La Thailandia al voto: ecco che cosa c’è in gioco

È tutto pronto per le elezioni in Thailandia del 14 maggio. Il Pheu Thai di Paetongtarn Shinawatra domina nei sondaggi ma difficilmente riuscirà a governare da solo, mentre i partiti filo-militari sanno di poter contare sui 250 voti del senato non elettivo. Move Forward e Bhumjaithai le variabili più interessanti, ma non saranno elezioni “libere ed eque”

Articolo di Francesco Mattogno

Da due decenni le elezioni in Thailandia si svolgono secondo un copione quasi identico. Si prevede che anche quelle fissate il 14 maggio non ci si discosteranno troppo. Sarà di nuovo una lotta tra il partito della famiglia Shinawatra e i partiti associati all’establishment conservatore, legati ai militari e filo-monarchici. Il Pheu Thai (PTP) – terzo nome del partito populista dei Shinawatra, sciolto per due volte in passato – ha vinto tutte le elezioni dal 2001 al 2019, ma ha governato a fasi alterne solo finché l’esercito glielo ha permesso.

Nonostante due colpi di Stato (2006 e 2014) e una nuova costituzione scritta dai militari (2017), il Pheu Thai resta la principale forza elettorale del paese. La generalità dei sondaggi in vista delle elezioni del 14 maggio lo dà tra il 46% e il 49%, con la sua principale candidata premier, Paetongtarn Shinawatra, sempre al primo posto tra le preferenze con almeno venti punti di distacco dagli esponenti degli altri partiti. Ma per vincere non basterà.

In Thailandia sono elettivi solo i 500 seggi della camera bassa del parlamento, mentre i 250 posti del senato (che partecipa alla votazione del primo ministro) sono a nomina militare. Una condizione prevista ad hoc dalla costituzione del 2017 che ha permesso al generale golpista Prayut Chan-o-cha di mantenere il posto da primo ministro nel 2019 e di sperare oggi nella rielezione, nonostante il suo partito, lo United Thai Nation (UTN), sia terzo e ampiamente staccato nei sondaggi (10-15%). Ancora più indietro, ma per lo stesso motivo ancora in lotta, anche l’altro generale dietro il colpo di Stato del 2014, Prawit Wongsuwon. Lui candidato premier del principale partito militare nonché di governo, il Palang Pracharat (PPRP), dato al 2%.

COALIZIONE OBBLIGATA

Saranno chiamati a votare 52 milioni di thailandesi. L’obiettivo dichiarato del Pheu Thai è conquistare circa 300 seggi, soglia che dimostrerebbe un mandato popolare indiscutibile e che quindi renderebbe teoricamente difficile per il senato ostacolare la formazione di un governo a guida Shinawatra. Secondo l’analisi del sito thailandese The Nation non si tratta di un traguardo impossibile, ma certamente complicato. Ed è già chiaro che per costruire un esecutivo stabile – raggiungendo la maggioranza di almeno 376 seggi – il partito dovrà formare una coalizione.

Dietro al Pheu Thai, al secondo posto nei sondaggi c’è stabilmente un partito progressista, il Move Forward (MFP). Nato dalle ceneri del Future Forward, arrivato terzo nel 2019 e sciolto nel 2020, il Move Forward raccoglie tra i propri candidati ed elettori tanti dei giovani che hanno partecipato alle proteste democratiche e anti-monarchiche del 2020-21. È un partito forte tra gli under 25 e nei centri urbani. Le previsioni lo danno attorno al 15-20% e potenzialmente in crescita, ma va considerato che i sondaggi prendono in considerazione soprattutto Bangkok e le maggiori città provinciali, rendendo il campione poco rappresentativo delle zone rurali del paese. Comunque, Bangkok è la città che assegna più seggi (33), seguita da quelle nel nord-est, regione roccaforte del Pheu Thai.

Che Pheu Thai e Move Forward possano formare un’alleanza post-elettorale (insieme ad altri partiti progressisti minori) è evidente. Il leader del Move Forward Pita Limjaroenrat ha escluso coalizioni solo con chi è associato al colpo di Stato, cioè PPRP e UTN. Sull’alleanza con i militari, invece, la leadership del Pheu Thai ha mantenuto a lungo una certa ambiguità. Solo di recente Paetongtarn ha dichiarato che non le sono “piaciuti gli ultimi due colpi di Stato”, cioè i golpe con cui i militari hanno deposto e costretto all’esilio prima suo padre Thaksin e poi sua zia Yingluck. Più diretto l’altro candidato premier del partito, il magnate dell’immobiliare Shretta Thavisin, che ha detto di non volersi unire a chi “ha saccheggiato il potere sovrano del popolo”.

A complicare una relazione che sembrerebbe scontata sono soprattutto le posizioni radicali del Move Forward nei confronti della legge sulla lesa maestà. In passato Limjaroenrat ha richiesto esplicitamente la modifica del famigerato articolo 112 del codice penale, che prevede una pena dai 3 ai 15 anni di carcere per chiunque “insulti o diffami” la famiglia reale. La monarchia thailandese è una delle più potenti al mondo e metterla in discussione rappresenta un rischio per la sopravvivenza politica dei partiti che ci provano. In campagna elettorale nessuno, compreso il Pheu Thai, ha mai nominato la legge sulla lesa maestà e anche lo stesso Move Forward ha abbassato i toni.

IL “CENTRO” CONSERVATORE DEI DEMOCRATICI E DEL BJT

Essere accusati di alto tradimento è facile, ancora di più lo è rispettare lo status quo. Il Partito Democratico (DP) thailandese è sempre stato maestro in questo, anche se negli ultimi anni ha iniziato a pagare il proprio spregiudicato trasformismo politico. Nel 2007 il partito più antico del paese arrivò al 38% dei voti: oggi è dato intorno al 4%. I democratici hanno spesso “dichiarato cose gradite alle masse prima delle elezioni” ma non hanno una chiara agenda politica, scrive il Diplomat. L’ultima mossa acchiappa-voti è la proposta di legalizzazione dei sex toys (oggi possederne uno in Thailandia può comportare fino a 3 anni di carcere), ma c’è la discreta probabilità che questo possa far allontanare anche gli ultimi residui di elettorato conservatore rimasti al leader democratico e attuale ministro del Commercio, Jurin Laksanawisit.

Sempre parte dell’attuale governo guidato dal PPRP è il Bhumjaithai (BJT) del ministro della Sanità Anutin Charnveerakul, l’uomo dietro alla caotica legalizzazione della cannabis. È un personaggio da non sottovalutare per la sua capacità di porre il BJT al centro tra i conservatori e i progressisti. Se il Pheu Thai domina nel nord-est agricolo, il Move Forward è forte nei centri urbani e l’UTN di Prayut nel sud del paese, il BJT sembra in grado di raccogliere voti un po’ ovunque. Viene dato intorno al 5%, ma ci sono stime che lo credono più competitivo.

TRA RIFORME POLITICHE E POPULISMO ECONOMICO

Quello di Charnveerakul viene ritenuto un profilo equilibratore, che sarebbe capace di fare da primo ministro sia in un governo conservatore insieme ai militari, sia in un governo progressista. Il leader del BJT ha anche dichiarato che sosterrà la formazione di un’assemblea per riscrivere la costituzione della Thailandia, cioè una delle proposte politiche chiave del Move Forward. Il partito progressista e il Pheu Thai hanno infatti inserito nel programma elettorale una serie di riforme costituzionali e dell’esercito, tra cui l’abolizione della coscrizione obbligatoria.

Sono misure che metterebbero in discussione l’attuale ordine conservatore di eredità del golpe e che contribuiscono a rendere difficile pensare che il senato possa appoggiare un eventuale premier del Pheu Thai, in particolare una Shinawatra. Per questo, e per il fatto che Paetongtarn partorirà il suo secondo figlio proprio a ridosso delle elezioni, l’ipotesi di un primo ministro di compromesso (o che il Pheu Thai punti su Thavisin) non va scartata.

Se sul piano politico si riescono ancora a notare marcatamente due poli, quello conservatore e quello progressista e anti-militare, le cose cambiano quando si parla di economia. “Il populismo ha vinto”, sostiene l’analista Titinan Pongsudhirak. Al di là di piccole differenze di forma, ogni partito ha come perno del suo programma economico la presenza di uno o più sussidi e misure assistenziali. A inaugurare l’assistenzialismo sfrenato sono stati i Shinawatra, che ne hanno fatto per vent’anni la fonte primaria della propria popolarità, in particolare tra gli agricoltori. Un approccio non apprezzato da tutti, specialmente a Bankgok, ma che ha il merito di aver sdoganato il tema delle enormi disuguaglianze di reddito nella società thailandese e di aver di fatto rafforzato il sistema di welfare, questione su cui ha costruito parte del proprio sostegno anche il governo Prayut.Oggi gli stessi partiti filo-militari che dipingevano i Shinawatra come irresponsabili sono tra i più generosi nel promettere aiuti economici, ma le proposte davvero ambiziose vengono sempre dal Pheu Thai, che si impegna a raddoppiare il salario minimo dei lavoratori e a donare a tutti i maggiori di 16 anni 10.000 baht (circa 270 euro). Idee che hanno attirato critiche per il loro potenziale peso sulla spesa pubblica. Si legge poco invece su come riformare strutturalmente l’economia della Thailandia, che da dieci anni non cresce quanto quelle dei più importanti Stati della regione. Una volontà comune è quella di rendere il paese hub manifatturiero delle nuove industrie tecnologiche, come quella delle auto elettriche, rafforzando un processo già in corso da alcuni anni.

La corsa del fintech a Singapore

Sempre più attori regionali e internazionali guardano alla città-stato per lanciare banche digitali

Singapore ingrana la marcia sulle banche digitali. La deregolamentazione della città-Stato incoraggia le grandi società tecnologiche regionali come Grab (la superapp onnipresente nel Sud-Est asiatico) a entrare nel mercato, nella speranza di attirare i clienti più giovani e le piccole imprese. Sebbene si preveda che questo favorisca la concorrenza bancaria, le banche virtuali al dettaglio devono ancora portare le loro operazioni completamente online a causa delle persistenti restrizioni normative. Nel frattempo, operatori storici come Standard Chartered stanno digitalizzando i loro servizi a un ritmo sempre più veloce. GXS, una banca digitale posseduta in maggioranza da Grab, ha ampliato i servizi dopo la sua apertura a settembre. “Siamo una banca creata dai nativi digitali per i nativi digitali”, ha dichiarato l’amministratore delegato Charles Wong a Nikkei Asia. GXS si rivolge ai cosiddetti lavoratori della gig economy, come quelli che consegnano i pasti o danno passaggi ai pendolari tramite l’app Grab. La banca cerca anche di attirare coloro che hanno appena iniziato la loro carriera. Non sono previste spese di saldo minimo o di mantenimento del conto. Nel frattempo, Standard Chartered, una delle maggiori banche del Regno Unito, ha iniziato a gestire una banca digitale chiamata Trust Bank, che in quattro mesi ha attirato più di 400.000 utenti. Trust Bank è stata fondata insieme a FairPrice Group, gestore della più grande catena di supermercati di Singapore. Nel frattempo, Ant Group, l’affiliata fintech del gigante tecnologico cinese Alibaba Group Holding, ha ottenuto una licenza di commercio all’ingrosso digitale, che le consente di condurre transazioni per le aziende. L’Anext Bank di Ant, una banca esclusivamente digitale, permette alle aziende registrate a Singapore di aprire un conto aziendale online in un istante, anche dall’estero, una novità assoluta per la città-Stato. Il trend sembra destinato a proseguire. In un sondaggio condotto da Visa, l’88% delle PMI di Singapore ha dichiarato di voler effettuare almeno una parte delle proprie transazioni in formato digitale.

La nave militare italiana Morosini a Singapore

La modernissima nave militare Morosini si trova in questi giorni a Singapore. Una mossa che accresce la presenza dell’Italia nel Sud-Est asiatico, area sempre più strategica dal punto di vista economico e diplomatico

Articolo di Tommaso Magrini

L’Italia si proietta nel Sud-Est asiatico e nell’Asia-Pacifico. Non solo a livello commerciale e diplomatico, ma anche con la modernissima nave Francesco Morosini. La nave è giunta a Singapore lunedì 1° maggio e vi rimane sino a sabato 6 maggio. Fermata alla Changi Naval Base, ha partecipato alla International Maritime Defence Exhibition-Asia (IMDEX), prestigiosa vetrina internazionale in cui confluiscono le eccellenze mondiali nel settore della difesa, in particolare quella navale.

Il Morosini, 143 metri di lunghezza, 17,5 metri di larghezza, 6400 tonnellate di stazza, è la seconda Unità della Classe Thaon di Ravel ed è l’ultima tra le navi consegnate alla Marina Militare. Rappresenta la punta di diamante della cantieristica militare navale nazionale che, come noto, si colloca ai vertici a livello mondiale. L’unità, consegnata il 22 ottobre 2022 alla Marina Militare Italiana presso lo stabilimento Fincantieri di Muggiano, rappresenta d’altronde l’avanguardia della tecnologia italiana nel settore navale ed elettronico. 

La sua presenza è stata occasione anche per partecipare all’evento di apertura dell’Italian Festival Singapore è stato il palcoscenico per promuovere le eccellenze italiane in altri campi, tra cui la cultura e la ricerca scientifica. Dal 2 al 5 maggio, un concerto jazz, visite di scuole locali e lezioni in collaborazione con le università di Singapore daranno ai partecipanti la possibilità di toccare con mano tecnologie all’avanguardia e sistemi innovativi. Il Pattugliatore ha ospitato anche diverse iniziative promozionali e aperte al pubblico, tra cui diverse visite a bordo.

Si tratta di un passaggio importante per la presenza italiana a Singapore e in generale nel Sud-Est asiatico. Martedì 2 maggio, l’Ambasciatore d’Italia a Singapore e il Comandante della nave hanno tenuto a bordo una conferenza stampa nella quale sono state illustrate le peculiarità della nave e il suo impegno nella Campagna in Indo-Pacifico, in promozione dell’eccellenza italiana nel mondo. L’Ambasciatore Mario Vattani ha illustrato il significato della presenza della nave Morosini in questo quadrante, la sua importanza nei rapporti dell’Italia con Singapore e con i Paesi dell’area, e ha presentato gli eventi organizzati dall’Ambasciata a margine di questo appuntamento.

“La rilevanza geopolitica ed economica dell’Indo-Pacifico” ha dichiarato l’Ambasciatore Vattani “porta oggi l’Italia con lungimiranza ad accrescere la propria presenza nell’area. Da tempo l’Italia – che e’ partner di sviluppo ASEAN dal 2020 – realizza attività in vari coincidenti con i sette pilastri della Strategia UE per la cooperazione nell’IndoPacifico”. L’Italia è infatti impegnata nell’attuazione del Partenariato di Sviluppo con l’ASEAN. In tale cornice, diverse attività di capacity building sono state realizzate a favore dei Paesi ASEAN in molteplici settori: protezione dei civili nelle missioni di peacekeeping ONU, lotta al terrorismo e al crimine transnazionale organizzato, cybercrime, tutela del patrimonio culturale, gestione sostenibile delle coste, anti-pirateria e diritto del mare. Sono in programma nuove iniziative in materia di tutela ambientale, meccanizzazione agricola, formazione di magistrati, contrasto al crimine organizzato transnazionale. “Noi italiani riguardo a questa regione del mondo abbiamo una visione inclusiva”, ha spiegato Vattani “che mira a collaborare con tutti gli attori dell’area e le Organizzazioni regionali. Oggi lo facciamo a Singapore portando la nostra eccellenza tecnologica con la Nave Morosini, la più giovane unità della Marina Militare che rappresenta uno strumento di eccezionale flessibilità operativa, capace di svolgere una molteplicità di compiti sia militari, sia di protezione civile”.

Sud-Est, un modello per gestire le tensioni

La rapida crescita della regione e l’economia in espansione suggeriscono che la regione può diventare un modello per la gestione della competizione tra grandi potenze

“Il Sud-Est asiatico è tutt’altro che un monolite: i suoi Paesi hanno politiche estere e obiettivi diversi, alcuni dei quali in contrasto tra loro. Ma la rapida crescita della regione e l’economia in espansione suggeriscono che i suoi Paesi diventeranno più potenti nel tempo e, con essi, probabilmente più capaci di evitare interferenze esterne. Il Sud-Est asiatico può essere stato definito in passato da un conflitto tra grandi potenze, ma oggi può diventare un modello per la gestione della competizione tra grandi potenze”. Sentenzia così un’analisi di Huong Le Thu, pubblicata sull’ultimo numero di Foreign Affairs. Il Sud-Est asiatico si è impegnato a fondo per mantenere ed espandere una stabilità diplomatica e di sicurezza. Oltre all’architettura di sicurezza multilaterale guidata dall’ASEAN, la regione ha stabilito molti accordi plurilaterali e bilaterali con Stati terzi. Si tratta di gruppi ad hoc, come il pattugliamento congiunto del fiume Mekong da parte di Cina, Laos, Myanmar e Thailandia. Secondo Foreign Affairs, con l’aumentare delle tensioni geopolitiche, il numero già elevato di queste partnership è destinato ad aumentare. Questi accordi, complessi e spesso sovrapposti, sono fondamentali per gli sforzi del Sud-Est asiatico di impegnarsi con tutti, senza però assumere impegni esclusivi con nessuno. Gli Stati del Sud-Est asiatico stanno anche diventando più attivi in gruppi che includono partecipanti al di fuori del loro vicinato. L’anno scorso, ad esempio, la Cambogia ha ospitato il Vertice dell’Asia orientale di alto profilo, la Thailandia ha tenuto il forum della Cooperazione economica Asia-Pacifico e l’Indonesia ha presieduto il G20. Singolarmente, sottolinea Huong, alcuni governi del Sud-Est asiatico hanno imparato che la competizione tra Stati Uniti e Cina presenta dei vantaggi. Lo scontro tra Pechino e Washington può spaventare i politici della regione, ma ha portato entrambi i governi a cercare di conquistare i cuori e le menti dei Paesi non allineati. Questo ha aiutato i Paesi del Sud-Est asiatico, sede di popolazioni giovani e di manodopera a basso costo, a trarre ogni tipo di beneficio economico. Il Vietnam, sostiene Foreign Affairs, ha tratto enormi vantaggi dal distacco degli Stati Uniti dalla Cina, in quanto le aziende americane hanno trasferito la produzione nelle fabbriche vietnamite. Anche l’Indonesia ha ricevuto una spinta agli investimenti da parte di aziende statunitensi, tra cui Amazon, Microsoft e Tesla. La regione sta diventando d’altronde sempre più critica per le catene di approvvigionamento globali. E può indicare una strada da seguire per continuare a prosperare.

L’ASEAN prepara il suo futuro

La visione post 2025 della Comunità dei Paesi del Sud-Est asiatico sarà estesa al 2035 al 2045

La capacità di elaborare strategie a lungo termine è sempre stata fondamentale e lo è diventata ancora di più. In Asia è un’operazione sulla quale si insiste tradizionalmente di più. Ulteriore dimostrazione arriva dalla decisione dell’ASEAN di estendere la sua visione post 2025 di ulteriori dieci anni, portandola dal 2035 al 2045. La decisione è stata comunicata di recente dal Segretario generale Kao Kim Hourn durante il settimo incontro della Task Force di alto livello sulla Visione post-2025 della Comunità ASEAN. Da oggi al 2025, la task force dovrà dare una risposta alla sfida più importante della regione del Sud-Est asiatico: come elaborare una visione sostenibile nel medio-lungo termine, per continuare a sostenere la crescita economica e accompagnare il prevedibile accresciuto ruolo commerciale e geopolitico della zona, visto che nei prossimi decenni l’ASEAN potrebbe presumibilmente diventare la quarta potenza economica mondiale dopo Cina, Stati Uniti e Giappone/India. Negli ultimi mesi, la task force ha tenuto le cosiddette “consultazioni di interfaccia” con le agenzie legate all’ASEAN, tra cui la Commissione intergovernativa ASEAN per i diritti umani, il Centro ASEAN per la biodiversità e l’ASEAN Business Advisory Council (Abac). Tra 20 anni l’ASEAN potrebbe avere la terza popolazione mondiale dopo Cina e India. E presumibilmente sarà più grande anche a livello numerico. Secondo le previsioni del Bangkok Post, nei prossimi anni entreranno nuovi membri nell’Associazione, tra cui Timor Est e, negli anni a venire, Papua Nuova Guinea, che dal 1986 è l’osservatore più longevo del gruppo. Potrebbero esserci anche altri nuovi membri della regione indo-pacifica. A quel punto, sottolinea il quotidiano thailandese, l’ASEAN avrebbe bisogno di un aumento di parecchie volte del suo budget presso il segretariato con sede a Giacarta. La sfida principale resterà comunque quella di adattarsi a un mondo con tendenze polarizzanti, rafforzando la centralità del blocco per diventare sempre più un attore globale di primo piano ed evitando che il Sud-Est asiatico venga coinvolto in logiche di confronto e contrapposizione. L’ASEAN ha tutte le carte in regola per riuscirci.

I chipmaker ASEAN traggono vantaggio dallo scontro tech USA-Cina

Lo scontro tecnologico tra USA e Cina si intensifica. Paesi terzi e aziende cercano di fare meno affidamento sui fornitori cinesi di semiconduttori per evitare rotture improvvise delle catene di approvvigionamento. I Paesi ASEAN possono trarre vantaggio dalla situazione.

A Singapore, l’azienda francese Soitec investirà 400 milioni di euro per raddoppiare il suo impianto di produzione di wafer. L’americana Applied Materials spenderà un po’ di più, 405 milioni, per costruire un nuovo impianto. Un’altra azienda americana, Global Foundries, sta già costruendo un impianto da 3,6 miliardi sempre nella Città del Leone. La lista della spesa delle aziende europee, americane e asiatiche che stanno investendo nell’isola e in alcuni altri Paesi ASEAN è lunga e da capogiro. Ed è destinata ad aumentare, se la tensione tra Stati Uniti e Cina non diminuirà. 

Lo scontro tra le due grande potenze del Pacifico si consuma soprattutto nel settore tecnologico. Washington sta cercando di rallentare la crescita del settore dei semiconduttori in Cina bloccando l’esportazione di prodotti ad alta tecnologia verso la il Paese di Mezzo e incoraggiando le aziende a comprare i chip altrove. Le politiche americane condizionano anche le aziende dei Paesi terzi. L’azienda neerlandese ASML, leader mondiale nella produzione di macchine litografiche (uno dei molti “anelli” della catena di approvvigionamento), sarà sottoposta a regole di controllo delle esportazioni molto più rigide dopo che L’Aia ha scelto di seguire la linea americana. Anche se il provvedimento del governo neerlandese non fa nomi, il bersaglio implicito della misura è la Cina.

Non è necessario però ricorrere a vincoli giuridici per riorientare le strategie delle aziende. I toni sempre più accesi tra Washington e Pechino, e le crescenti tensioni intorno a Taiwan, spingono le aziende a spostare le loro commesse dalla Cina ad altri Paesi asiatici. Il decoupling economico e tecnologico auspicato dagli USA sta già avvenendo in piccola parte, ma rimane difficilmente praticabile visto che le due più grandi economie del mondo ricoprono ruoli molto diversi nei flussi commerciali (e finanziari) globali e, in particolare, del Pacifico.  Ciascuno dei due contendenti non sembra poter rinunciare all’altro e lo stesso vale per i Paesi terzi, dall’ASEAN all’UE, senza dover affrontare durissime conseguenze economiche. E difatti i Paesi ASEAN cercano di mantenere una cordiale e pragmatica equidistanza tra USA e Cina.

Collaborare con entrambe le potenze, senza rinunciare ai legami con nessuna delle due. Questa strategia, seguita dalla maggior parte dei Paesi della regione, ha ragioni diplomatiche ed economiche. Sul piano diplomatico, i governi ASEAN preferirebbero una Pechino meno assertiva nel Mar Cinese Meridionale (e infatti stanno aumentando anche la spesa nella difesa), ma non isolata, come desidererebbero a Washington: mantenere buoni rapporti con la Cina sembra essere il modo migliore per garantire la sicurezza della regione, secondo le cancellerie ASEAN. Sul piano economico, sia i dollari che gli yuan sono necessari per finanziare lo sviluppo della regione. Consumatori e aziende statunitensi e cinesi sono interessati ai prodotti elettronici made in ASEAN, specie se acquistare le merci prodotte dal rivale diventa più difficile, ma anche gli investimenti in impianti e infrastrutture hanno un certo peso. Pechino e Washington fanno anche in questo caso a gara, rispettivamente con la Belt and Road Initiative e il piano Build Back Better World.

Le prospettive sembrano insomma rosee per i produttori dei semiconduttori dei Paesi ASEAN (Singapore, Vietnam e Malesia, ma anche Indonesia e Thailandia). Lo scontro per il dominio tecnologico del XXI secolo tra l’aquila e il dragone assegna alle nuove ‘tigri ASEAN’ il ruolo di alternativa fabbrica del mondo, capace però di scambiare prodotti e cooperare con entrambe le parti. A meno che le due potenze non esigano dai governi dei Paesi terzi di schierarsi da una parte o dall’altra o di rinunciare a cooperare con il rivale. Una scelta impossibile per i Paesi ASEAN, ma forse anche per le stesse parti della contesa sulla tecnologia. In questo scenario, il rafforzamento dell’integrazione regionale dell’ASEAN, sul piano politico ed economico, potrebbe rafforzare l’autonomia diplomatica dei suoi membri e favorire lo sviluppo delle catene del valore dei chip.

Gli USA corteggiano il Vietnam, ma Hanoi resta neutrale

La visita di Antony Blinken conferma l’intenzione di Washington di elevare i rapporti bilaterali. Hanoi è disponibile, ma non vuole farsi coinvolgere in logiche di confronto

Di Tommaso Magrini

Gli Stati Uniti sono iperattivi sul Vietnam. Lo dimostra il viaggio ad Hanoi di qualche giorno fa del Segretario di Stato Antony Blinken, ma anche e soprattutto l’intenzione di elevare i rapporti bilaterali. Il Primo Ministro vietnamita Pham Minh Chinh e Blinken hanno espresso il desiderio di approfondire i loro legami. Nella sua prima visita nel Paese del Sud-Est asiatico come alto diplomatico statunitense, Blinken ha incontrato alti funzionari, tra cui il segretario generale vietnamita Nguyen Phu Trong e il primo ministro Pham Minh Chinh. L’argomento principale è stata la possibilità di rafforzare in tutti i settori le relazioni bilaterali. 

“Per il Presidente Biden e per Washington, questa è una delle relazioni più dinamiche e più importanti che abbiamo mai avuto”, ha dichiarato Blinken durante la conferenza stampa che ha concluso i suoi incontri ad Hanoi. “Ha avuto una traiettoria notevole negli ultimi due decenni. La nostra convinzione è che può crescere e crescerà ancora di più”. 

Prima dell’incontro con Blinken, Chinh ha dichiarato che entrambe le parti stanno cercando di elevare i legami “a una nuova altezza”, dopo la telefonata del mese scorso tra il Presidente Joe Biden e il capo del Partito Comunista al governo del Vietnam, Nguyen Phu Trong, una conversazione che, secondo Chinh, ha avuto un “grande successo”.

Secondo gli analisti, l’anniversario diplomatico e la telefonata Biden-Trong potrebbero portare a un incontro tra i due a luglio o ad altri incontri ad alto livello. 

Blinken ha detto ai giornalisti che la sicurezza è una delle componenti chiave delle relazioni tra i due Paesi. Washington e le aziende statunitensi del settore della difesa hanno dichiarato apertamente di voler rafforzare le loro forniture militari al Vietnam – finora in gran parte limitate alle navi della guardia costiera e agli aerei da addestramento – in quanto il Paese cerca di diversificarsi dalla Russia, che attualmente è il suo principale fornitore.

Dalla fine degli anni Novanta, i tentativi di modernizzazione militare hanno visto Hanoi importare dalla Russia altri 36 aerei multiruolo, sei sottomarini, una serie di sistemi missilistici di difesa costiera e quattro fregate. Ma la consegna dell’ultima fregata è stata ritardata in seguito all’annessione della Crimea da parte di Mosca nel 2014, poiché i motori erano stati costruiti in Ucraina, il che ha indotto Hanoi a ripensare, e infine a cancellare, il previsto acquisto di altre due navi da guerra russe.

“L’esercito vietnamita si è reso conto che non possiamo più accedere all’enorme capacità industriale della Russia”, ha dichiarato Nguyen The Phuong, docente di relazioni internazionali presso l’Università di Economia e Finanza di Ho Chi Minh City, al South China Morning Post. “Abbiamo riutilizzato molte armi di origine sovietica per così tanto tempo… È necessario cambiare, dobbiamo trovare nuovi modi per modernizzarci”.

La politica vietnamita non permette basi straniere, truppe straniere o alleanze contro altri Paesi. Hanoi è stata anche scoraggiata dal prezzo relativamente alto delle armi statunitensi e dal timore che le forniture possano essere bloccate dai deputati americani per perplessità sui diritti umani. Sebbene sia improbabile che vengano stipulati accordi diretti con gli Stati Uniti nel breve termine, qualsiasi miglioramento ufficiale delle relazioni faciliterà il commercio con gli alleati occidentali, compreso l’acquisto di armi americane di seconda mano dalla Corea del Sud.

Attenzione anche al significato dell’elevazione dei rapporti, che sarebbe certo rilevante ma non significherebbe che il Vietnam è pronto a farsi “arruolare” in logiche di confronto.

 

Passi avanti sui diritti in Malesia

Abolita la pena di morte obbligatoria per una serie di reati nel Paese del Sud-Est asiatico. Una decisione importante e significativa

Articolo di Aniello Iannone

Lunedì 3 aprile il parlamento malese ha votato un disegno di legge che comporterà la riforma di una parte del sistema giudiziario penale del Paese. In particolar modo la riforma, oltre ad abolire l’uso obbligatorio della pena di morte (Abolition of Mandatory Death Penalty Bill DR7), rivedrà le sentenze  per i  reati punibili con la pena di morte e con il  carcere a vita (Revision of Sentence of Death and Imprisonment for Natural Life Temporary Jurisdiction of The Federal Court, Bill DR 8). La rifoma non abolisce del tutto la pena di morte nel Paese, ma ne cancella l’obbligo della sentenza. Un passo rilevante. La pena di morte rimarrà comminabile per 34 reati tra cui quelli riguardinti il traffico di droga, terrorismo e omicidio. Tuttavia la riforma  darà libertà di discrezione al giudice nell’interpretare la condanna, con la possibilità di imporre altre condanne più lievi. La riforma è un considerevole passo avanti per i diritti umani nel Paese. Attualmente nell’ASEAN su 10 Paesi, solo le Filippine (2006) e la Cambogia (1989) hanno completamente abolito la pena di morte per legge. Timor-Leste, come Paese osservatore dell’ASEAN ha abolito la pena di morte nel 1999. 

La pena di morte in Malesia

In Malesia il sistema giudiziario penale è stato introdotto dall’impero britannico e imponeva la pena di morte obbligatoria in caso di omicidio. Quanto nel 1957 la Malesia ottiene l’indipendeza, eredita il sistema common law inclusa la pena di morte. Nel 1952, sempre sotto l’amministrazione britannica, viene istituita la legge sulle droghe pericolose (Dangerous Drugs Act) , dove nel 1975 diventa reato punibile con pena capitale non obbligatoria. Solo nel 1983 il governo guidato da Mohamad Mahathir, per dimostrare la tolleranza zero del governo verso il traffico di droga, che in quel periodo cominciava a vedere alti flussi dai Paesi produttori della zona come Laos, Myanmar e Thailandia, la pena di morte per traffico di droga fu resa obbligatoria. Tuttavia bisogna comprendere che dal punto di vista politico-sociale, la Malesia fin dalla sua indipendenza nel 1957 ha  sempre vissuto in uno stato perenne di percezione d’emergenza. La pena di morte in questo contesto è stato un elemento importante per mantere questa percezione di emergenza continua nel Paese. 

Al giorno d’oggi in Malesia 34 capi d’accusa possono essere punibili con pena di morte, fino alla riforma ce n’erano 12 puniti con pena di morte obbligatoria: dichiarare  guerra contro il sovrano Yang di Pertian Agong e lo Stato,  prendere  ostaggii, uccidere, commettere terrorismo, guidare un gruppo terroristico, fornire servizi per scopi terroristici, fornire proprietà per atti terroristici, facilitare attività terroristiche, facilitare attività di criminalità organizzata, scarico illegale di armi da fuoco, complice allo scarico illegale di arma da fuoco e traffico di droga. Questi 12 capi non saranno più puniti con la pena di morte obbligatoria ma rientreranno con gli altri 22 capi d’accusa punibili con pena di morte o, a senconda di come il guidice  interepreterà l’accusa, con pene alternative.

La riforma nel periodo post crisi governativa 2020-2022

Dal 1957 a oggi, secondo i dati di Amnesty International, sono state giustiziate circa  469 persone, 1337 sono attualmente condannate nel braccio della morte,  di questi un quarto sono stranieri. Inoltre, di questi, 67,5% sono stati condannati per traffico di droga e altri crimini non considerati una minaccia per il diritto internazionale. Per anni gli attivisti si sono batutti per l’abolizione della pena di morte nel Paese. Nel 2010 è stata attivata una raccolta di firme per salvare la vita di Vui Kong, un malese condannato a morte nel 2007 a Singapore per traffico di 15 grammi di eroina. La sua condanna è stata ridotta all’ergastolo, e la raccolta di firme, arrivò a 109.346 firme e fu poi inviata al governo. Fu in seguito istituito il International Centre for Law and Legal Studies (I-CeLLs) per arrivara ad una soluzione sulla pena di morte nel Paese. Nel 2018 una moratoria per l’abolizione della pena di morte fu proposta dal governo Mahathir e dalla coalizione uscita vincitrice dalle elezioni, Perkatan Harapan, in quanto uno dei punti del manifesto politico della coalizone. Tuttavia la proposta fu osteggiata  sia dall’opposizione sia da organizzazioni non governative conservatori-malay di estrema destra come PERKASA. Ora l’importante passo avanti con il governo guidato dal premier Anwar Ibrahim.

L’attuale situazione in ASEAN 

L’ASEAN non ha nessuna legge o meccanismo  per un eventuale divieto totale della pena di morte nei Paesi membri. Inoltre la sua attuale struttura organizzativa non lo permetterebbe in quanto si basa su una rigida interpretazione della politica di non interferenza e della tutela della sovranità nazionale dei Paesi membri. Secondo un sondaggio del Ministero della legge e per i diritti umani in Indonesia circa l’80% della popolazione è a favore della pena di morte. Ma i passi avanti continuano, a differenza che in altre parti del mondo, come dimostra il caso della Malesia.

Il mondo si avvicina all’ASEAN

Aumenta la cooperazione tra i Paesi del Sud-Est asiatico e piattaforme globali come il G7. E non solo. Con l’auspicio che sempre più governi seguano la “terza via” del blocco

L’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico è sempre più coinvolta nei meccanismi decisionali globali. Un esempio molto attuale è il primo storico appuntamento tra i Ministri della Giustizia del G7 e quelli del blocco regionale. In programma una riunione congiunta a luglio, con il Giappone, Paese ospitante e Presidente di turno del G7. Un analogo incontro Giappone-ASEAN è previsto negli stessi giorni. D’altronde, dopo l’inizio della guerra in Ucraina, ha acuito le distanze tra Occidente e alcuni Paesi. L’ASEAN, con la sua terza via fatta di neutralità e pacifismo, può fungere da connettore cruciale in questa fase globale. Nel Sud-Est asiatico si teme che l’uso della forza per cambiare lo status quo, come ha fatto la Russia in Ucraina, si diffonda nell’Asia-Pacifico. Ma soprattutto temono di restare coinvolti in contese alle quali non appartengono. “L’ASEAN deve rimanere indipendente e una zona di neutralità in mezzo all’acuirsi della rivalità tra Stati Uniti e Cina”, ha dichiarato nei giorni scorsi il Primo Ministro Datuk Seri Anwar Ibrahim, il quale ha sottolineato che l’ASEAN è stata costituita per promuovere la pace e la stabilità nella regione. “Questa posizione continua. Non vogliamo che la regione sia la base per una competizione militare. Questa posizione è stata abbastanza coerente, anche se rimaniamo amichevoli con tutti i Paesi”, ha spiegato. I recenti accordi multilaterali che rischiano di creare le basi di una corsa agli armamenti non sono visti di buon occhio. Nel 1995, 10 Stati membri dell’ASEAN hanno firmato il Trattato sulla zona libera da armi nucleari nel Sud-Est asiatico o Trattato di Bangkok, che designa la regione come priva di armi nucleari. Il trattato prevede anche un protocollo aperto alla firma di Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti. Sinora nessuno lo ha firmato, ma finalmente si vedono i primi movimenti. Di recente, la Cina ha espresso l’intenzione di firmare il protocollo per il trattato ASEAN sulla zona libera da armi nucleari. Ma non sarà semplice far aderire tutti. La speranza del blocco è che partecipando con sempre maggiore frequenza alle piattaforme globali, il mondo scelga sempre più di seguire quella terza via che indica già da diversi anni.

La strada del futuro alimentare in ASEAN

Articolo di Chiara Suprani

Il Sud-Est asiatico mostra possibili sviluppi sul mercato alimentare globale. Le applicazioni per la farina di grillo potrebbero essere innumerevoli nel mercato italiano, come essere usata per far da base o da aggiunta alle barrette ai cereali, o al siero di latte in polvere

A partire dal 24 gennaio 2023, l’Unione Europea ha permesso la compravendita di prodotti a base di farina di Acheta domesticus, o più comunemente, grillo domestico. Due giorni dopo, è stata avviata la commercializzazione del Alphitobius diaperinus, ossia il verme della farina minore. Bruxelles ritiene che gli insetti siano una valida alternativa all’incremento dei costi della produzione di carne animale, sia per il loro impatto ambientale più basso, sia per il loro apporto proteico, più alto in percentuale di quello animale. Ma se le applicazioni per la farina di grillo potrebbero essere innumerevoli nel mercato italiano, come essere usata per far da base o da aggiunta alle barrette ai cereali, o al siero di latte in polvere, un’indagine della Coldiretti ha rivelato che il 54% degli italiani è contrario all’inserimento della farina di grillo nella propria dieta. Introdurre gli insetti, o novel food, nel mercato alimentare richiede requisiti specifici di etichettatura specialmente per le allergenicità, ma non solo. L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) è consapevole che nella fase attuale, il consumo degli insetti sul mercato europeo è limitato, ma le potenzialità e i benefici, ci sono, come i rischi, specialmente quando la normativa non è ancora definita.Date le abitudini alimentari differenti, nel Sud-Est asiatico la legislazione per il consumo di insetti è più avanzata. In Thailandia, gli insetti commestibili rientrano nel Food Act B.E. 2522 (1979), che è la legge generale che regola la qualità e l’integrità degli alimenti. Sempre a Bangkok, il 29 marzo, SPACE-F, il primo incubatore e programma di accelerazione di startup food-tech a livello globale in Thailandia, frutto di una partnership tra l’Agenzia Nazionale per l’Innovazione, Thai Union Group PCL, Mahidol University, Thai Beverage PCL e Deloitte Thailandia, ha lanciato un programma di mentorship per FoodTech startups con l’obiettivo di far diventare la Thailandia il primo hub di foodtech al mondo. Mentre ad inizio anno il Ministro del Commercio e dell’Industria internazionale Malesiano ha con successo ottenuto investimenti per un valore pari a USD$4 miliardi da tre imprese di novel food e food tech: Sea Ltd, Yondr Group and Insect. Quest’ultima è specializzata in proteine di insetti per mangimi e per acquacoltura. E intende aprire un impianto di produzione a Johor, Malesia: il primo nella regione, per soddisfare la crescente domanda asiatica di fonti alimentari sostenibili.

Italia-Vietnam, 50 anni di relazioni

Roma e Hanoi hanno festeggiato il cinquantesimo anniversario dei rapporti diplomatici, mentre si prepara un avvicendamento in Ambasciata

Il 23 marzo 2023 si è celebrato il 50esimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Italia e Vietnam. Come comunica l’Ambasciata italiana, ad Hanoi si è svolto un ricevimento in Residenza, alla presenza della Vice Ministro degli Esteri Le Thi Thu Hang e di rappresentanti delle autorità vietnamite e della comunità italiana e internazionale. Ad Ho Chi Minh City si è svolta invece una cerimonia organizzata dalle autorità municipali presso il Teatro dell’Opera e a cui è intervenuto il Presidente del Comitato del Popolo Phan Van Mai. Ma il programma degli eventi è ben più ampio e si snoda sia in Italia sia in Vietnam. “Sono anche i dieci anni del partenariato strategico che l’Italia ha stipulato con il Vietnam nel 2013 e grazie al quale i rapporti tra i nostri due Paesi si sono estesi ai settori del commercio, degli investimenti ma anche della cultura, del turismo e della scienza”, ha sottolineato l’Ambasciatore Antonio Alessandro intervendo a “Casa Italia” sulla Rai. Alessandro ha precisato che il volume d’affari tra i due Paesi ha raggiunto i 6,2 miliardi di euro nel 2022 e che oggi i settori trainanti sono ovviamente quelli legati alla tecnologia e all’industria creativa. L’Italia conta circa 150 aziende attive in Vietnam. Tra le iniziative più interessanti, sono stati ricordati: la Giornata del Design, quest’anno dedicata all’illuminazione urbana, e un evento dedicato all’industria manifatturiera; per le arti sceniche, invece, c’è l’annuale Festival del Cinema mentre in programma per la musica classica c’è la Cavalleria Rusticana che sarà messa in scena al Teatro dell’Opera di Hanoi. Il Vietnam è ormai un Paese diverso dalle immagini giunte fino a noi nei libri”, ha spiegato Alessandro ricordando che il Vietnam è passato dall’essere uno dei Paesi più poveri al mondo, come lo era negli anni ’70, ad un Paese a medio reddito che ambisce ad essere ad alto reddito. “Oggi è un Paese vibrante: ha 100 milioni di abitanti, giovane e aperto verso il resto del mondo”, ha aggiunto l’Ambasciatore rilevando come il Paese in questione si trovi al centro di un’area, il Sud-Est asiatico, anch’essa luogo di espansione socio-economica. La scorsa settimana, tra l’altro, il Consiglio dei Ministri ha nominato un nuovo Ambasciatore che prenderà il posto di Alessandro al termine del suo incarico. Si tratta di Marco della Seta, ex Ambasciatore a Seoul.

La telemedicina? Un mercato in grande crescita nei Paesi ASEAN

Il mercato della salute digitale incentrato sui consumatori in Asia potrebbe crescere da 37,4 miliardi di dollari nel 2020 a oltre 100 miliardi di dollari nel 2025. Questa crescita sarà guidata principalmente dalla telemedicina

L’aumento della popolazione e della domanda dei servizi medici sta mettendo a dura prova il sistema sanitario di diversi paesi del Sud-Est asiatico. In Indonesia, per esempio, la combinazione tra l’espansione urbana della capitale Giacarta e la natura geografica del territorio diviso in arcipelaghi ha reso difficile l’accesso all’assistenza sanitaria da parte degli oltre 270 milioni di abitanti. I dati raccolti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) segnalano che nel 2021 il servizio sanitario indonesiano riusciva ad offrire 6,95 medici ogni 10.000 persone, dato al di sotto dei 9,28 medici ogni 10.000 in Thailandia e dei 7,51 in Myanmar. L’Indonesia, il quarto Paese più popolato al mondo, risulta quindi avere un numero di medici pro capite di gran lunga inferiore alla media dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). Infatti, tali numeri risultano preoccupanti se comparati, per esempio, al dato dell’Italia in cui ci sono 17,3 medici ogni diecimila abitanti – già ritenuti in numero inferiore al fabbisogno – o se comparati addirittura al dato del Giappone in cui risultano esserci 26,14 medici ogni 10.000 abitanti. 

In questo contesto si inseriscono le aziende che offrono servizi di telemedicina. Queste aziende offrono consulti medici a distanza attraverso applicazioni rendendo quindi più comoda e veloce l’assistenza sanitaria offerta ai cittadini. Durante la Pandemia da Covid-19 e a seguire, la competizione tra le aziende in questo mercato è cresciuta esponenzialmente portando a un’espansione dei servizi offerti in questo campo. Alcune di queste applicazioni, infatti, offrono oltre a servizi di consulto anche la consegna a domicilio di prescrizioni e farmaci. 

Per esempio, Halodoc, app di telemedicina lanciata nel 2016, oltre a permettere ai clienti di tutta l’Indonesia di avere consulti online con più di 20.000 medici autorizzati nel Paese in qualsiasi momento, consegna già prescrizioni e medicine in 400 città Indonesiane riuscendo, nel 30% di queste, ad effettuare la consegna in soli 15 minuti. Questa start-up indonesiana conta già 20 milioni di utenti mensili nel Paese ma mira a raggiungere i 100 milioni nei prossimi anni puntando ad espandere la sua area di azione alla Thailandia, Vietnam e Malesia. Nel contesto indonesiano spicca inoltre Alodokter, azienda di telemedicina fondata nel 2014. Questa applicazione vanta più di 80.000 medici affiliati i quali possono prescrivere farmaci e mandarli nel giro di poche ore ai propri pazienti.   

Sempre in Indonesia, Harya Bimo, amministratore delegato della Klinik Pintar, è invece determinato a mantenere un modello ibrido in cui la tecnologia non preclude la presenza di cliniche in cui i pazienti si possono recare in presenza sul territorio. Infatti, Klinik Pintar è una startup indonesiana di tecnologia sanitaria che non solo aiuta i suoi utenti a prenotare teleconsulti, servizi sanitari virtuali ma anche offre ai propri clienti delle sessioni di presenza in clinica.

Il settore della telemedicina risulta essere in forte crescita in altri paesi del sud est asiatico. Per esempio, a Singapore l’azienda di telemedicina Doctors Anywhere, che vanta una base di 2,5 milioni di utenti in Singapore, Indonesia, Malesia, Thailandia, Filippine e Vietnam, ha intenzione di acquisire Asian Healthcare Specialists (AHS) un gruppo medico multidisciplinare con più di 10 strutture che forniscono servizi, tra cui anestesia, dermatologia, medicina di famiglia e gastroenterologia. In questo modo l’azienda potrebbe dar seguito alle consulti online fornendo ai pazienti anche visite nei centri AHS. Nelle Filippine, inoltre, i cittadini potranno beneficiare, a partire dai prossimi mesi, di una sola super-app tecnologica derivante dal consolidamento di tre società di assistenza sanitaria – KonsultaMD, HealthNow e AIDE – promessa dal  gruppo filippino Ayala. 

Le applicazioni citate sono solo alcune delle startup di telemedicina che si stanno sviluppando nei paesi dell’ASEAN. Un rapporto McKinsey prevede che il mercato della salute digitale incentrato sui consumatori in Asia potrebbe crescere da 37,4 miliardi di dollari nel 2020 a oltre 100 miliardi di dollari nel 2025. In questo contesto la telemedicina, seguita dalle farmacie elettroniche, sarà il principale motore di crescita.

Membri attivi di recente
Foto del profilo di Alessio
Foto del profilo di Monika
Foto del profilo di Gabriel
Foto del profilo di Elena
Foto del profilo di Lorenzo
Foto del profilo di Alessandro
Foto del profilo di Cristina
Foto del profilo di Rocco
Foto del profilo di Clara Lomonaco
Foto del profilo di Redazione
Foto del profilo di Davide Gugliuzza
Foto del profilo di Anna Affranio
Foto del profilo di Ilaria Canali
Foto del profilo di Nicolò
Foto del profilo di Angelo Cangero
Chi è Online
Al momento non ci sono utenti online
Membri
  • Foto del profilo di Alessio
    Attivo 1 giorno, 13 ore fa
  • Foto del profilo di Monika
    Attivo 2 giorni, 21 ore fa
  • Foto del profilo di Gabriel
    Attivo 3 settimane, 3 giorni fa
  • Foto del profilo di Elena
    Attivo 1 anno, 4 mesi fa
  • Foto del profilo di Lorenzo
    Attivo 2 anni, 6 mesi fa