L’ASEAN si avvicina anche all’Africa

Non solo Europa, Americhe e Golfo. Il Sud-Est asiatico rafforza i legami anche col continente africano

L’ASEAN e il Sudafrica hanno svolto lo scorso 30 novembre, presso la sede centrale dell’ASEAN, la riunione inaugurale del Comitato congiunto di cooperazione settoriale ASEAN-Sudafrica (ASA-JSCC). L’incontro ha segnato il lancio del primo partenariato formale di dialogo settoriale del continente africano e realizza così l’espansione delle relazioni esterne dell’ASEAN a tutti i continenti del mondo. I Ministri degli Esteri dell’ASEAN hanno conferito lo status di partner di dialogo settoriale al Sudafrica in occasione del 56° incontro dei ministri degli Esteri dello scorso luglio a Giacarta. La riunione della scorsa settimana ha adottato il mandato dell’ASA-JSCC e ha deliberato su diverse aree di cooperazione futura. Sul fronte economico, l’incontro ha incoraggiato il Sudafrica a esplorare la cooperazione pratica in aree di reciproco interesse e beneficio, tra cui il commercio e gli investimenti, il partenariato pubblico-privato, il rafforzamento delle micro, piccole e medie imprese, il turismo, i trasporti, l’energia, il settore dei minerali critici e le risorse minerarie, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, la sicurezza alimentare, l’industria halal, l’agricoltura sostenibile, l’economia blu, l’economia digitale, la pesca, l’acquacoltura e la silvicoltura, la ricerca e l’innovazione, nonché la scienza e la tecnologia. L’incontro ha inoltre preso atto delle quattro priorità chiave del partenariato economico che l’ASEAN vorrebbe portare avanti con il Sudafrica, ovvero (1) il rafforzamento dell’integrazione del mercato dell’ASEAN; (2) la sostenibilità e la decarbonizzazione; (3) la trasformazione digitale; e (4) l’inclusività dei sistemi economici e scambi people-to-people. Per quanto riguarda la sfera socio-culturale, si intende esplorare la cooperazione nei settori della salute, dell’emancipazione femminile, dell’istruzione e del cambiamento climatico, ma anche  intensificare gli sforzi per migliorare i contatti interpersonali attraverso programmi di scambio che coinvolgano giovani, studenti, media e artisti, nonché programmi di borse di studio. Entrambe le parti hanno inoltre concordato di sviluppare le Aree di cooperazione pratica ASEAN-Sudafrica, che serviranno come quadro di riferimento per raggiungere gli obiettivi condivisi e le relative priorità nei prossimi anni. Lo sviluppo è molto significativo perché testimonia la rafforzata interconnessione tra l’ASEAN e diverse aree del mondo con ampio potenziale di crescita, Africa compresa.

Il Laos assume la presidenza ASEAN

Vientiane guida il blocco dei Paesi del Sud-Est asiatico per il 2024. Il governo laotiano punta su connettività e resilienza ed è chiamato ad alcune sfide interne ed esterne importanti, a partire dalla questione Myanmar

Il Laos si sta preparando a guidare l’ASEAN nel 2024, succedendo all’Indonesia nella presidenza di turno dell’organizzazione. Il Paese, che si chiama ufficialmente Repubblica Popolare Democratica del Laos, è uno Stato socialista a partito unico dal 1975, anno in cui il Pathet Lao prende il potere grazie al supporto determinante del Vietnam comunista. I rivoluzionari Lao avevano profondi legami militari, culturali e anche personali con i loro compagni vietnamiti, dato che erano stati tutti membri dello stesso movimento durante la lotta contro il dominio coloniale francese. I due Paesi, insieme alla Cambogia, erano parte dell’Indocina francese, il cui centro amministrativo e culturale era Hanoi. Dopo la comune lotta per l’indipendenza prima e contro le forze anticomuniste poi, i comunisti lao e vietnamiti hanno mantenuto un legame profondo. Con una differenza: Vientiane ha rapporti strettissimi (e moltissimi debiti) con Pechino; a differenza di Hanoi, che talvolta guarda con preoccupazione alle mosse cinesi. L’influenza cinese sul Laos potrebbe secondo i più pessimisti indebolire la capacità del Paese di guidare l’ASEAN, in particolare sui dossier delicati dove la maggioranza dell’organizzazione ha posizioni opposte a quelle di Pechino, come le dispute sul Mar Cinese Meridionale.

I rapporti con il Tatmadaw, le forze armate birmane, di nuovo al potere a Yangon, da un lato, e con il governo democratico in esilio, dall’altro, sono il tema più delicato e importante al momento per l’ASEAN. Sulla carta, l’organizzazione e i golpisti hanno trovato un compromesso, noto anche come Five-Point Consensus, che prevederebbe l’immediata cessazione delle violenze nel Paese, l’avvio di un dialogo tra le parti in lotta facilitato da un inviato speciale ASEAN e assistenza umanitaria dagli altri Paesi del blocco. In concreto però, l’accordo è considerato un fallimento da autorevoli ONG come Human Rights Watch, dato che il Tatmadaw continua a reprimere violentemente l’opposizione e a condurre le operazioni di pulizia etnica contro le minoranze del Paese. La posizione collettiva dell’organizzazione è stata ulteriormente minata dalla Thailandia. Bangkok ha avviato un dialogo parallelo con i militari birmani, soprannominato Track 1.5, a cui la maggioranza dei Paesi ASEAN non partecipa, con l’eccezione di Laos, Vietnam e Cambogia. Una mossa che ha irritato la Presidenza di turno indonesiana.

Giacarta ha preteso che la gestione del dossier Myanmar fosse affidata a una troika composta dalla presidenza uscente, da quella incipiente e dalla successiva, quindi da se stessa, Laos e Malesia, rispettivamente. Singapore, esclusa dalla troika, si è affrettata a ricordare che si tratta di un meccanismo informale che non deve sostituire gli organi ASEAN. La vicenda dimostra quanto la questione birmana stia mettendo a dura prova l’ASEAN sul piano politico e istituzionale: le divisioni tra i membri rendono difficile elaborare una strategia comune e l’efficacia dell’organizzazione dipende molto dalla posizione del Paese che detiene la presidenza di turno. Negli spazi lasciati liberi dall’ASEAN si inseriscono gli altri attori regionali, come Cina e Giappone, che stanno partecipando al Track 1.5. Il Laos ha legami stretti con entrambi – abbiamo già menzionato Pechino, ma anche Tokyo è un partner essenziale sia per investimenti che per cooperazione allo sviluppo – e ha la necessità di mantenere buoni rapporti con chiunque sia al potere a Yangon. Entrambi i Paesi devono affrontare la criminalità organizzata, molto forte lungo il confine tra la provincia lao del Bokeo e lo Stato Shan birmano.

In attesa di iniziare ufficialmente il suo mandato, Vientiane ha indicato i suoi obiettivi, riassunti nel titolo “Rafforzare connettività e resilienza”. Il primo ministro Sonexay Siphandone ha declinato la resilienza in una dimensione politica, ossia la “costruzione di un’architettura per la pace, la stabilità e lo sviluppo nella regione” basata sul potenziamento dell’ASEAN e delle sue relazioni esterne. La connettività poi è un tema caro al Laos, visto che si tratta dell’unico membro dell’Organizzazione senza uno sbocco sul mare (la principale via di comunicazione naturale è il fiume Mekong) e che le esportazioni sono una voce importante dell’economia nazionale. Oltre ai prodotti agricoli e tessili, il Paese esporta verso i suoi vicini soprattutto minerali, come rame e oro, ed energia elettrica, prodotta prevalentemente da fonti rinnovabili come i corsi d’acqua e il vento. Vientiane intende promuovere la neutralità carbonica durante la sua presidenza e ha le credenziali giuste per farlo, anche se alcuni osservatori sollevano dubbi sul fatto che l’energia idroelettrica nazionale sia ad impatto ambientale zero, a causa dei metodi di costruzione delle dighe, molto invasive rispetto agli ecosistemi fluviali. Per il Governo lao, dotato di modeste risorse, un’opportunità nasconde spesso anche una sfida non facile da affrontare.Il Paese non ha avuto infatti la stessa fortuna di altri suoi vicini. Nonostante il Laos abbia sempre imitato le politiche dei vicini vietnamiti, per esempio liberalizzando a sua volta l’economia quando ad Hanoi iniziava il Doi Moi, i risultati economici non sono comparabili. Anche la portata della sua politica estera è meno ambiziosa rispetto alle altre cancellerie ASEAN, limitata alla regione e a pochi senior partner come Cina, Giappone e Russia. La presidenza ASEAN potrebbe costituire un’opportunità di apertura internazionale per il Laos, a patto che smentisca i dubbi sul fatto di essere un proxy di Pechino nell’organizzazione, dubbi erano stati già sollevati in occasione del suo precedente mandato nel 2016. L’Unione Europea potrebbe cogliere l’occasione per offrire la sua cooperazione a Vientiane e avviare un dialogo su Myanmar, rispetto dei diritti umani e scambi commerciali. Rompere l’isolamento diplomatico ed economico della “Terra da un milione di elefanti” potrebbe aiutare il Laos ad essere più autonomo da Pechino.

Verso una strategia italiana per l’Indo-Pacifico

L’Italia si muove per formalizzare il proprio impegno nella regione

Editoriale a cura di Gabriele Abbondanza, Università di Madrid e Università di Sydney

L’Italia è sempre più vicina all’Indo-Pacifico. A dispetto della distanza geografica e di importanti sfide prossime ai confini, Roma potrebbe formulare una strategia italiana per l’Indo-Pacifico, rafforzando così i legami con questa macro-regione.

Come evidenziato dalle più recenti ricerche, l’Italia si avvicina all’Indo-Pacifico da circa 20 anni. Nel frattempo molto è cambiato: le economie della regione crescono a ritmi invidiabili, dispute territoriali si sono manifestate in molte regioni – il Mar Cinese Meridionale è emblematico – e la crisi economica e la pandemia da COVID-19 hanno sottolineato le fragilità della comunità internazionale.

Ciononostante, l’Italia ha continuato a perseguire il proprio “approccio informale” all’Indo-Pacifico. Gli interscambi commerciali sono aumentati di più di un sesto in 10 anni, e quelli relativi al comparto della difesa di quasi il 45%. La collaborazione strategica ha rinsaldato l’addestramento congiunto, la difesa del diritto di navigazione e sorvolo, l’interoperabilità, e i progetti strategici (si pensi a IPOI, GCAP, e IMEC, tra i vari esempi). Infine, Roma ha stretto partnership con numerosi attori chiave della regione, inclusi PIF, Vietnam, Corea, IORA, ASEAN, Emirati Arabi, Giappone e India. 

Dati i tempi indubbiamente maturi, l’Italia si sta muovendo per formalizzare il proprio impegno. Tale potenziale strategia, attualmente in fase di discussione, razionalizzerebbe l’approccio italiano, ufficializzandolo a beneficio degli alleati europei e nordamericani e dei partner dell’Indo-Pacifico, e garantirebbe la costanza di tale impegno anche in futuro.

Questo percorso ha avuto inizio con la creazione di un Comitato Indo-Pacifico presso la Commissione Esteri della Camera dei Deputati, grazie agli sforzi dell’On. Paolo Formentini, sostenuto in questo ambito anche da rappresentanti dell’opposizione come l’On. Lia Quartapelle Procopio. Le attività del Comitato – cui ho avuto il piacere di contribuire con l’audizione inaugurale – garantiranno il parere di esperti a supporto dei dibattiti parlamentari.

Altri eventi a supporto di una strategia italiana – di natura inclusiva, multilaterale, e rispettosa delle molte sensibilità esistenti – includono un convegno al Senato che ha visto il Sen. Francesco Giacobbe, l’On. Formentini, il sottoscritto, la Dott.ssa Karolina Muti, e il Dott. Alessio Piazza esporre i benefici di tale obiettivo ad un pubblico di esperti. Gli ambasciatori presenti, in particolare, hanno sottolineato l’importanza di una strategia italiana con queste caratteristiche per le relazioni con l’Indo-Pacifico.

La strada è ancora lunga e diversi sono gli sviluppi che potrebbero distrarre l’attenzione del governo, che ha sempre l’ultima parola in tema, tuttavia i presupposti sono favorevoli ed è dunque con cauto ottimismo che possiamo guardare al futuro dei rapporti dell’Italia con l’Indo-Pacifico.

Le PMI dell’ASEAN nell’economia circolare

Considerando che le PMI sono la spina dorsale delle economie ASEAN, costituendo l’85% dell’occupazione e contribuendo per il 44,5% al PIL della regione, il loro ruolo risulta cruciale per la transizione energetica

Di Sibeles Chiari

Più che un semplice modello di produzione, l’economia circolare potrebbe presentarsi come una strategia di sopravvivenza mirata a frenare la deriva distruttiva dell’ecosistema terrestre. Si tratta di un sistema produttivo alternativo a quello del “take-make-dispose” in quanto si basa sui concetti di riduzione, riutilizzo e riciclaggio delle risorse impiegate nel ciclo di vita del prodotto. Quindi, che il futuro del business debba essere circolare è una condicio sine qua non per mantenere il pianeta vivibile. Assodati i benefici che l’ambiente e la salute dell’uomo ne ricaverebbero, il passaggio all’economia circolare presenta anche una serie di opportunità economiche, dalla creazione di posti di lavoro, allo sviluppo di industrie sostenibili e allo stimolo dell’imprenditorialità. Considerando che le PMI sono la spina dorsale delle economie ASEAN, costituendo l’85% dell’occupazione e contribuendo per il 44,5% al PIL della regione, il loro ruolo risulta cruciale per la transizione verso l’economia delle “3 R”. Coinvolgendo le PMI nelle strategie nazionali, questi Paesi possono affrontare le sfide ambientali, favorire la crescita economica e la competitività in un mercato globale sempre più attento alla sostenibilità. Per la riuscita di questa transizione, le PMI dovranno sempre più focalizzarsi sullo sviluppo di nuovi prodotti o servizi che contribuiscano alla mitigazione e all’adattamento climatici e alla riduzione dei rifiuti generati. Proprio per il fatto che le PMI sono un agente vitale verso la decarbonizzazione, alcuni Paesi ASEAN come Cambogia, Malesia e Myanmar, hanno già stabilito obiettivi di stampo qualitativo mirati a fornire informazioni, sviluppo di capacità e sostegno finanziario e tecnologico per l’adozione di pratiche e tecnologie industriali verdi. Preme ricordare che, l’area geografica in questione ricopre una posizione importante per le dinamiche internazionali, specie in seguito ai cambiamenti degli equilibri geoeconomici degli ultimi tempi, essendo la terza area più popolosa del mondo con un PIL che aumenta del 4-5% annuo e con un ruolo sempre più significativo nella supply chain globale. In effetti, oltre all’aspetto ambientale ed economico, il passaggio a un’economia circolare nei Paesi ASEAN è guidato da una combinazione di fattori geopolitici, politici e di riconoscimento della tendenza globale verso la sostenibilità. Tendenza che si concretizza nel Forum Globale sulla Economia Circolare (WCEF), ovvero uno dei principali eventi al mondo dedicato al progresso della circolarità che riunisce leader aziendali, politici ed esperti per presentare le migliori soluzioni di economia circolare del mondo volte ad affrontare le crisi planetarie. A livello regionale, l’ASEAN ha compiuto passi significativi per promuovere la collaborazione sulla transizione all’economia circolare. Ne sono un esempio le seguenti iniziative: il Quadro per l’Economia Circolare per la Comunità economica dell’ASEAN (2021), integrato da un Piano di attuazione e da un Programma di lavoro; il Quadro per il Consumo e la Produzione sostenibili dell’ASEAN (2022); la Piattaforma delle parti interessate all’economia circolare (2023); infine, le Linee guida sul cambiamento climatico per le PMI (2023). Definire soluzioni che aumentino la resilienza delle PMI rispetto ai cambiamenti climatici e accelerare il passaggio ad una crescita sostenibile sono alla base degli sforzi a livello regionale, come lo ha enfatizzato il primo forum dell’ASEAN sulla Economia Circolare tenutosi l’8-9 novembre 2023 a Giacarta che ha riunito rappresentanti del mondo politico, imprenditoriale, accademico e del terzo settore. Come si può notare, si tratta di iniziative alquanto recenti verso le quali sforzi congiunti di vari stakeholders si stanno concentrando per spingere la transizione alla circular economy e creare sinergie tra di esse. I tentativi di innovare l’intero processo produttivo arrivano anche dal basso. Di fatto, negli ultimi tempi sono nate varie imprese sociali, come Bambuhay (Filippine) che produce cannucce e spazzolini da denti in bambù per sostituire i prodotti in plastica, o CoFarm (Laos) piattaforma agricola che mette in contatto gli agricoltori urbani direttamente con i ristoranti, rivoluzionando la catena di approvvigionamento di verdure fresche. O ancora, Rubysh (Indonesia) che ha utilizzato centinaia di kg di rifiuti come materiale di ricambio per i gioielli. Infine, per elencare un’ulteriore azienda tra le tante esistenti, MoreLoop (Thailandia) vende tessuti in eccedenza che altrimenti andrebbero sprecati e, mediante l’upcycling, prende i tessuti in eccesso e li trasforma in prodotti nuovi, dando loro una seconda vita quindi riducendo l’impatto ambientale. In conclusione, ciò che forse da più speranza e ottimismo, al di là di tutte le iniziative politiche, è proprio la forte ascesa di una nuova generazione di imprenditori appassionati e orientati ai principi green, e seriamente intenzionati a cambiare la rotta dell’economia mondiale, quindi le sorti del nostro pianeta.

La piramide più antica al mondo? In Indonesia

Un team di ricercatori ha scoperto che Gunung Padang è stata realizzata principalmente da mani umane e hanno trovato prove che la struttura è stata costruita in più fasi, a distanza di migliaia di anni l’una dall’altra

Di Tommaso Magrini

Una piramide nascosta in una collina su un’isola di Giava occidentale, in Indonesia, potrebbe essere la più antica del mondo. Lo ha rivelato un team interdisciplinare di archeologi, geofisici e geologi in un articolo pubblicato sulla rivista archeologica interdisciplinare Archaeological Prospection. Il Gunung Padang, noto anche come “montagna dell’illuminazione”, si trova in cima a un vulcano spento ed è considerato un luogo sacro dalla popolazione locale. Nel 1998, il Gunung Padang è stato dichiarato patrimonio culturale nazionale. Nel corso degli anni, ci sono state divergenze tra gli studiosi sulla natura della collina. Alcuni sostenevano che si trattasse di una piramide costruita dall’uomo, mentre altri affermavano che si trattasse di una formazione geologica naturale. Il team di ricercatori ha scoperto che Gunung Padang è stata realizzata principalmente da mani umane e hanno trovato prove che la struttura è stata costruita in più fasi, a distanza di migliaia di anni l’una dall’altra. Secondo l’équipe, la costruzione più antica della piramide “è probabilmente nata come una collina di lava naturale prima di essere scolpita e poi avvolta architettonicamente” tra il 25.000 a.C. e il 14.000 a.C.. Questo fa sì che Gunung Padang abbia almeno 16.000 anni. Secondo lo studio, la piramide è stata completata tra il 2.000 a.C. e il 1.100 a.C. Il team, che ha documentato lo studio del sito, ha perforato il centro del tumulo, scavato trincee e prelevato campioni di terreno, tra le altre cose. Questo ha aiutato i ricercatori a scavare nei primi strati del Gunung Padang, a più di 30 metri sotto la sua superficie. “Questo studio suggerisce fortemente che il Gunung Padang non è una collina naturale ma una costruzione piramidale”, affermano i ricercatori nel documento. Il team ha anche trovato prove di “una grande cavità”, forse una camera nascosta, all’interno della piramide.

Italia e ASEAN, Partenariato sempre più forte

Alla Farnesina nuovo incontro di alto livello con la leadership del blocco dei Paesi del Sud-Est asiatico

Editoriale di Maria Tripodi, Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri e alla Cooperazione Internazionale

Il 7 dicembre ho ricevuto alla Farnesina il Vice Segretario Generale dell’ASEAN, Michael Tene. Il colloquio si inserisce nell’ambito della costante collaborazione del nostro paese con l’ASEAN per l’attuazione del Partenariato di Sviluppo avviato alla fine del 2020.  In poco più di tre anni, il nostro Partenariato con l’ASEAN ha fatto registrare significativi risultati, permettendo di realizzare molteplici iniziative di formazione a favore dei Paesi del Sud-Est asiatico in un’ampia gamma di settori strategici: dalla sicurezza all’ambiente, e dalla tutela del patrimonio culturale allo sviluppo sostenibile. Con il Vice Segretario Generale Tene ho rinnovato il comune impegno ad arricchire il Partenariato di nuove progettualità – molte delle quali già oggetto di negoziato con il Segretariato e gli Stati membri -, con una modalità di ownership condivisa e in ambiti di comune interesse. Tra questi, molti campi essenziali per la stabilità e la sicurezza degli Stati nella realtà contemporanea: cybercrime, lotta al crimine transnazionale, promozione della legalità, spazio, sicurezza alimentare, transizione energetica, prevenzione e gestione dei disastri naturali. Ciò nella consapevolezza che solamente insieme si potranno affrontare in modo efficace le crescenti minacce alla pace, alla tutela dell’ordine internazionale basato sulle regole e allo sviluppo sostenibile, alimentate anche dal moltiplicarsi dei teatri di crisi nel mondo. L’ASEAN rappresenta infatti un modello di integrazione regionale in una posizione geo-strategica chiave per il mantenimento della pace e di una prosperità condivisa nell’Indo-Pacifico. In tale contesto, l’Italia è pronta a collaborare con la prossima Presidenza laotiana dell’ASEAN, incentrata sui temi della connettività e della resilienza, con l’auspicio che il Paese possa mettere a frutto gli importanti risultati ottenuti dall’attuale Presidenza indonesiana, soprattutto in materia di integrazione regionale e di investimenti. Confidiamo che il Laos assicuri continuità anche agli sforzi compiuti dall’Indonesia nella gestione della grave crisi che da quasi tre anni affligge il Myanmar, dopo il colpo di Stato del 1° febbraio 2021, con possibili ripercussioni sulla stabilità dell’area.

L’ASEAN e il vantaggio strategico delle terre rare

Il Sud-Est asiatico è ricco di componenti necessari per la transizione energetica, tra cui nichel, rame e stagno. L’attenzione internazionale verso il settore è sempre più forte

Di Tommaso Magrini

Non solo la Cina. Anche il Sud-Est asiatico ha un grande vantaggio strategico dalla sua parte: il possesso di una grande quantità di terre rare e risorse minerarie. Si tratta di componenti necessari per la transizione energetica globale, tra cui nichel, rame e stagno, ma l’area ASEAN ha un elevato potenziale per produrne altri. Non solo. Le terre rare di cui è ricca la zona sono cruciali anche per la produzione di batterie per veicoli elettrici, una delle aree di contesa più sensibili del prossimo futuro.

Basti pensare a un dato. Nel 2022, le miniere dell’Indonesia hanno prodotto circa 1,6 milioni di tonnellate di nichel. Questa cifra fa dell’immenso arcipelago del Sud-Est asiatico il principale produttore di nichel dalle miniere di tutto il mondo. Tanto da rendere quelle risorse particolarmente ambite alle grandi potenze come Cina e Stati Uniti, che come dimostrato dal recente ricevimento del Presidente Joko Widodo alla Casa Bianca stanno provando a raggiungere un accordo di estrazione.

Si stima che le imprese cinesi abbiano investito qualcosa come circa 30 miliardi di dollari nella catena di approvvigionamento del nichel in Indonesia. Il tutto nel giro di un decennio. Nelle isole indonesiane di Sulawesi e Halmahera le aziende di Pechino hanno costruito raffinerie, fonderie, una nuova scuola di metallurgia e anche un museo del nichel. Per Giacarta sarebbe funzionale una diversificazione della fonte di investimenti e gli Stati Uniti hanno deciso di accorciare le distanze, ma secondo qualcuno potrebbe essere già tardi.

Nel tentativo di aumentare gli investimenti nel settore minerario, nell’ottobre 2021 i ministri minerari dell’ASEAN hanno adottato un Piano d’azione per la cooperazione mineraria dell’ASEAN per il periodo 2021-2025 (AMCAP-III). L’obiettivo è quello di “creare un settore minerario ASEAN vivace e competitivo per il benessere dei popoli ASEAN”. L’AMCAP-III stabilisce come i dieci Paesi dell’ASEAN lavoreranno insieme per costruire uno sviluppo minerario sostenibile, la promozione degli investimenti minerari e le capacità umane e istituzionali. L’AMCAP-III è stato attuato riconoscendo il ruolo fondamentale dei minerali di tutti i tipi nelle economie dell’ASEAN e nello sviluppo sostenibile, nonché nello stimolare e potenziare l’integrazione commerciale nell’ASEAN.

Come spiega un report del Lowy Institute, anche l’Australia è particolarmente interessat ad approfondire le relazioni in materia col Sud-Est asiatico. A metà del 2022 è stato lanciato un nuovo programma, Australia ASEAN Futures Initiative, il cui primo sottoprogramma è “Economic and Connectivity (ECON)”. Le aziende australiane sono il più grande investitore nell’esplorazione mineraria nel Sud-Est asiatico e nel Pacifico. Nel 2022, le società quotate all’ASX hanno speso circa 100 milioni di dollari per l’esplorazione di minerali, pari al 28% di tutti gli investimenti per l’esplorazione nella regione. Solo nel Sud-est asiatico, le società australiane hanno identificato riserve minerarie per un valore di 220 miliardi di dollari e hanno investito capitali per 2,6 miliardi di dollari nell’estrazione mineraria, secondo un’analisi basata sul database minerario di S&P Global.

Oltre alle iniziative di sviluppo ASEAN di lunga data, l’Australia sta attuando impegni di cooperazione allo sviluppo economico con l’Indonesia e altri Paesi del Sud-Est asiatico nell’ambito di due accordi commerciali e di investimento. Sia l’Indonesia-Australia Comprehensive Economic Partnership Agreement (IA-CEPA) che il Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) contengono interi capitoli sulla “cooperazione economica” per contribuire a creare capacità per il commercio e gli investimenti.

Intanto Canada, Germania, Giappone, Corea, Stati Uniti e Cina stanno già aiutando l’ASEAN e i suoi Stati membri nell’attuazione del piano d’azione per i minerali e del sistema informativo, nonché nella costruzione di catene di approvvigionamento di minerali critici. Per il Sud-Est asiatico un’opportunità per mettere a frutto un importante vantaggio strategico.

Nessun decoupling tra Sud-Est e Cina

Nonostante le tensioni politiche, nessuno vuole fare a meno dei rapporti commerciali con Pechino

Di Tommaso Magrini

Una nuova indagine pubblicata da HSBC ha dimostrato che quasi la metà, per la precisione il 45%, delle aziende del Sud-est asiatico ha in programma di espandere la propria catena di fornitura in Cina nei prossimi 12 mesi. Il 92% delle aziende indonesiane ha espresso il proprio interesse ad espandere la propria rete di fornitori in Cina nei prossimi tre anni, un dato di poco superiore all’89% delle aziende vietnamite e all’87% di quelle filippine. 

I risultati dell’indagine sono stati resi noti in concomitanza con la China International Import Expo (CIIE) di Shanghai, a cui hanno partecipato nutrite delegazioni dei Paesi del Sud-Est asiatico ma anche la più corposa spedizione degli Stati Uniti dal lancio dell’evento. Questa sesta edizione del sondaggio è stata la prima ad essere condotta dopo la revoca delle restrizioni Covid-19 in Cina nel gennaio di quest’anno, con la partecipazione di oltre 3.300 aziende di 16 Paesi tra cui Stati Uniti, Corea del Sud, Canada, Regno Unito, Francia e Germania. Complessivamente, circa tre quarti (73%) degli intervistati prevede di aumentare l’impronta della propria catena di fornitura in Cina nei prossimi tre anni, e circa il 25% indica che l’aumento sarà “significativo”. HSBC ha dichiarato che i risultati dell’indagine suggeriscono che molti dei fondamenti di lunga data della Cina, tra cui le sue reti di filiera profondamente integrate, continuano ad attrarre le imprese internazionali. Le importazioni e le esportazioni della Cina verso l’ASEAN hanno raggiunto i 6,52 trilioni di yuan (970 miliardi di dollari) nel 2022, con un significativo aumento del 15%. Di questi, le esportazioni hanno rappresentato 3,79 trilioni di yuan, con un aumento del 21,7%, e le importazioni 2,73 trilioni di yuan, con un aumento del 6,8%. I dati mostrano che gli investimenti cumulativi della Cina in Asia meridionale hanno raggiunto quasi 15 miliardi di dollari.

Il ruolo critico di ASEAN e UE tra USA e Cina

Nel nuovo contesto internazionale caratterizzato dal confronto tra USA e Cina, ASEAN e UE possono svolgere un ruolo cruciale per evitare lo scontro e favorire la cooperazione globale

L’attuale panorama internazionale è fortemente influenzato dalla crescente competizione tra gli Stati Uniti e la Cina. Questa rivalità si estende oltre il commercio e l’economia in aree come la tecnologia, la potenza militare e l’influenza geopolitica.

Il recente vertice in California ha messo in mostra la natura radicata e complessa delle relazioni USA-Cina. I Presidenti Xi e Biden, rappresentanti delle due maggiori economie mondiali, hanno discusso su una serie di temi controversi. Tuttavia, il vertice si è concluso con diverse questioni chiave irrisolte, evidenziando l’attrito persistente tra le due nazioni, in particolare sul commercio e le vicende geopolitiche, con riferimento alla situazione a Taiwan e nel Mar Cinese Meridionale.

La rivalità tra USA e Cina si sviluppa su uno sfondo di instabilità globale segnato da conflitti come la guerra in Ucraina e nel Medio Oriente. Questo complesso contesto ha portato a un declino della fiducia e della cooperazione internazionale, suscitando preoccupazioni per un potenziale ritorno alla logica dei blocchi dell’era della Guerra Fredda. Una tale divisione in sfere di influenza sarebbe dannosa, in particolare per l’UE e l’ASEAN, che si sono sviluppate in un sistema internazionale più aperto e cooperativo.

L’UE e l’ASEAN, infatti, pur con una storia e un contesto socio politico molto diverso, condividono un obiettivo fondamentale: promuovere l’integrazione dei mercati regionali per raggiungere pace, stabilità e prosperità. Tuttavia, il modello integrativo che sostengono è ora sotto minaccia dalle tensioni globali che mettono in discussione l’integrità dei mercati comuni e la coesione del modello di sviluppo di queste organizzazioni. La guerra commerciale in corso tra USA e Cina, segnata dall’imposizione di tariffe e barriere commerciali, dimostra che tensioni geopolitiche esterne possono avere un’influenza significativa sulle dinamiche di mercato interne all’UE e all’ASEAN. 

Nonostante queste prospettive difficili, nell’attuale scenario geopolitico ci sono anche notevoli opportunità sia per l’UE che per l’ASEAN. Entrambi, infatti, possiedono un’attrattiva di mercato significativa che può essere sfruttata per influenzare la dinamica politica e commerciale tra USA e Cina. L’UE, con il suo PIL di oltre 15 trilioni di dollari e una popolazione di circa 450 milioni (con un allargamento in vista), rappresenta uno dei più grandi mercati singoli al mondo. D’altra parte, l’ASEAN, con un PIL combinato di circa 3 trilioni di dollari e una popolazione che supera i 650 milioni (di cui circa il 60% è under 35), è una delle regioni in più rapida crescita a livello globale. Queste condizioni economiche mettono sia l’UE che l’ASEAN in una posizione privilegiata per mediare e potenzialmente influenzare le decisioni strategiche degli Stati Uniti e della Cina, specialmente in aree come la politica commerciale e la sicurezza regionale.

L’UE e l’ASEAN possono svolgere un ruolo cruciale nello sviluppo di un ordine mondiale multipolare più stabile, allontanando le tensioni bipolari. Ciò implica non solo rafforzare la loro coesione interna, ma anche migliorare la cooperazione interregionale tra le due organizzazioni. Consolidando le loro relazioni e investendo sull’integrazione dei mercati, questi due blocchi possono svolgere un ruolo cruciale e influente negli affari internazionali.

Iniziative diplomatiche e commerciali congiunte tra l’UE e l’ASEAN possono essere fondamentali per bilanciare l’influenza degli USA e della Cina, concentrandosi principalmente sul potenziamento del commercio e dell’integrazione economica. L’UE e l’ASEAN dovrebbero iniziare a lavorare su un quadro commerciale completo con l’obiettivo di ridurre tariffe e barriere normative. Un tale accordo, esteso a coprire l’intera regione ASEAN, creerebbe una delle più grandi aree di libero scambio al mondo, diversificando le relazioni commerciali e riducendo la dipendenza eccessiva dagli USA e dalla Cina. Stabilire standard congiunti in aree come la sicurezza dei prodotti, la proprietà intellettuale e le pratiche commerciali sostenibili potrebbe essere strategicamente molto utile. Ciò non solo allineerebbe più da vicino i mercati dell’UE e dell’ASEAN, ma potrebbe stabilire anche standard commerciali globali ambiziosi, indipendentemente dall’influenza di USA e Cina, e potrebbe potenziare il loro potere contrattuale collettivo e la loro posizione strategica nel mercato globale.

In conclusione, l’Unione Europea e l’ASEAN si trovano a un crocevia importante per la loro futura evoluzione, in un contesto di instabilità globale segnato dalla rivalità USA-Cina e da più ampie e profonde tensioni internazionali. Sebbene affrontino sfide significative, questi blocchi regionali possiedono anche opportunità uniche per influenzare l’ordine globale. Sfruttando la loro forza economica, e migliorando la cooperazione interregionale, l’UE e l’ASEAN possono svolgere un ruolo vitale nel favorire un sistema internazionale più equilibrato e pacifico. Le loro azioni e decisioni nei prossimi anni saranno cruciali nel plasmare la traiettoria della politica globale e nel garantire la stabilità e la prosperità delle loro rispettive regioni.

Verso le elezioni Indonesiane

A febbraio 2024, i cittadini indonesiani andranno alle urne. Ma come possiamo immaginarci il futuro post Jokowi?

Di Anna Affranio

Gli assetti politici del Sud-Est Asiatico si trovano sull’orlo di un grande cambiamento, poiché ci  si prepara a dire addio a un decennio di governo di Joko Widodo, il popolarissimo presidente in carica dal 2014. La legge indonesiana, infatti, consente solo due mandati presidenziali, il che significa che Widodo non potrà competere nella tornata elettorale che si terrà il prossimo 14 febbraio. 

Lo scorso 25 ottobre è scaduto il termine ultimo per la registrazione dei candidati presidenziali. Al momento risultano ufficialmente in corsa tre coppie (in Indonesia, i candidati alla presidenza corrono sempre in coppia con i rispettivi vice presidenti), con a capo Prabowo Subianto, Ganjar Pranowo e Anies Baswedan.

Questa campagna elettorale sembra seguire il trend storico indonesiano (e non solo) che vede gli elettori e i media focalizzarsi più sul carisma dei leader e sugli accordi tra oligarchi e capi dei partiti piuttosto che sui dettagli dei programmi politici. Tuttavia, molti analisti hanno osservato come ognuna delle tre coppie rappresenti una visione diversa per quello che potrebbe essere il futuro dell’Indonesia. 

Prabowo Subianto, attuale Ministro della Difesa, è considerato il favorito dagli ultimi sondaggi. Quest’ultimo, 72 anni (il più anziano tra i candidati), proviene da una famiglia elitaria e gode di un ampio seguito nonostante numerose controversie che lo hanno investito. È stato, infatti, accusato di violazioni dei diritti umani legate al rapimento di attivisti democratici durante i tumulti che hanno contrassegnato il Paese alla fine degli anni ’90, nonostante egli abbia sempre negato ogni coinvolgimento. È anche l’ex genero del defunto presidente autoritario Suharto e in elezioni precedenti ha formato alleanze con gruppi islamici conservatori e con partiti politici divisivi. A favore di questa coalizione giova però il (tacito) supporto del Presidente uscente: nonostante quest’ultimo e Prabowo abbiano avuto alcuni problemi in passato, il candidato ha annunciato di voler continuare il progetto di Nusantara, la nuova capitale designata, che rappresenta la principale eredità politica di Jokowi. Quest’ultimo, infine, ha sicuramente apprezzato la decisione di candidare a vicepresidente Gibran Rakabuminag Raka, nientemeno che il figlio maggiore di Widodo stesso.

Il secondo candidato in corsa è Ganjar Pranowo, attuale governatore della provincia di Giava Centrale. 55 anni, è forse colui che più somiglia al presidente uscente Jokowi, con cui condivide la provenienza da una famiglia umile e un’abile capacità di rivolgersi alle masse. Per questo motivo sta ottenendo un ampio sostegno tra la gente comune e gode di ampia popolarità tra i giovani e i social media, in particolare su TikTok. Inoltre, è il candidato supportato dal PDI-P (Partito Democratico Indonesiano di Lotta), lo stesso partito di matrice populista che aveva supportato Joko Widodo nelle due elezioni precedenti. 

Il terzo candidato, Anies Baswedan, 54 anni, ex governatore di Jakarta, sta perdendo popolarità nei sondaggi. Quest’ultimo, formatosi negli Stati Uniti e dichiaratosi pubblicamente sostenitore di un Islam moderato, è stato tuttavia accusato di  associazione al movimento islamico radicale, sollevando preoccupazioni tra le minoranze religiose e i musulmani moderati. Ciò è legato al fatto che Anies, durante le elezioni del 2017 per il governatorato di Jakarta, accetto’  il supporto di gruppi islamici radicali scagliatisi contro il suo avversario, l’allora governatore di Jakarta, Basuki Tjahaja “Ahok” Purnama, un cristiano cinese, che fu successivamente imprigionato per insulto all’Islam. 

In sintesi, queste elezioni non sono solo una sfida tra candidati, ma anche tra diverse idee di un Indonesia di domani: un ritorno al passato reazionario, la continuità di una politica democratica,  o un possibile avvicinamento al radicalismo religioso. Sarà importante vedere quale strada sceglierà il popolo indonesiano, e i prossimi mesi saranno cruciali per orientare questa scelta.

Boom degli investimenti esteri in Vietnam

Il ruolo di Hanoi è in progressivo rafforzamento anche sul fronte dell’elettronica e della tecnologia di alta qualità

Di Tommaso Magrini

Il Vietnam continua ad attrarre l’interesse internazionale. Gli investimenti esteri nel Paese del Sud-Est asiatico hanno registrato un’impennata nel mese di ottobre, quando l’hub manifatturiero ha attratto più del doppio degli impegni finanziari ricevuti mensilmente quest’anno, in un contesto di forte incremento della spesa per nuovi impianti. Nel mese di ottobre, il Vietnam ha ricevuto impegni di investimento esteri per un valore di 5,3 miliardi di dollari, contro una media mensile di 2,2 miliardi di dollari nel resto dell’anno. Circa il 90% degli afflussi di ottobre sono stati guidati da progetti di costruzione di fabbriche, secondo i dati del ministero degli investimenti vietnamita. Dall’inizio dell’anno, il Paese ha ricevuto impegni di investimento esteri per 25,76 miliardi di dollari, il 14,7% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. L’industria manifatturiera rimane una roccaforte degli investimenti in Vietnam. Nei primi dieci mesi del 2023, le aziende estere hanno investito quasi 18,84 miliardi di dollari in progetti manifatturieri, pari al 73,1% degli afflussi totali di IDE registrati nello stesso periodo. Ma il ruolo del Vietnam è in progressivo rafforzamento anche sul fronte dell’elettronica e della tecnologia di alta qualità. Gli investitori stranieri si stanno rivolgendo sempre più al Vietnam per diversificare le loro catene di approvvigionamento. Tra alcuni degli esempi più recenti c’è quello del 23 settembre, quando l’azienda tecnologica giapponese Kyocera Document Solutions ha annunciato l’intenzione di investire 237 milioni di dollari per espandere la propria fabbrica di macchine e attrezzature a Hai Phong. Gli impegni provenienti dalla Cina continentale e da Hong Kong insieme sono stati i più alti di quest’anno, seguiti da Singapore e dalla Corea del Sud. I dati mostrano che gli investimenti effettivi nei primi dieci mesi del 2023 sono aumentati del 2,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, raggiungendo i 18 miliardi di dollari.

Startup italiane a Singapore

Con un ecosistema innovativo in crescita e un ruolo chiave nel commercio globale, Singapore offre opportunità senza pari per le aziende italiane

L’innovazione italiana mette un piede in Asia. Passando da Singapore. Il 7 novembre ha segnato il ritorno del Global Startup Program nella città-Stato, che punta a essere un catalizzatore per l’innovazione e la collaborazione tra l’Italia e la regione del Sud-Est asiatico attraverso i Paesi ASEAN. Organizzato dall’Italian Trade Agency (ITA) in collaborazione con il ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, il programma rappresenta un’opportunità per otto startup italiane di varie aree, tra cui fintech, healthtech, blockchain, health & fitness, sostenibilità e hrtech. L’evento, ospitato dall’Accelerator Tenity Singapore, offre alle startup la possibilità di rafforzare le proprie capacità tecniche, organizzative e finanziarie durante il processo di incubazione. Le otto startup innovative italiane, tra cui Brain & Fitness Italy, Carchain, Coffeefrom, Fairtile, Hacking Talents SRL SB, iWise, Sensosan Sell e Wibiocard. Dante Brandi, ambasciatore d’Italia a Singapore e nel Brunei, ha sottolineato l’importanza di questa partecipazione, definendo il programma come un catalizzatore per l’innovazione e la collaborazione e il rafforzamento dei legami tra Italia e Singapore. Brandi ha evidenziato il ruolo chiave di Singapore nelle strategie commerciali globali dell’Italia nella regione ASEAN, con cifre significative di esportazioni e investimenti italiani. Singapore, scelta come sede ideale, rappresenta un trampolino di lancio cruciale per le startup italiane. Con un ecosistema innovativo in crescita e un ruolo chiave nel commercio globale, Singapore offre opportunità senza pari per le aziende italiane. Ilaria Piccinni, vice commissario al commercio per Singapore e Filippine presso l’Agenzia per il commercio italiano, ha sottolineato la sinergia e l’energia nell’ecosistema delle startup di Singapore, evidenziando il potenziale delle startup italiane di prosperare e avere un impatto significativo. Con una vasta gamma di attività programmate fino al 1 dicembre 2023, il programma si propone di consolidare ulteriormente la presenza e l’influenza delle startup italiane nel panorama globale dell’innovazione. Singapore e l’ASEAN rappresentano uno snodo nevralgico per raggiungere l’obiettivo.

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