Singapore, un’isola calma in acque turbolente

Le ultime classifiche registrano l’avanzata della città-stato, il cui governo introduce nuove agevolazioni fiscali. I super ricchi dalla Cina alla Thailandia sembrano prediligerla per depositarvi i propri patrimoni

Per la prima volta dal 2010, anno in cui Vistra ha avviato le sue classifiche sulle giurisdizioni chiedendo a centinaia di dirigenti di servizi aziendali di valutare l’importanza dei centri finanziari globali, Singapore ha scavalcato Hong Kong.

Negli ultimi dodici anni, Hong Kong è sempre stata la più dominante delle due giurisdizioni asiatiche presenti nella Top Ten. Ma nel 2022 Singapore si è qualificata terza, dietro solo a Regno Unito e Stati Uniti, mentre a Hong Kong è spettato il quarto posto.

Si tratta di un vantaggio marginale: il 46% degli intervistati ha valutato Singapore come un centro finanziario molto importante per la propria organizzazione, mentre “solo” il 43% ha affermato lo stesso di Hong Kong. Tuttavia, le condizioni non sembrano favorire un’inversione di rotta.

“Singapore è un’isola calma in acque molto turbolente” ha affermato uno degli intervistati a Vistra, un avvocato privato con sede nel Regno Unito. Il suo sembra essere un riferimento alla turbolenza politica che ha afflitto Hong Kong negli ultimi anni e alla sempre più invasiva erosione del principio ‘un paese, due sistemi’ regolante i rapporti con Pechino. 

È infatti dalla capitale della Repubblica Popolare Cinese (RPC) che soffia un vento preoccupante per i cosiddetti super ricchi. La spinta di Xi a consolidare la sua leadership promuovendo alleati che hanno preso una posizione dura contro il settore privato, insieme alla prospettiva di possibili nuove tasse di successione, hanno spinto alcuni cinesi – particolarmente benestanti – a recidere almeno parzialmente i legami finanziari con il proprio paese, in quello che si potrebbe definire un esodo di ricchezza. Di fatto, la spinta di Xi alla “prosperità comune” sembrerebbe spingere gli investitori – che una volta abbracciavano la massima di Deng Xiaoping secondo cui diventare ricchi è glorioso – a riversarsi in luoghi più accoglienti per i propri patrimoni, come appunto Singapore.

Via dalla Cina

“Il settore privato in Cina è davvero in declino” ha affermato Drew Thompson, ricercatore senior in visita presso la Lee Kuan Yew School of Public Policy della National University of Singapore in un’intervista a Bloomberg. “Ciò accelera gli sforzi per migrare e mettere al sicuro la propria ricchezza all’estero”.

Non è chiaro se Xi sia intenzionato a fermare il deflusso di persone e capitali. La società di consulenza sulla migrazione degli investimenti Henley & Partners stima che soltanto nel corso del 2022 una coorte di circa 10.000 residenti facoltosi abbia cercato di prelevare 48 miliardi di dollari dalla RPC: si tratterebbe del secondo più grande deflusso di ricchezza e persone dopo quello russo.

A giocare un ruolo chiave nell’avanzata di Singapore sono poi state le normative anti-Covid. Mentre la città-stato è tornata rapidamente alla normalità nel 2022, inclusa la revoca lo scorso agosto dell’obbligo di mascherina all’interno – una delle ultime restrizioni rimaste – Hong Kong rimane, come il resto della Cina, uno dei territori con norme anti-Covid più stringenti al mondo. Anche in questo caso si parla di esodo. Secondo l’Ufficio dell’Unione europea per Hong Kong e Macao nel corso di quest’anno circa il 10% dei cittadini dell’UE residenti a Hong Kong ha lasciato la città e un numero crescente di dipendenti ha chiesto di essere trasferito altrove. La multinazionale americana di banche di investimento e società di servizi finanziari Citigroup ha trasferito silenziosamente una serie di banchieri azionari a Singapore e in altri mercati, e altrettanto hanno fatto gli amministratori delegati della JP Morgan nel corso di quest’anno.

L’ascesa di Singapore non dovrebbe però essere interamente attribuita alle recenti turbolenze o alle restrizioni legate al Covid. Anche il governo della città-stato ha i suoi meriti.

La reputazione di Singapore come bastione di sicurezza e stabilità a bassa tassazione l’ha resa un hub regionale per i ricchi, dalla Thailandia all’Indonesia. La città-stato è stata efficace nell’affermarsi per attività come gestione di fondi e pianificazione patrimoniale.

Per esempio, al fine di aumentare la propria attrattività come sede di fondi alternativi, nel 2020 Singapore ha introdotto la Variable Capital Company (VCC), una nuova struttura di entità societaria in base alla quale diversi organismi di investimento collettivo (siano essi aperti o chiusi) possono essere riuniti sotto l’ombrello di un’unica entità societaria e tuttavia rimanere separati l’uno dall’altro. La VCC offre maggiore flessibilità agli investitori e risparmi sui costi operativi e vantaggi fiscali, sfidando i principali domicili di fondi come le Isole Cayman o il Regno Unito.

La legislazione favorevole di Singapore

Negli ultimi anni Singapore ha inoltre cercato di attrarre una quota maggiore di clienti asiatici con un patrimonio netto in crescita. Le sue leggi sul Trust offrono riservatezza a disponenti e beneficiari, nonché esenzioni fiscali. La città-stato si è poi mobilitata per diventare un hub di talenti globali, con l’introduzione dell’Overseas Networks and Expertise (ONE) pass, un visto che consentirà ai suoi detentori e ai loro partner di lavorare nella città-stato per cinque anni.

Anche se Singapore non fornisce statistiche dettagliate sulla provenienza dei suoi flussi di ricchezza, l’aumento esplosivo dei family office, società di servizi che gestiscono il patrimonio di una o più famiglie facoltose agendo come centro di coordinamento per la gestione finanziaria e amministrativa, secondo Bloomberg sarebbe sintomatico dell’arrivo di molteplici nuovi tycoon, in particolare cinesi. Alla fine del 2021 il numero di questi uffici è quasi raddoppiato rispetto all’anno precedente. Michael Marquardt, la cui azienda IQ-EQ Asia aiuta a creare family office, ha affermato che il numero di richieste da parte di clienti cinesi è aumentato dal 25% al ​​50% da prima a dopo l’ultimo Congresso del Partito comunista cinese. Vikna Rajah, responsabile fiscale e fiduciario dello studio legale Rajah e Tann Singapore LLP, ha dichiarato lo scorso giugno che oltre il 30% dei clienti che ha supportato nella richiesta di esenzione fiscale proviene dalla Cina, inclusa Hong Kong.Non si tratta solo di scegliere Singapore come base per gli affari, ma di veri e propri ricollocamenti. Sean Shi Yonghong, co-fondatore della catena di hot pot del Sichuan Haidilao International, ha pagato 50 milioni di dollari per un cosiddetto Good Class Bungalow (GCB) nella città-stato lo scorso settembre e il suo socio in affari, Zhang Yong, che è l’amministratore delegato di Haidilao International, si era già stabilito a Singapore e ne aveva preso la cittadinanza nel 2018. Anche Sun Tongyu, uno dei cofondatori di Alibaba, vi ha acquistato un attico da 51 milioni di dollari. Altri importanti imprenditori cinesi che si sono già stabiliti a Singapore includono Zhang Yiming, fondatore di ByteDance Ltd; il criptomiliardario Jihan Wu e Cindy Mi fondatrice di VIPKid, un’azienda edutech di grande successo fino a quando Pechino non ha represso il tutoraggio online. Nuovi arrivati che hanno generato una serie di effetti a catena, dall’aumento delle vendite di auto di lusso ai prezzi alle stelle per ville e… abbonamenti di golf.

Thailandia al voto, ma la sfida resterà endemica

In vista delle elezioni del 2023, i poteri “tradizionali” di esercito e monarchia danno cenni di frammentazione interna. Cala l’intensità delle proteste antigovernative, ma i manifestanti si compattano su alcune epocali battaglie comuni

La Thailandia contemporanea spesso appare cristallizzata in una perenne lotta tra un establishment arroccato su posizioni conservatrici e impegnato a difendere il proprio controllo sulla vita politica e sociale da una parte, e periodiche spinte progressiste esterne che gli gravitano intorno, nel tentativo di penetrarlo o quantomeno scalfirlo dall’altra. Tutto ciò che esula dal binomio imprescindibile Palazzo-Forze Armate sembra destinato a non restare. In preparazione alle prossime elezioni, fissate preventivamente per il 7 maggio 2023, i recenti sviluppi mostrano che in realtà i pilastri dei “poteri forti” sono tutt’altro che monolitici.

In questo contesto, figure imponenti come quella del primo ministro Prayuth Chan-o-Cha possono apparire irremovibili, ma in realtà sottotraccia qualcosa si muove. Ad agosto, il generale che ha preso il potere con il colpo di stato del 2014 è stato sospeso dal suo incarico per cinque settimane, su petizione dell’opposizione, nell’attesa che si deliberasse sul presunto superamento del limite del suo mandato di otto anni. La sentenza della Corte costituzionale thailandese del 30 di settembre ha poi riabilitato Prayuth, aprendo alla possibilità per il generale di correre per un secondo mandato (seppur parziale, fino al 2025) alle elezioni del prossimo anno. 

Una diatriba abbastanza sterile, in quanto non metterebbe in discussione le vere fondamenta dell’architettura di potere che in Thailandia si regge su tre pilastri: Nazione, Religione, Monarchia. Infatti, il giorno della delibera della Corte, le manifestazioni da parte dei movimenti pro-democrazia non hanno raggiunto i numeri e l’intensità degli scontri antigovernativi del 2020. Nella percezione locale, si tratta dei soliti “giochi di palazzo”. 

La divisione del partito di maggioranza

“Quello che però la vicenda ci racconta è lo spaccamento interno al Palang Pracharath (PPRP), il principale partito di governo”, sottolinea Francesco Radicioni, corrispondente di Radio Radicale dall’Asia orientale. Lo stesso Prayuth sembrerebbe non essere in cima alle preferenze del partito, che, secondo alcuni analisti, sarebbe piuttosto orientato verso il generale Prawit Wongsuwon. L’attuale vice primo ministro, che ha ricoperto l’incarico di primo ministro ad interim durante la sospensione di Prayuth ed è considerato il vero architetto del golpe del 2014, sembrerebbe essere l’uomo su cui il PPRP punterà come prossimo candidato primo ministro. 

Confermano le profonde divisioni interne le dimissioni da membro del consiglio di amministrazione del PPRP del ministro del Lavoro Suchart Chomklin annunciate alla fine di novembre, insieme alla notizia che altri quaranta parlamentari sarebbero intenzionati a lasciare il partito per seguire Prayuth nel nuovo partito Ruam Thai Sang Chart (Nazione Thailandese Unita). Il numero due Prawit ha presto chiarito che PPRP e RTSCP sono in sostanza “lo stesso partito” sottolineando il legame di “fratellanza” che l’ha legato al leader negli scorsi 40-50 anni. In ogni caso, con un senato eletto dalla giunta militare e una legge elettorale che sfavorisce i partiti più piccoli, la diatriba tra i due anziani generali rappresenta l’ennesima conferma che la promessa di svecchiare la classe politica resterà verosimilmente disattesa anche in occasione di questa tornata elettorale.

Il ritorno dei Shinawatra

Anche sul fronte dell’opposizione, alcuni vecchi nomi ritornano, primo fra tutti quello della famiglia Shinawatra, nella persona di Paetongtarn, figlia dell’ex leader estromesso con il golpe del 2006 e attualmente in esilio, nonché nipote di Yingluck Shinawatra, primo ministro destituito nel 2016 per mano della giunta guidata Prayuth.

Nonostante il partito d’opposizione Pheu Thai non abbia fatto menzione ad una sua eventuale candidatura come primo ministro per le prossime elezioni, Thitinan Pongsudhirak, professore e direttore dell’Istituto di Sicurezza e Studi Internazionali dell’Università Chulalongkorn, sostiene che si possa considerare a tutti gli effetti il leader simbolico del partito. La famiglia Shinawatra, coinvolta negli scorsi anni in diversi scandali di corruzione e abuso di potere, può ancora contare su alcune roccaforti, principalmente nelle zone rurali del nord del paese, e attira attorno a sé quel che rimane del movimento delle Camicie Rosse, protagoniste di violenti scontri contro le forze di sicurezza tra il 2006 e il 2014 e vittime di una sanguinosa repressione da parte dell’esercito di Prayuth.

L’unica vera ventata di novità arriva dalla piazza. Al netto delle differenze generazionali e di estrazione sociale, i “veterani” della protesta pro-democrazia in t-shirt rossa e i nuovi manifestanti, perlopiù membri della generazione Z urbanizzata, critica dei tratti più conservatori del sistema e sensibile ai temi delle disuguaglianze economiche, civili e di genere, convergono su alcune battaglie comuni. 

Durante le ultime proteste a margine del vertice APEC ospitato a Bangkok dal 14 al 19 novembre, i manifestanti non si sono limitati a chiedere la cancellazione del vertice economico e ad intonare attacchi personali alla figura Prayuth, la cui popolarità già da tempo declinante è stata ulteriormente affossata da un’inefficiente gestione dell’emergenza Covid e da un’economia prossima a scivolare in recessione. Il generale è visto più che altro come simbolo del dominio dell’élite militare, fedele alleata della famiglia reale, nella politica, nonché come l’uomo che ha avvicinato il paese alla Cina di Xi Jinping.

Le proteste di fine novembre, seppur sottotono rispetto al passato, hanno infatti rivendicato trasformazioni più profonde ed epocali, come l’abrogazione delle severissime leggi sulla lesa maestà, una nuova costituzione che metta fine all’intromissione dei militari nella vita politica e, soprattutto, una riforma dell’onnipotente monarchia. Come suggerisce Radicioni, nel frammentato e sempre cangiante panorama della politica thailandese, l’unico filo rosso costante resta l’endemico scontro tra l’establishment bicefalo rappresentato dalla tradizionale alleanza monarchia-esercito e le spinte progressiste che riflettono le aspirazioni modernizzatrici e democratiche di crescenti segmenti della popolazione. Pur con tutte le limitazioni, la tornata elettorale del 2023 potrebbe rappresentare un’occasione privilegiata per osservare più da vicino lo stato degli equilibri di potere tra queste due forze contrastanti che sembrano destinate a segnare il futuro del paese. 

“Discutere della monarchia ha preso piede”, ha spiegato Arnon Nampa, avvocato, attivista thailandese per i diritti umani e figura di spicco nelle proteste del 2020-2021. “Forse non assisteremo a un cambiamento radicale come una rivoluzione… ma una cosa è certa: la società thailandese non farà marcia indietro”.

Italia e Vietnam, 50 anni di amicizia

Editoriale a cura di Lorenzo Riccardi, Managing Partner RsA Asia

Hanoi è il principale partner commerciale di Roma in ASEAN. Ed è nell’elenco dei Paesi prioritari per la promozione di investimenti

Italia e Vietnam sono sempre più vicine. Nel 2022 l’interscambio commerciale tra i due Paesi ha raggiunto il massimo storico di 6,2 miliardi di dollari, in crescita dell’11% rispetto al 2021. Un trend in ascesa da diverso tempo e che ha portato a raddoppiare le cifre nel giro di un decennio. E che è destinato a proseguire, visto che l’Italia ha inserito il Vietnam nell’elenco dei 20 Paesi prioritari per la promozione del commercio e degli investimenti fino al 2030. Il prossimo 23 marzo ricorre tra l’altro il 50esimo anniversario delle relazioni bilaterali e per celebrare la ricorrenza è previsto un calendario di iniziative per promuovere i legami culturali ed economici. In occasione del nuovo anno lunare, lo scorso 30 gennaio il Consolato del Vietnam a Torino ha per esempio organizzato una tavola rotonda sulle opportunità di investimento in Vietnam e nei paesi del Sud-Est Asiatico. Insieme a chi scrive, hanno partecipato Sandra Scagliotti, Console Onorario della Repubblica Socialista del Vietnam in Italia e Mario Donadio di Leading Law. Il Vietnam è il principale partner commerciale dell’Italia nel Sud-Est asiatico, ma tutta la regione offre grandi opportunità. L’unione politica ed economica dei dieci membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico conta su un enorme mercato, con 667 milioni di persone e un territorio di 4,5 milioni di chilometri quadrati; è la terza economia dell’Asia-Pacifico e la quinta più grande del mondo. La Comunità economica dell’ASEAN (AEC) ha un PIL combinato di 3,6 trilioni di dollari, secondo le stime per il 2022. Il Fondo monetario internazionale ha pubblicato il suo World Economic Outlook il 31 gennaio 2023. Il rapporto prevede una crescita globale per il 2023 al 2,9% prima di salire ulteriormente a un tasso di PIL del 3,1% nel 2024, che rappresenta una revisione al rialzo di 0,2 punti percentuali rispetto alle stime di ottobre 2022. La recente riapertura dei confini cinesi dovrebbe aprire la strada a una ripresa globale più rapida del previsto. Per le cinque maggiori economie dell’ASEAN (Indonesia, Malesia, Filippine, Thailandia e Vietnam), la crescita è prevista al 4,3% nel 2023. La cooperazione con Europa e Italia è destinata ad aumentare ancora.

La diplomazia climatica in Asia

Tensioni politiche e competizione economica rallentano la corsa verso la transizione green. Mentre la guerra in Ucraina sta cambiando le rotte delle fossili russe, con accordi di rifornimento molto vantaggiosi per paesi partner come la Cina

Il 2022 è stato un anno poco verde per la diplomazia climatica. Se la Conference of the Parties del 2021 (COP 26) sembrava aver riacceso l’attenzione dei decisori sul clima, le catastrofi naturali che ne sono seguite, la guerra in Ucraina e un ulteriore rallentamento dei mercati hanno contribuito a far emergere tutt’altro trend. Alla COP 27 sono passati di corsa pochi presidenti delle grandi economie globali in partenza per il G20 di Bali, mentre le delegazioni dei paesi più fragili hanno ottenuto solo la promessa di un aumento dei fondi per il loss and damage, ovvero le compensazioni economiche destinate a quelle realtà che più stanno subendo gli effetti dei cambiamenti climatici. Pur non raggiungendo la quota stabilita di 100 miliardi di dollari, questa decisione è stata salutata da molti come un primo traguardo verso la giustizia climatica. Ma i danni della crisi climatica sono ben più ampi di quanto sia stato calcolato fino a oggi, come dimostrano nuovi modelli di scenario ampiamente dimostrati dai ricercatori. Oggi molte delle località più in pericolo al mondo si trovano in Asia, tra cui le grandi capitali Bangkok, Ho Chi Minh e Manila.

L’incontro al G20 tra il presidente Usa Joe Biden e la controparte cinese Xi Jinping ha fatto ripartire le montagne russe della diplomazia climatica, aprendo uno scenario di cauto ottimismo davanti all’impegno dei due più grandi inquinatori al mondo. Tuttavia, l’azione di Washington e Pechino non è ancora coerente con la narrazione di entrambi i paesi sul loro ruolo “guida” nella transizione verde. Guardando a est, la promessa della Cina di offrire modelli alternativi di sviluppo sostenibile è ancora lontana dal supportare le riforme più urgenti. Né il più eterogeneo blocco Asean, né le avanzate economie dell’Asia orientale sembrano pronte a una rapida transizione energetica e al raggiungimento della neutralità carbonica. Il primo traguardo è il 2030, anno in cui il Giappone promette di abbattere le emissioni del 46% rispetto ai dati del 2013, la Cina punta a toccare il picco delle emissioni e la Corea del Sud è vincolata dal Global methane pledge a ridurre le emissioni di metano del 30% rispetto a quelle registrate nel 2020. Un meccanismo, quest’ultimo, da cui manca la Cina, che si è anche svincolata dal fondo loss and damage.

Sud-Est crocevia di interessi 

Un’altra interpretazione del ruolo determinante della Cina vede Pechino come capofila di una “competizione positiva” contro Washington, dove i due paesi cercano di guadagnare in immagine (e in termini di budget) dalla loro predominanza nei forum multilaterali e sul mercato delle tecnologie per la transizione energetica. Ma le recenti manovre Usa che guardano al settore dei semiconduttori e dei manufatti prodotti in Xinjiang (tra cui rientrano soprattutto i pannelli solari) rischiano di trasformare la competizione in rivalità. Certo è che le promesse della Cina unite all’interesse economico stanno avendo un certo impatto sui paesi più dipendenti dai finanziamenti cinesi nel settore delle fossili. Ne è un esempio il Vietnam, che deve valutare se costruire nuove centrali a carbone in assenza di capitali cinesi, stando a quanto promesso da Pechino con il divieto agli investimenti esteri nel settore. Ciononostante, la domanda energetica del Sud-Est asiatico continua a salire (+80% in meno di venti anni) e la scelta più semplice e immediata cade sulle fonti energetiche più inquinanti, che oggi occupano ancora oltre l’80% del mix energetico. Alle risorse finanziarie si accompagna la più pratica disponibilità di risorse naturali a basso costo, come nel caso dell’Indonesia, che rappresenta il terzo maggiore esportatore di carbone al mondo. Non di meno, la guerra in Ucraina sta cambiando le rotte delle fossili russe, con accordi di rifornimento molto vantaggiosi per paesi partner come la Cina.

Il Sud-Est asiatico si trova al crocevia degli interessi dei nuovi investitori in fuga dalle delocalizzazioni in Cina e le più vecchie relazioni radicate nel tessuto economico dei diversi paesi. Il Giappone, principale investitore in Thailandia nel 2022, ha da tempo adocchiato l’opportunità di costruire auto elettriche e componenti necessarie alla transizione energetica. Un forte interesse è anche orientato alle nuove filiere agricole sostenibili, così come nelle imprese di trasformazione del settore turistico secondo parametri più coerenti con l’agenda Onu per lo sviluppo sostenibile. In questo caso, la sfida è molto più ampia di quanto appaia limitandosi al dossier energetico, perché richiede una profonda riflessione sull’impatto ambientale e sociale di quei settori che hanno trainato le economie di diversi paesi della regione negli ultimi decenni.

Le sfide della sostenibilità tra India e Asia centrale

Lontana dai riflettori della diplomazia climatica, ma estremamente importante per il suo peso economico e demografico, l’India deve fare i conti con le sfide della modernizzazione incontrollata. Alla crescita sfrenata delle città non corrisponde una progettazione ragionata dei sistemi urbani (si pensi, per esempio, al traffico di mezzi privati), mentre a partire dagli anni Cinquanta le risorse idriche e la salubrità dei suoli sono crollate. Alle evidenze sul campo non corrisponde ancora una presa di consapevolezza nel giocare un ruolo proattivo al tavolo dei negoziati per il clima. Anche per Nuova Delhi la competizione con la Cina è prioritaria. Inoltre, mentre l’India forma dei nuovi gruppi di lavoro per l’applicazione delle direttive degli accordi multilaterali da un lato, dall’altro chiude un occhio nei confronti della repressione delle associazioni ambientaliste.

Infine, l’Asia centrale si concentra sulle misure di adattamento ai cambiamenti climatici più che a chiedere maggiori responsabilità ai grandi inquinatori. Se in aree come il Kazakistan la corsa alla leadership economica nella regione sembra mettere in secondo piano le promesse ambientali, in altri paesi come il Kirghizistan è presente una forte preoccupazione per i fenomeni climatici estremi e la sicurezza alimentare. Anche la competizione sulle risorse idriche, emersa ultimamente con gli scontri lungo il confine kirghizo-tagiko, apre a pericolosi scenari sul clima come acceleratore di conflitti nella regione. La promessa principale, come emerge dalle affermazioni dei leader coinvolti nel progetto dell’agenzia per l’ambiente Onu dedicato alla sicurezza climatica in Asia centrale, è quella di collaborare con le organizzazioni internazionali per costruire una strategia di adattamento socialmente ed economicamente sostenibile. Anche qui il ruolo di un attore prominente come la Cina potrebbe influire sulle scelte di progettazione ed elettrificazione delle nuove realtà urbane. Anche se, guardando alle risorse presenti nell’area (fonti idriche lungo il confine con lo Xinjiang, pozzi di gas naturale), l’altra faccia della medaglia apre scenari predatori che non sono nuovi in Asia, come nel caso delle dighe cinesi lungo il Delta del Mekong.

Filippine, crescita da record

Manila ha registrato nel 2022 il più rapido aumento del PIL degli ultimi decenni. E la tendenza potrebbe continuare anche nel 2023

Articolo di Geraldine Ramilo

Dopo aver appena registrato la crescita più rapida degli ultimi 40 anni (+7,6%) il Presidente filippino Ferdinand Marcos Jr. ritiene che l’economia del Paese registrerà la crescita più rapida in Asia nel 2023, con stime intorno al 7%. Tale espansione si deve, come afferma il Presidente stesso, a delle basi solide presenti in tutto il Paese. L’economia filippina è stata infatti stabile tutto lo scorso anno, con una continua espansione del PIL verso gli ultimi mesi del 2022, ed una disoccupazione in continua diminuzione. L’anno passato l’economia è cresciuta a ritmi veloci e inaspettati e la principale fonte di crescita dal lato della domanda è rappresentata dalla spesa per i consumi delle famiglie. Nulla fa escludere alle autorità statistiche di Manila che questa tendenza continuerà anche nel 2023. La rapida crescita registrata negli ultimi mesi è ancora più notevole se inserita nel contesto globale debole e di incertezza che la maggior parte dei aesi si trova ad affrontare. Ma nonostante queste previsioni positive, la crescita delle Filippine non è stata esente da ostacoli. Ad esempio, nei suoi primi sei mesi alla guida del Paese, Marcos ha dovuto affrontare numerose sfide economiche, tra cui la ristrettezza delle finanze pubbliche e l’aumento dei prestiti. In aggiunta, l’impennata dei prezzi dei beni di prima necessità ha portato l’inflazione ai massimi da 14 anni a questa parte. Alle sfide economiche si aggiungono anche sfide nel campo politico e diplomatico. Come tanti altri nel Sud-est asiatico, Marcos ha infatti cercato di bilanciare gli interessi del Paese tra Stati Uniti e Cina, cooperando con quest’ultima a livello economico, a partire dai settori dell’agricoltura e delle infrastrutture. Ha incontrato anche all’inizio del mese il Presidente cinese Xi Jinping, concordando di proseguire i colloqui per l’esplorazione energetica del Mar Cinese Meridionale. Nonostante alcune problematiche, compresa l’inflazione dei prodotti alimentari alla quale Marcos intende rispondere con un aumento delle importazioni, Manila sembra destinata però ad accelerare significativamente la sua crescita.

Il mondo si avvicina all’ASEAN

Cina, Giappone, Stati Uniti, Europa e Italia: i rapporti con il Sud-Est asiatico vengono considerati sempre più strategici a livello globale

Se c’è una tendenza chiara nel panorama commerciale e geopolitico globale, questa è la volontà delle grandi potenze e di tutti i Paesi più sviluppati o emergenti di approfondire le proprie relazioni con l’ASEAN. Il Sud-Est asiatico è visto sempre più come un centro imprescindibile di cooperazione economica e diplomatica. Basta guardare a quanto accaduto di recente e a quanto può accadere nel prossimo futuro. Nel 2022, primo anno di entrata in vigore del Partenariato economico globale regionale (RCEP), la Cina ha registrato un aumento degli scambi commerciali del 15% su base annua con l’ASEAN, che detiene saldamente la posizione di primo partner commerciale della Cina. Nel 2023 è prevedibile che il ritmo possa anche aumentare, di pari passo con l’accelerazione della crescita di Pechino. La partecipazione del Presidente Joe Biden, lo scorso novembre, al summit ASEAN in Cambogia ha invece confermato che anche gli Stati Uniti hanno allungato il passo in una regione fondamentale anche per ragioni strategiche. Il piano di investimenti annunciato dalla Casa Bianca va finalmente nella direzione di un coinvolgimento americano non solo sul piano difensivo e militare, ma anche infrastrutturale e ambientale, visto il focus sulla transizione energetica che coinvolge tutti i Paesi dell’ASEAN. A muoversi con grande decisione non sono certo solo le superpotenze. Il Giappone, per esempio, è da tempo una presenza consolidata nel Sud-Est asiatico. Sin dal 1977 e dal lancio della “dottrina Fukuda”, dal nome dell’allora Primo Ministro che durante un celebre viaggio nel Sud-Est espresse l’impegno di Tokyo a non diventare una potenza militare e a costruire un rapporto di fiducia reciproca con l’ASEAN e i suoi Paesi membri. Da allora, il Giappone è diventato uno dei maggiori partner commerciali e investitori del blocco e una delle principali fonti di finanziamento delle infrastrutture. Ora il Paese sta seriamente valutando la possibilità di elevare le sue relazioni con l’ASEAN a un partenariato strategico globale, mettendosi così alla pari di Cina e Stati Uniti. La Corea del Sud ha da poco lanciato la sua prima strategia dell’Indo-Pacifico, che riserva all’approfondimento dei rapporti con l’ASEAN uno dei suoi pilastri. La regione è destinata a diventare anche la più grande destinazione di investimenti diretti esteri provenienti da Taiwan. L’Unione Europea ha da parte sua compreso che i suoi interessi coincidono sempre di più con quelli dell’ASEAN e non appare più così remota la possibilità di un accordo di libero scambio tra i due blocchi. Uno sviluppo del quale beneficerebbe anche l’Italia, le cui imprese guardano con sempre maggiore interesse verso Sud-Est.

“Food Estates”: il piano di Jokowi per l’autosufficienza alimentare

Per combattere la crisi alimentare, il Presidente Indonesiano ha lanciato un nuovo programma per incrementare i terreni agricoli. Raccogliendo però anche alcune critiche

L’Indonesia sta affrontando con risolutezza una possibile crisi alimentare, con una popolazione in crescita e una superficie coltivabile limitata che mette sotto pressione la capacità del Paese di nutrire la sua popolazione. Per affrontare questa crisi, il governo indonesiano ha deciso di ricorrere a un nuovo progetto di tenute agroalimentari (le cosiddette “food estates”, nome usato anche in Indonesia in riferimento al programma), progetti agricoli di grandi dimensioni che mirano ad aumentare la produzione alimentare.

In particolare, il progetto consiste nello sviluppo di colture di cereali e altri beni di prima necessità, come riso, manioca, cassava e mais con l’obiettivo di ridurre le importazioni di questi generi alimentari e rendere il Paese sempre più autosufficiente.

Le province del Kalimantan centrale, sull’isola del Borneo, e di Sumatra settentrionale saranno le prime a sperimentare  il programma e, se questo avrà successo, potrà essere esteso al resto dell`arcipelago, compresa l`isola di Papua.

Il presidente Joko Widodo, conosciuto come “Jokowi”, ha annunciato che in questa prima fase le risaie saranno piantate su 148.000 ettari di terreno, mentre altri 622.000 ettari saranno destinati alla manioca, al mais e ad altre colture, oltre che ad aziende agricole. Entro la fine del 2025, tuttavia, la superficie coltivabile sarà ampliata per coprire un totale di 1,4 milioni di ettari nel Kalimantan centrale, secondo il Ministro della Difesa Prabowo Subianto, ovvero colui che è stato incaricato di guidare il programma.

Il progetto ricorda molto l`ambizioso tentativo degli anni `90, quando l’ex Presidente Suharto decise di ripristinare l’autosufficienza alimentare dell’Indonesia lanciando un megaprogetto per intensificare le colture del riso in Kalimantan Centrale. Con la speranza che il nuovo progetto abbia più successo, visto l’esito disastroso del progetto di Suharto causato dall’allora inadeguatezza dei terreni torbosi alla coltura del riso.

Anche quest`iniziativa ha suscitato fin dall’inizio alcune critiche degli ambientalisti perché i terreni agricoli saranno sviluppati su terreni che in precedenza erano stati classificati come, appunto, torbiere. Le torbiere sono molto importanti in quanto trattengono acqua e CO2, e sono quindi un importante alleato contro inondazioni e nella lotta al cambiamento climatico. La loro preservazione è un tema che sta molto a cuore agli indonesiani, al punto da aver istituito una vera e propria organizzazione per la loro conservazione e il loro recupero. 

Come se non bastasse, attivisti e tribù indigene stanno opponendo una forte resistenza al progetto, convinti che i danni di quest`iniziativa saranno maggiori dei benefici. Una delle principali critiche rivolte alle tenute agroalimentari è che spesso sradicano le comunità locali e distruggono gli habitat naturali. Ad esempio, un nuovo territorio a destinazione agricola nel Kalimantan centrale ha causato lo sradicamento di migliaia di persone, oltre alla distruzione di foreste e aree vitali per l’ecosistema locale. Allo stesso modo, un compendio sviluppato nell’ambito di questo programma in Nusa Tenggara Orientale ha provocato lo spossessamento delle comunità indigene, costrette in questo modo a trasferirsi altrove. Oltre a causare danni alle comunità locali e all’ambiente, questi compendi agricoli  sono stati anche criticati per non essere affatto sostenibili. Molti di questi progetti si basano sulla monocoltura, che prevede la coltivazione di un solo raccolto anno dopo anno, con conseguente degradazione del suolo e riduzione della resa nel tempo. Ciò è in contrasto con le pratiche agricole tradizionali, che spesso prevedono una moltitudine di colture diverse e l’utilizzo di fertilizzanti naturali, che possono essere più sostenibili a lungo termine. In generale, sembra che le “food estates” non siano la soluzione alla crisi alimentare dell’Indonesia, per risolvere la quale erano state inizialmente proposte. Sebbene possano fornire un aumento a breve termine della produzione alimentare,si rivelano invece avere un alto costo per le comunità locali e l’ambiente e non sono sostenibili a lungo termine. Invece di affidarsi a questi progetti di grandi dimensioni, il governo indonesiano potrebbe considerare investimenti più misurati e equi per aumentare la produzione alimentare, come il sostegno ai piccoli agricoltori e la promozione delle pratiche agricole tradizionali.

Turismo nei paesi ASEAN: il 2023 sarà l’anno della ripresa

Secondo il WTTC il Sud-Est asiatico sarà il primo a tornare ai livelli di turismo pre-pandemici. Ma contraddizioni e opportunità del turismo di massa pongono nuovi interrogativi

Dicembre 2022: Christina Aguilera posta un reel sul proprio account Instagram che colleziona oltre 25 mila like. La pop star statunitense sta trascorrendo il proprio compleanno in Vietnam, sullo sfondo il paesaggio della baia di Ha Long, patrimonio UNESCO. La cantante fa un giro in elicottero, poi festeggia con un brindisi su uno yacht. Tutt’intorno, ancora pochi turisti, soprattutto per un luogo che è arrivato a registrare oltre 7 milioni di visitatori nel 2017. Nel 2020, dopo la prima ondata pandemica, gli arrivi a Ha Long erano crollati a 1,5 milioni. Solo un anno prima era scattato l’allarme degli ambientalisti per salvare l’area, dove la costruzione del nuovo aeroporto lasciava presagire un peggioramento delle condizioni ambientali determinato dal boom di turisti.

La popolarità di Ha Long e il calo del turismo dovuto alla pandemia non forniscono prove sufficienti per ragionare su una maggiore tutela del paesaggio. La ripresa, però, è vicina: secondo i dati del World Travel and Tourism Council (WTTC) la regione dell’Asia-Pacifico sarà la prima a ritornare alle cifre del 2019, con proiezioni di crescita dell’8% su base annua nel lungo termine. Inoltre, nei prossimi dieci anni, i lavoratori del settore potrebbero aumentare al punto da occupare il 64,8% sul totale globale. 

Pronti per la ripresa

Che il 2023 potrebbe essere l’anno della ripresa lo raccontano anche gli attori presenti sul territorio. A gennaio il presidente della Tourism Council of Thailand (TCT) Chamnan Srisawat ha affermato che le previsioni parlano di almeno 20 milioni di turisti in Thailandia nel corso del nuovo anno, quasi un raddoppio rispetto ai numeri del 2022 (11,8 milioni). Anche l’Amministrazione Nazionale Vietnamita del Turismo (VNAT) prevede 8 milioni di arrivi internazionali, per un guadagno stimato di circa 27,5 miliardi di dollari. In Cambogia ci si prepara al ritorno delle folle nel noto complesso di Angkor Vat: “Il governo ha dedicato molti sforzi per un piano di ripresa per l’industria del turismo”, ha raccontato all’agenzia di stampa cinese Xinhua Top Sopheak, portavoce del ministero del Turismo. “Crediamo che nei prossimi anni aumenteranno i turisti stranieri, in particolare ad Angkor, poiché molte compagnie aeree hanno ripreso i voli”. 

Anche l’ASEAN ha studiato delle misure per affrontare la ripresa dei viaggi nell’era post-pandemica. Già a gennaio 2022 un incontro tra i ministri del Turismo aveva evidenziato la necessità di adottare delle misure coordinate per incentivare la ripresa del settore turistico e raggiungere una serie di obiettivi già definiti dall’ASEAN Tourism Strategic Plan (ATSP) 2016-2025: non solo una migliore qualità dell’offerta turistica, ma anche una maggiore attenzione alla sostenibilità sociale e ambientale del settore. Tra gli esempi forniti dal comunicato stampa del meeting, l’urgenza di sostenere le piccole-medie imprese, accrescere le competenze degli operatori turistici, proteggere l’ambiente e il patrimonio storico.

Un fragile compromesso

Le basi di una ripresa delle economie del Sud-Est asiatico anche (sebbene non solo) attraverso l’industria turistica sono un dato fatto. L’allentamento delle restrizioni dovute alla pandemia ha già portato a una crescita degli ingressi dall’estero, da cui provengono turisti con un ampio potere di spesa rispetto ai viaggiatori domestici. Una possibile ripresa delle economie più sviluppate promette inoltre entrate importanti per il paesi più dipendenti dal turismo come la Thailandia, ma anche un’opportunità per investire nel settore come sta accadendo in Vietnam. 

A rimanere è il dilemma della sostenibilità del settore, soprattutto in quelle aree dove la chiusura delle frontiere ha portato con sé gravi danni al tessuto socioeconomico locale. Come sottolineava l’International Labour Organization (ILO) in una sua analisi del 2021, la pandemia ha causato un crollo delle opportunità di lavoro senza precedenti, colpendo soprattutto quei settori legati al turismo internazionale e alle catene globali del valore. Alla dipendenze che possono crearsi sul mercato del lavoro si aggiungono altri effetti collaterali del turismo di massa: inflazione, prezzi degli immobili gonfiati e degrado ambientale.
L’impatto del turismo di massa nel Sud-Est asiatico si registra soprattutto sugli ecosistemi. Sono bastate poche settimane di lockdown per riconsegnare gli habitat naturali ai loro veri inquilini. È accaduto, per esempio, in Thailandia, dove un gruppo di dugonghi è tornato a popolare le acque intorno all’isola di Libong. A oggi sono ancora poche le mete del Sud-Est asiatico che impongono delle restrizioni per salvaguardare il patrimonio naturale dell’eccessiva mole di turisti attirati dai panorami mozzafiato della regione. Come a Boracay, una piccola isola filippina dove nel 2018 è stato imposto un divieto totale agli ingressi per permettere di ripulire le acque dall’accumulo dei liquami inquinanti sversati dalle strutture ricettive. Di recente sono state adottate alcune restrizioni sull’utilizzo della sabbia delle spiagge ma, d’altro canto, il via libera ai fuochi d’artificio per festeggiare Capodanno segnala una politica più permissiva per mantenere alta la popolarità della destinazione turistica.

ASEAN, parola d’ordine sviluppo

Mentre continua la guerra in Ucraina, nel centro dei piani dei Paesi del Sud-Est asiatico restano integrazione, cooperazione e crescita

Il 2023 si è aperto come si era chiuso il 2022: con l’Occidente preoccupato per la guerra in Ucraina e l’inflazione da una parte e con l’Asia che cerca di irrobustire la sua crescita dall’altra. Ed è proprio l’ASEAN che si propone sempre più come piattaforma di investimento ma anche di dialogo. Una tendenza anticipata in modo evidente da due processi in accelerazione: il flusso di progetti esteri nei Paesi del Sud-Est asiatico e le mosse dei loro governi in apertura al commercio e alla mobilità internazionali. Oltre allo stimolo della domanda interna, che già nel 2022 è tornata a crescere in maniera vibrante, gli esecutivi della regione hanno capito che eliminare barriere di tipo regolatorio, normativo e fiscale consente di rilanciare l’impegno sui due concetti chiave di apertura e integrazione. Pilastri del miglioramento del dialogo commerciale e politico a livello multilaterale. Il libero scambio è stato un motore fondamentale dello sviluppo dell’Asia negli ultimi decenni ma ora alcune potenze globali stanno adottando posture semi protezionistiche, costringendo diverse  imprese a riconsiderare le loro catene di approvvigionamento. Nonostante questo, l’Asia continua a essere la regione più dinamica del mondo, sostenuta dall’orientamento allo sviluppo della maggior parte dei suoi governi. Dalla Regional Comprehensive Economic Partnership ad altri accordi di libero scambio, gli esempi a supporto di questa prospettiva sono numerosi anche negli ultimi anni di pandemia. I risultati si vedono. Nel 2022 il Vietnam è cresciuto oltre l’8%, un dato record dal 1997 spinto dall’aumento del 13,5% degli investimenti diretti esteri. Non solo da parte di chi sposta parte delle proprie linee di produzione dalla Cina continentale ma anche e soprattutto nell’ambito di nuovi progetti che la regione è sempre più in grado di attirare. Compresi quelli legati all’industria manifatturiera hi-tech. Certo, le incertezze globali hanno portato l’Asian Development Bank a ridurre le sue previsioni di crescita economica per il 2023 per l’Asia in via di sviluppo, che comprende 46 economie, dal 4,9% al 4,6%. Escludendo la Cina, il tasso di crescita è stato ridotto dal 5,3% al 5%. Un’espansione di circa il 5% sarebbe comunque la più veloce di qualsiasi altra regione del mondo. La regione del Sud-Est asiatico è d’altronde destinata a diventare il più grande mercato unico del mondo entro il 2030. 

Una startup vietnamita sul palcoscenico globale

La VNG corporation, prima startup unicorno del Vietnam, sta guardando oltre i confini nazionali dopo aver difeso con successo il suo mercato interno di 100 milioni di persone contro giganti globali come Facebook

La tendenza di vedere il Vietnam come un Paese noto soprattutto per il tessile e per l’agricoltura potrebbe presto cambiare grazie al successo riscosso da una startup vietnamita: la VNG corporation. Questa startup, specializzata in social network, e-commerce, contenuti digitali e intrattenimento online è la prima startup unicorno del Vietnam, ossia la prima startup vietnamita a superare il valore di oltre 1 miliardo di dollari.

Un excursus sulla storia della compagnia è necessario per valutare la sua evoluzione negli anni. La compagnia è stata fondata in un periodo in cui solo una piccola frazione della popolazione vietnamita aveva accesso a Internet. Nata nel 2004 sotto il nome di Vinagame, la VNG corp, ha iniziato la sua attività nel settore del gaming. Nonostante l’inizio molto di nicchia, la compagnia è riuscita ad espandersi gradualmente in un’ampia gamma di servizi come condivisione di musica, streaming video, messaggistica, portali di notizie e pagamenti online. La sua app di messaggistica Zalo è ormai profondamente radicata nella vita vietnamita, soprattutto dei giovani. Già dal 2020 l’app aveva superato all’interno del Vietnam Messenger, la piattaforma di messaggi di Facebook. Secondo gli ultimi dati del Ministero Vietnamita dell’Informazione e delle Comunicazioni, a febbraio 2022 l’applicazione contava 74,7 milioni di utenti attivi mensili, mentre Messenger ne contava 67,8 milioni. Alcuni dei punti di forza dell’applicazione sono la possibilità di inviare immagini di qualità superiore e di incorporare caratteristiche culturalmente rilevanti come gli emoji che riflettono il Capodanno lunare Tet. Come sottolineato da Le Hong Minh, co-fondatore della VNG, sembra che il maggior punto di forza della compagnia sia quello di capire le preferenze e la necessità dei suoi utenti. 

Le Hong Minh vede infatti la startup come un catalizzatore della nascente cultura delle startup tecnologiche In Vietnam. In un’intervista presso la sede centrale della compagnia a Ho Chi Minh City, Le Hong Minh ha reso ben chiaro una delle aspirazioni della VNG corp. “In futuro, il Vietnam non sarà conosciuto solo per il caffè e l’industria manifatturiera”, ha detto Le Hong Minh facendo riferimento all’obiettivo della VNG di espandersi a livello globale nell’industria tecnologica globale.  Infatti, la VNG corp dopo aver difeso con successo il suo mercato interno di 100 milioni di persone contro giganti globali come Facebook sta guardando oltre i confini del Vietnam.  Come riportato dal co-fondatore Le Hong Minh i giochi saranno la punta di diamante dell’espansione a livello internazionale della società. Infatti, la branca gaming della VNG corp, ha utenti in più di 130 Paesi e prevede di avere 320 milioni di clienti in tutto il mondo nel 2023. Nonostante questo, Le Hong Minh, ha precisato che la VNG sta anche cercando di aumentare le vendite globali dei suoi prodotti di intelligenza artificiale e cloud computing.La domanda principale è: data la significativa espansione all’interno del Vietnam, riuscirà la VMG corp ad ottenere la fiducia degli investitori esteri? Alec Tseung, partner del KT Capital Group, è convinto che nonostante in teoria la VNG attirerà l’attenzione degli investitori grazie alla somiglianza in molte aree di attività con la Tencent, società multimediale già molto nota a livello globale, in pratica la compagnia non dispone di un contesto normativo favorevole come quello si cui gode la Tencent in Cina. Dall’altra parte, bisogna però tenere in conto che secondo una ricerca del National Innovation Center Vietnamita, lo scorso anno il Vietnam ha attirato investimenti di venture capital da record, raccogliendo oltre 1,4 miliardi di dollari in 165 accordi. Inoltre, secondo alcune fonti la società sta valutando un’offerta pubblica iniziale (IPO) negli Stati Uniti, ma Le Hong Minh ha rifiutato di confermare direttamente. In sostanza, bisogna attendere gli sviluppi di questa società a livello globale, ma sicuramente la VNG corp è una startup da tenere sotto osservazione da parte degli investitori.

Una Giornata per essere Umili come il Suolo

Articolo del Dr. Apichart Jongskul 

Nel dicembre del 2013 le Nazioni Unite hanno istituito la Giornata Mondiale del Suolo. 

Coloro che hanno poca familiarità con il concetto di importanza del suolo, potrebbero chiedersi perché i Paesi del mondo siano impegnati in una giornata per riconoscere e celebrare una risorsa che sembra non scarseggiare al momento. 

Infatti, la questione riguarda più la qualità che la quantità. 

La velocità attuale di degradazione e di impoverimento del suolo potrebbe renderlo il nuovo oro nero. Sebbene la formazione del suolo avvenga in natura, il processo è così lento che il suolo potrebbe convertirsi in una risorsa non rinnovabile. Basta considerare che un centimetro di suolo impiega mille anni per formarsi, ma basta una forte pioggia a distruggerlo.  Dunque, non dovrebbe sorprendere il fatto che le Nazioni Unite abbiano lanciato l’allarme di una catastrofe imminente.  È probabile che entro il 2050 il 95% del prezioso suolo della Terra sia a rischio. In quella data, l’impatto della degradazione del suolo potrebbe avere già causato una perdita mondiale di 23.000 miliardi di dollari in termini di cibo, ecosistemi, servizi e profitti. Parliamo di cifre sbalorditive. 

Erosione del suolo nella Tanzania dei Masai 

Fonte: Università del Plymouth/Carey Marks sito web delle Nazioni Unite

Tuttavia, molti hanno ancora l’errata percezione che ci sia a disposizione una quantità infinita di terreno arabile, e soltanto pochi comprendono quanto esso sia prezioso. È vero che il terreno che calpestiamo fornisce il 95% del nostro cibo, ma l’importanza del suolo va ben oltre l’agricoltura. 

Il suolo è l’habitat di più di un quarto della biodiversità del pianeta. Ogni grammo di suolo contiene milioni di cellule di microbi e funghi, che lo rendono uno dei più complessi ecosistemi presenti in natura. Inoltre, il terreno ospita tantissimi altri organismi come gli insetti, che depongono e fanno schiudere le loro uova proprio al suo interno. 

  Fonte: Infografica della Banca Mondiale dal sito web del Forum Economico Mondiale

Un suolo sano è anche necessario per prevenire la carenza di acqua. La maggior parte dell’acqua del mondo – circa il 97% – si trova nel sottosuolo. Quest’acqua è il risultato dello scioglimento di neve e ghiaccio, e della pioggia che penetra nel terreno attraverso un processo in cui il suolo filtra le polveri, gli agenti chimici e altri contaminanti. Oggi, le falde acquifere permettono di fornire circa il 50% di acqua potabile destinata al consumo umano. Inoltre, l’acqua di falda rappresenta il 40% dell’acqua utilizzata per irrigare i terreni, e il 50% dell’acqua utilizzata per la popolazione urbana. 

Per di più, il suolo può contribuire alla difesa del pianeta dai cambiamenti climatici. Secondo una stima di qualche anno fa realizzata dall’Earth Institute della Columbia University, il suolo rimuove circa il 25% di emissioni da combustibili fossili nel mondo. 

Una migliore gestione del territorio e buone pratiche agricole possono accrescere la capacità dei terreni di trattenere il carbonio e aiutare a contrastare il riscaldamento globale. 

Senza dubbio, l’importanza che si dà al mantenimento e alla gestione della qualità del nostro suolo non è mai troppa. Il cibo, l’acqua potabile pulita, la biodiversità, e la vita stessa sulla Terra dipendono da esso. 

La Thailandia è un Paese con tanti tipi di suolo differenti, alcuni dei quali sono favorevoli all’agricoltura, mentre altri sono problematici in termini di qualità, stato fisico e composizione chimica, e conducono a un basso rendimento, perdite di raccolti e profitti non redditizi.                     

Centro Studi per lo Sviluppo di Pikun Thong, nella provincia di Narathawit, Thailandia;

istituito da Sua Maestà il Re Bhumibol Adulyadej il Grande con l’obiettivo di fornire un modello nazionale agli agricoltori per migliorare la qualità del suolo.

Fonte: sito web Thailand Tourism Directory

Sua Maestà il Re Bhumibol Adulyadej Il Grande, che ha dedicato il suo regno al miglioramento degli standard di vita dei thailandesi, e in particolare degli agricoltori, ha stabilito lo sviluppo agricolo e lo studio del suolo come delle reali priorità. Infatti, ha indirizzato le iniziative Reali verso la rivitalizzazione del suolo attraverso metodi naturali. Infine, grazie ad ampie ricerche e sperimentazioni nelle sedi Reali, sono state trovate soluzioni pratiche ed economicamente vantaggiose a diversi problemi relativi al suolo, come, ad esempio, i terreni sabbiosi, la laterite, i terreni erodibili, i suoli salini e acidi. Parliamo di soluzioni pensate per essere facilmente realizzate dagli agricoltori. 

 Erba del vetiver 

 Fonte: Dipartimento di Sviluppo del Territorio,

 sito web del Ministero dell’Agricoltura e delle Cooperative              

Una di queste pratiche consiste nell’utilizzare l’erba del vetiver, la quale si comporta come un giardino verticale, e impedisce l’erosione del suolo e ne mantiene l’idratazione. 

Nel 2009, Sua Maestà ha tenuto un discorso Reale nel quale ha spiegato il valore dei suoi studi sull’erba del vetiver durati 17 anni, in cui ha identificato i suoi molteplici benefici: 

“Alcune piante erbacee possono essere utili soltanto in alcuni luoghi. L’erba del vetiver, invece, si presenta molto utile in diverse zone rurali, non solo in aree pianeggianti ma anche in quelle montane. Il vetiver può crescere sia in strati del suolo profondi che in quelli superficiali. Le radici del vetiver possono penetrare fino a cinque o sei metri di profondità, caratteristica mai riscontrata nelle piante erbacee prima d’ora. In aggiunta, le radici del vetiver crescono soltanto verticalmente fino a cinque metri, ma senza espandersi orizzontalmente; dunque, non andrebbero a intaccare i raccolti vicini. Alcuni tipi di vetiver possono estendere le loro radici molto in profondità – per circa cinque o sei metri. Alcune radici raggiungono i sei metri di profondità. Altre piante erbacee, possono estendere le loro radici in profondità, ma al massimo per tre metri. Il lungo sistema radicale del vetiver copre la superficie del terreno e previene l’erosione del suolo. Il rivestimento di vetiver rende il suolo robusto e utilizzabile per qualsiasi cosa. Ad esempio, i terreni lungo l’argine della strada saranno protetti e non scivoleranno lungo i pendii delle colline. Si può osservare ciò sulla strada per Doi Tung. Inoltre, sarà possibile piantare alberi lungo i bordi della strada. Per di più, tali terreni hanno smesso di erodere, cosa che aveva danneggiato il terreno coltivabile in passato.” (fonte: “Soul of the Thai People: The Great Philosopher in Soils, Sua Maestà il Re Bhumibol Adulyadej, Dipartimento di Sviluppo del Territorio, Ministero dell’Agricoltura e delle Cooperative, 2017).

Nel 1993, la Banca Mondiale ha conferito a Sua Maestà una scultura in bronzo a lui dedicata rappresentante una pianta di vetiver, insieme ad un premio di riconoscimento per “il traguardo tecnico e di sviluppo raggiunto nella promozione della vetiver technology a livello internazionale”. Nel 1996, grazie al suo ruolo di leader nella ricerca scientifica sul vetiver, la Thailandia è stata scelta per ospitare la prima Conferenza Internazionale sul Vetiver (ICV) in collaborazione con la Banca Mondiale e la FAO.  Successivamente, è stato istituito il Pacific Rim Vetiver Network, con la Thailandia a capo, affiancata dai 22 Paesi membri dell’Anello del Pacifico, con l’obiettivo di fare informazione sul Sistema del Vetiver. Ad oggi, i Paesi membri hanno realizzato più di 70.000 pubblicazioni, consultabili sul sito web gestito dall’Ufficio del Royal Development Projects Board.

Royal Development Projects Board

La FAO ha commemorato la Giornata Mondiale del Suolo per la prima volta il 5 dicembre 2012, giorno dell’ottantacinquesimo compleanno di Sua Maestà il Re Bhumibol Adulyadej il Grande della Thailandia. Precedentemente, in quello stesso anno, a Sua Maestà era già stato conferito il primo premio Humanitarian Soil Scientist per la sua dedizione nella gestione del suolo come risorsa.  

Il premio era stato conferito a Sua Maestà il 16 aprile 2012 da Stephen Northcliff, presidente dell’Unione Internazionale delle Scienze del Suolo (IUSS). Dal 2002, soltanto dieci anni dopo, la IUSS ha ottenuto una giornata internazionale del suolo. 

Da quel momento in poi la Thailandia ha dimostrato concretamente la sua leadership nell’ambito della conservazione del suolo, anche attraverso il suo supporto alla FAO, la cui volontà è stata quella di accrescere la consapevolezza su questa tematica importante a livello globale, attraverso l’istituzione ufficiale della Giornata Mondiale del Suolo nel quadro della Global Soil Partnership. Nel giugno del 2013, durante la Conferenza della FAO, la Giornata Mondiale del Suolo è stata promossa all’unanimità, e sei mesi dopo, l’Ambasciata Generale delle Nazioni Unite ha stabilito il 5 dicembre 2014 come la prima, ufficiale, Giornata Mondiale del Suolo, che da allora si celebra ogni anno. 

Dal momento in cui è stata presentata, nel 2014, la Giornata Mondiale del Suolo è diventata una delle campagne di comunicazione della FAO più influenti, con centinaia di eventi in tutto il mondo e un impatto mediatico enorme. Lo slancio ottenuto è stato spettacolare, da una modesta fase iniziale di 42 eventi nel 2014 si è passati a ben 781 giornate in 125 Paesi nel 2021. Durante il periodo dedicato al tema è emerso l’hashtag #WorldSoilDay, che ha raggiunto 330 milioni di utenti ed è stato in tendenza il 5 dicembre. 

Fonte: sito web dell’Organizzazione del Cibo e dell’Agricoltura delle Nazioni Unite 

In relazione alla Giornata Mondiale del Suolo, la Thailandia sponsorizza ogni anno il Premio King Bhumibol World Soil Day per conferire un riconoscimento a individui o istituzioni che organizzano giornate dedicate al suolo di forte impatto. I destinatari di questi premi provengono da diverse parti del mondo, come Bangladesh, Costa Rica, India e Nigeria. 

Tuttavia, nonostante i notevoli sforzi di numerose organizzazioni, di scienziati, ambientalisti e di tutti coloro che cercano di accrescere la consapevolezza sull’importanza di un suolo sano, non siamo ancora fuori pericolo. Pratiche di agricoltura intensive, l’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi, la deforestazione, l’attività industriale e la rapida urbanizzazione, continuano ad aggravare la perdita di suolo in quasi tutti i Paesi del mondo. 

Forse per fare dei passi avanti, dobbiamo mettere a punto il messaggio. È importante cambiare la mentalità delle persone e ciò può avvenire soltanto facendo informazione.

Ma comprendere il problema potrebbe non essere abbastanza per cambiare il modo di agire delle persone. Dovremmo pensare a come cambiare i loro cuori, il mondo in cui percepiscono il tema del suolo. 

Lo stesso Leopold, considerato da molti il padre dell’ecologia della fauna selvatica, ha affermato che “Abusiamo del suolo perché guardiamo ad esso come un bene che ci appartiene. Se iniziassimo a vedere la terra come una comunità a cui noi apparteniamo inizieremmo a trattarla con amore e rispetto.”

Sotto questo aspetto, credo che il 5 dicembre, il giorno della nascita dell’ormai defunto Re, abbia qualcosa di inestimabile da offrire. 

Quando il re era nato, Sua Maestà Re Prajadhipok aveva dato al nascituro il nome di “Bhumibol Adulyadej”, e aveva spiegato che le due parole significavano “Forza della Terra, Incomparabile e Ineguagliabile Potere”. Si racconta che a quel tempo la madre, la Principessa, aveva detto a Sua Maestà il re Bhumibol Adulyadej: “Di fatto, il tuo nome significa Forza della Terra perché voglio che tu stia sulla superficie del suolo.” Il re ha poi spiegato che sua madre probabilmente intendesse dire che augurava a Sua Maestà di essere umile e di lavorare per i suoi sudditi thailandesi. 

Fedele all’augurio di sua madre, Sua Maestà il Re Bhumibol Aduladej il Grande è diventato un esempio di umiltà. Durante le visite reali in campagna, il re spesso si inginocchiava o si sedeva a terra per ascoltare i problemi della sua gente, per ore e ore. Sono certo che mai si sia sentito infastidito da un po’ di terra sui suoi vestiti. 

Quest’anno, si sono tenute molte attività significative nell’ambito della Giornata Mondiale del Suolo, sia in Thailandia che in altri Paesi. Il 5 dicembre, il Ministero degli Interni, per la Giornata Mondiale del Suolo 2022, ha organizzato un evento in ogni provincia della Thailandia, con l’obiettivo di accrescere la consapevolezza collettiva sull’importanza del suolo nella salvaguardia dell’ambiente e nello sviluppo sostenibile, e per onorare il lavoro del Re Bhumibol Adulyadej Il Grande sulla gestione del suolo.  Il 15 dicembre, la Missione Permanente in Thailandia delle Nazioni Unite e la Missione Permanente in Namibia delle Nazioni Unite, in collaborazione con la FAO e la Convenzione delle Nazioni Unite per Combattere la Desertificazione, hanno organizzato una giornata del suolo anche a New York, per sensibilizzare le persone sull’importanza di mantenere degli ecosistemi sani attraverso un suolo sano, e riconoscere che gli agricoltori sono dei veri e propri “eroi del suolo”.

Di certo, ognuno di noi può giocare un ruolo significativo in questo ambito, e io credo che tutto abbia inizio col prendersi del tempo per capire e apprezzare l’importanza di suoli sani nelle nostre vite. In fin dei conti, spero vivamente che le persone prendano ispirazione dall’essenziale lavoro già svolto e che continuino a fare progressi al riguardo, in modo da poter moltiplicare gli sforzi globalmente e proteggere il nostro suolo per le future generazioni. 

                                                             * * * * *

Il Dr. Apichart Jongskul si è occupato di gestione del suolo e sviluppo del territorio per decenni e aveva precedentemente svolto l’incarico di Direttore Generale del Dipartimento dello Sviluppo Territoriale all’interno del Ministero dell’Agricoltura e delle Cooperative. Nel 2015, è diventato un referente della Fondazione Chaipattana – una fondazione istituita da Sua Maestà il Re Bhumibol Adulyadej il Grande che contribuisce allo sviluppo nazionale- e dal 2018 ricopre la posizione di Vicesegretario Aggiunto della fondazione. 

ASEAN epicentro della crescita nel 2023

L’anno appena iniziato presenta diverse incognite, dalla guerra in Ucraina all’inflazione, ma anche una certezza: il ruolo fondamentale del Sud-Est asiatico

“ASEAN Matters: Epicentrum of Growth”. Ossia “L’ASEAN conta: epicentro della crescita”. È questo l’azzeccato slogan scelto dall’Indonesia per la presidenza di turno del 2023 del blocco dei Paesi del Sud-Est asiatico. Dopo aver ospitato con successo il summit del G20 a Bali, il governo indonesiano si lancia con fiducia sul prossimo obiettivo: coordinare le diverse posizioni e gli interessi dei Paesi membri dell’ASEAN, mantenere l’unità del blocco ed elevare ulteriormente la statura del Sud-Est asiatico a centro di crescita globale. Una missione resa meno complicata dalla tendenza che ha visto protagonista l’area già negli scorsi anni. Nonostante tutte le difficoltà create prima dalla pandemia di Covid-19 e poi dalla guerra in Ucraina coi suoi numerosi effetti collaterali a partire dall’inflazione, la regione ha resistito in maniera brillante. Una delle storie più interessanti da raccontare è forse quella del Vietnam, che nel 2022 è cresciuto sopra l’8 per cento, il dato più alto degli ultimi 25 anni. Ma non si tratta solo di dati e di punti percentuali di prodotto interno lordo. A contare in modo positivo anche la predisposizione all’apertura sempre mantenuta dal blocco, pur con le dovute differenze e discontinuità tra i vari Stati membri. Nel 2023, l’Indonesia proverà a far “pesare” ancora di più tutti questi elementi sul piano internazionale, mentre su quello regionale intende mantenere l’attenzione sull’espansione della cooperazione economica a livello di blocco. Giacarta cercherà inoltre di costruire un consenso sulla sicurezza alimentare ed energetica, rafforzando le catene di approvvigionamento. Non mancano sfide complicate anche sul fronte interno, su tutte la crisi in Myanmar, tema su cui la presidenza indonesiana proverà a fare passi avanti significativi. Senza mai perdere di vista il fatto che il libero scambio è stato un motore fondamentale dello sviluppo dell’Asia negli ultimi decenni e il Sud-Est asiatico sta mostrando da tempo di voler evitare a tutti i costi non solo il cosiddetto disaccoppiamento economico ma anche una nuova guerra fredda in cui grandi potenze spingono tutti gli altri a scegliere da che parte stare. Il motto della presidenza indonesiana ribadisce che la scelta dell’ASEAN è quella della crescita economica e dell’integrazione commerciale.

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