La Nave Amerigo Vespucci a Manila

Prima storica visita di uno dei simboli della Marina Militare Italiana nelle Filippine, segnale di un legame sempre più solido

L’Amerigo Vespucci, storico veliero e nave scuola della Marina Militare Italiana, ha svolto una visita al porto di Manila dal 14 al 18 settembre. La capitale filippina è stata la 23esima tappa della sua crociera mondiale dopo quella di Tokyo e prima di quella di Darwin in Australia. Si è trattato della prima visita della Nave nelle Filippine dove è stata accolta dall’Ambasciatore d’Italia Davide Giglio e dalle autorità della Marina Militare filippina.

Come anche in altri porti Nave Vespucci si è aperta al pubblico e diverse migliaia di visitatori sono saliti a bordo per ammirarla.

L’Amerigo Vespucci, custode delle più antiche tradizioni navali e marinare da oltre novant’anni – è uno dei simboli più conosciuti dell’Italia nel mondo. L’iniziativa del “Tour mondiale” Vespucci coniuga la tradizionale attività formativa degli allievi Ufficiali e la promozione delle eccellenze del Made in Italy. Il Vespucci e’ l’emblema della Marina Militare e dell’Italia stessa: nel solco delle tradizioni marinare, negli anni ha contribuito alla crescita del prestigio del Paese. La nave è partita il primo luglio 2023 dal porto di Genova per compiere il giro del mondo della durata di circa due anni e porta con sé la cultura, la storia, l’innovazione, la scienza, la ricerca, la tecnologia, che fanno dell’Italia un Paese apprezzato da tutto il mondo, Asia orientale e Sud-Est asiatico compresi.

La visita della Vespucci ha fatto seguito a quella (2-8 settembre) del Gruppo Navale composto dalla porta-aerei Cavour e dalla fregata Alpino in un dispiegamento che testimonia del crescente impegno italiano nell’Indo-Pacifico. Ciò al fine di riaffermare il principio della libertà di navigazione, consolidare un ordine internazionale basato sulle regole, contribuire alla pace e alla stabilità regionali, rafforzare le relazioni bilaterali con i partner nella regione, a cominciare dai Paesi, come appunto le Filippine, con cui si condividono valori di libertà e democrazia. Nei prossimi giorni, l’Amerigo Vespucci sarà anche a Singapore, realizzando dunque nella città-Stato una nuova tappa nel suo atteso tour nel Sud-Est asiatico.

Il ruolo dell’Intelligenza Artificiale nell’ASEAN

L’intelligenza artificiale è destinata a trasformare radicalmente il Sud-Est asiatico, con stime che suggeriscono un potenziale incremento del PIL regionale fino a 950 miliardi di dollari entro il 2030

Di Luca Menghini

Negli ultimi anni, il ruolo dell’intelligenza artificiale (AI) ha catturato l’attenzione di governi e industrie in tutto il mondo, e il Sud-Est asiatico non fa eccezione. La capacità dell’ASEAN di sfruttare il potenziale dell’AI è diventata un tema di discussione rilevante, soprattutto considerando le economie eterogenee della regione, che spaziano da Paesi con infrastrutture digitali avanzate come Singapore, a economie emergenti ancora impegnate a superare le sfide della digitalizzazione.

Sebbene l’AI possa apportare significativi benefici economici, la sfida della governance e dell’innovazione richiede una risposta collettiva da parte degli Stati membri dell’ASEAN. Un momento cruciale per la governance dell’intelligenza artificiale nella regione è stato segnato dalla pubblicazione della “Guida ASEAN sulla Governance ed Etica dell’AI” nel febbraio 2024. Questa guida presenta un approccio esaustivo per stabilire un quadro condiviso a livello regionale, fondato su principi quali trasparenza, equità e responsabilità. L’obiettivo è bilanciare la regolamentazione con l’innovazione, tenendo conto delle diverse condizioni socioeconomiche dei Paesi membri.

La guida promuove l’adozione volontaria delle linee guida, fornendo raccomandazioni sia a livello regionale che nazionale. Questo la rende uno strumento flessibile ma fondamentale per allineare lo sviluppo dell’AI a pratiche etiche e sostenibili. Alcuni Stati membri, come Singapore, hanno già sviluppato strategie nazionali. Il “Model AI Governance Framework” di Singapore, aggiornato nel 2023, costituisce un esempio di come un governo possa implementare politiche sull’AI per favorire la crescita tecnologica e un suo uso responsabile. Anche Indonesia e Filippine stanno seguendo l’esempio, puntando a proporre un quadro normativo regionale per l’AI entro il 2026.

L’intelligenza artificiale è destinata a trasformare radicalmente il Sud-Est asiatico, con stime che suggeriscono un potenziale incremento del PIL regionale fino a 950 miliardi di dollari, ovvero il 13%, entro il 2030. Tuttavia, la disparità negli investimenti e nelle infrastrutture tra i Paesi ASEAN rappresenta una sfida per realizzare appieno questo potenziale. Singapore attira la maggior parte degli investimenti in AI nella regione, superando grandi economie come Indonesia e Malesia. Nel 2023, Singapore ha assicurato 8,4 miliardi di dollari in venture capital per l’AI, contro 1,9 miliardi per l’Indonesia e solo 95 milioni per il Vietnam.

Gli sforzi per colmare questo divario includono collaborazioni con le principali aziende di AI, come quella tra Singapore, Malesia e Nvidia per costruire supercomputer e potenziare la manifattura legata all’AI. Queste iniziative sono fondamentali per posizionare la regione come un hub per l’innovazione nell’AI, in particolare nei settori della sanità, dell’agricoltura e della finanza. Alcuni sviluppi locali di AI, come PhoGPT in Vietnam, dimostrano come i Paesi ASEAN stiano iniziando a ritagliarsi una nicchia nell’ecosistema globale dell’intelligenza artificiale, rispondendo alle esigenze specifiche della regione.

Sebbene i benefici dell’AI siano evidenti, crescono le preoccupazioni riguardo all’impatto ambientale dei data center e l’elevato consumo di energia necessario per addestrare i modelli linguistici di grandi dimensioni. Si prevede che lo sviluppo dell’AI raddoppierà il numero di data center a livello globale entro il 2030, con un conseguente aumento del consumo di elettricità. Per l’ASEAN, questo pone una sfida di sostenibilità, soprattutto nei Paesi fortemente dipendenti dai combustibili fossili.

La Guida ASEAN sulla Governance dell’AI ha iniziato ad affrontare queste preoccupazioni, promuovendo pratiche legate all’intelligenza artificiale che considerino i fattori ambientali e la sostenibilità. Con la crescente importanza dell’AI, gli Stati membri dovranno orientarsi verso tecnologie avanzate che tengano conto delle considerazioni ambientali, potenzialmente facendo dell’AI un elemento chiave per la crescita economica e la resilienza climatica.

Per sfruttare appieno il potenziale dell’AI, i Paesi ASEAN devono collaborare più efficacemente, soprattutto nelle aree dei flussi di dati transfrontalieri, dello sviluppo di competenze e dell’armonizzazione normativa. La nuova Guida sull’AI suggerisce la creazione di un gruppo di lavoro ASEAN per supervisionare le iniziative di governance dell’AI e facilitare lo scambio di conoscenze tra le economie più avanzate, come Singapore, e quelle meno sviluppate, come Cambogia e Myanmar.

Le iniziative volte a costruire una forza lavoro preparata per l’AI sono di fondamentale importanza. I programmi di apprendistato sull’AI di Singapore servono da modello per migliorare e ampliare la forza lavoro regionale, un fattore cruciale per mitigare gli effetti negativi dell’automazione. L’espansione di tali programmi in tutta la regione potrebbe contribuire a garantire una distribuzione più equa dei benefici dell’intelligenza artificiale.

L’ascesa dell’AI nell’ASEAN rappresenta una grande opportunità, ma anche una sfida. Da un lato, offre una via verso una significativa crescita economica e una leadership tecnologica. Dall’altro, richiede una governance attenta, per garantire un uso etico, sostenibile e un accesso equo in tutta la regione. I recenti passi intrapresi dall’ASEAN, tra cui la pubblicazione della Guida sulla Governance dell’AI, dimostrano un impegno verso uno sviluppo responsabile dell’intelligenza artificiale. Tuttavia, per accelerare realmente l’era dell’AI nella regione, saranno necessari continui sviluppi e investimenti in innovazione, collaborazioni e crescita inclusiva.

Diventare Lumbung: lo scambio culturale tra Italia e Indonesia

Lo scambio culturale e artistico tra i due Paesi ha grandi potenzialità. Diventare Lumbung è un primo passo per cogliere grandi opportunità

Di Paola Pietronave

Tra Italia e Indonesia lo scambio culturale e artistico è un terreno con tante strade da esplorare. A livello di letteratura, arti contemporanee, musica, danza e cultura in senso ampio, sembrano davvero molte le possibilità per espandere e ampliare la conoscenza reciproca tra i due Paesi.

Per questa ragione, nel 2023 è stato avviato “Diventare Lumbung” che, grazie al supporto dell’Italian Council, ha cercato di restituire e disseminare nel contesto italiano alcuni dei valori e delle pratiche di ruangrupa e Gudskul Ekosistem, tra i collettivi artistici più rilevanti nel momento contemporaneo. 

ruangrupa è nato nel 2000 da un gruppo di artisti con la necessità di costituire uno spazio (fisico e mentale) in cui coltivare una sensibilità critica, ed elaborare strumenti di analisi sui contesti urbani e sulla cultura in senso ampio, utilizzando formati e linguaggi diversi. Dopo diverse esperienze orientate alla costruzione di un network di collaborazione improntato al mutuo-aiuto, alla condivisione di conoscenza e al pensiero critico, nel 2018 prende forma Gudskul Ekosistem, fondato con Serrum e Grafis Huru Hara, uno “spazio di studio sulla simulazione delle pratiche collettive”, che promuove l’importanza di un dialogo critico e sperimentale attraverso processi di apprendimento basati sulla condivisione e sull’esperienza diretta. 

Nel 2022 ruangrupa ha curato la quindicesima edizione di documenta1 denominata, appunto documenta fifteen. Charles Esche2 l’ha definita “la prima mostra del XXI secolo”, a sottolinearne l’importanza nella storia dell’exhibition making, grazie alla scelta di una curatela “collettiva” e all’attivazione di processi collaborativi orizzontali, rizomatici e non competitivi. La metafora fondativa della mostra è stata “Lumbung”, ovvero la pratica tradizionale in Indonesia di condivisione del surplus di riso tra le famiglie che gestiscono i campi coltivati. Questo surplus viene raccolto in un deposito, e poi distribuito a seconda delle necessità, attraverso un processo decisionale collettivo. Si tratta di una strategia di gestione delle risorse improntata alla al mutuo-aiuto, che ancora oggi sopravvive. “Lumbung” ha segnato un cambio di paradigma in grado di interrogare le dinamiche e le condizioni del sistema dell’arte e della cultura contemporanee, proponendo metodologie e pratiche improntate alla sostenibilità e alla condivisione.

Una mostra di tale portata ha tuttavia avuto una scarsa restituzione nel contesto italiano, e “Diventare Lumbung” è stato il primo tentativo di diffonderne i contenuti per tentarne una messa in pratica. 

Il progetto ha previsto un primo periodo di residenza negli spazi di Gudskul Ekosistem, cui ha fatto seguito una fase di restituzione e disseminazione nel contesto italiano, utilizzando diversi formati (talk e workshop) e coinvolgendo diverse istituzioni (ar/ge Kunst a Bolzano, MAMbo a Bologna, Fondazione Lac o Le Mon a San Cesario di Lecce e l’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova) e spazi indipendenti (Alchemilla a Bologna, Osservatorio Futura a Torino e Disordedrama a Genova). 

Attraverso la scelta di creare momenti di incontro e riflessione, è stato possibile costruire una prima rete di iniziative che hanno accolto con entusiasmo e interesse la possibilità di attivare “Lumbung Italia”, un laboratorio per esplorare modalità sostenibili per “vivere bene insieme” all’interno e oltre il sistema dell’arte. 

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  1. Documenta è la mostra di arte contemporanea, fondata nel 1955 da Arnold Bode, che si tiene ogni cinque a Kassel per la durata di cento giorni, rappresentando uno dei punti di riferimento per la ricerca nel campo dell’arte contemporanea in Europa. 
  2. Charles Esche è un direttore di museo (per venti anni al Van Abbenmuseum di Eindhoven), curatore, scrittore e direttore editoriale di Afterall Journal and Books, di base al Central Saint Martins College of Art and Design (Londra).

La diplomazia del Myanmar per affrontare isolamento e crisi energetica

Gli sfaccettati rapporti con Pechino e il rilancio dei legami con la Russia sono al centro della politica estera della giunta militare

Di Francesca Leva

La politica estera del Myanmar, che affonda le radici nella lotta del Paese per l’indipendenza e la neutralità geopolitica, ha un ricco significato storico. In quanto membro fondatore del Movimento dei Paesi Non-allineati nel 1961, il Myanmar ebbe un ruolo chiave fino a che il Gruppo non cominciò a spostare l’Alleanza verso i Paesi del Blocco dell’Est nel 1979. Nel 2008 la Costituzione ha ulteriormente solidificato l’impegno del Paese verso una politica estera “attiva, indipendente e non-allineata”. Perfino la decisione di unirsi all’ASEAN nel 1997, che segnò un allontanamento dalla tradizionale neutralità, fu una mossa strategica per bilanciare la pressione proveniente dalla Cina e dai Paesi occidentali.

Nel 2020 il Myanmar ha dato vita a un’ulteriore alleanza strategica con la Cina, contrassegnata dall’inaugurazione dall’inaugurazione del China – Myanmar Economic Corridor (CMEC), culminato dalla visita del Presidente Xi Jinping nel Paese del Sud-Est asiatico. Il CMEC si è ripromesso di essere una scelta strategica per entrambe le parti. Per la Cina, era un mezzo per avere accesso alla Baia del Bengala e all’Oceano Indiano, trasferire petrolio e gas tramite gasdotti attraverso il Myanmar alla provincia dello Yunnan, offrire nuove rotte per il trasporto di merci e garantire una fonte per l’importazione di materie prime. D’altra parte, per il Myanmar, il Corridoio era necessario per uscire dalla stagnazione economica degli anni passati. Tuttavia, il golpe militare del 2021 ha drammaticamente alterato gli equilibri. Prima del governo militare, Naypyidaw poteva ancora contare su attori terzi per controbilanciare le aspettative cinesi. A seguito del golpe, invece, il Myanmar si è trovato isolato, con investimenti diretti esteri in crollo e un’economia al collasso: questi fattori hanno dato a Pechino maggior potere nella relazione bilaterale.

La Cina ha storicamente rapporti profondi con tutte le componenti del Myanmar, da quelle civili a quelle militari. Non a caso, nel 2023 era riuscita a mediare una tregua, poi però interrotta da nuovi combattimenti. Gli interessi sfaccettati che Pechino ha in Myanmar contribuiscono alla politica estera ambigua nei confronti del Paese. Da un lato Pechino ha investito più di 35 miliardi di dollari statunitensi nei progetti infrastrutturali locali e vuole prevenire l’influenza occidentale, da cui il supporto al governo militare. Al contempo, Pechino vede i propri interessi di sicurezza in pericolo: vi sono più di 2.000 km di confini che il governo non è in grado di controllare e che rappresentano una minaccia per gli investimenti infrastrutturali di Pechino e sono, inoltre, veicolo di contrabbando, droghe, scam online e traffico di persone. La Cina si è di conseguenza rivolta alle milizie locali maggiormente in controllo dell’area.

Come conseguenza di queste dinamiche complesse, dal 2022 vi è stata una convergenza diplomatica ed economica tra Russia e Myanmar. Il Myanmar, strategicamente posizionato, funge da punto di accesso cruciale alle rotte marittime dell’Oceano Indiano e del Mar Cinese Meridionale per la Russia. In cambio, la Russia agisce come alleato di Naypyidaw, bilanciando parzialmente l’influenza di Pechino. L’importanza strategica del Myanmar per la Russia è un fattore chiave che sottolinea la significatività geopolitica delle alleanze in evoluzione nella regione. Nel maggio 2022, il Generale Min Aung Hlaing ha visitato la Russia per espandere la cooperazione energetica e difensiva del regime con Mosca. Da allora, la Russia ha fornito droni al Myanmar e ha posto un veto sulle dichiarazioni dell’ONU sul conflitto in Myanmar. Al Forum Economico Internazionale a San Pietroburgo nel giugno 2023, i due paesi hanno firmato accordi su progetti eolici, istituito voli diretti e concordato di potenziare il turismo. Il Myanmar ha inoltre acquistato 1,5 miliardi di dollari in equipaggiamento militare dalla Russia e ha discusso la possibilità di istituire un centro tecnologico a Yangon con la prospettiva della costruzione di un reattore nucleare su piccola scala.

Oltre la cooperazione economica e militare, vi è un evidente focus su progetti energetici congiunti tra i due Paesi. A seguito del golpe la produzione energetica in Myanmar è crollata del 47%, comportando carenze di elettricità e interruzioni di corrente in tutto il paese. Questo fenomeno è principalmente causato dall’uscita delle società e gli investitori esteri dal Paese a causa della situazione geopolitica. A causa del tasso di cambio sfavorevole importare energia è diventato economicamente proibitivo, obbligando il governo ad affidarsi agli impianti idroelettrici, controllati dagli EAOs – Ethnic Armed Organizations -.  Le Organizzazioni Armate Etniche sono composte da diversi gruppi, ognuno dei quali rivendica il riconoscimento etnico, e che sempre più – sebbene non unanimemente – hanno unito le forze con il governo di Unità Nazionale (NUG) contro la giunta militare.

La crisi energetica in Myanmar, congiuntamente all’aumento del suo isolamento internazionale, sta costringendo il Paese a creare nuove alleanze strategiche e a trovare nuovi partner per bilanciare il peso politico ed economico della Cina, rilanciare la sua economia e ottenere supporto geopolitico all’interno dell’arena internazionale.

La Thailandia ha una nuova premier

Paetongtarn Shinawatra è stata nominata Prima Ministra della seconda economia del Sud-Est asiatico, la più giovane di sempre

“Sono onorata. Ho parlato con la mia famiglia e le persone del Pheu Thai. E ho deciso che è arrivato il momento di fare qualcosa per il Paese e per il partito, darò il mio meglio per riuscire a fare andare avanti la Thailandia”. Venerdì 16 agosto, una visibilmente emozionata Paetongtarn Shinawatra pronuncia le sue prime parole da Premier della Thailandia. Pochi minuti prima, il Parlamento di Bangkok l’ha nominata con 319 voti a favore, 145 contrari e 27 astenuti. Prende il posto di Srettha Thavisin, suo compagno di partito rimosso pochi giorni prima dall’incarico da una sentenza della Corte Costituzionale, scaturita dalla nomina a Ministro di un ex avvocato che in passato era stato condannato a sei mesi di carcere per corruzione.

Nata il 21 agosto 1986, Paetongtarn diventa così coi suoi appena 38 anni la leader di governo più giovane di sempre per la seconda economia del Sud-Est asiatico. Paetongtarn è la figlia di Thaksin Shinawatra, Primo Ministro dal 2001 al 2006 rientrato lo scorso anno da un lungo esilio all’estero, e nipote di Yingluck Shinawatra, sorella di Thaksin e a sua volta Premier dal 2011 al 2014. Da bambina, ha seguito il padre mentre faceva campagna elettorale e giocava a golf. Si è laureata in scienze politiche all’Università Chulalongkorn, una delle migliori scuole della Thailandia. Ha poi studiato gestione alberghiera internazionale presso l’Università del Surrey in Inghilterra.

La nuova leader del governo thailandese è poi tornata in patria per aiutare a gestire l’impero aziendale di famiglia. Entrata in politica nel 2021, prima della nomina dello scorso 16 agosto non aveva mai ricoperto un ruolo di governo. Durante la campagna elettorale dell’anno scorso, ha guadagnato popolarità tenendo comizi nonostante fosse incinta. Dopo le urne, ha dialogato con Move Forward, il partito vincitore rimasto prima all’opposizione e di cui poi la Corte Costituzionale ha ordinato la dissoluzione a inizio agosto.

La vera sfida di Paetongtarn sarà quella di sostenere il rilancio dell’economia, decidendo anche sulla sorte del programma di portafoglio digitale che Srettha Thavisin aveva lanciato nei mesi scorsi. “Se restiamo tutti uniti possiamo farcela, io darò tutta me stessa per migliorare ulteriormente la vita dei thailandesi”, ha promesso la nuova e giovane Premier.

Il problema delle Scam Cities in Asia

Così i Paesi del Sud-Est asiatico stanno provando a contrastare il fenomeno

Articolo di Francesca Leva

Un fenomeno che è emerso in Asia, in particolare nel Sud-Est asiatico, a partire dallo scoppio dell’epidemia di Covid19 è quello delle cosiddette Scam Cities. Secondo un report dell’UN Office on Drugs and Crime, si stima che “the scam industry is earning criminal groups the equivalent of billions of US dollars.”  Inoltre, i suddetti guadagni sono comparabili al PIL di alcuni Paesi nella regione. Lo studio ha indicato che in un Paese asiatico non meglio specificato, i ricavi ottenuti dalle attività illecite si aggirano tra gli USD 7.5 miliardi e gli USD 12.5 miliardi, quasi la metà del PIL del Paese in questione nel 2021.

Le vittime di questa attività sono tipicamente giovani di nazionalità cinese, hongkongina, taiwanese, thailandese, filippina o di altri Paesi sud-est asiatici. Tuttavia, con l’espansione di questo business sempre più vittime vengono reclutate da India, Africa e America Latina. Con le promesse di una nuova carriera – nonché un visto, voli già pagati e garanzie di alloggio – gli individui vengono incentivati a trasferirsi nella nuova destinazione. Tuttavia, all’arrivo, le vittime vengono direttamente trasferite in complessi simili a prigioni, solitamente collocati fuori casinò o in zone periferiche. Ormai prigioniere, le vittime sono obbligate a comprare la loro libertà lavorando per i proprietari dell’attività in questione, che spesso include truffe online, truffe romantiche, cripto frodi, riciclaggio di denaro e scommesse illegali. Phil Robertson, direttore per l’Asia del Gruppo Human Rights Watch ha dichiarato che: “The litany of rights violations are shocking, including false recruitment, stripping people of their passports and other identity documents, abductions and trafficking, confinement, debt bondage, forced labor, physical beatings, and sexual abuse”.

Le autorità locali hanno individuato alcuni hotspots nello stato Shan nell’est del Myanmar, confinante con la Cina, Poi Pet, Sihanoukville, e Svay Rieng in Cambogia, così come altre città nelle Filippine e nel Laos nordoccidentale a Bokeo. Plurime località sono collocate in alcune Zone Economiche Speciali (ZES) le quali, a causa di regolamentazione flessibile designata per attrarre investimenti diretti esteri, divengono aree prive di legge gestite da gruppi privati, sui quali la polizia non ha alcun tipo di controllo.

Questo fenomeno rappresenta una minaccia per la Cina sia per la sua politica interna, sia per questioni di sicurezza territoriale, rendendola una questione geopolitica. Da un punto di vista di politica interna, il gioco d’azzardo è illegale sia Cina sia all’estero dal 1949: partecipare in qualsiasi tipo di gioco d’azzardo, compreso il gioco d’azzardo online, il gioco d’azzardo al di fuori del Paese o la creazione di casinò all’estero rivolta specificamente ai cittadini cinesi come clientela principale, è ritenuto illegale. Pechino considera infatti il gioco d’azzardo e la conseguente fuoriuscita di capitali come un pericolo per la stabilità sociale. Questo divieto ha tuttavia trasformato il settore del gioco d’azzardo in Asia: la maggior parte dei casinò che ha aperto nel sud est asiatico è infatti specificamente volta ad attrarre cittadini cinesi. La strategia si è rivelata efficace: ogni anno circa 1 triliardo di yuan (USD 144 miliardi) esce dalla Cina per attività di questo tipo, e circa un quinto dei voli in uscita dalla Cina è per viaggi d’azzardo. Nelle ZES lungo il confine cinese il business è in piena fioritura: nella Golden Triangle Special Economic Zone nel Laos settentrionale Zhao Wei controlla il Kings Romans Casino. Zhao Wei è un cittadino cinese che è stato in grado di etichettare le sue attività – illegali – come patriottiche. Jason Tower, country director per il Myanmar presso lo United States Institute for Peace ha infatti dichiarato: “A lot of these individuals set up patriotic associations overseas and try to demonstrate, in a very public manner, allegiance to Communist Party initiatives – and they fund those initiatives […], they extend the reach of the international front on Taiwan issues. They go after Westerners who criticize China on Xinjiang or Tibet. And they’re making it difficult and costly for the state to crack down because it would mean making some of the Chinese state initiatives look bad.”

Per quanto riguarda i rapporti bilaterali tra i due Paesi, in Myanmar questi hub illegali sono controllati da milizie locali alleate con la giunta militare alla guida della Nazione, creando una partnership di mutuo beneficio per entrambe le fazioni. Situate al confine con la Cina, le scam cities rappresentano un pericolo per i cittadini e per la stabilità dei confini: Pechino si sta dimostrando sempre più insofferente per questo fenomeno. Questo dissenso crea un’opportunità per le fazioni ribelli in Myanmar che si impegnano nello smantellamento di questi hub illegali – come avvenuto ad ottobre 2023 – altresì dimostrando solidarietà alla Cina. La Cina potrebbe in futuro mostrare infatti supporto all’opposizione, influenzando il corso della guerra civile in Myanmar.

Indonesia, è arrivata il momento di Nusantara

La nuova capitale del Paese del Sud-Est asiatico è pronta per l’inaugurazione, nonostante molti intoppi

Di Anna Affranio

Con una mossa audace e storica, nel 2019 il presidente indonesiano Jokowi aveva annunciato la decisione di di dare il via al progetto ambizioso e audace di trasferire la capitale dalla vivace metropoli di Giacarta a una città di nuova progettazione chiamata Nusantara. Questa iniziativa senza precedenti non riguarda solo lo spostamento della sede del governo, ma incarna anche l’idea di una nazione al passo coi tempi. Mentre Jakarta è alle prese con problemi cronici come le gravi inondazioni, l’inquinamento e il sovraffollamento, Nusantara emerge come un faro di speranza, promettendo un ambiente urbano più sostenibile ed equo. Situata nel cuore del Borneo, questa nuova capitale è stata progettata per essere una città modello che promuove la tecnologia verde, l’inclusione culturale e la crescita economica. Il trasferimento a Nusantara segna un momento cruciale nella storia dell’Indonesia, ridisegnando non solo il paesaggio geografico ma anche quello socio-economico dell’arcipelago. 

La costruzione della città è iniziata a metà del 2022 e, sebbene ci vorranno ancora diversi anni per il suo completamento, il governo prevede di inaugurare ufficialmente nella data simbolica del 17 agosto, giorno in cui si celebra l’indipendenza Lo stesso presidente Joko Widodo ha iniziato a lavorare nel  palazzo presidenziale della nuova capitale Nusantara, già  dall’ultima settimana di luglio, tenendo in quella sede le prime riunioni con i propri collaboratori Non a caso l’’edificio governativo, noto anche come Garuda Palace, dal nome e dalla forma del mitico uccello Garuda, simbolo che compare anche nello stemma del Paese, è stato completato in tempo per il giorno dell’ inaugurazione e farà da sfondo alle celebrazioni. Questa importante occasione non rappresenta quindi solo il trasferimento fisico della capitale, ma anche il lancio di Nusantara come cuore amministrativo e politico dell’Indonesia.

Il progetto visionario di creare dal nulla nel cuore del Borneo una città sostenibile e futurista si è scontrato però fin da subito con gli ostacoli e i ritardi dovuti fondamentalmente alla difficoltà di reperire le necessarie risorse economiche per la realizzazione del piano, nonché alla complessa gestione delle problematiche ambientali  . Nonostante gli sforzi del governo per rispettare i tempi previsti, le complessità dello sviluppo delle infrastrutture, le incertezze economiche e le considerazioni ecologiche hanno reso il processo più arduo di quanto inizialmente previsto. La nuova capitale dovrebbe essere una città intelligente e verde che utilizza fonti di energia rinnovabili e opera una gestione dei rifiuti rispettosa dell’ambiente. Ma si sono dovuti registrare, invece, ritardi e impedimenti nell’acquisizione dei terreni, che hanno portato a conflitti con le popolazioni indigene in lotta contro il governo statale contro l’esproprio delle loro terre, rivendicando un equo indennizzo che l’Amministrazione statale per la scarsità delle risorse finanziarie investite non è in grado di garantire.A ciò si aggiunga il problema dell’afflusso di lavoratori da altre parti dell’Indonesia, che ha sì creato nuove opportunità commerciali, ma ha anche sollevato preoccupazioni tra i locali per le inevitabili speculazioni,  l’aumento del costo della vita e il degrado ambientale.  

Inoltre, il costo stimato del progetto di 35 miliardi di dollari, che il governo spera di finanziare per l’80% con investimenti privati, ha visto un tiepido interesse da parte degli investitori stranieri. Finora il governo ha investito circa 3,4 miliardi di dollari, con altri 2,5 miliardi di dollari dal settore privato. Nel tentativo di attrarre maggiori investimenti, il Presidente Jokowi ha firmato un regolamento presidenziale che concede agli investitori una serie di diritti nella futura capitale, compresi i diritti fondiari per un massimo di 190 anni.

All’inizio di giugno, il capo e il vice capo dell’organismo che supervisiona la nuova capitale indonesiana si sono inaspettatamente dimessi, sollevando dubbi sul futuro sviluppo del progetto. Questi cambiamenti di leadership, insieme alle varie sfide, sottolineano la complessità del trasferimento della capitale e dello sviluppo di Nusantara come previsto.

Nonostante le difficoltà l’Indonesia continua caparbiamente a portare avanti questo mastodontico progetto., Nusantara costituisce perciò una testimonianza  fondamentale e decisiva della capacità di un Paese di saper affrontare le sfide finanziarie, ambientali e sociali costruendo una città che non dovrà rappresentare solo un centro politico e amministrativo, ma anche l’emblema più prestigioso della capacità di una nazione di dare vita ad un futuro più sostenibile e inclusivo per tutti gli indonesiani 

La visione globale dell’ASEAN

Uno stralcio del comunicato finale della ministeriale degli Esteri ASEAN, che si è svolta la scorsa settimana in Laos

Abbiamo sottolineato l’importanza di rafforzare l’unità e la centralità dell’ASEAN nel nostro impegno con i partner esterni, anche attraverso i meccanismi guidati dall’ASEAN come l’ASEAN Plus One, l’ASEAN Plus Three (APT), il Vertice dell’Asia orientale (EAS), ASEAN Regional Forum (ARF) e ADMM-Plus, al fine di costruire la fiducia reciproca e di rafforzare un clima aperto e un’architettura regionale aperta, trasparente, resiliente, inclusiva e basata sulle regole, con l’ASEAN al centro, che sostenga il diritto internazionale. Abbiamo sottolineato la necessità di promuovere un ambiente favorevole alla pace, stabilità e sviluppo prospero per tutti, assicurando una cultura del dialogo e della cooperazione, anziché della rivalità, rafforzando la fiducia reciproca e il rispetto del diritto internazionale. Abbiamo riaffermato che l’ASEAN agirà in conformità con la centralità dell’ASEAN nelle relazioni esterne politiche, economiche, sociali e culturali rimanendo attivamente impegnata, orientata verso l’esterno, inclusiva e non discriminatoria, in linea con la Carta dell’ASEAN. Abbiamo notato con soddisfazione gli incoraggianti progressi nelle relazioni dell’ASEAN con i nostri Partner di dialogo, Partner di dialogo settoriale e Partner per lo sviluppo attraverso i quadri esistenti e l’attuazione di Piani d’azione, Aree di cooperazione pratica e programmi di cooperazione allo sviluppo basati sul reciproco interesse e beneficio reciproco nel contribuire alla costruzione della Comunità ASEAN e agli sforzi di cooperazione allo sviluppo. Abbiamo concordato di rafforzare ulteriormente i partenariati e la cooperazione con i nostri partner contribuendo così alla nostra risposta proattiva alle sfide e alle opportunità regionali e globali. Ci impegniamo a promuovere una comunità orientata verso l’esterno che sostenga la crescita sostenibile e la resilienza della regione attraverso la cooperazione inclusiva e la collaborazione con i partner esterni. Abbiamo preso atto del crescente interesse da parte di Paesi e organizzazioni regionali al di fuori della regione a sviluppare una più forte collaborazione e cooperazione sostanziale con l’ASEAN, anche attraverso richieste di partnership formali. Abbiamo affermato l’importanza di di perseguire una politica orientata verso l’esterno e abbiamo concordato sulla necessità di raggiungere nuovi potenziali partner esterni sulla base di un interesse condiviso, di un impegno costruttivo e di un vantaggio reciproco. Abbiamo preso atto della crescente rilevanza globale dell’ASEAN e del suo potere di “convocazione” unico nel contesto dell’emergente architettura globale multipolare che si sta delineando.

Qui il comunicato integrale

Perché Filippine e Giappone rafforzano i legami di sicurezza

Manila e Tokyo incrementano la cooperazione militare con un accordo storico, puntando a maggiore autonomia e sicurezza regionale

Di Alessia Caruso

Le Filippine e il Giappone hanno recentemente finalizzato un importante accordo di sicurezza dopo anni di negoziazioni. Il nuovo Reciprocal Access Agreement (RAA) consente alle Forze Armate delle Filippine (AFP) e alle Forze di Autodifesa Giapponesi (JSDF) di ampliare significativamente le attività militari congiunte, comprese esercitazioni su larga scala focalizzate sull’interoperabilità e sulla risposta congiunta a emergenze, come disastri e conflitti armati. Inoltre, il RAA facilita il trasferimento e lo scambio di sistemi d’arma sofisticati, permettendo alle Filippine di modernizzare le loro forze marittime in risposta alle dispute nel Mar Cinese Meridionale.

Dopo la firma dell’accordo, le Filippine hanno celebrato un “livello senza precedenti” nei rapporti di difesa con il Giappone, evidenziando la crescente cooperazione militare tra Manila e Tokyo. L’accordo dovrà essere ratificato dai parlamenti di entrambi i Paesi prima di entrare in vigore, ma non sono previsti ostacoli significativi. Le Filippine e il Giappone condividono infatti diversi interessi di sicurezza che hanno spinto alla firma del RAA. Entrambi i Paesi sono coinvolti in contestazioni territoriali con la Cina: le Filippine nel Mar Cinese Meridionale e il Giappone nel Mar Cinese Orientale. Inoltre, la posizione geografica strategica delle Filippine e del Giappone li rende partner naturali nel contesto della minaccia cinese nei confronti di Taiwan, un punto critico per la sicurezza regionale. Una difesa congiunta fra i due contribuisce significativamente alla deterrenza integrata della regione delineata dall’alleato statunitense.

Negli ultimi anni, il Giappone ha aumentato notevolmente il suo coinvolgimento nella regione ASEAN, diventando uno dei principali investitori e il partner preferito di molti Paesi del Sud-Est asiatico. Questo rinnovato impegno regionale è stato ben accolto dalle Filippine, che hanno svolto un ruolo di supporto attivo nel reintegrare Tokyo come alleato chiave per la stabilità e la sicurezza nell’area.

È importante notare che il RAA è stato firmato a soli tre mesi dal consolidamento di una partnership trilaterale di sicurezza fra Giappone, Filippine e Stati Uniti (JAPHUS), nata con l’intento di rafforzare l’architettura di sicurezza dell’Indo-Pacifico e aumentare le strategie di deterrenza regionale. A prima vista, il nuovo accordo bilaterale potrebbe apparire ridondante, in quanto mosso dagli stessi intenti del JAPHUS, ma senza la presenza degli Stati Uniti. Tuttavia, il nuovo accordo tra Manila e Tokyo deve essere interpretato come un tentativo filippino di ridurre la propria dipendenza dalla sicurezza statunitense.

Dopo un periodo di forti tensioni, culminato di recente con la morte di un pescatore filippino in seguito alla collisione con una nave commerciale cinese, le Filippine stanno delineando una serie di misure di sicurezza con un duplice obiettivo: raffreddare le tensioni regionali con la Cina e ridurre il rischio per la propria sicurezza nazionale, legata all’incerta politica americana. La strategia di avvicinamento bilaterale al Giappone mira a garantire una relazione diretta tra le due potenze dell’Est Asia, distanziandosi dal legame che li unisce agli Stati Uniti. Recenti eventi, come l’accordo per incrementare i meccanismi di comunicazione marittima bilaterale con la Cina, indicano una volontà filippina di perseguire una politica estera più autonoma e pragmatica.

Protagonista di questo contesto è l’attuale instabilità e incertezza della politica americana. La possibilità di un secondo mandato di Trump introduce ulteriori elementi di imprevedibilità, gettando un’ombra sulla volontà statunitense di mantenere inalterato il suo impegno militare nell’Estremo Oriente. La politica aggressiva delle Filippine vacilla di fronte al bisogno di affidarsi meno al Trattato di Mutua Difesa con gli Stati Uniti, che finora ha rappresentato la spina dorsale della posizione filippina nel Mar Cinese Meridionale.

Guardando al futuro, è prevedibile che le Filippine si concentreranno maggiormente sullo sviluppo di relazioni bilaterali con potenze regionali e su un processo di raffreddamento delle tensioni con la Cina, mentre attendono che gli Stati Uniti definiscano il futuro della propria politica estera. Questo approccio, sebbene diverso dalla strategia adottata negli ultimi anni, potrebbe offrire nuove opportunità per garantire la sicurezza e la prosperità del Paese in un contesto geopolitico in continua evoluzione. La capacità delle Filippine di navigare tra questi dinamici sviluppi sarà fondamentale per definire il loro ruolo e la loro influenza nella regione Indo-Pacifico nei prossimi anni.

Tokyo e Kuala Lumpur unite sul clima

Pubblichiamo qui uno stralcio di un testo apparso su Nikkei e firmato dalla governatrice di Tokyo, Yuriko Koike, e il sindaco di Kuala Lumpur, Kamarulzaman Mat Salleh

Nell’ambito della strategia Kuala Lumpur Low Carbon Society Blueprint of 2030, il governo della capitale della Malesia punta a ridurre le emissioni di carbonio del 70% per aumentare la resilienza contro le crisi climatiche e costruire un futuro sicuro per i residenti. Riconoscendo la portata di questo problema, Kuala Lumpur si è rivolta a Tokyo, una città rinomata per i suoi sforzi pionieristici nelle iniziative edilizie a emissioni zero e uno dei centri urbani più importanti del mondo. Mentre la metropoli malese si sforza di raggiungere i suoi ambiziosi obiettivi, l’assistenza collaborativa è indispensabile per superare gli ostacoli che si presentano. Perché Tokyo, che ha l’obiettivo di dimezzare le emissioni di carbonio entro il 2030, è disposta a dare una mano a Kuala Lumpur?

La risposta sta in una visione condivisa della sostenibilità globale. Il governo metropolitano di Tokyo è consapevole che per affrontare la crisi climatica è necessaria un’azione collettiva che superi confini e frontiere. La condivisione della nostra esperienza può fornire una scorciatoia per costruire una società sostenibile e decarbonizzata.

Consapevole delle esigenze di Kuala Lumpur, Tokyo ha sostenuto gli sforzi della città malese utilizzando la propria esperienza nella progettazione di programmi per l’efficienza energetica e la riduzione delle emissioni di carbonio negli edifici. Tra questi, il primo programma al mondo di riduzione obbligatoria del biossido di carbonio (CO2) per gli edifici esistenti, il Tokyo Cap-and-Trade Program.

Il supporto fornito finora da Tokyo comprende la proposta di un database energetico per le strutture di proprietà della città, la stima del potenziale di riduzione delle emissioni di CO2 e la creazione di scenari per la riduzione delle emissioni di CO2. Abbiamo concordato che le nostre città amplieranno la nostra collaborazione in settori quali lo sviluppo delle infrastrutture urbane e le iniziative ambientali. Di conseguenza, Tokyo sta estendendo il supporto per diffondere informazioni sulle misure e le iniziative di decarbonizzazione, tra cui un programma di installazione obbligatoria di pannelli solari che sarà attuato il prossimo aprile. Attraverso workshop, scambi e progetti di collaborazione, le nostre due città possono promuovere ambienti di apprendimento inclusivi e rispettosi delle diverse prospettive. Questa condivisione di conoscenze può arricchire la cooperazione e fornire le basi per una partnership duratura volta a promuovere un’azione inclusiva per il clima.

Vietnam, addio al segretario generale Nguyen Phu Trong

Il segretario generale del Partito comunista era al terzo mandato. Inflessibile all’interno, protagonista della spietata campagna anticorruzione della “fornace ardente”, flessibile sul piano internazionale in ossequio alla sua diplomazia del bambù che ha garantito il successo recente di Hanoi

Articolo di Lorenzo Lamperti

Nato in una famiglia di contadini sotto la colonizzazione francese e la dominazione giapponese. Cresciuto durante la guerra contro gli Stati uniti. Studente di scienze storiche in Unione Sovietica. Redattore della rivista teorica del Partito, poi suo ideologo e infine leader indiscusso. Nguyen Phu Trong, segretario generale del Partito comunista vietnamita di cui è stata annunciata ieri la morte, non era una figura come un’altra. Né per il Vietnam, né per l’Asia. E, sempre di più, non lo era nemmeno per il mondo. Negli ultimi dieci mesi, sono apparsi al suo fianco in serie Joe Biden, Xi Jinping e Vladimir Putin. Nessun altro leader mondiale può dire lo stesso. Il tutto mentre i vari Amazon, Apple, Samsung, BYD fanno a gara per guadagnare spazio in quello che sta diventando un hub produttivo di alta qualità, snodo cruciale della globalizzazione in mezzo alle turbolenze della contesa tra Usa e Cina.

Trong ha guidato il Vietnam tra le intemperie, cavalcando le onde invece di subirle. Mentre all’interno operava la spietata campagna anticorruzione della “fornace ardente”, all’esterno esaltava la diplomazia del bambù. L’inflessibilità interna, utile anche o soprattutto a sbarazzarsi dei rivali politici, si accompagnava dunque a una grande flessibilità sulla scena internazionale. Da convinto marxista-leninista, Trong ha coltivato il legame storico-ideologico con Pechino, preservando quello di sicurezza con la Russia. E avviando uno storico disgelo con Washington col suo storico viaggio alla Casa bianca nel 2015, il primo per un leader vietnamita. Una mossa utile a diversificare i rapporti internazionali e aggiungere un’ulteriore tutela di stabilità per un paese con una storia frastagliata e violenta. Quasi mille anni di dominio cinese prima, gli effetti “caldi” della guerra fredda con le bombe americane poi.

Sulla salute di Trong, 80 anni, giravano voci pessimistiche già da tempo. Già qualche anno fa si era parlato di un “infarto”. Negli scorsi mesi aveva mancato almeno due appuntamenti rilevanti: l’incontro col presidente indonesiano Joko Widodo, in viaggio a Hanoi, e le celebrazioni del 70esimo anniversario della vittoria della guerra contro la Francia. Era poi riapparso un mese fa per accogliere Putin. Ma le immagini di fianco al leader russo lo mostravano in condizioni poco rassicuranti, tanto da non essere circolate sui media statali. Nei giorni scorsi, c’era stato il passaggio dei poteri al presidente To Lam, figura che nel sistema vietnamita ha funzioni soprattutto cerimoniali. Il segnale della gravità della malattia è arrivato con l’assegnazione dell’Ordine della stella d’oro, generalmente conferita postuma. Poi, l’annuncio ufficiale.

La sua salute era stata messa in discussione sin dal 2021, quando al XII Congresso del Partito aveva ottenuto un inedito terzo mandato, un anno in anticipo rispetto al “collega” cinese Xi Jinping. La storia recente di Hanoi e Pechino, così come le esperienze di Trong e Xi, hanno d’altronde spesso viaggiato in parallelo. Mentre Deng Xiaoping lanciava la riforma e apertura cinese, Le Duan in Vietnam approntava il Doi Moi per aprire al mercato l’economia socialista vietnamita. Trong è diventato segretario generale nel 2011, un anno prima di Xi. Sempre come il presidente cinese, Trong ha costruito la sua reputazione su una ostentata inflessibilità in materia di sicurezza e incorruttibilità, medaglia che ha utilizzato per sconfiggere il rivale Nguyen Tan Dung al Congresso del 2016. Una vittoria dell’ideologia sul mercato, si era detto allora. Ma Hanoi ha poi firmato gli accordi di libero scambio con Unione europea e Regno unito, promuovendo il Rcep in Asia-Pacifico. Le pressioni su Washington per ottenere il riconoscimento di economia di mercato sembrano vicine a produrre il risultato sperato, con Hanoi che si è resa ormai indispensabile alla diversificazione delle catene di approvvigionamento globali e ha elevato nettamente i suoi standard produttivi.

E poco importa se dietro le quinte lo scontro politico è proseguito anche dopo l’avvio del terzo mandato di Trong. Nel giro di un anno, il segretario generale si è sbarazzato di due presidenti. Prima Nguyen Xuan Phuc, che ambiva a prendere il suo posto, poi Vo Van Thuong, considerato il suo delfino. In totale, otto membri del Politburo sono stati espulsi nel giro di pochi anni. Ora ci si aspetta la convocazione di un comitato centrale per nominare un segretario generale ad interim. In corsa, oltre al presidente To Lam, anche il primo ministro Pham Minh Chinh, primo ministro ed ex generale di polizia proveniente dal potente ministero di pubblica sicurezza.

La nomina sarà in ogni caso valida “solo” fino al XIV Congresso del gennaio 2026, quando ci sarà la scelta definitiva. A Pechino, come a Washington e Mosca, osserveranno con attenzione la soluzione del rebus della successione di Trong. Ma il Vietnam è intenzionato a proseguire con convinzione sulla strada della neutralità in politica estera e di sviluppo economico attraverso l’apertura al mondo.

L’ASEAN e il possibile Trump bis

Pubblichiamo qui lo stralcio di un’analisi di Joshua Kurlantzick per il Council on Foreign Relations

Dopo il dibattito per le elezioni presidenziali degli Stati Uniti, anche nei Paesi del Sud-Est asiatico ci si inizia a interrogare sul possibile significato di un eventuale ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Negli ultimi anni, con l’eccezione delle Filippine sotto Ferdinand Marcos Jr., che sostanzialmente si è schierato con gli Stati Uniti, i Paesi dell’area ASEAN hanno tentato di mantenere il loro tradizionale approccio multipolare tra le due grandi potenze. Lo dimostrano benissimo le azioni, sempre basate sul principio della neutralità, di Indonesia e Vietnam. Ma una seconda amministrazione Trump potrebbe aumentare le tensioni tra Stati Uniti e Cina al punto che anche i Paesi del Sud-Est asiatico, da tempo abili nel trovare un equilibrio, potrebbero avere difficoltà a evitare di schierarsi. È improbabile che una seconda amministrazione Trump si concentri molto sulla regione. Nel suo primo mandato, Trump ha stretto legami personali con alcuni leader del Sud-Est asiatico, come l’ex Presidente filippino Rodrigo Duterte. In generale, tuttavia, Trump ha attribuito alla regione una priorità relativamente bassa. Inoltre, il suo approccio protezionistico al commercio era in netto contrasto con l’integrazione economica avvenuta in tutta l’Asia orientale. In questo vuoto, invece, sono state le grandi potenze come il Giappone e la Cina a guidare l’economia. Trump ha tenuto molti discorsi nella stagione elettorale 2023-2024 e ha parlato molto della Cina. Ha fatto poche, se non nessuna, menzione di un futuro approccio al Sud-Est asiatico. Oltre a cercare di mantenere saldamente le Filippine nel campo degli Stati Uniti, una seconda amministrazione Trump eserciterebbe probabilmente un’enorme pressione su stati come Indonesia, Malesia, Vietnam, Singapore e forse altri affinché assecondino gli sforzi degli Stati Uniti per spingere le multinazionali, comprese quelle con sede nel Sud-Est asiatico, a lasciare la Cina, spostando le proprie catene di approvvigionamento. Trump, fortemente concentrato sulla convinzione che praticamente tutti i Paesi stranieri commerciano ingiustamente con l’America, potrebbe essere anche meno timido, in un secondo mandato, nell’imporre tariffe sugli stessi stati del Sud-Est asiatico.

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