivelata efficace, sebbene abbia suscitato domande da parte di nazionalisti che faticano a identificare una connessione identitaria tra PDI-P e Ma’ruf Amin.

La situazione politica in Indonesia ha raggiunto situazioni in parte paradossali. Dopo la sconfitta alle elezioni del 2019, Prabowo, il candidato sconfitto, ha sorprendentemente assunto l’incarico di Ministro della Difesa nel governo Jokowi 2.0, un ruolo chiave che ha contribuito a ridurre e indebolire l’opposizione. Questo evento, insieme alle manovre strategiche successive durante la campagna elettorale del 2024, ha sollevato sospetti sulla direzione della politica indonesiana. L’ombra di Jokowi si proietta sulle elezioni del vicepresidente, con Gibran, figlio,  attuale sindaco di Surakarta, proposto come candidato vicepresidente.

Gibran, attualmente 36enne, non avrebbe dovuto potersi candidare poiché al di sotto del limite di età consentito dalla costituzione indonesiana per diventare vicepresidente, cioè 40 anni. Tuttavia, attraverso una riforma legislativa, il giudice della Corte Costituzionale Anwar Usman, (marito di Idayati, sorella del Presidente Joko Widodo) ha avviato l’iniziativa di modificare le regole a vantaggio di Joko Widodo e Gibran. Questa manovra ha comportato la riduzione dell’età minima per candidarsi da 40 a 35 anni, con disposizioni speciali che richiedono almeno un mandato come sindaco. Nella pratica, si tratta di una legge ad-hoc progettata appositamente per Gibran. 

A pochi mesi dal 14 febbraio, giorno delle elezioni,  il panorama politico in Indonesia si prepara ad affrontare inevitabili conflitti tra coalizioni e alleanze. Joko Widodo sembra sempre vicino  al partito Gerindra piuttosto che al PDIP. Se Prabowo-Gibran dovessero vincere, è probabile che Joko Widodo assuma un ruolo chiave, forse in un ministero, agendo come mediatore tra Gibran e Prabowo, formando un terzo mandato sfumato. Tuttavia, la prospettiva della vittoria di Prabowo-Gibran solleva domande non solo politiche, ma anche sociali. Sorgono interrogativi su quali fattori spingano la popolazione a votare per un partito composto da una persona accusata di violazioni dei diritti umani e crimini contro l’umanità, come Prabowo, e un giovane cresciuto all’ombra del padre.

Questa situazione pone domande interessanti sulla consapevolezza politica e sociale degli elettori indonesiani. Affidare responsabilità politiche a leader con una storia controversa e la promozione di un erede politico diventano elementi di riflessione profonda nel contesto del quadro democratico del paese. Si auspica che la comunità sia in grado di valutare il peso delle considerazioni morali e dei diritti umani nel contesto delle loro scelte politiche, aprendo forse un nuovo capitolo nella storia politica dell’Indonesia. L’esito delle imminenti elezioni non determinerà solo la composizione del governo, ma potrà anche influenzare la percezione internazionale dell’Indonesia e la sua posizione nel panorama politico globale. Resta ancora un grande punto interrogativo su come la società indonesiana risponderà a questa cruciale sfida e su come i risultati delle elezioni modelleranno il futuro del Paese.

La visione dell’ASEAN sul 2024

Pubblichiamo qui uno stralcio del documento finale dell’incontro del 28 e 29 gennaio a Luang Prabang (Laos) tra i Ministri degli Esteri dell’ASEAN 

Il 29 gennaio 2024 si è tenuto a Luang Prabang, nella Repubblica Democratica del Laos, il ritiro dei ministri degli Esteri del Laos. Abbiamo avuto discussioni approfondite sull’attuazione della Visione della Comunità ASEAN 2025 e sulle priorità per la presidenza del Laos nel 2024, nonché sui modi concreti e sostenibili per rafforzare ulteriormente la Comunità dell’ASEAN, l’unità, la centralità e la resilienza dell’ASEAN in mezzo alle sfide regionali e globali. Abbiamo abbiamo anche scambiato opinioni sulle relazioni esterne dell’ASEAN e sui recenti sviluppi regionali e internazionali di interesse e preoccupazione comuni. 

Abbiamo ribadito il nostro forte impegno a sostenere il regionalismo e il multilateralismo e abbiamo sottolineato l’importanza di aderire ai principi chiave, ai valori condivisi e alle norme sancite dalla Carta delle Nazioni Unite, dalla Carta dell’ASEAN, dalla Dichiarazione sulla zona di pace, libertà e neutralità, la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) del 1982, il Trattato sulla Zona libera da armi nucleari nel Sud-Est asiatico (SEANWFZ).

Abbiamo riaffermato il nostro impegno comune a mantenere e promuovere la pace, sicurezza e la stabilità nella regione, nonché alla risoluzione pacifica delle controversie, compreso il pieno rispetto dei processi legali e diplomatici, senza ricorrere alla minaccia o all’uso della forza, in conformità con i principi del diritto internazionale.

Abbiamo discusso gli sviluppi in Myanmar e riaffermato la nostra posizione unitaria che il consenso in cinque punti rimane il nostro principale riferimento per affrontare la crisi politica in Myanmar, con l’unico obiettivo di ristabilire la pace, la stabilità e una risoluzione politica globale guidata dal Myanmar. Abbiamo accolto con favore le revisioni e decisioni dei leader dell’ASEAN sull’attuazione del consenso in cinque punti Consenso in cinque punti, adottate in occasione del 40° e 41° Vertice dell’ASEAN nel 2022 e del 43° Vertice dell’ASEAN nel 2023. 

Abbiamo riaffermato l’impegno dell’ASEAN ad assistere il Myanmar nella ricerca di una soluzione pacifica, globale e duratura al conflitto in corso, poiché il Myanmar rimane parte integrante dell’ASEAN. Gli Stati membri dell’ASEAN hanno accolto con favore la nomina di S.E. Alounkeo KITTIKHOUN, ex Ministro presso l’Ufficio del Primo Ministro della Repubblica Democratica del Laos, quale inviato speciale della presidenza dell’ASEAN per il Myanmar per il 2024, in quanto continuiamo a impegnarci per promuovere i progressi nell’attuazione dell’accordo di partenariato con il Myanmar.

Abbiamo apprezziamo gli sforzi compiuti finora per raggiungere le parti interessate e confidiamo nella sua volontà di aiutare la popolazione del Myanmar a trovare una soluzione guidata dal Myanmar verso un Myanmar pacifico, stabile e unificato che contribuisca alla pace e alla prosperità della regione.

Leggi qui il documento integrale

Myanmar, futuro in bilico a tre anni dal golpe

Per qualcuno, per la prima volta, l’ipotesi di una vittoria della resistenza civile alla giunta militare non sembra così remota. Per altri, il Tatmadaw rimane la forza meglio armata. L’Operazione 1027 potrebbe rinvigorire l’opposizione al regime e trovare nel 2024 un incastro inedito tra i tasselli del puzzle birmano

Di Agnese Ranaldi

“Direi che la rivoluzione ha raggiunto il livello successivo, piuttosto che dire che ha raggiunto un punto di svolta. Quello che abbiamo ora è il risultato della nostra preparazione, organizzazione e costruzione degli ultimi tre anni”. Lo ha detto di recente il portavoce del governo di unità nazionale del Myanmar, Nay Phone Latt, alla Associated Press. Quella a cui fa riferimento è la “Operazione 1027”, una delle offensive più potenti ed estese che la resistenza anti-golpista abbia mai lanciato contro il Tatmadaw, l’esercito responsabile del colpo di stato del 1° febbraio 2021 in Myanmar. Ha messo in difficoltà la giunta militare che fa capo al generale Min Aung Hlaing, e a cavallo del terzo anniversario dall’inizio della guerra civile potrebbe riconfigurare i rapporti di potere cambiando le sorti del conflitto. 


Il puzzle

Come in un déja-vu, dopo anni dall’ultimo golpe militare, i risultati delle elezioni legislative birmane del 2020 vinte dalla Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi hanno lasciato scontenti i militari, che hanno fatto quello che sanno fare meglio: contrarre i muscoli e riprendersi il potere. La forza politica vicina all’esercito, il Partito dell’Unione della Solidarietà e dello Sviluppo, aveva conquistato solo qualche decina di seggi. Dopo essersi visto negare dalla commissione elettorale la richiesta di un riconteggio dei voti, il generale e capo delle forze armate Min Aung Hlaing ha optato per le maniere forti. Con una campagna di raid e incarcerazioni, ha arrestato la cancelliera di Stato Aung San Suu Kyi e il presidente Win Myint, insieme ad altre figure di spicco dell’esecutivo, riportando il Paese alla dittatura militare.

Il regime golpista, che esprime l’etnia maggioritaria bamar (la più numerosa tra le circa 135 etnie riconosciute ufficialmente), ha armato però il suo stesso nemico. Come ha spiegato il docente dell’università del Sussex David Brenner su Twai, il Myanmar era già teatro della più lunga guerra civile in corso tra movimenti ribelli etnonazionali e l’esercito di una democrazia etnocratica e “disciplinata” – così la definisce la Costituzione del 2008, che concedeva ampio potere discrezionale alla classe dei militari. Il colpo di stato è riuscito a ricomporre gli interessi e le rivendicazioni identitarie di uno degli stati più compositi al mondo. Con non poca fatica, i gruppi di etnia Chin, Kachin, Karen, Kayah, Mon, Rakhine, Shan, e altri, hanno variamente imbracciato le armi. 

Dapprima in modo frammentato, scoordinato. Come avevano sempre fatto: divisi in milizie etniche, ciascuno sul proprio territorio, con le proprie modalità di addestramento e di azione. Come sottolinea Brenner, non tutte si sono posizionate in modo chiaro. Il movimento di resistenza civile, rappresentato dal governo di unità nazionale, è appoggiato dalle milizie karen e kachin. L’esercito dell’Arakan, spiega il ricercatore, “sembra aver optato per un’ambiguità strategica”, mentre lo Stato wa è stato dichiarato zona neutrale (e il rispettivo United Wa State Army è supportato anche finanziariamente dalla Cina perché tuteli la stabilità dell’area). 

Nell’ultima fase del conflitto, i militari stavano perdendo terreno e consenso. Hanno cercato di rafforzare e rinfoltire la milizia Pyusawhti, dal nome di un leggendario re guerriero, menzionato in alcune cronache reali per aver fondato nel IX secolo il primo impero Bamar di Bagan. Hanno promesso alle nuove reclute armi, terre e denaro. Ma molti membri hanno iniziato a disertare. Frontier Myanmar riporta l’esperienza di un giovane identificato con il nome di fantasia Ko Tun Min, che racconta di essere stato costretto a unirsi a una delle milizie pro-giunta a Sagaing, nel Myanmar centrale. La milizia guidata dal monaco ultranazionalista U Wasawa aveva minacciato i residenti del suo villaggio che avrebbe sequestrato le loro case se avessero rifiutato di arruolarsi. Il 28 ottobre, a un giorno dall’inizio di “Operazione 1027”, il leader ha convocato i suoi per dire che ci sarebbero stati scontri imminenti di lì a poco. Una settimana dopo, Ko Tun Min è riuscito a scappare. “Ho detto al mio superiore che dovevo lasciare la base per comprare le sigarette e non sono più tornato”, ha raccontato a Frontier Myanmar.

Il tassello

Se il Tatmadaw perde terreno, consenso, forza militare, allora “è al collasso”. “Stiamo già ricevendo molti disertori – ha detto a Nikkei Asia Zin Mar Aung, portavoce del governo ombra birmano – e buona parte dei militari è pronta ad arrendersi”. Secondo Zin Mar Aung il morale della giunta militare e dei suoi soldati è al minimo storico perché stanno perdendo il loro “fondamento logico”: la pretesa di porsi come garanti della coesione e della sicurezza nazionali. 

L’offensiva da nord-est è arrivata con tempismo, e ha ispirato la resistenza in tutto il Myanmar. È iniziata il 27 novembre nello stato Shan, a nord-est del Paese, ma ben presto si è trasmessa anche negli stati orientali Rakhine e Chin. Si è trattato di un attacco coordinato contro una dozzina di avamposti militari nello Stato Shan settentrionale, lungo il confine orientale del Paese con la Cina. L’operazione era organizzata dalla Three Brotherhood Alliance, composta da: Esercito dell’Alleanza Nazionale Democratica di Myanmar,  dall’Esercito di Liberazione Nazionale di Ta’Ang e dall’Esercito Arakan. Secondo Al Jazeera, si tratta di un gruppo che fa parte di una coalizione di sette organizzazioni armate etniche che mantengono stretti legami con la Cina e hanno basi o territori vicino alla frontiera con il Paese.

“Il fatto che la Three Brotherhood Alliance stia partecipando con vigore alla lotta contro la giunta ha influenzato notevolmente l’equilibrio di potere. La forza della rivoluzione sta aumentando”, ha dichiarato Tayzar San, un attivista che ha guidato la prima manifestazione del Paese contro il colpo di Stato. Come racconta un cooperante identificato con il nome Victor da Al Jazeera, fino a quel momento l’Alleanza si era tenuta a distanza dalla crisi, mentre i suoi membri combattevano individualmente sostenendo la resistenza di vari gruppi armati. Secondo lui era questione di tempo prima che entrassero in guerra. “Questo è l’inizio del gioco finale”, ha detto.  

L’incastro
Capire il presente del Myanmar è cosa complessa. Come ha raccontato in Myanmar Swing Carla Vitantonio, che ha lavorato per anni nel paese come cooperante, più ci si addentra nella storia di questo territorio e più il panorama etnico, sociale, politico, si infittisce. Diventa difficile tirare fuori una narrazione coerente. Persino ricomporre la matrice delle relazioni che hanno animato la guerra civile degli ultimi due anni, per quanto sia storia recente, è un’opera ambiziosa. Per qualcuno, come Victor, per la prima volta l’ipotesi di una vittoria della resistenza civile alla giunta militare non sembra così remota. Il 5 dicembre il generale Min Aung Hlaing ha invitato i gruppi etnici armati a risolvere “politicamente”  i loro problemi con i golpisti al potere. Ma come sottolinea Bertil Lintner sull’Irrawaddy, “sebbene l’esercito del Myanmar possa essere sparso su molti fronti e incapace di sconfiggere la resistenza, rimane la forza combattente più efficace e meglio armata del paese”. Quel che è certo, però, è che l’Operazione 1027 ha rinvigorito la resistenza civile alla giunta militare. Chissà che non possa trovare nel 2024 un incastro inedito tra gli infiniti tasselli del puzzle birmano.

Manovre rischiose sul mar Cinese meridionale

Nel corso del 2023 si sono acuite le tensioni sulle acque contese tra Cina e Filippine, mentre il Vietnam prova a mantenersi in equilibrio pur approfondendo le relazioni con gli Stati Uniti. Pechino si muove su Cambogia e Thailandia, che hanno entrambe un nuovo premier

Di Sabrina Moles

“Una comunità marittima dal destino condiviso”. Ed ecco che il motto dell’era Xi Jinping sulla “comunità dal destino condiviso” diventa un messaggio lanciato verso il suo vicinato “di mare”. Un vicinato non certo stabile, e ora più che mai oggetto di attenzione per tutte quelle realtà economiche, politiche e sociali che si affacciano su uno specchio d’acqua di 3,6 milioni di chilometri quadrati che interessa il 60% del commercio marittimo globale. Secondo i dati del Center for Strategic and International Studies (Csis) del 2017, su queste acque transitano beni per un valore di oltre 3,37 triliardi di dollari e altrettante opportunità si nascondono ancora nei fondali: metalli, petrolio, gas. 

Se il Pacifico in generale è oggi uno dei punti più caldi delle dinamiche internazionali il mar Cinese meridionale vi si trova come un vulcano attivo che potrebbe eruttare da un momento all’altro. Con la fine della pandemia sono riprese anche le operazioni di monitoraggio e pattugliamento dell’area che ogni governo porta avanti per tutelare la propria sovranità su una parte di queste acque e ogni confronto – in particolare con le imbarcazioni cinesi – potrebbe accendere la miccia. La diplomazia ha fatto pochi passi avanti per tutelare la libertà di navigazione e saranno gli anni futuri a decidere del destino di queste rivendicazioni.

Nel 2016 la Corte permanente di arbitrato dell’Aia ha respinto le rivendicazioni della Cina, a seguito di una denuncia del governo delle Filippine nel 2013. Da allora anche il processo di ridefinizione dei diritti di passaggio e sfruttamento dei giacimenti naturali ha subito continue interruzioni. Da tempo le nazioni dell’area chiedono il rispetto delle norme contemplate dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos), che non contempla il tipo di sovranità “storica” che Pechino sostiene di avere sul mar Cinese meridionale. Un’area circoscritta dalla cosiddetta “linea a nove tratti” sulle sue mappe che racchiude quelle che la Repubblica popolare considera sue acque.

Dagli anni Novanta i paesi della regione hanno cercato di costruire un dialogo che potesse portare alla definizione di regole condivise. Il progresso più significativo risale al 2002 con la ratificazione di una Dichiarazione non vincolante sulla condotta delle parti (Doc), ma da allora l’idea di un Codice di condotta vincolante (Coc) non è mai decollata veramente. Al margine della ministeriale di luglio 2023 la Cina e i paesi dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (Asean) hanno stabilito delle “linee guida comuni” per accelerare i negoziati, azione che riflette un tentativo di ridare slancio all’iniziativa ma che vede ancora divisi i paesi del gruppo. 

L’Indonesia, in qualità di presidente per il 2023, ha ospitato le prime esercitazioni marittime congiunte dell’Associazione in prossimità della linea a nove tratti. Segnali che mettono in difficoltà la Cina, ma non troppo. Nell’Asean, al di fuori di Filippine, Vietnam, Indonesia e Malesia, la questione è meno prioritaria e potrebbe tornare ai margini in vista della presidenza di turno del Laos, un paese molto vicino a Pechino. Il principio del consenso inteso come accordo unanime tra le parti non permette, infatti, l’approdo a una strategia più determinata nei confronti della Cina. 

Le aziende e le forze armate cinesi, nel frattempo, continuano a costruire. La Cina ha già piazzato delle basi militari nelle Spratly, al punto che – secondo quanto riportato dalla marina statunitense, tre di questi isolotti si possono definire completamente militarizzati per la presenza di  sistemi missilistici antinave e antiaerei. 

La presenza di navi cinesi rimane costante e “allarmante”, ha dichiarato Manila in merito alla cifra record di 153 imbarcazioni battenti bandiera cinese situate nei pressi della propria zona economica esclusiva. Secondo quanto dichiarato dalla guardia costiera dei paesi dell’area non sono rari i confronti con le navi cinesi che si addentrano fino a 800 mila miglia nautiche oltre la propria zona di competenza. L’elenco include l’avvicinamento a meno di dieci metri nave tra un peschereccio vietnamita pesca e la marina cinese nel marzo 2023, le due collisioni tra imbarcazioni cinesi e navi filippine di ottobre 2023, il confronto tra navi cinesi e guardia costiera filippina con l’apertura di cannoni ad acqua. Il presidente delle Filippine Ferdinand Marcos ha adottato una politica più aggressiva sulla sicurezza marittima, tornando a rafforzare la cooperazione militare con gli Stati Uniti. 

Sono anche in corso i negoziati per un accordo con Hanoi. Proprio la posizione del Vietnam è quella maggiormente sotto attenzione. Lo scorso settembre è stato ad Hanoi Joe Biden, per una visita definita “storica” e che lo ha portato a essere ricevuto nel quartier generale del Partito comunista vietnamita. I rapporti bilaterali sono stati elevati e i contatti sulle forniture militari si sono approfonditi, col Vietnam che dopo la guerra in Ucraina teme un crescente allineamento tra Cina e Russia, con quest’ultima che fatica a mantenere la sua posizione di fornitore di difesa. Ma attenzione a pensare che Hanoi sia pronta a farsi arruolare da qualcuno. Rispetto alle più assertive Filippine, il Vietnam continua a voler bilanciare la propria posizione, come dimostra la visita di dicembre di Xi Jinping. Un segnale di garanzia importante per Pechino.

Dal lato della Thailandia e della Cambogia, invece, l’approccio alla sicurezza marittima appare più morbido nei confronti del gigante cinese. Convalidata l’ascesa di Hun Manet,  figlio dell’ex primo ministro Hun Sen diventato ufficialmente suo erede dopo le elezioni di luglio, è ora davanti agli occhi degli osservatori una prospettiva di continuità delle relazioni di buon vicinato. I primi segnali sono arrivati con l’interdizione all’accesso dei funzionari statunitensi alla base navale di Ream nel 2021, mentre è di dicembre 2023 la notizia del primo attracco di navi cinesi in una delle strutture militari chiave della regione.

Sul piano militare la Cina ha anche recuperato terreno con la Thailandia, con la quale ha da tempo organizzato delle esercitazioni congiunte. Se nel 2017 gli accordi prevedevano l’organizzazione di un’esercitazione navale, nel 2023 la frequenza degli incontri è salita a tre, includendo operazioni di aria e di terra. Washington ha ridotto la portata della cooperazione militare dal colpo di stato del 2014, creando un vuoto che la Cina ha presto cercato di riempire. 

Il Landbridge thailandese avvicinerà Est e Ovest

Pubblichiamo qui uno stralcio del discorso del Premier della Thailandia Srettha Thavisin sul progetto Landbridge

Il progetto della mega infrastruttura Landbridge della Thailandia è uno sforzo verso la creazione di una connettività senza soluzione di continuità per aumentare le prospettive di crescita a lungo termine nella regione ed è pienamente in linea con la diplomazia economica proattiva del mio governo.

Il progetto comprenderà la costruzione di porti d’alto mare a Ranong, sulla costa tailandese delle Andamane, e a Chumphon, nel Golfo della Thailandia. Situati a circa 90 chilometri di distanza, i due porti opereranno secondo il concetto “un porto, due lati”, supportati da un’autostrada e da linee ferroviarie a doppio binario per collegare i porti tra loro e con la rete nazionale del paese.

Ogni porto avrà la capacità di gestire fino a 20 milioni di container standard all’anno. Il piano prevede anche l’installazione di una rete di oleodotti e gasdotti. Il costo totale stimato ammonta a 1 trilione di baht (28 miliardi di dollari).

Il progetto Landbridge rappresenta un’opportunità senza precedenti per migliorare la connettività tra gli oceani Pacifico e Indiano e per collegare l’attività economica tra le due regioni.

Promette di facilitare un maggiore movimento di merci e persone tra Oriente e Occidente, offrendo una via praticabile per il commercio marittimo oltre allo Stretto di Malacca.

Una volta completato, si prevede che il Landbridge ridurrà i tempi di viaggio in media di quattro giorni tra l’Oceano Indiano e il Pacifico e ridurrà i costi di trasporto del 15%. Per un’azienda che spedisce merci da Chennai a Yokohama, ad esempio, ciò potrebbe significare un risparmio fino a cinque giorni e il 4% sui costi.

Coloro che hanno familiarità con lo sviluppo logistico della Thailandia potrebbero vedere il Landbridge come una rielaborazione moderna di una proposta secolare di dragare un canale attraverso l’istmo di Kra.

Nonostante sia stato originariamente approvato nel 1989 come parte del Corridoio Economico Meridionale della Thailandia, varie considerazioni hanno lasciato questo progetto irrealizzato fino ad oggi. Ora i tempi si allineeranno bene con le prospettive di crescita delle economie del subcontinente indiano e dell’Africa.

I piani prevedono che la prima fase di costruzione inizi nel settembre 2025 e duri fino all’ottobre 2030. Gli appaltatori saranno probabilmente in grado di fare offerte per il progetto tra aprile e giugno 2025.

Si prevede che il Landbridge porterà benefici per 1,3 trilioni di baht all’economia tailandese e aumenterà il tasso di crescita annuo del prodotto interno lordo del paese dell’1,5% attraverso maggiori opportunità di esportazione e la creazione di 280.000 posti di lavoro. Porterà anche nuove opportunità di sviluppo per altre province del sud della Thailandia.

Il ruolo dei militari nella politica del Sud-Est asiatico

La funzione delle forze armate in campo politico non è monolitica, e le variazioni di questo ruolo sono chiaramente evidenti nel contesto del Sud-Est asiatico

Di Aniello Iannone

Per diversi paesi del Sud-Est asiatico, tra cui l’Indonesia e il Myanmar, il ruolo dei militari nella politica interna è stato uno degli elementi più significativi nello sviluppo della storia politica della regione. La storia dell’Indonesia è un esempio eloquente, con un regime militare al potere per diverse decadi nella seconda metà del XX secolo che alla fine ha attraversato un processo di transizione verso la democrazia alla fine degli anni ’90. Anche la Thailandia rappresenta un esempio di un paese in cui i militari hanno influenzato cambiamenti costituzionali per inserirsi nel processo decisionale politico. Ciò ha creato una dinamica politica unica nel Paese, con i militari che svolgono un ruolo di rilievo nella politica nazionale. D’altro canto, ci sono Paesi come il Myanmar, dove i militari hanno tendenzialmente utilizzato anche la forza e l’interferenza nei processi decisionali nazionali. 

L’indonesia e il ruolo dei militari 

L ‘Indonesia ha dichiarato la propria indipendenza alla fine del dominio coloniale olandese e dell’occupazione giapponese nel 1945. Da allora, il Paese ha attraversato una serie di eventi di riforma e trasformazione significativi, inclusi gli sviluppi delle forze armate. Le Forze Armate Nazionali Indonesiane (Tentara Nasional Indonesia, TNI), precedentemente conosciute come ABRI (Angkatan Bersenjata Republik Indonesia), sono state istituite nel 1945 con il compito primario di proteggere e difendere la nazione. Questo ruolo è stato di fondamentale importanza durante la lotta per l’indipendenza contro l’invasione olandese dopo che il Giappone lasciò il paese sconfitto durante la seconda guerra mondiale. Durante questo periodo, è stato enfatizzato il ruolo della TNI, e i leader militari di alto livello hanno sottolineato l’importanza della TNI nella resistenza all’invasione olandese. Questa situazione ha gettato le basi per l’indottrinamento e il coinvolgimento militare-civile nella politica indonesiana.

Tuttavia, quando la TNI fallì nel ottenere un ruolo soddisfacente in linea con le sue aspirazioni nella politica indonesiana sotto la guida di Soekarno, una crisi politica ed economica che negli anni ’50 durante la “democrazia guidata” di Soekarno colpì l’Indonesia, fù un’opportunità per i militari per prendere un’azione per essere coinvolti nella politica indonesiana. Questi eventi si sono verificati contemporaneamente a una serie di tensioni tra militari, gruppi musulmani radicali, la ribellione del Partito Comunista Indonesia (PKI), tensioni anche dovute dalal crisi economica dovuta a politiche economiche inadeguate di Soekarno La situazione ha raggiunto l’apice nel colpo di stato guidato da Soeharto il 30 settembre 1965, che successivamente ha assunto la presidenza nel 1968.

Le principali conseguenze degli eventi del 1965, oltre al genocidio ed eliminazione del PKI, vide l’instaurazione di un regime autoritario dal 1965 al 1998. L’era Soeharto, spesso chiamata Ordine Nuovo, è un esempio di regime autoritario stabilito attraverso un colpo di stato militare. È importante considerare il ruolo significativo svolto dalle forze armate fino alla caduta di questo regime e durante il periodo iniziale della “reformasi”, che fa riferimento al movimento di riforma che è seguito alle dimissioni di Soeharto. Le TNI, conosciute come ABRI (1959-2000), hanno giocato un ruolo chiave come colonna portante dello stato essendo fino alla caduta del regime la più grande organizzazione politica del paese. In Indonesia, l’ABRI ha avuto una forte connessione ideologica basata sul suo coinvolgimento negli affari civili dello stato. Il concetto di “dwifungsi” (doppia-funzione)  si riferisce all’applicazione militare nei settori propri militare a quelli più appartenenti all’apparato burocratico dello stato, ha svolto un ruolo cruciale nei regimi come quello sotto Soeharto in Indonesia, con effetti ancora ben presenti nell’Indonesia contemporanea. 

Il regime politico-militare in Thailandia 

Il ruolo militare nella storia politica della Thailandia è stato un elemento cruciale sin dalla fine della monarchia assoluta nel 1932. Il paese ha vissuto una serie di colpi di stato militari e tensioni politiche che hanno influenzato il percorso della democrazia in questa nazione.

Un periodo significativo nella politica thailandese è stato quando Thaksin Shinawatra salì al potere alla fine degli anni ’90. In quegli anni la Thailandia  fù contrassegnata da una brusca diminuzione dei livelli di democratizzazione anche dovuti alla crisi  finanziaria del 1998 e la vittoria del partito Thai Rak Thai, guidato da Thaksin, nelle elezioni del 2001. Questa vittoria ha creato divisioni sociali che hanno scatenato conflitti tra gruppi pro-monarchia, come la People’s Alliance for Democracy (PAD), e gruppi pro-democrazia, come la United Front for Democracy Against Dictatorship (UDD). Le tensioni politiche hanno portato al primo colpo di stato militare nel 2006, che ha visto l’intervento diretto dei militari per fermare il processo elettorale che avrebbe riportato Thaksin al potere. Questi conflitti sociali hanno ostacolato la stabilità politica e le elezioni per diversi anni. Solo nel 2011, attraverso un accordo tra i gruppi anti-regime, i militari e la monarchia, Yingluck Shinawatra, sorella di Thaksin, è diventata primo ministro. La crisi politica del 2013-2014, comprese le proteste anti-governative Shinawatra e l’emergere di movimenti come il People’s Democratic Reform Committee (PDRC) a favore della monarchia, ha portato allo scioglimento del parlamento e a elezioni anticipate. Tuttavia, le elezioni non si sono svolte a causa del colpo di stato militare del National Council for Peace and Order (NCPO), guidato dal Generale Prayuth Chan-o-Cha. La Thailandia è rimasta sotto un regime militare  fino al 2019.

È importante notare che il colpo di stato del 2014 è stato diverso da quello del 2006 a causa del forte coinvolgimento militare nel governo e dei cambiamenti costituzionali del 2017 che hanno conferito notevoli vantaggi ai militari nelle elezioni del primo ministro. Ciò riflette l’evoluzione del ruolo militare nel processo politico della Thailandia. Questo ruolo significativo dei militari è ancora evidente nelle elezioni generali del 2019 e del 2023, dove la selezione del Primo Ministro continua a dipendere dal Senato, composto da membri non eletti direttamente, molti dei quali provengono dalle forze armate e dalla polizia. Ciò riflette la persistenza del forte ruolo militare nella politica thailandese e la complessità del panorama politico in questo Paese.

Il regime militare in Myanmar

L’analisi dello sviluppo politico ed economico in Myanmar rivela un quadro complesso e interessante meritevole di approfondimento. Dal colpo di stato del 1962, durante il quale il governo di U Nu fu rovesciato dai militari, l’azione fu vista come una risposta alle politiche economiche di U Nu considerate un tradimento dei principi socialisti. Questa valutazione deriva dalla percezione che le misure economiche adottate dal governo di U Nu fossero in contrasto con i fondamenti ideologici del regime, basati sul socialismo che portò il  Myanmar attraversò una trasformazione politica basata su un  regime monopartitico controllato dai militari.

Durante questo periodo, i militari svolsero un ruolo significativo nel controllo degli aspetti economici del paese. Oggi, la storia politica di Myanmar si è ulteriormente complicata con una serie di eventi che hanno lasciato il paese indietro, sia in termini di sviluppo che di partecipazione politica,  rispetto al resto del sud-est asiatico.

L’instabilità politica e una serie di colpi di stato militari sono stati fattori che hanno ostacolato il processo di sviluppo economico in Myanmar. Tuttavia, la lente attraverso cui osservare la lentezza di questo sviluppo dovrebbe essere più ampia, includendo la comprensione del perché vi sia un intervento militare. Il confronto con la Thailandia offre un’interessante analogia. Nonostante entrambi abbiano subito lo stesso numero di colpi di stato, la Thailandia ha sperimentato uno sviluppo economico molto più robusto rispetto a Myanmar.

Il ruolo dei militari nei due paesi ha dinamiche differenti. In Thailandia, il ruolo militare è passato da “custode” a “governante”, soprattutto dopo il colpo di stato e le elezioni del 2019. Al contrario, in Myanmar, i militari mantengono una posizione di “pretorianesimo”, specialmente dopo il 2011 e il colpo di stato del 2021. Questo indica un intervento diretto dei militari nei processi politici e nello sviluppo del paese. Queste condizioni non sono influenzate solo dal ruolo militare, ma anche dal significativo contributo delle élite, in particolare durante il governo di Aung San Suu Kyi. Questo governo riflette un fallimento in vari aspetti delle politiche politiche interne di Myanmar, soprattutto riguardo alle gravi questioni di genocidio coinvolgenti l’etnia Rohingya.

Conclusione 

Il ruolo militare nella gestione dei regimi, in particolare nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, è stato il focus principale nell’analisi politica teorica. È importante notare che il ruolo militare non è monolitico, e le variazioni di questo ruolo sono chiaramente evidenti nel contesto del Sud-Est asiatico. Ad esempio, in Indonesia e in Thailandia, le forze armate non solo svolgono il ruolo di mantenitori della sicurezza, ma agiscono anche come governatori  (Thailandia) o semi-governatori. Nel contempo, in Myanmar, il ruolo militare è puramente di natura praetoriana, manifestando una propensione a preservare lo status quo senza alcun dialogo sostanziale con l’opposizione. Questa decisione riflette una determinazione forte di mantenere la politica in linea con la visione e gli interessi detenuti dalle forze armate di Myanmar.

La rinascita del cinema malese

I premi internazionali mettono in primo piano le lotte interne contro la censura e gli interventi necessari per lo sviluppo del settore cinematografico.

Negli ultimi anni i film malesi hanno finalmente guadagnato attenzione e riconoscimenti a livello internazionale. A maggio, “Tiger Stripes” (2023), un film horror di formazione diretto da Amanda Nell Eu, ha vinto il Gran Premio della Settimana della Critica al Festival di Cannes, diventando così il primo film del Sud-Est asiatico a vincere il prestigioso premio. Il 5 ottobre, il governo ha selezionato il film come candidato malese nella categoria dei migliori lungometraggi internazionali per i prossimi 96 esimi Academy Awards. Anche molti altri film realizzati in Malesia hanno ottenuto riconoscimenti globali, tra cui “Stone Turtle” (2023) di Woo Ming Jin, “Slit Eyes” (“Sepet”, 2004) di Yasmin Ahmad e “Brothers” (“Abang Adik” 2023 di Lay Jin Ong), che ha vinto il premio per il miglior film al Far East Film Festival di aprile.

Tra i protagonisti di questo rinnovato successo spicca sicuramente Michelle Yeoh, vincitrice dell’Oscar come migliore attrice per “Everything Everywhere All at Once” (2022) agli Academy Awards. Il re della Malesia, Al-Sultan Abdullah Ri’ayatuddin, e il primo ministro Anwar Ibrahim sono stati tra i primi a congratularsi con l’attrice malese. Gli appassionati di cinema, tuttavia, sostengono che la politica del governo malese non ha contribuito in alcun modo al suo successo all’estero. Quello di Yeoh è uno dei tanti casi di attrici e attori asiatici che si sono avventurati fuori dal Paese per avere migliori opportunità: la veterana attrice sudcoreana Youn Yuh-jung, che ha vinto l’Oscar come ‘Migliore Attrice non protagonista’ per il suo ruolo in “Minari” (2020); Henry Golding e Ronny Chieng, di origine malese, hanno entrambi recitato in “Crazy Rich Asians” (2018); e Yeo Yann Yann, anche lui di origine malese, protagonista della serie Disney+ “American Born Chinese”. Anche la sceneggiatrice malese Adele Lim si è fatta un nome negli Stati Uniti, lavorando a “Crazy Rich Asians” e al film d’animazione Disney “Raya and the Last Dragon” (2021). Nel 2023, Lim ha fatto il suo debutto alla regia a Hollywood con “Joy Ride” con la candidata all’Oscar Stephanie Hsu.

Nonostante tutte queste storie di successo, l’industria cinematografica del Paese resta molto statica. Le rigide leggi sulla censura e l’accesso limitato ai finanziamenti si stanno rivelando ostacoli importanti per molti registi e attori locali che sperano di sviluppare la propria carriera. Alcuni esponenti del settore hanno espresso le principali criticità.
Secondo Badrul Hisham Ismail, direttore di “Maryam” (2023), “la Malesia ha tutto, ma è ovunque e dappertutto, il che significa non ottenere nulla, non essere nessuno e da nessuna parte”. Badrul ha notato che Yeoh non era apparsa in nessun film prodotto in Malesia, rendendo il suo successo agli Oscar irrilevante per la politica cinematografica del governo malese. La scrittrice locale e cabarettista Shamaine Othman concorda con Badrul sul fatto che l’industria cinematografica nella multietnica Malesia è molto polarizzata. Nelle produzioni locali, la maggior parte dei ruoli ad alto budget sono destinati ad attori della comunità etnica maggioritaria malese, mentre gli attori di origine cinese spesso scelgono di partire per lavorare a produzioni americane o cinesi. “Per molti non malesi, sembra la strada giusta da percorrere”, ha detto Shamaine, “essere qui significa solo essere scelto costantemente come personaggi simbolici”.

Un’ulteriore criticità che osteggia lo sviluppo del cinema locale è sicuramente il conservatorismo culturale nella Malesia prevalentemente musulmana, che ha portato al divieto di molti film con riferimenti LGBTQ, comprese le uscite recenti come “Lightyear” (2022), “Thor: Love and Thunder” (2022) e “Whitney Houston: I Wanna Dance With Somebody” (2022). Le questioni sessuali e di genere non sono l’unico terreno pericoloso su cui i registi devono navigare. Anche questioni etniche e religiose sono aree sensibili in cui i registi devono procedere con cautela per evitare ripercussioni normative. Il film “Mentega Terbang” (2021), diretto da Khairi Anwar, ha suscitato molte polemiche quando è stato rimosso da Viu, una piattaforma di streaming con sede a Hong Kong, apparentemente per aver fatto riferimento all’apostasia dall’Islam, un crimine in Malesia. Il film è stato infine bandito da tutte le piattaforme di proiezione a settembre. Al centro di un tumulto nazionale, il regista e il cast sono stati indagati dalle autorità malesi per il loro ruolo nel film. Non è stata mossa alcuna accusa, ma secondo Malaysiakini, una testata giornalistica indipendente, il regista ha ricevuto minacce di morte.

Lutfi Hakim Arif, produttore esecutivo di “Maryam“, ha detto al Nikkei che il “conservatorismo strisciante” nell’industria cinematografica malese non è una novità, soprattutto in relazione ai malesi e ai Musulmani. Sia Badrul che Lutfi hanno affermato che il comitato di censura malese opera secondo un doppio standard, dando il via libera ai film che fanno riferimento al sesso, agli scandali e alle celebrità e bloccando film come “Mentega Terbang” che sfidano lo status quo della nazione. Secondo Badrul, l’obiettivo principale del comitato di censura è “controllare i pensieri”, senza mostrare alcun interesse per i film malesi, che sono invece tecnicamente molto validi, come dimostrato dal successo delle seguenti animazioni realizzate in Malesia: “Ejen Ali: The Movie” (2019), “Upin & Ipin: The Lone Gibbon Kris” (2019) e “Mechamato Movie” (2022), che sono stati proiettati nel Sud-Est asiatico. “Mechamoto” è stato il primo cartone animato non giapponese ad essere proiettato sui canali televisivi giapponesi, vincendo il prestigioso Anime Fan Award al Tokyo Anime Award Festival 2023. A livello locale, si posiziona tra i cinque film di maggior incasso fino ad oggi (a gennaio 35,8 milioni di ringgit, pari a 7,51 milioni di dollari).

La Malesia era una potenza cinematografica negli anni 50 e 60, quando l’attore e regista P. Ramlee realizzò numerosi film di successo per Shaw Brothers a Singapore e Kuala Lumpur. Tuttavia, come afferma l’attore e sceneggiatore contemporaneo Redza Minhat, il panorama dell’industria non è riuscito a evolversi, ostacolato da un piccolo mercato polarizzato tra produzioni destinate al pubblico malese, cinese e indiano, i tre principali gruppi etnici del Paese. “Per un mercato così piccolo bisogna avere una strategia a lungo termine; per superare gli ostacoli del settore è necessario riunire le persone giuste e la prima cosa è avere la volontà politica”, ha detto Redza, il cui ultimo il film “Imaginur” (2022) ha ottenuto incassi al botteghino di 6 milioni di ringgit nel primo mese dalla sua uscita in Malesia alla fine di febbraio. Redza ha affermato che la fine della censura sarebbe il modo migliore per affrontare i problemi dell’industria cinematografica malese, proponendo al FINASNational Film Development Corporation Malaysia – di utilizzare il finanziamento slate come strumento di sviluppo. Slate è un tipo di finanziamento cinematografico in cui un investitore fornisce finanziamenti per un portafoglio di film, invece che per un singolo film, per ridurre il rischio e diversificare gli investimenti.

Intanto, c’è già aria di cambiamento con l’ingresso di nuove entità commerciali nel mercato malese. Negli ultimi due anni, i principali studi cinematografici malesi Golden Screen Cinemas e Astro Shaw si sono cimentati nella produzione di film d’azione di grande successo come “Polis Evo 3” (2023), “Malbatt: Misi Bakara” (2023) e “Air Force the Film: Selagi Bernyawa” (2022). A maggio, la piattaforma di streaming Amazon Prime Video ha dichiarato che avrebbe inserito più film e drama locali, tra cui “Imaginur”. Dall’altro lato, i cosiddetti servizi di streaming over-the-top (OTT), a cui gli spettatori accedono tramite Internet, sono in costante crescita, anche se ancora in ritardo rispetto ai concorrenti via cavo e via satellite come Netflix, Apple TV, Disney’s Hotstar e HBO. Secondo Statista, la penetrazione degli utenti OTT raggiungerà quest’anno il 63,7% del mercato malese, con ricavi superiori a 1 miliardo di ringgit.

Kamil Othman, Presidente del FINAS, ha affermato che il governo sta lavorando all’aggiornamento e alla modifica del National Film Act per soddisfare le esigenze dell’industria, in quanto i film hanno un grande potenziale per contribuire alla crescita del PIL. Kamil ha affermato che il sistema di supporto cinematografico deve essere modificato per colmare le lacune e incoraggiare la produzione cinematografica. “Non esiste un punto di riferimento unico e la FINAS intende esserlo, almeno nell’ambito di applicazione della legge. Stiamo cercando di vedere proprio ora come questa partnership pubblico-privata può funzionare al meglio”, ha affermato. “La risposta potrebbe essere un nuovo sistema fiscale, nuovi incentivi.”

Il 13 ottobre il governo ha annunciato una serie di iniziative intese ad aiutare i registi, tra cui riduzioni ed esenzioni del 25%, dall’imposta sull’intrattenimento – applicata sui biglietti del cinema e sugli spettacoli artistici -, incentivi fiscali per la produzione cinematografica e ulteriore sostegno alla produzione di contenuti digitali e film in Malesia. Tuttavia, per il futuro del settore potrebbero essere necessari cambiamenti più ampi in politica. L’ex ministro malese della gioventù e dello sport Syed Saddiq Abdul Rahman ha affermato che il governo e l’industria cinematografica dovrebbero riformare il regime di censura nominando un gruppo eterogeneo di professionisti nel comitato di censura.

La Malesia è quindi alla ricerca di una via di mezzo. La direzione da seguire dovrebbe essere una politica che dia fiducia al settore cinematografico, il cui enorme potenziale è davanti agli occhi di tutti, puntando all’indipendenza, senza più restrizioni alla libertà artistica.

Italy-ASEAN Virtual Learning Centre on Cultural Heritage and Sustainable Development

Con significativi esiti si è tenuta ad Hanoi l’International Conference “Italy-ASEAN Virtual Learning Centre on Cultural Heritage and Sustainable Development. Dialogues on training for the sustainable development of cultural heritage” presieduta dall’Ambasciatore Michelangelo Pipan, Presidente dell’Associazione Italia ASEAN.

Intelligenza artificiale sempre più diffusa in ASEAN

Quattro enti indonesiani hanno firmato a Giacarta una lettera d’intenti con AI Singapore, il programma nazionale di intelligenza artificiale. Solo una delle iniziative in materia

Articolo di Tommaso Magrini

Le applicazioni di intelligenza artificiale generativa stanno prendendo sempre più piede nell’area dell’ASEAN. E lo fa insieme alle applicazioni concrete che possono contribuire su diversi fronti. Il National University Health System (NUHS) di Singapore, ad esempio, intende utilizzare Amazon Bedrock e l’intelligenza artificiale generativa per migliorare l’esperienza dei pazienti. Sta sperimentando Amazon Bedrock per sviluppare una soluzione che automatizzi i riepiloghi delle dimissioni dei pazienti, in modo che i medici possano concentrarsi sulla consultazione dei pazienti. Nel frattempo, Bangkok Biznews sta sfruttando il modello di fondazione Claude2 su Amazon Bedrock per perfezionare e sviluppare i sommari delle proprie notizie, rendendo più semplice e veloce il consumo dei contenuti da parte dei lettori. Per quanto riguarda 123.rf della Malesia, il suo servizio di generazione di immagini AI utilizza Stability AI su AWS con una significativa applicazione di Amazon Sagemaker. Ma c’è anche chi sta sviluppando applicazioni autoctone. Uno strumento simile a ChatGPT è per esempio in fase di realizzazione, a seguito di un nuovo accordo di collaborazione tra Singapore e Indonesia. Quattro enti indonesiani hanno firmato a Giacarta una lettera d’intenti con AI Singapore, il programma nazionale di intelligenza artificiale della Repubblica, per co-sviluppare un nuovo strumento di modelli linguistici di grandi dimensioni  utilizzando una tecnologia simile a quella di Chat GPT. La collaborazione tra i Paesi per creare strumenti di questo tipo per la regione è importante per affrontare la sottorappresentazione del Sud-Est asiatico nei modelli di linguaggio comunemente utilizzati oggi. Il Viceministro indonesiano delle Comunicazioni e dell’Informatica Nezar Patria ha aggiunto che la collaborazione sottolinea come l’IA abbia aiutato i lavoratori del Paese a diventare più efficienti nel loro lavoro. Entro il 2030, l’IA potrebbe aggiungere 366 miliardi di dollari al prodotto interno lordo dell’Indonesia e quasi 1.000 miliardi di dollari di PIL aggiunto in tutto il Sud-est asiatico.

ASEAN, meno povertà e più uguaglianza

I Paesi membri dell’Associazione continuano a registrare passi avanti sugli obiettivi dell’agenda 2030

L’Agenda 2030 dell’ASEAN per lo sviluppo sostenibile si propone di porre fine alla povertà in tutte le sue forme ovunque e di ridurre le disuguaglianze all’interno dei Paesi e tra di essi. I progressi verso questi obiettivi possono essere monitorati, tra l’altro, esaminando la misura in cui i Paesi membri dell’ASEAN riducono l’incidenza della povertà e la disuguaglianza di reddito. La povertà viene definita come l’incapacità di soddisfare uno standard di vita minimo, mentre la disuguaglianza si riferisce alle disparità in un’ampia gamma di aree, che includono non solo il reddito e la ricchezza, ma anche l’istruzione, la salute e l’alimentazione, tra gli altri. Gli ultimi dati disponibili indicano che la maggior parte dei Paesi membri dell’ASEAN ha sperimentato una diminuzione dell’incidenza della povertà. La Repubblica Democratica del Laos e le Filippine hanno assistito a un calo significativo dei loro tassi di povertà, scendendo dal 24,0% al 18,3% nel 2018 e dal 23,5% nel 2016 al 18,1% nel 2021. Un calo significativo è stato registrato anche dal Vietnam con il tasso di povertà che si è attestato al 4,2% nel 2022. Allo stesso modo, anche Indonesia e Thailandia hanno registrato

un calo dei loro tassi di povertà, raggiungendo rispettivamente il 9,5% (2022) e il 6,8% (2020). D’altra parte, il tasso di povertà nazionale della Cambogia è invece aumentato dal 13,5% del 2016 al 21,5% del 2021. Importanti passi avanti hanno portato a un miglioramento anche sul fronte dell’uguaglianza dei redditi nella maggior parte degli Stati membri dell’ASEAN. La Thailandia ha ridotto con successo il suo indice di Gini da 0,49 nel 2010 a 0,43 nel 2021. Allo stesso modo, anche il Vietnam e la Cambogia hanno compiuto progressi significativi, con una diminuzione da 0,43 nel 2010 a 0,38 nel 2022 e da 0,34 nel 2010 a 0,29 nel 2017. Anche Thailandia, Malesia e Singapore hanno registrato una riduzione della disuguaglianza di reddito, anche se a un ritmo più lento. Filippine e Singapore hanno registrato il più alto livello di disuguaglianza di reddito ma anche per loro il livello si è nettamente abbassato negli ultimi anni. L’ASEAN guarda al 2030 con sempre maggiore fiducia.

Qui il report integrale sui dati del 2023 dell’ASEAN

ASEAN e Cina: il legame resta profondo

Il Sud-Est asiatico e Pechino sono legati da profondi intrecci commerciali. E questo non cambierà nemmeno nel 2024

Articolo di Lorenzo Riccardi

Ad ottobre 2023, l’Indonesia ha inaugurato la sua prima rete ferroviaria ad alta velocità, con un viaggio del presidente Joko Widodo sul bullet train tra la capitale Jakarta e la città di Bandung. Un investimento da 7.3 miliardi di dollari per una rotta di 140 chilometri costruita da aziende cinesi e indonesiane che permette di viaggiare alla velocità di punta di 350 chilometri all’ora, facilitando il commercio e la logistica nella regione.

A novembre 2023 è stato lanciato il primo treno passeggeri ad alta velocità che collega la città di Pechino, capoluogo cinese, e Vientiane, capitale del Laos.

Si tratta di un lungo itinerario turistico sulla ferrovia Cina-Laos che si aggiunge alle rotte tra la provincia dello Yunnan e la regione ASEAN inaugurate nei due anni precedenti. Un progetto simbolo delle relazioni tra il Sud-Est asiatico e la Repubblica Popolare Cinese che fa parte dell’iniziativa Belt and Road, con l’obiettivo di promuovere il movimento di persone e beni tra la Cina meridionale e il Sud-Est dell’Asia. 

Queste infrastrutture sono parte di un progetto più grande che porterà a collegare con 5.500 chilometri di rete ad alta velocità Pechino con Singapore attraverso Laos, Thailandia, Malaysia e collegando le capitali Vientiane, Bangkok, Kuala Lumpur e Singapore per promuovere la logistica della regione, il commercio e il turismo.

L’iniziativa Belt and Road, da cui Roma è da poco uscita, comprende in Asia 42 delle 49 nazioni del continente e tutti e dieci i paesi del Sud-Est asiatico, dal Brunei all’Indonesia.

Per la Cina la regione ASEAN occupa una posizione geopolitica fondamentale, fungendo da crocevia per le principali rotte marittime e attirando l’interesse di ogni potenza globale. 

Dal punto di vista economico, il prodotto interno lordo aggregato della regione supera 3.600  miliardi di dollari, trainato da una crescita tra le più elevate: 4,2 per cento nel 2023 e 4,6 per cento nel 2024 in base alle stime del Fondo Monetario Internazionale (FMI).

Il ruolo del Sud-Est asiatico nelle catene globali di approvvigionamento, le ricche risorse naturali e gli accordi commerciali evidenziano l’importanza strategica della regione, mentre lo sviluppo delle infrastrutture e le iniziative di connettività ne aumentano la rilevanza globale.

Secondo le stime del FMI dell’outlook di ottobre, la Cina registrerà una crescita al 5 per cento nel 2023 e al 4,2 per cento nel 2024, mentre si osservano variazioni nei trend del PIL per i paesi dell’ASEAN con Cambogia, Filippine, Indonesia e Vietnam che presentano i tassi di crescita più alti per il biennio 2023-2024.

Brunei è l’economia minore della regione e mostra un calo dello 0,8 per cento nel 2023, con una notevole ripresa al 3,5 nel 2024, indicando un’inversione di tendenza. La Cambogia registra la migliore performance, con un aumento del prodotto interno lordo pari al 5,6 per cento nel 2023 e un ulteriore incremento del 6,1 per cento nel 2024.

Le Filippine, prevedono una variazione del 5,3 per cento nell’anno in corso, e un ulteriore aumento al 5,9 per cento nel 2024, confermando la maggior crescita nel Gruppo ASEAN-5 dei cinque paesi a maggior popolazione e PIL.

Indonesia e Laos mantengono un trend costante, con Jakarta al +5 per cento sia per il 2023 che per il 2024 e Vientiane al 4 per cento nel biennio. La Malaysia mostra dati incrementali al 4 per cento nell’anno corrente e al 4,3 per cento per il prossimo anno.

Per la Birmania si stima un aumento del 2,6 per cento sia nel 2023 che nel 2024, mentre per Singapore che ha il maggior PIL pro capite si valuta un’espansione al 1 e al 2,1 per cento nel biennio 2023-2024.

Infine, il Fondo Monetario Internazionale prevede un aumento graduale nei due anni per la Thailandia, con una crescita del 2,7 e 3,2 per cento; il Vietnam, tra le grandi economie della regione, registra il maggior delta con PIL + 4,7 per cento nel 2023 e una proiezione del 5,8 per cento nel 2024.

ASEAN e Pechino crescono oltre la media globale che si ferma al +3 per cento nel 2023 e 2,9 per cento nel prossimo anno. 

La Cina ha nel Sud Est Asiatico il suo primo partner commerciale con 826 miliardi di dollari di scambi a novembre 2023, sopra al volume di import ed export aggregato registrato da Pechino con Unione Europea (716 miliardi di dollari) e Stati Uniti (607 miliardi di dollari) nei primi undici mesi dell’anno. 

Kuala Lumpur, che ha appena siglato accordi per mutua esenzione da visto di ingresso con la Cina è il maggior esportatore con 94 miliardi di dollari nei dati delle dogane cinesi di novembre (quasi quattro volte il volume dell’export italiano verso la Cina che si attesta a 24,9 miliardi di dollari) mentre Hanoi è il maggior importatore di prodotti cinesi con circa 124 miliardi di dollari.

Per promuovere la partnership nel commercio, la Cina e l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico hanno firmato una serie di accordi sulla cooperazione economica con moltissimi trattati bilaterali e multilaterali siglati negli ultimi 20 anni.

-Accordo quadro sulla cooperazione economica globale tra ASEAN e Cina: Firmato nel 2002, questo accordo è servito come fondamento per la cooperazione economica tra Pechino e i paesi membri dell’ASEAN. Ha delineato i principi e le aree di collaborazione, inclusi il commercio, gli investimenti e l’integrazione economica.

-Area di libero scambio ASEAN-Cina (ACFTA): Implementata in diverse fasi tra il 2005 e il 2010, l’ACFTA ha promosso la creazione di un’area di libero scambio tra la Cina e l’ASEAN con la riduzione o l’eliminazione dei dazi su una vasta gamma di beni, favorendo maggiori flussi commerciali.

-Accordo sul commercio di beni e sulla cooperazione economica globale tra ASEAN e Cina: Firmato nel 2004, questo accordo ha introdotto disposizioni specifiche per la riduzione e l’eliminazione dei dazi su vari beni scambiati tra la Cina e i paesi dell’ASEAN.

-Accordo sugli investimenti ASEAN-Cina: Firmato nel 2009, mira a promuovere i flussi di investimenti bilaterali stabilendo un quadro per la protezione e la facilitazione degli investimenti.

-Protocollo di aggiornamento dell’Area di libero scambio ASEAN-Cina: Firmato nel 2015, questo protocollo ha potenziato ulteriormente le relazioni commerciali tra la Cina e l’ASEAN con riduzioni tariffarie e affrontando questioni legate al commercio di beni, servizi e agli investimenti.

-Protocollo di modifica dell’Accordo quadro sulla cooperazione economica globale tra ASEAN e Cina: Firmato nel 2015 con l’obiettivo di approfondire l’integrazione economica affrontando questioni quali le procedure doganali, le regole dei certificati di origine e la facilitazione del commercio.

-Accordo di libero scambio ASEAN-Hong Kong, Cina: in vigore dal 2019.

-Partenariato Economico Globale Regionale: (RCEP, Regional Comprehensive Economic Partnership) entrato in vigore nel 2022 è un accordo di libero scambio multilaterale nella regione dell’Asia-Pacifico. È considerato uno dei più grandi accordi commerciali al mondo in quanto coinvolge un vasto numero di Paesi: i 10 membri dell’ASEAN e i loro sei partner commerciali: Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda e India.

Apple, altro passo decisivo in Vietnam

I colossi tecnologici globali sempre più presenti ad Hanoi e dintorni

Articolo di Tommaso Magrini

Il Vietnam si prepara a uno sviluppo cruciale per le sue ambizioni economiche e tecnologiche. Apple sta infatti assegnando per la prima volta risorse per lo sviluppo del prodotto iPad al Paese del Sud-Est asiatico, un passo importante verso il rafforzamento della posizione del Paese del Sud-Est asiatico come hub di produzione alternativo al di fuori della Cina. Apple sta collaborando con la cinese BYD, uno dei principali assemblatori di iPad, per spostare in Vietnam le risorse per l’introduzione di nuovi prodotti. È la prima volta che accade per un dispositivo Apple così importante. La verifica ingegneristica per la produzione di prova di un modello di iPad inizierà verso la metà di febbraio del prossimo anno, sostiene Nikkei Asia. Il modello sarà disponibile nella seconda metà del prossimo anno. BYD è stato anche il primo fornitore di Apple ad aiutare il colosso tecnologico statunitense a spostare per la prima volta l’assemblaggio dell’iPad in Vietnam nel 2022. La mossa richiede ingenti risorse sia per l’azienda tecnologica sia per i suoi fornitori, come ingegneri e investimenti in attrezzature di laboratorio per testare nuove caratteristiche e funzioni. La maggior parte dell’introduzione di nuovi prodotti di Apple viene svolta in Cina, in collaborazione con gli ingegneri di Cupertino, per sfruttare la decennale esperienza del Paese nella produzione di hardware. Ma le incertezze geopolitiche stanno costringendo l’azienda a rivedere questo approccio. Apple ha anche in programma di inviare in India alcuni processi per l’iPhone. Il Vietnam è emerso come il più importante polo produttivo tecnologico di Apple al di fuori della Cina. Il gigante tecnologico di Cupertino ha chiesto ai fornitori di costruire nel Paese del Sud-Est asiatico nuove capacità produttive per quasi tutti i suoi prodotti, tranne l’iPhone, dagli AirPods ai MacBook, dagli Apple Watch agli iPad. Apple continuerà a lavorare a stretto contatto con i fornitori cinesi nel suo spostamento della catena di fornitura, ma il Vietnam sta acquisendo una centralità sempre più evidente.

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