Dopo l’intesa siglata con l’Indonesia, Bruxelles punta a concludere altri negoziati. Nel 2026 si potrebbe chiudere con Thailandia, Filippine e Malesia
Di Alessandro Forte
Il 23 settembre 2025 aggiunge un altro tassello al longevo e complesso puzzle di relazioni bilaterali tra l’Unione Europea e i Paesi ASEAN: la presidente della Commissione Von der Leyen ed il Presidente Indonesiano Subianto hanno chiuso un accordo di libero scambio (FTA) e protezione degli investimenti (IPA) dopo nove anni di negoziati, in attesa di un consenso formale da parte degli Stati Membri e Parlamento Europeo. Tale intesa si inserisce all’interno di un ben più ampio quadro politico e commerciale per Bruxelles, che vede nella regione un solido partner economico, ma soprattutto un’opportunità strategica. L’ASEAN, infatti, non solo si conferma terzo partner commerciale per l’Unione nel 2024, con un interscambio di beni pari a €258.7 miliardi (9,6% del commercio totale dell’organizzazione asiatica), ma anche uno snodo manifatturiero e logistico cruciale per l’accesso all’area indo-pacifica, ponte fra economie avanzate ed in via di sviluppo, ed hub in filiere chiave – tra cui elettronica ed automotive.
In questo contesto, Jakarta e Bruxelles hanno concordato di rimuovere dazi su più del 90% dei prodotti appena dopo l’entrata in vigore dell’accordo, inclusi i dazi al 50% sulle auto provenienti dall’UE, che andranno incontro ad una graduale rimozione entro 5 anni; il presidente indonesiano, a questo proposito, si dice fiducioso che queste condizioni portino a raddoppiare l’interscambio commerciale fra i due attori nel primo quinquennio.
Inoltre, l’accordo appena sancito è il terzo traguardo che premia l’approccio bilaterale dell’Unione verso i paesi ASEAN; difatti, dopo il tentativo nel 2007 di negoziare un accordo intraregionale, il processo si è arenato e sospeso nel 2009, a causa dell’eterogeneità regolatoria interna ai diversi paesi del Sud-est asiatico. Questo, tuttavia, non ha impedito a Bruxelles di siglare accordi di libero scambio con Singapore nel 2019 – con un IPA in attesa di ratifica – e Vietnam nel 2020, aprendosi ad una maggiore diversificazione di prodotti e servizi nella regione. Da un punto di vista strategico, il binomio Singapore – Indonesia, quali rispettivamente campione dei servizi, e grande potenza demografica produttrice di materie prime, lancia inevitabilmente un segnale positivo per i negoziati rimasti in panchina.
Per la Thailandia, hub automotive dell’ASEAN, il precedente indonesiano sullo smantellamento progressivo dei dazi nel settore costituisce un facilitatore regolatorio, riducendo l’incertezza degli investimenti e aprendo ad una più realistica e larga integrazione delle catene del valore a livello regionale; per la Malesia, seconda produttrice mondiale di olio di palma, proprio dietro Jakarta, la rimozione di dazi da parte di Bruxelles sul prodotto apre ad uno scenario più appetibile sul tavolo dei negoziati, fermo restando il mantenimento degli standard europei su sicurezza alimentare e sostenibilità; per le Filippine, i cui servizi costituiscono il 63,2% del PIL, un accordo di libero scambio sulla falsa riga dell’intesa con Singapore porterebbe interoperabilità nei servizi digitali, procedure più snelle per licenze e pagamenti, e cornici comuni per fintech e open banking, rendendo più immediato l`accesso degli operatori filippini al mercato UE.
Resta ancora una domanda aperta: ha ancora senso un accordo regionale UE-ASEAN? La risposta breve è sì, ma non nell’immediato. Tuttavia, la via bilaterale non è da intendersi come alternativa ad un accordo intraregionale, ma come una strada pragmatica per allineare, passo dopo passo, gli accordi con gli altri paesi del Sud-Est asiatico, costruendo una cornice più ampia che riduce i costi di conformità per le imprese, e rafforza l’integrazione tra i Paesi ASEAN. Questo, nel medio-periodo, potrebbe senz’altro creare terreno fertile per un’intesa regionale credibile. Il contesto globale, oltretutto, spinge nella stessa direzione: tra gli aumenti tariffari statunitensi, e le persistenti dipendenze dal mercato cinese, per UE e ASEAN la diversificazione delle catene del valore non è più un’opzione, ma una necessità strategica. Da qui, l’urgenza di trasformare i progressi bilaterali in una tabella di marcia condivisa, con obiettivi concreti e tempi definiti.












