Per ripartire l’Asia punta sulle infrastrutture

L’ampiezza dei progetti richiederà non solo il sostegno del governo, ma anche del settore privato, nonché finanziamenti bilaterali e multilaterali

Il potenziamento infrastrutturale è in cima all’agenda 2022 del Sud-Est asiatico e dell’Asia meridionale. L’urgenza parte da un dato fondamentale: dal 2020 al 2040, un terzo dell’aumento della popolazione mondiale proverrà dalle giovani economie dell’Asia meridionale e del Sud-Est asiatico, ovvero India, Pakistan, Bangladesh, Indonesia, Malesia, Filippine e Vietnam. Le proiezioni delle Nazioni Unite stimano anche un netto sviluppo dell’urbanizzazione, con circa 462 milioni di persone che si trasferiranno nelle città entro il 2040, o un aumento del 52% della popolazione urbana, che si aggiunge agli 895 milioni di abitanti attuali. Questi fenomeni eserciteranno senza dubbio una forte pressione sulle infrastrutture esistenti, richiedendo maggiori investimenti per mantenere non solo la domanda esistente, ma soprattutto quella futura.

Il divario infrastrutturale più importante riguarda l’India, seguita da Pakistan e Bangladesh. Nel Sud-Est asiatico, sono le Filippine e l’Indonesia ad avere le maggiori falle infrastrutturali da colmare, soprattutto le infrastrutture stradali. Tuttavia, l’India mantiene il primato per la quantità di strade costruite, ma è la qualità delle superstrade a destare preoccupazione. Anche il Vietnam ha investito molto nella costruzione di superstrade, migliorando nettamente il sistema delle infrastrutture.  Le Filippine stanno concentrando gli investimenti sul trasporto aereo, fondamentale per la mobilità domestica, il commercio e il turismo. Il Pakistan è il Paese più in ritardo negli investimenti in infrastrutture aeree. Invece, le infrastrutture ferroviarie ricevono pochi investimenti sia in Asia meridionale che nel Sud-Est asiatico, ad eccezione di Malesia e Indonesia. 

Il divario infrastrutturale è quindi al centro delle agende politiche di questi Paesi, molti dei quali hanno già escogitato supporti politici e investimenti governativi per affrontare il problema. Il governo indiano ha annunciato il PM Gati Shakti del valore di 1,3 trilioni di dollari per potenziare le infrastrutture nazionali nei prossimi 25 anni e attirare Investimenti Diretti Esteri. A supporto di questo piano nazionale a lungo termine – nel bilancio dell’anno fiscale 2023 – l’India ha chiesto un aumento del 35,4% degli investimenti, ponendo la costruzione di infrastrutture, in particolare autostrade, ferrovie e logistica, al centro della sua agenda di sviluppo economico, con cifre nettamente superiori ai budget precedenti. I piani di spesa includono la costruzione di 25.000 km di nuove autostrade e 100 nuovi terminal merci in tre anni. Anche settori come l’acqua e l’energia elettrica stanno ricevendo le giuste attenzioni.

Nel Sud-Est asiatico, l’Indonesia punta a investire 400 miliardi di dollari entro il 2020 e il 2024 per migliorare gli aeroporti, l’energia elettrica e il trasporto di massa. Il Vietnam sta continuando il suo febbrile sviluppo delle infrastrutture per aumentare la propria competitività. I progetti principali riguardano la costruzione di oltre 5.000 km di superstrade entro il 2030; 172 percorsi di autostrade nazionali con una lunghezza totale di 29.795 km; tre circonvallazioni urbane ad Hanoi con una lunghezza totale di 425 km, e altre due a Ho Chi Minh City con una lunghezza totale di 295 km.

Il Pakistan, con il secondo divario di domanda più ampio, ha trovato nell’alleanza con la Cina – attraverso il corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC) – il supporto necessario per migliorare le sue infrastrutture. Anche il Bangladesh ha introdotto il Delta Plan 2100 per realizzare 65 progetti infrastrutturali.

I finanziamenti sono il punto nevralgico del piano infrastrutturale di questi Paesi. L’ampiezza dei progetti richiederà non solo il sostegno del governo, ma anche del settore privato, nonché finanziamenti bilaterali e multilaterali. Questo problema è particolarmente sentito da India, Filippine e Indonesia.

L’India mira a emettere obbligazioni verdi per supportare la costruzione di infrastrutture rispettose del clima, anche come veicolo di finanziamento per lo sviluppo sostenibile. Nel 2021, l’India ha emesso green bond da 6,8 miliardi di dollari, contro i 66,1 miliardi della Cina. Anche le nazioni del Sud-Est asiatico stanno puntando all’emissione di green bond per sostenere le ambizioni infrastrutturali. Le Filippine, ad esempio, stanno valutando l’emissione di green bond sovrani per aiutare i fondi privati ​​a valutare le esigenze di investimento in infrastrutture sostenibili negli arcipelaghi. 

La riduzione del gap infrastrutturale è un obiettivo urgente per questi Paesi. Con l’aumentata consapevolezza e la priorità garantita, il 2022 segnerà il punto di svolta per migliorare la connettività, e quindi la produttività e la competitività commerciale di queste economie strategiche per gli equilibri internazionali. 

Isole, rocce e bambù: le acque agitate del Vietnam

In pieno stile bamboo diplomacy, il Vietnam ha avuto una reazione modesta all’invasione dell’Ucraina. L’eco del conflitto, però, si è sentita ad Hanoi forse più che a Taiwan

Articolo a cura di Lucia Gragnani

1979. La Cina lancia un’offensiva contro il Vietnam in risposta all’opposizione di Hanoi al regime degli Khmer rossi e alla firma del trattato di partnership sovietico-vietnamita. Sono passati più di quarant’anni, ma nei libri di scuola vietnamiti ancora non c’è pressoché traccia dell’attacco cinese. Con la stessa reticenza, il Vietnam si è astenuto dal condannare la Russia al tavolo delle Nazioni Unite, e si è opposto all’esclusione di Mosca dal Consiglio dei diritti umani. Questo tipo di neutralità strategica non è solo pro forma, ed è tanto radicata da essere riuscita a conquistarsi il nome su misura di bamboo diplomacy. Piantato solidamente nel terreno, ma agile nel flettersi secondo il vento. Nei paesi dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN), questo approccio ha comportato reazioni modeste all’invasione dell’Ucraina.

L’ambiguità della politica vietnamita si manifesta sotto molteplici aspetti. La Cina si batte con gli Stati Uniti per il ruolo di primo partner commerciale, mostrandosi capace di dare una risposta alla crescente domanda di investimenti del Vietnam nel settore delle infrastrutture. Per questo motivo Hanoi ha, come altri membri ASEAN, tradizionalmente preferito rimanere moderato nei confronti di Pechino, temporeggiando per non farsi trascinare dalle avances americane nelle politiche di contenimento della Cina. Gli Stati Uniti hanno un forte interesse nel costruire una relazione con l’ASEAN nel campo della sicurezza marittima in quanto componente chiave della Strategia Indo-pacifica, come annunciato nella comunicazione pubblicata in vista del summit USA-ASEAN di maggio. Dopo aver ricucito le ferite della guerra, Washington e Hanoi hanno stabilito un rapporto di collaborazione solido ma cauto. Ma, con il divieto di esportare armi letali al Vietnam valido fino al 2016, ancora non militare.

Il settore è di competenza russa, così come quello della produzione di macchinari per l’estrazione del petrolio. I rapporti tra Hanoi e Mosca sono amichevoli da decenni, radicati nei legami tradizionali dell’ex Unione Sovietica. La dipendenza all’80% dalla fornitura di armi da parte di Mosca a partire dal 2000 in poi ha provveduto a cementificarli. A fine 2021, i governi dei due paesi hanno siglato un nuovo accordo per espandere ulteriormente la cooperazione militare. Guardando alla postura vietnamita nei confronti di Russia e Usa, lo scorso anno è stato emblematico. Nell’arco di quattro mesi a partire da aprile, si sono succedute le visite del presidente russo Vladimir Putin, del ministro della difesa cinese Wei Fenghe, e della vicepresidente USA Kamala Harris.

In stile bamboo diplomacy, il Vietnam ha avuto una reazione modesta all’invasione dell’Ucraina. L’eco del conflitto, però, si è sentito anche ad Hanoi e forse più che a Taiwan. Con lo scoppio della guerra e le successive sanzioni che hanno complicato il commercio internazionale con Mosca anche per i paesi rimasti “amichevoli”, sono diminuite le possibilità di accedere all’arsenale russo. Senza poter contare sul suo principale partner strategico, il Vietnam rimane adesso con un fianco scoperto. 

Questo fianco, in particolare, è vicino alla lunga costa est che guarda al mar Cinese meridionale, conosciuto in Vietnam come mare dell’Est. Davanti, una serie di atolli e formazioni rocciose costellano il panorama marittimo, su cui si affacciano anche Cina, Taiwan, Filippine, Brunei, Malesia e Indonesia. Ciascun paese dichiara sovranità su una parte più o meno vasta del mar Cinese meridionale. Oltre ad essere uno snodo di scambio commerciale fondamentale da cui passa un terzo del commercio marittimo mondiale, il mar Cinese meridionale ha importanti riserve di gas nel sottosuolo. Negli ultimi anni è diventato luogo di attrito per i rapporti Cina-USA. Per attori più piccoli come il Vietnam, navigare queste acque agitate rimanendo moderati è questione strategica.

Nel 2016 il tribunale della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) ha dichiarato che non tutte le terre emerse hanno diritto a ricevere lo status di isola. Secondo il Tribunale, nel mar Cinese meridionale non ci sono, infatti, formazioni permanentemente sopra al livello dell’acqua capaci di sostenere vita umana. Lo status di isola permetterebbe di esercitare una zona economica esclusiva (ZEE) di 200 miglia nautiche e condurre esplorazioni del sottosuolo. Le rivendicazioni marittime però non sono solo una questione di strategia, ma anche di politica e sovranità. Isole o no, le ambizioni dei vicini di casa non sono cambiate.

Tra questi, Pechino è il dirimpettaio più problematico. La Cina rivendica, infatti, la totalità delle formazioni rocciose del mar Cinese meridionale e le loro corrispondenti acque sulla base della storica U-shaped line. Questa linea immaginaria abbraccia l’intera massa marina, e si sovrappone in larga parte alle dichiarazioni di sovranità territoriali del Vietnam. Queste dispute sono ancora il principale motivo di tensione tra Pechino e Hanoi. Nel 1974 la Cina ha occupato le isole Paracelso, precedentemente vietnamiti, dopo uno scontro che ha causato decine di morti. Nel 1988 un altro scontro a Johnson Reef, nelle Spratly, ha provocato circa 70 vittime. Più di recente, nel 2014 il movimento della piattaforma petrolifera cinese Haiyang Shiyou 981 nei pressi delle isole Paracelso aveva generato proteste ad Hanoi, e fatto immaginare un primo parallelismo con l’annessione della Crimea. Il Vietnam ha reagito in modo composto alle provocazioni cinesi. Danneggiare il rapporto con Pechino per delle rocce nel mar Cinese meridionali avrebbe più costi che benefici.

Quando, dopo il 24 febbraio, Pechino ha annunciato nuove esercitazioni militari vicino alla costa vietnamita, il rumore dei colpi in Ucraina è sembrato più vicino. Nel settore della sicurezza è necessario ampliare il portafoglio dei partner, ma abbracciare Washington esporrebbe il paese a possibili ripercussioni sui rapporti con la Cina. Allo stesso tempo, staccarsi da Mosca dopo decenni di quasi-monopolio risulta difficile. La Russia ha dichiarato di avere in programma per la fine del 2022 delle esercitazioni militari con il partner dell’ASEAN, e Hanoi non ha ritrattato. L’ambiguità strategica del Vietnam permette di avere molteplici partner, e la centralità data al tema del mar Cinese meridionale all’ultimo incontro tra il primo ministro indiano Narendra Modi e il segretario del Partito comunista vietnamita Nguyễn Phú Trọng non è casuale. Avvicinarsi all’India però non vuol dire avvicinarsi al QUAD, e se da un lato si rafforza il partenariato strategico Vietnam-India e l’aria nel mar Cinese meridionale si fa tesa, dall’altro Hanoi e Pechino si congratulano per i 72 anni di relazioni diplomatiche e promettono di rafforzare la cooperazione. Il bambù vietnamita resiste anche in acqua salata, ma è da vedere per quanto tempo questa ambiguità sarà sostenibile.

Cooperazione sì, contrapposizione no

La maggior parte dei Paesi dell’ASEAN hanno aderito al lancio dell’Indo-Pacific Economic Framework di Biden. Ma dicono no alla logica di scontro tra blocchi

Ci sono tutti tranne tre. Solo Myanmar, Cambogia e Laos non fanno parte dell’Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity (IPEF), il programma di cooperazione lanciato dal Presidente degli Stati Uniti Joe Biden da Tokyo, durante il suo viaggio in Asia. Malesia, Singapore, Indonesia, Filippine, Brunei, Vietnam e Thailandia hanno invece aderito insieme anche a India, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda in un gruppo che comprende il 40% del PIL mondiale. Il programma intende rafforzare le catene di approvvigionamento e la collaborazione tra i partner, in particolare nei settori del commercio digitale e della transizione energetica con un focus sullo sviluppo delle energie rinnovabili. I Paesi del Sud-Est asiatico hanno chiarito più volte che vorrebbero vedere un maggiore impegno degli Stati Uniti sotto il profilo commerciale e in passato hanno espresso la loro frustrazione per il ritiro di Washington dal Partenariato Trans-Pacifico (TPP) da parte dell’ex presidente americano Donald Trump nel 2017. L’amministrazione Biden non ha mostrato interesse a tornare al patto, il cui “problema principale” era la mancanza di sostegno da parte del Congresso. Allo stesso tempo la Casa Bianca prova a convincere l’ASEAN, attraverso l’IPEF, che gli USA sono pronti a fare la loro parte per sostenere lo sviluppo commerciale, infrastrutturale, ambientale e digitale della regione e contenere l’impatto economico della guerra in Ucraina. Eppure, l’amministrazione Biden ha chiarito preventivamente che non si trattava di un accordo di libero scambio e che dunque la cornice non porterà a un abbassamento delle tariffe sulle importazioni. La neutralità dell’Associazione è stata comunque ribadita ed esemplificata dalle parole con cui il Premier di Singapore, Lee Hsien Loong, ha annunciato l’adesione al programma lanciato da Biden. “L’Asia non ha bisogno di un equivalente della Nato”, ha dichiarato Lee riferendosi anche al summit del Quad. E ha chiarito la volontà inclusiva del Sud-Est asiatico chiedendo contestualmente al lancio dell’IPEF il via libera all’ingresso della Cina nel TPP. Cooperazione sì, contrapposizione no.

Perché l’Asia pensa sempre più al nucleare

A Singapore, il ministro di stato per il Commercio e l’Industria Alvin Tan ha parlato al parlamento di opzioni energetiche alternative come quelle ad idrogeno, geotermiche e nucleari

Diversi paesi dell’Asia orientale stanno prendendo in considerazione l’opzione nucleare per reagire alla carenza dell’offerta globale di energia determinata dal conflitto russo-ucraino. Si tratta di una soluzione allettante per molti governi regionali, che per promuovere la crescita interna si trovano a fare i conti con le conseguenze economiche della crisi sanitaria.

L’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sul Cambiamento climatico (IPCC) è molto chiaro sull’emergenza ambientale e sociale che attende la comunità internazionale nel prossimo futuro. È urgente ricorrere a misure decisive per ridurre drasticamente le emissioni di gas serra entro il 2025 se si vuole tentare di raggiungere l’obiettivo degli Accordi di Parigi e contenere il riscaldamento globale a 1,5 °C sopra i livelli pre-industriali. In occasione della COP26 di Glasgow, che si è tenuta lo scorso novembre 2021, i paesi partecipanti sono stati incoraggiati ad abbandonare rapidamente i combustibili fossili per evitare il disastro climatico, e a prendere in considerazione il ricorso all’energia nucleare.

L’Asia orientale – per caratteristiche geografiche e strutture socio-economiche – è tra le regioni più sensibili al deterioramento ambientale e climatico. Le conseguenze del riscaldamento globale si abbattono già con inclemenza sulle condizioni di vita delle comunità regionali, costringendo molte persone a migrare e altre a fare i conti con l’innalzamento del livello del mare e con fenomeni climatici estremi.

Per queste ragioni i governi nazionali hanno fatto della sostenibilità e della de-carbonizzazione imperativi imprescindibili dei loro programmi politici. Le difficoltà economiche che hanno fatto seguito alla pandemia e le contingenze geopolitiche in Europa orientale hanno messo in crisi questi buoni propositi, poiché al di là delle istanze ambientaliste la crescita economica resta l’obiettivo principale di questi mercati emergenti.

Chi sono i sostenitori della svolta nucleare

La Cina ha approvato da poco la costruzione di sei nuovi reattori nucleari per portare avanti la sua politica di de-carbonizzazione. La grave carenza di energia elettrica sperimentata lo scorso autunno 2021 aveva costretto le amministrazioni locali cinesi a razionare l’accesso alla corrente. Questo avrebbe messo le autorità nazionali di fronte alla necessità incalzante di trovare soluzioni energetiche che soddisfino l’imponente domanda nazionale senza sacrificare gli impegni per il clima.

Il Giappone, pur essendo rimasto scottato dal disastro di Fukushima del 2011, sta pensando di ricorrere al nucleare per sopportare le conseguenze sui prezzi dell’energia determinate dalla guerra in Ucraina. Il nuovo primo ministro Fumio Kishida è abbastanza favorevole a questa transizione, secondo Nikkei Asia. L’8 aprile avrebbe dichiarato ad alcuni giornalisti di avere l’obbiettivo di “massimizzare l’uso delle energie rinnovabili e dell’energia nucleare in seguito al divieto di importazione del carbone russo”.

Il neoeletto presidente della Corea del Sud, il conservatore Yoon Suk-yeol ha promesso una svolta nucleare per emancipare l’economia nazionale dal carbonio. Il progetto di revisione del mix energetico è stato definito “inevitabile” affinché la Seul raggiunga i suoi obiettivi climatici.

A Singapore, il ministro di stato per il Commercio e l’Industria Alvin Tan ha parlato al parlamento di opzioni energetiche alternative come quelle ad idrogeno, geotermiche e nucleari. Anche se uno studio del 2012 aveva stabilito che le convenzionali tecnologie dei grandi reattori nucleari non erano appropriate per la piccola città-stato asiatica, oggi le infrastrutture possono essere molto più piccole e sofisticate, e anche Singapore potrebbe trarre vantaggio da questa industria.

Anche le Filippine accarezzano l’idea di virare verso il nucleare. Il segretario dell’Energia Alfonso Cusi è un forte sostenitore di questa opzione energetica, e ha dichiarato l’anno scorso al canale televisivo ANC che si tratta di un’alternativa strategica per ridurre le importazioni di petrolio. A febbraio, il presidente Rodrigo Duterte ha firmato un ordine esecutivo che prevede l’inclusione dell’energia nucleare nel mix energetico nazionale.

Altri paesi della regione, tra cui Indonesia, Malesia, Thailandia e Vietnam, stanno vagliando o implementando piani per produrre energia nucleare, anche se molti progetti restano in stand-by per questioni di costi e sicurezza.

Songkran ai tempi della pandemia

Dopo due anni di pandemia, la Thailandia prova a ritornare alla normalità per la sua festa più celebre, anche se le restrizioni continuano a frenare la ripresa.

Il Songkran è la più grande e famosa delle numerose feste tradizionali della Thailandia. Questo periodo di festa è diffuso anche in altri Paesi del Sudest Asiatico e celebra l’inizio del nuovo anno nel calendario buddista ed Induista. In particolare, il Songkran thailandese, che peraltro capita nel mese più caldo dell’anno, è conosciuto oltre che per i grandi combattimenti con le pistole d’acqua, popolarissime tra i turisti, anche per  le cerimonie di purificazione. La tradizione vuole infatti che, oltre alle numerose processioni, i fedeli rendano omaggio agli anziani o ai propri cari lavando loro le mani con dell’acqua. Inoltre, si usa pulire al meglio le proprie case e le statue del Buddha nei templi in modo tale da celebrare la rinascita e la purificazione. Ogni anno i festeggiamenti iniziano il 13 aprile e normalmente durano tre giorni, permettendo alle famiglie di riunirsi nel proprio villaggio per le celebrazioni. Per questo motivo, quindi, ogni anno si assiste ad un esodo di lavoratori che dalla capitale si spostano nelle province di origine.

La tradizione, interrotta a causa del lockdown, quest’anno si è potuta nuovamente rinnovare, con la popolazione che si è messa in viaggio  per visitare i propri familiari e celebrare i consueti rituali. A causa della pandemia da COVID-19, infatti, negli ultimi due anni era  stato vietato ogni altro tipo di festeggiamento popolare per evitare la diffusione del virus.  Anche quest’anno, tuttavia,  le celebrazioni sono state fortemente limitate. Infatti, nonostante il numero di contagi nella settimana di Songkran fosse minore ai 20,000 casi giornalieri e quindi ben inferiori alle cifre a cui siamo abituati in Italia (con una popolazione leggermente maggiore), il governo continua a imporre regole molto severe al fine di contenere la pandemia. 

Per la delusione di molti turisti, tutti gli spruzzi con le pistole d’acqua od ogni tipo di giochi acquatici sono stati vietati nelle aree pubbliche delle più grandi città, Bangkok inclusa, per il terzo anno consecutivo. Anche le discoteche e i locali notturni sono rimasti chiusi e la somministrazione di alcol in occasione delle celebrazioni è stata vietata. Nei luoghi più turistici della capitale, come la popolarissima Khao San Road, si poteva assistere da una parte a negozianti che provavano a vendere invano pistole d’acqua, e dall’ altra all’esercito Thai intento ad annunciare con altoparlanti il divieto di utilizzarle.  

La festa di Songkran avrebbe anche rappresentato un importante momento per rilanciare l’economia, visto l’aumento dei consumi in vista delle celebrazioni. Ma quest’anno, a causa dell’aumento del tasso d’inflazione nel contesto di una fragile ripresa economica e il mantenimento delle restrizioni per limitare il contagio, i consumi sono rimasti ben inferiori rispetto ai livelli pre-pandemici. Per di più, per un Paese che vive di turismo (settore che, secondo la Banca di Thailandia, nel 2019 ha rappresentato circa l’11% del PIL e impiegato circa il 20% della forza lavoro) le macchinose politiche di ingresso hanno scoraggiato molti turisti stranieri, frenando ulteriormente la ripresa. 

Infatti, nonostante molti paesi vicini abbiano alleggerito i requisiti per entrare, la Thailandia ha mantenuto delle onerose regole che richiedevano, anche ai turisti vaccinati, costosi COVID test all’arrivo e quarantene in alberghi selezionati. Per questo motivo, alcune proiezioni riguardo le prenotazioni in strutture turistiche per il 2022 mostrano che la Thailandia ha recuperato solo il 25% dei turisti pre-pandemia, rimanendo indietro rispetto alla stessa cifra di 72% e 65% per Singapore e le Filippine rispettivamente. 

Dal primo maggio, in ogni caso, sarà sufficiente un test fai da te e una copertura assicurativa minima per entrare nel Paese, con la speranza che un rinnovato afflusso di turisti possa ridare l’agognato sostegno all’economia travolta dal Covid.

Neutralità e pacifismo capisaldi della ASEAN WAY

Editoriale a cura di Michelangelo Pipan

Vicepresidente dell’Associazione Italia-ASEAN

I Paesi ASEAN intendono restare neutrali, continuando a perseguire equilibri fondati su equidistanza e diplomazia economica proattiva. 

All’indomani del vertice con gli USA, l’ASEAN si conferma restia a schierarsi, a lasciarsi trascinare in contese geopolitiche, fedele ai suoi principi fondanti quasi a voler estendere fuori dai confini quella Asean Way che ne ha accompagnato l’espansione. I Paesi ASEAN intendono restare neutrali, continuando a perseguire  equilibri fondati su equidistanza e diplomazia economica proattiva (vedasi RCEP) – che da due anni li hanno portati a essere il principale partner commerciale della Cina, superando USA, terzi, e UE, salita al secondo posto.

Biden chiedeva al vertice di rimediare alla scarsa attenzione della presidenza Trump. Obbiettivo raggiunto dal punto di vista formale, senza però far uscire l’ASEAN dalla comfort zone intesa a non guastare l’amicizia con le grandi potenze. Il Joint Vision Statement finale sembra interamente scritto dal lato asiatico del Pacifico: ripetuti richiami ai capisaldi di neutralità, pacifismo e Nuclear Free Zone dell’ASEAN, alla composizione pacifica delle controversie, all’impegno per pace e stabilità regionali. Nel capitolo sul Mar Cinese Meridionale – titolato significativamente  “Promozione della Cooperazione Marittima” – la Cina non viene menzionata e toni pacati sostengono la risoluzione pacifica delle dispute sulla base della legge internazionale. La breve parte sull’Ucraina si limita a riaffermare  – precisando: as for all nations – il rispetto per sovranità, indipendenza politica e integrità territoriale, chiedendo l’immediata cessazione delle ostilità. 

Nelle capitali i leader ASEAN incassano plauso: l’Associazione deve rimanere neutrale; la RCEP rimane il contesto di riferimento; l’Indo Pacific Economic Partnership, non ancora meglio definita iniziativa Usa, “non (le) è assolutamente paragonabile”.

Europa e Italia hanno interesse nel consolidamento di potenze intermedie che contribuiscano al regolare funzionamento della globalizzazione, che dovrà riprendere lungo direttrici meglio meditate e governate. In tal quadro i Paesi ASEAN si confermano – anche come trampolino per gli altri mercati asiatici – interlocutori naturali per l’Italia. Una grande opportunità per il nostro Paese, i suoi distretti industriali e la sua naturale vocazione all’export.

Dighe del Mekong: l’impatto su comunità ed ecosistemi

Il Centro studi vietnamiti apre al dibattito sullo sviluppo della regione, che negli ultimi anni è trainato da progetti infrastrutturali tanto ambiziosi, quanto controversi

Giovedì 12 maggio il Centro studi vietnamiti (Csv) ha ospitato un webinar per approfondire gli aspetti ambientali, sociali e legali che ruotano intorno alla costruzione di dighe lungo il Mekong. Si tratta di un’area che occupa 790 mila km2 e abbraccia paesi molto diversi tra loro per governo, economia e demografia: tutti fattori che influenzano priorità (e quindi approcci) al tema dello sviluppo. I nove interventi, preceduti dai saluti dell’ambasciatore Duong Hai Hung, hanno cercato di coprire tutti questi aspetti: tra i relatori, esperti di scienze della Terra, ittiologia, impianti idroelettrici e diritto. 

Un ecosistema in pericolo

Come ha spiegato il professore Simone Bizzi, il Mekong funziona come un organismo a sé. Ogni elemento dell’ecosistema fluviale è in costante mutamento e si autoregolamenta per mantenere la propria “salute”. L’inserimento di organismi alieni, come dighe e centrali idroelettriche, può avere un impatto devastante – soprattutto se l’intervento non avviene nel rispetto delle specificità del territorio.

Un caso studio è quello delle dighe costruite nel bacino alto del Mekong, dove la Cina sta investendo ingenti risorse per potenziare lo sviluppo dell’area attraverso l’idroelettrico. Solo lungo il Lancang, affluente situato nella provincia dello Yunnan, sono operativi 65 impianti e Pechino ha in programma la costruzione di altre 23 dighe. Tra i diversi problemi, la loro presenza sta “inceppando” il trasporto dei sedimenti, che ogni anno ammontano a circa 160 mega tonnellate (trenta volte il peso della piramide di Giza): l’accumulo dei sedimenti provoca la stagnazione a monte del corso d’acqua, mentre non arrivano più i nutrienti che sostengono la biodiversità a valle. Un fenomeno che non ha conseguenze solo sul pescato, ma anche sulle risaie e le attività agricole in generale.

Sviluppo (in)sostenibile

I cambiamenti climatici pongono un’ulteriore sfida al normale funzionamento dell’ecosistema fluviale (e di tutte le attività che dipendono da esso). Il flusso d’acqua, già ridotto dalla presenza delle dighe, è soggetto a stagioni di secca sempre più intense. Nel 2019 il Mekong ha toccato il livello più basso degli ultimi 100 anni, un record che da eccezione sta diventando regola. Davanti alla carenza d’acqua, come segnala anche l’Osservatorio sulle dighe nel Mekong dello Stimson center, alcuni sbarramenti finiscono per contenere ulteriormente il flusso e penalizzano le aree del settore meridionale. Questo accade soprattutto nella sezione cinese del Mekong, accusano gli esperti, anche quando il livello delle precipitazioni è nella norma.

I progetti per la costruzione di nuove centrali idroelettriche non sono comunque fermi. Al contrario: lungo gli affluenti del Mekong continuano ad aumentare i finanziamenti per la costruzione di nuovi impianti, complice la crescente domanda di energia elettrica di Laos, Cambogia, Myanmar, Thailandia e Vietnam. Alcuni di questi paesi sono altamente dipendenti dall’idroelettrico, come evidenziano i dati di Phnom Penh sul mix energetico cambogiano: il 55% della capacità produttiva di elettricità proviene dalle centrali idroelettriche. Al rischio di squilibri nell’approvvigionamento energetico si aggiunge la dipendenza finanziaria: che siano investimenti a opera di compagnie straniere o banche di sviluppo, oppure i debiti maturati nei confronti delle imprese appaltatrici.

Infine, la costruzione di dighe può avere effetti sociali immediati o nel lungo termine. Nel primo caso, le popolazioni limitrofe potrebbero vedersi espropriare i propri terreni – quando il progetto non richieda direttamente la rilocazione dei villaggi. In seconda battuta, il degrado ambientale che fa seguito alla mala gestione dei progetti riduce le opportunità di sostentamento e sviluppo di quei cittadini che dovrebbero beneficiarne.

Soluzioni (o compromessi?)

Come ha sottolineato il professore Massimo Zucchetti, accade che dopo un’attenta revisione i piani per la costruzione di nuove centrali idroelettriche debbano essere cancellati e ripensati dall’inizio: nello stato nordorientale indiano dello Uttarakhand ben 23 progetti su 24 non hanno superato i criteri minimi di sostenibilità. Ciò accade, talvolta, per il mancato coinvolgimento degli attori locali o di esperti capaci di valutare l’impatto delle dighe nel contesto interessato. Le soluzioni per ridurre le esternalità negative esistono, e alcune di queste provengono dal bacino delle cosiddette “nature based solutions”. Queste ultime rappresentano un insieme di accorgimenti che hanno alla base il rispetto delle specificità del territorio e richiedono un intervento umano minimo.

Il problema della gestione dell’idroelettrico nel delta del Mekong non è solo ecologico, ma pone diverse sfide per la costruzione di un diritto ambientale capace di tutelare le comunità locali. L’ultima parte dell’incontro si è concentrata quindi sulle controversie legali che interessano un’area tanto vasta. La crescente scarsità di risorse idriche è riconosciuta da tempo come un fattore di accelerazione dei conflitti, e la mancanza di meccanismi adeguati aumenta i rischi di instabilità (nonché di cattivo adeguamento dei progetti). 

Il ruolo delle organizzazioni transnazionali

Che cosa può fare l’ASEAN in un contesto così complesso che riguarda oltre la metà dei suoi paesi membri? Secondo i ricercatori presenti, sono molti gli interventi che oggi rimangono in mano alle organizzazioni transnazionali. La maggior parte dei progetti per l’idroelettrico lungo il Mekong vede la partecipazione di banche di attori statali e privati, delle banche di sviluppo, dei gruppi di ricerca. La partecipazione pubblica è, inoltre, particolarmente importante per la gestione delle risorse locali. I diversi attori hanno anche le capacità per fornire i dati necessari a comprendere il contesto di riferimento – obiettivi ancora oggi difficili da raggiungere.

Quello che può accadere grazie all’intervento di organizzazioni super partes è la condivisione di esperienze e meccanismi di progettazione virtuosi. Un gruppo come l’ASEAN, inoltre, talvolta ha saputo fare fronte comune davanti ad attori di peso come la Cina, che in questo caso è tra gli interlocutori principali. L’altra faccia della medaglia, però, offre una panoramica ancora troppo attenta alla sostenibilità di facciata e poco all’effettivo sovrasfruttamento delle risorse presenti. Sulla carta, la parola “sviluppo sostenibile” si è diffusa tanto rapidamente quanto sono aumentati i consumi elettrici e l’emissione di gas climalteranti. Qui la sfida per tutti gli attori coinvolti dalle trasformazioni nel bacino del Mekong: saper innovare nel rispetto del territorio, dell’ecosistema e delle sue popolazioni.

ASEAN e India, ridefinendo le future strategie energetiche dell’Asia meridionale

Articolo di Aishwarya Nautiyal

L’India e l’ASEAN hanno mostrato la volontà di sviluppare un altro ecosistema rafforzando l’infrastruttura per le risorse rinnovabili condividendo l’esperienza e la conoscenza al massimo delle sue potenzialità tra i paesi membri.

La transizione verso una nuova sinergia con la crescente domanda ed il progresso tecnologico stanno portando ad una nuova necessità di fonti di energia alternative e pulite. L’ASEAN con l’alto livello di potenziale dalla spinta tecnologica all’intraprendenza è stata vista dall’India come uno dei principali partner sia che si tratti di scambi commerciali che di un nuovo potenziale di innovazione per il futuro fabbisogno energetico. Così il mondo sta affrontando scenari fluttuanti a causa dei quali la crescente domanda di energie efficienti e la dipendenza orientata al rischio hanno portato ad una nuova esigenza nell’esplorazione di strade future per settori verdi ed efficienti delle risorse energetiche. Una conferenza di alto livello tra i delegati dell’India e dell’ASEAN nel mese di febbraio 2022 ha mostrato la volontà di sviluppare un altro ecosistema per rafforzare l’infrastruttura per le risorse rinnovabili condividendo l’esperienza e la conoscenza al massimo delle sue potenzialità tra i paesi membri.


È stata data la priorità a nuovi centri energetici e alla creazione di capacità con assistenza tecnica per promuovere iniziative congiunte nella regione dell’Asia meridionale. L’iniziativa dell’India di accogliere l’esperienza dell’ASEAN verso l’integrazione del mercato verde è uno degli aspetti chiave. La rete elettrica dell’ASEAN è una delle aree chiave d’ interesse e il suo funzionamento efficiente ha portato a una fase di integrazione e adattamento attraverso vari progetti di sviluppo infrastrutturale, compresa la cooperazione strategica per affinare le conoscenze ed espandere le opportunità nella regione del subcontinente indiano. L’India è disposta a cooperare con l’Indonesia per facilitare una nuova dimensione di transizione nel settore delle energie rinnovabili. Gli scambi accademici insieme a nuove idee per l’incoraggiamento reciproco con un coordinamento efficace tra ricercatori e studenti è stata anche una prospettiva importante tra i responsabili politici dell’India e dei paesi membri dell’ASEAN.


L’integrazione del Grid tra i paesi dell’ASEAN e il suo piano di progettazione di nuove capacità è stata un’area chiave con i segnali di benvenuto. Il Ministero delle Miniere e dell’Energia della Cambogia ha evidenziato l’importanza di un’ambizione unificata mirata alle azioni pianificate per basse emissioni di carbonio in base alle quali l’idrogeno verde è visto dall’India come una nuova chiave per la decarbonizzazione guidata attraverso una formazione intensiva e competenze reciproche, coordinandosi con i partner del gruppo ASEAN. Alcuni recenti sviluppi nei paesi dell’ASEAN hanno mostrato un enorme potenziale nell’organizzazione e nell’attuazione di nuove strategie per la transizione verso le energie rinnovabili. L’Indonesia non vede l’ora di risolvere la capacità di stoccaggio, mentre l’ RPD del Laos ha mostrato progressi con un aumento dell’89% in nuovi progetti ecologici, tra cui la generazione di energia idroelettrica, l’energia solare, la produzione di energia rinnovabile leader nella biomassa per un totale di oltre 9100 MW.


La Thailandia, d’altra parte, ha lanciato un impianto solare da 2700 MW creando la sua multiutility comprensiva di pompaggio dell’acqua. L’India ha recentemente fatto progressi nella futura quota di energia insieme a nuove innovazioni tecnologiche garantendo la sua efficacia in termini di costi e infrastrutture competitive insieme a partner dell’ASEAN come Brunei, Filippine e Myanmar. Guardare avanti verso le sfide future con opportunità crescenti che utilizzano le competenze tecnologiche della smart intelligence attraverso una delle più grandi reti dell’industria IT dell’India incentrata sull’integrazione robotica per l’ingegneria può portare ad una produzione sostenibile per bilanciare la domanda per il futuro fabbisogno energetico in una regione così vasta e popolata. Il coordinamento reciproco con le nazioni ASEAN vicine può fornire una piattaforma per rafforzare la cooperazione bilaterale e condividere lo sviluppo umano bilaterale.


Una risposta richiesta per una nuova sicurezza energetica è stata mantenuta come uno dei settori ad alta priorità dai responsabili politici indiani insieme all’ASEAN promuovendo alternative ai biocarburanti come olio di palma, canna da zucchero e cocco è emersa come una componente importante dell’alternativa per guidare la futura produzione di energia. L’India produce grandi quantità di canna da zucchero nella sua terraferma nella parte settentrionale del suo territorio, mentre la produzione di cocco nell’India meridionale, insieme all’essere il più grande importatore di olio di palma dalla Malesia e dall’Indonesia, mostra una strada di risorse reciproche guidata dalla cooperazione tecnica e dalla condivisione delle conoscenze. Secondo la Planning Commission indiana, una delle principali preoccupazioni riguarda la sua vasta popolazione di 1,36 miliardi di persone la cui domanda è in aumento a causa dell’aumento del tenore di vita e della forza lavoro che ha bisogno di un nuovo tipo di politiche di sicurezza che garantiscano il futuro fabbisogno energetico.


Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, la sola India ha speso quasi 10,2 miliardi di dollari nel 2015 mitigando gli effetti dei cambiamenti climatici e concentrandosi su nuove strategie per la transizione solare ed eolica che sono diventate un campo dominante nel nuovo ecosistema indiano di sostenibilità energetica. Nuove sfide crescenti nelle città alle prese con un massiccio livello di inquinamento e l’urgenza di trovare nuove strade attraverso la ricerca e la fiducia reciproca negli investimenti in progetti infrastrutturali, visione collaborativa guidata dall’impegno dell’ASEAN India per avere successo oltre la strategia del singolo stato in una politica regionale unificata integrata attraverso l’armonizzazione mediante impegni in vari passaggi e aspetti con una visione di superamento di un compito arduo di differenza a livello nazionale di obiettivi e impegni che possono variare quantitativamente a causa della variazione degli obiettivi e del suo lasso di tempo per superare il meccanismo delle fonti energetiche convenzionali.

“Dal cielo, sulle montagne e negli oceani”

Come la gestione idrica della Thailandia nel settore agricolo può sostenere gli obiettivi globali

Articoli di Sarun Charoensuwan

Vice segretario permanente per gli Affari Esteri – Thailandia

Nel settembre del 2015, i 193 Stati membri delle Nazioni Unite hanno adottato un piano per garantire un futuro migliore per tutti, tracciando un percorso con l’intento di porre fine alla povertà estrema, contrastare le disuguaglianze, e proteggere il nostro pianeta attraverso i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS), in cui si sono impegnati a non lasciare indietro nessuno.

Tuttavia, ci sono ancora molte sfide da affrontare prima che il mondo possa raggiungere tali obiettivi. La Food and Agriculture Organization (FAO) ritiene che, entro il 2050, il mondo dovrà produrre il 60% in più di cibo per poter sfamare una popolazione pari a 9,3 miliardi, e non sarà un compito facile se il cambiamento climatico continuerà a rendere più difficile l’accesso a risorse naturali di qualità. Per tale ragione, gestire le risorse idriche in maniera efficiente, specialmente nell’agricoltura, sarà di fondamentale importanza.

In Thailandia 1/3 della popolazione lavora nel settore agricolo, che dipende principalmente dalla quantità annuale di pioggia. Le precipitazioni annue rivestono un ruolo chiave nella vita dei contadini thailandesi, e ciò si riflette nelle numerose cerimonie dedicate all’acqua nel Paese. Un chiaro esempio è il festival “Boon Bung Fai”, in cui gli abitanti della regione nordorientale lanciano nel cielo dei razzi artigianali per compiacere il dio della pioggia, chiedendogli piogge abbondanti per tutto l’anno. 

Il tradizionale Boon Bung Fai (Festival dei razzi)

Fonte: http://www.watpamahachai.net/

È stata proprio questa problematica ad attirare l’attenzione di Sua Maestà il Re Bhumibol Adulyadej Il Grande poco dopo la sua ascesa al trono nel 1946. La determinazione di Sua Maestà nell’affrontare questa problematica ha reso la gestione idrica nel settore agricolo parte integrante della politica di sviluppo della Tailandia ben prima dell’adozione degli OSS, come si evince dal discorso del re a Chitralada Villa del 17 marzo 1986: “…È fondamentale che ci sia acqua per il consumo e acqua per l’agricoltura perché lì c’è vita. Con l’acqua, gli esseri umani possono sopravvivere. Senz’acqua, gli esseri umani non possono sopravvivere. Senza elettricità, gli esseri umani possono sopravvivere. Con l’elettricità ma senz’acqua, gli esseri umani non possono sopravvivere…”.

Molti thailandesi si ricordano del periodo in cui, quasi ogni giorno, i notiziari parlavano delle visite del re alle aree remote della Tailandia colpite da siccità o inondazioni, nel tentativo di trovare soluzioni appropriate. Il dott. Sumet Tantivejkul, Segretario generale della Fondazione Chaipattana, ha riassunto il programma di gestione idrica del re Bhumibol con la frase: “Dal cielo, sulle montagne e negli oceani”.

“Dal cielo”: re Bhumibol ha istituito un “progetto reale di pioggia artificiale” per incrementare la fornitura d’acqua sia per l’agricoltura che per la produzione di energia elettrica. Il progetto è stato avviato nel 1955 quando Sua Maestà ha visitato i territori inariditi delle province nord orientali e si è accorto che, nonostante il cielo fosse nuvoloso, non pioveva. Ispirato da quest’osservazione, Sua Maestà ha sviluppato e perfezionato delle tecniche per realizzare la pioggia artificiale. Nei 50 anni successivi, le operazioni relative alla pioggia artificiale hanno prodotto una quantità d’acqua sufficiente per provvedere ai raccolti senza disagi e per alimentare adeguatamente le dighe idroelettriche.

Modificazione del clima mediante la “tecnologia reale di pioggia artificiale” 

Fonte: Google Patents

“Sulle montagne” si riferiva ai bacini idrici e ai sistemi di irrigazione costruiti durante il regno di Bhumibol per assicurare la disponibilità d’acqua per l’agricoltura e l’uso quotidiano durante tutto l’arco dell’anno. Il loro scopo era anche di contenere gli effetti delle inondazioni riversando l’acqua in eccesso “negli oceani” nei tempi giusti. La diga di Pasak Jolasid, la più grande diga a terrapieno di tutta la Thailandia, è una delle iniziative più conosciute di Sua Maestà per gestire i problemi legati a siccità e inondazioni nell’area del fiume Pasak, uno dei maggiori affluenti del fiume Chao Phraya, che attraversa circa 352.000 ettari di terre coltivabili compresa la Regione metropolitana di Bangkok e i territori adiacenti. È stata progettata per raccogliere e conservare l’acqua in eccesso dal corso superiore del fiume durante la stagione delle piogge, nonché per ridurre il rischio di inondazioni nel corso inferiore.

Diga di Pasak Jolasid

Fonte: sito web Office of the Royal Development Projects Board (Ufficio dei progetti di sviluppo della Corona)

Diga di Pasak Jolasid

Fonte: sito web Public Relations Department (Dipartimento per le pubbliche relazioni)

Oltre a regolare il flusso idrico, diversi progetti della Corona hanno utilizzato con successo le moderne tecniche di irrigazione assieme al rimboschimento e al risanamento del suolo. Un chiaro esempio è l’Hub Kapong Royal Project Learning Centre (centro di apprendimento Hub Kapong) a Cha-am, nella provincia di Petchaburi. Il progetto è iniziato nel 1964, quando il re ha visto con i propri occhi le avversità di contadini e abitanti del luogo che non possedevano né terra né capitale. Sua Maestà ha poi deciso di rimboschire 1932 ettari di aree forestali in stato di degrado.  

Hub Kapong Royal Project Learning Centre

Fonte: sito web Thailand Sustainable Development Foundation (Fondazione per lo sviluppo sostenibile della Tailandia)

Il progetto vanta la straordinaria cooperazione del governo di Israele, esperto mondiale nelle tecnologie agricole come l’irrigazione a goccia e la coltivazione in serra, grazie a cui sono state rese arabili diverse aree dei deserti israeliani. Con il passare del tempo, il suolo degradato a Hub Kapong è stato gradualmente risanato e oggi i contadini del luogo hanno la possibilità di coltivare diverse varietà di frutta e verdura fra cui asparagi, pomodori e meloni, cosa assolutamente impensabile 50 anni fa. Il progetto ha inoltre fornito agli abitanti nuove infrastrutture, conoscenze nella gestione comunitaria e formazione nelle attività delle cooperative, dunque migliorando sensibilmente la qualità della vita.

Hub Kapong ha compiuto enormi progressi e continua a sviluppare nuove pratiche di agricoltura sostenibile. Ha adottato il modello “Nuova Teoria” del re Bhumibol, in base a cui la terra viene divisa in quattro parti: 30% per la conservazione delle acque irrigue, 30% per la coltivazione di riso, 30% per la coltivazione di vari tipi di piante e il restante 10% per le zone residenziali e gli allevamenti. Questa ripartizione permette alle famiglie di diventare autosufficienti e riduce i rischi derivanti dalle monocolture destinate esclusivamente alla vendita. Oggi, il modello “Nuova Teoria” si è evoluto nel modello “Khok Nong Na”, promosso dal Sua Maestà il Re Maha Vajiralongkorn, che unisce il sapere dei contadini locali al modello “Nuova Teoria”, in modo che le soluzioni stabilite possano soddisfare le necessità e le condizioni di ciascun luogo.

Il principio chiave del modello Khok Nong Na è conservare acqua in quantità sufficiente concentrandola in tre aree principali: collina, palude e risaia.

Fonte: sito web Surin Provincial Agriculture and Cooperatives Office (Ufficio per l’agricoltura e le cooperative della provincia di Surin)

Come Hub Kapong, varie iniziative di re Bhumibol relative alla gestione idrica sono state condotte inizialmente come uno studio pilota in una piccola area per poi espandersi in altri siti, allo scopo di esaminare la loro efficacia in vari ambienti. Ad oggi, i contadini dell’intera Tailandia hanno applicato le conoscenze acquisite tramite questi progetti ottenendo risultati impressionanti, dimostrando quindi che l’eredità di re Bhumibol è stata raccolta e sviluppata ulteriormente da Sua Maestà il Re Maha Vajiralongkorn. I risultati di tali iniziative e progetti sono certamente in grado di offrire una risposta a chi ha bisogno di pioggia ed essere una guida verso il raggiungimento degli OSS.

* * * * *

Sarun Charoensuwan è un diplomatico di lungo corso con vasta esperienza in relazioni bilaterali e multilaterali. Ha ricoperto la carica di Segretario generale di tre dipartimenti regionali presso il Ministero degli Affari Esteri, compresi il Dipartimento degli Affari Europei, degli Affari per l’Asia Orientale, e degli Affari per l’America e il Pacifico Meridionale. È stato ambasciatore tailandese in Francia dal 2018 all’inizio del 2022 prima di rientrare nel proprio Paese. È stato nominato vice Segretario generale permanente per gli Affari Esteri ed è responsabile delle relazioni bilaterali della Tailandia. 

Il Crypto Gaming nel Sud-Est asiatico

Negli ultimi mesi, la popolarità dei giochi play-to-earn basati sulla tecnologia blockchain ha continuato a crescere. Il videogioco online Axie Infinity, sviluppato dalla società vietnamita Sky Mavis, è diventato il simbolo di questa tendenza. Tuttavia, la corsa alla realizzazione di un universo digitalesostenuto datransazioni decentralizzatepotrebbe aver subito una prima battuta d’arresto. 

“Axie è una nazione digitale dove le persone in tutto il mondo si riuniscono con i loro Axie per giocare, guadagnare e vivere. Benvenuti nella nostra rivoluzione.” Così Sky Mavis presenta la propria mission. L’esperimento lanciato dalla startup vietnamita ha reso effettivamente reale – per i giocatori più dediti – la possibilità di guadagnare migliaia di dollari al mese allevando, collezionando e scambiando i propri avatars unici, digitalizzati come NFT, dando vita così a un’economia di proprietà degli utenti. Moneta degli scambi, nonché principale fonte di reddito sulla piattaforma Axie, sono i token ERC-20 chiamati Smooth Love Potion (SLP). Fino a qualche mese fa, questa criptovaluta poteva essere accumulata illimitatamente completando missioni o vincendo battaglie e riscattata per nuove funzionalità di gioco, o alternativamente convertita in moneta reale. 

Secondo Aleksander Larsen, co-fondatore e COO di Axie Infinity, il segreto del successo di Axie risiederebbe proprio nel sostanzioso incentivo monetario offerto agli utenti in cambio del tempo speso quotidianamente sul videogioco. Tuttavia, lo scorso 4 febbraio gli sviluppatori del gioco hanno deciso di intervenire drasticamente per bilanciare il sistema, azzerando le ricompense per la “Modalità Avventura” e la “Ricerca Quotidiana”, ponendo di fatto un tetto alla quantità di SLP emessi ogni giorno, al fine di limitare l’inflazione. Se, nel momento di massimo splendore, un giocatore poteva guadagnare fino a 150 SLP al giorno, per un valore di 54 dollari statunitensi, a dicembre dello scorso anno il bottino massimo è stato dimezzato a 75 SLP, dal valore non superiore a due dollari. Simultaneamente, il prezzo base degli Axie è sceso da circa 300 dollari ad agosto a soli 25 dollari a febbraio.

Il crollo del prezzo dell’SLP si spiegherebbe con la tendenza dei giocatori a convertire i token in valuta reale invece che reinvestirli all’interno del videogioco, causando un eccesso di offerta: le modalità con cui gli SLP venivano “bruciati” attraverso l’allevamento di nuovi Axie non riuscivano a stare al passo con la velocità con cui grandi quantità di token venivano emesse sul mercato.

Jeffrey Zirlin, altro co-fondatore del gioco, non si è detto stupito di fronte a questi squilibri e ha paragonato la volatilità in termini di flusso di capitale a quella che tipicamente caratterizza le nazioni con un mercato emergente. Al contrario, ha sottolineato la forza innovatrice di Axie Infinity, pioniera nella tendenza a trasformare le piattaforme di gioco digitali in economie di proprietà dei giocatori reali e, di conseguenza, prima a dover fronteggiare eventuali risvolti negativi.

In effetti, è bastato l’annuncio della versione aggiornata con i relativi aggiustamenti in termini di fornitura di SLP – a invertire un trend ribassista che durava ormai da tempo. Nel giro di sole 24 dal lancio della “Stagione 20”, il valore della criptovaluta del gioco è cresciuto del 40%. Inoltre, le significative modifiche apportate lascerebbero intravedere una serie di altri vantaggi, tra maggiori possibilità che l’economia del gioco possa svilupparsi in maniera sana e sostenibile nel tempo. “Riteniamo che il modo più veloce per ridurre questa volatilità sia per tutti noi fare i conti con le nostre responsabilità collettive all’interno di Axie e lavorare rapidamente per creare consenso e consentire gli sforzi reciproci della comunità”, si legge nella presentazione ufficiale dell’aggiornamento. “La prosperità in una comunità arriva quando collettivamente crea più valore di quello che consuma”.

Tuttavia, l’incertezza nel mondo delle criptovalute non dipende solo dalle oscillazioni del mercato. Alla fine di marzo, Ronin, la rete blockchain che supporta il videogioco, è stata presa di mira in un attacco hacker durante il quale al celebre videogioco è stato sottratto l’equivalente di oltre 600 milioni di dollari (reali) in Ethereum. Larsen ha riaffermato la solidità finanziaria di Sky Mavis, che nel frattempo si è messa all’opera per risarcire completamente i giocatori delle perdite subite. Tuttavia, ha riferito a Bloomberg che il recupero parziale dei fondi rubati potrebbe richiedere fino a due anni. Resta da vedere se la popolarità del gioco sopravviverà alle questo furto da record e se la società di Ho Chi Minh sarà capace di rispondere con prontezza ed efficacia a questi attacchi inediti e imprevisti ai propri sistemi di sicurezza, confermandosi capofila nel settore del Crypto Gaming.

Filippine, vince Marcos Jr.: quali prospettive per Manila?

Il figlio dell’ex dittatore conquista una maggioranza schiacciante. Che cosa significa la sua ascesa al potere per il Paese del Sud-Est asiatico?

Il 9 maggio 2022 le Filippine hanno rimesso un Marcos alla guida del Paese. E con risultati inequivocabili: poche ore dopo la chiusura dei seggi, Ferdinand Marcos Jr. aveva già ottenuto un distacco netto nei confronti dell’altra candidata di punta, Leni Robredo. A dettare il successo di “Bongbong” anche la scelta di Sara Duterte come sua candidata alla vicepresidenza. Si tratta del successo elettorale più ampio mai registrato da un candidato dal 1989, quando Corazon Aquino ha ottenuto la carica sulla spinta delle rivolte contro Marcos padre. 

Ferdinand “Bongbong” Marcos Jr.: chi è

Classe 1957, Ferdinand Marcos Jr. è l’unico figlio maschio dell’ex dittatore filippino. Esiliato con la famiglia a Honolulu dopo il crollo del regime, è rientrato nelle Filippine nel 1991, due anni dopo la morte del padre. Dal rientro in patria all’entrata in politica sono passati solo pochi mesi: la Presidente Aquino aveva infatti concesso sia il ritorno nelle Filippine che la possibilità di rientrare in politica. Ferdinand “Bongbong” Marcos Jr. è stato prima deputato, poi governatore di Ilocos Norte (storico feudo della dinastia Marcos), e infine membro del Congresso e senatore tra il 2010 e i 2016.  A Ilocos Norte, ciononostante, alcuni lo ricordano come un governatore assente: si era iscritto a Oxford ed era spesso negli States, ma non ha mai concluso la sua carriera accademica oltre il diploma.

Nel 2016 si è candidato alla vicepresidenza, ma ha perso contro la candidata Leni Robredo – nota successivamente per la sua opposizione alle politiche di Duterte. Non è quindi un caso che Marcos Jr. abbia presto ereditato il bacino elettorale di Duterte (nonostante alcuni screzi tra i due).  La sua vittoria era prevista dai sondaggi, dove superava il 55% delle preferenze. Le promesse in campagna elettorale sono state definite dagli osservatori come “vaghe”, ma ciò non ha impedito a Bongbong di portare a casa un successo inaspettato, il più eclatante dai tempi dell’elezione di Aquino.

Disillusione e social media

La disillusione nei confronti della classe politica ha contribuito in buona parte all’ascesa incontrastata di Marcos Jr. Nonostante le promesse vaghe, il neoeletto Presidente ha sempre giocato sulla necessità di ricreare un Paese più giusto, dove non dilaghino la corruzione e il separatismo (che non ha mancato di farsi sentire anche in occasione delle elezioni 2022). Inoltre, l’immagine “ripulita” dei Marcos sui social media ha contribuito a creare la narrazione di “un’epoca d’oro” che si era realizzata sotto il dominio di Marcos padre. Secondo i sostenitori del nuovo Presidente, infatti, sotto il regime di Marcos non sarebbe esistita una corruzione così dilagante, né i clan familiari avrebbero avuto tanto potere nei confronti della politica.

L’elezione di Marcos Jr. attira, come accaduto anche con Duterte, profonde riflessioni intorno al ruolo dei social. Le Filippine sono considerate uno dei Paesi più “social” in Asia, con ben 80 milioni di utenti online. Secondo un’indagine di Rappler, il punto di svolta di questo trend è stato il 2016, quando l’elezione di Duterte ha ricordato a molti il populismo dello statunitense Donald Trump. Almeno un milione di persone sono state esposte a notizie false o fuorvianti grazie alla diffusione di contenuti virali. Le Filippine hanno approvato una legge contro le fake news nel 2017 ma, come afferma lo stesso Marcos Jr., “è molto difficile per i governi gestire queste dinamiche”.

L’impatto delle presidenziali sull’ASEAN

Dal punto di vista dell’ASEAN un governo filippino potenzialmente debole potrebbe rappresentare un’altra questione con riflessi interni ed esterni. Il dossier sui territori contesi nel Mar cinese meridionale non è ancora risolto e il Codice di condotta promesso per gestire l’assertività cinese ancora irrealizzato. Se con Duterte la decisione di allontanarsi dagli Stati Uniti aveva l’apparenza di una strategia, con Marcos Jr. potrebbe trattarsi di una scelta obbligata dagli eventi. Sulla bilancia delle sfide per l’ASEAN Manila gioca un ruolo cruciale. A metà strada tra Washington e Pechino, le Filippine di Marcos Jr. potrebbero rimettere in primo piano le priorità del gruppo. Ma l’atteggiamento schivo di Bongbong, che ha evitato molte occasioni di dibattito pubblico, non aiuta a comprenderne la strategia diplomatica.

Secondo gli analisti, la presenza di un Marcos alla presidenza non favorisce il riallacciamento delle relazioni con Washington: un tribunale delle Hawaii nel 2011 ha condannato i Marcos a pagare una multa da 353,6 milioni di dollari per non aver dichiarato il proprio patrimonio. La somma non è stata mai pagata, e per questo motivo Marcos è teoricamente un ricercato che potrebbe andare incontro a una causa penale qualora mettesse piede negli Usa. Un problema non indifferente sia nel contesto delle visite presidenziali, che in occasione di summit multilaterali con l’ASEAN. Spinto dagli eventi, Bongbong potrebbe trovarsi sulla strada aperta da Rodrigo Duterte alla Cina (e ai suoi capitali): un percorso che, a seconda di come si muoverà il nuovo presidente, potrebbe trovare spazio grazie alla spinta della Vicepresidente Sara Duterte.

Il post Ucraina delle economie asiatiche

Articolo di Lorenzo Riccardi

La guerra avrà un effetto diretto sulle economie asiatiche che hanno più scambi con i paesi in conflitto ma sarà esteso in modo indiretto all’intera regione del Far East in relazione all’impatto sulle relazioni economiche Europa-Asia

Oltre alle sofferenze della crisi umanitaria causata dal conflitto in Ucraina, l’intera economia globale dovrà affrontare gli effetti di un impatto diretto in ogni regione e di una crescente inflazione.

Russia ed Ucraina sono tra i principali produttori di materie prime, gas naturale e petrolio, oltre a rappresentare il 30 per cento delle esportazioni mondiali di grano.

La Russia è il terzo maggior produttore di petrolio, il secondo esportatore di gas naturale e tra i primi produttori di acciaio e alluminio.

L’Ucraina è uno dei primi produttori di mais, grano, barbabietola da zucchero, orzo e soia; il loro ruolo strategico è interconnesso con molti paesi e regioni del mondo.

Nelle ultime settimane sono stati pubblicati molti rapporti dalle principali istituzioni finanziarie sulle stime per il commercio, gli investimenti e la crescita economica, dal Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale tutte le stime prevedono un rallentamento causato dal conflitto.

La guerra avrà un effetto diretto sulle economie asiatiche che hanno più scambi con i paesi in conflitto ma sarà esteso in modo indiretto all’intera regione del Far East in relazione all’impatto sulle relazioni economiche Europa-Asia.

La Cina, in base ai dati ufficiali delle dogane, ha registrato un volume di scambi con la Russia per 147 miliardi di dollari nel 2021 con un incremento del 36 per cento su base annua, mentre gli scambi con l’Ucraina sono stati pari a 19 miliardi di dollari nel 2021, con un incremento pari al 30 per cento sul trade aggregato. Questi dati rappresentano percentuali minori rispetto agli scambi con i principali partner commerciali di Pechino che sono la regione del Sud Est Asiatico, con le dieci economie dell’ASEAN, l’Unione Europea e gli Stati Uniti.

Gli effetti immediati sull’economia potrebbero essere minori grazie allo stimolo fiscale voluto dal Pechino per promuovere gli obiettivi di crescita 2022 e in relazione al fatto che il commercio con la Russia ammonta a meno dell’1% del prodotto interno lordo. Tuttavia, i prezzi delle materie prime e l’indebolimento della domanda nei grandi mercati di esportazione rappresentano una sfida.

Di fronte all’intensificarsi delle sanzioni da parte dei paesi occidentali, la leadership russa cercherà sempre più di rivolgersi a Pechino per promuovere nuovi flussi commerciali e nuovi strumenti finanziari con il sistema dei pagamenti internazionali CIPS alternativo al SWIFT e lo yuan cinese come moneta sostituita al dollaro americano.

La posizione della Cina non è né di condanna né di supporto verso la Russia, si è però espressa a gran voce contro le sanzioni, ritenendole inefficaci per la risoluzione del problema.  Questa posizione è diffusa in quasi la totalità dell’Asia Pacifico con l’unica eccezione per Giappone, Sud Corea, Singapore e Taiwan in Asia e Australia, Micronesia, e Nuova Zelanda nel Pacifico; che sono stati inseriti da Mosca in una lista di paesi e territori ostili per aver aderito alle sanzioni.

Per il blocco dei paesi ASEAN il commercio con la Cina vale il 20 per cento del trade internazionale in base ai dati 2021 comparato con 11 per cento verso Stati Uniti e 8 per cento con Unione Europea per tanto alcuni analisti valutano un possibile aumento dell’interazione economica intra-regionale nel Far East. Il volume degli scambi coi paesi in guerra sarà fortemente impattato ma tra le economie asiatiche solo Vietnam e Giappone hanno un surplus nella bilancia commerciale con Russia e Ucraina ed in generale il peso del volume di trade con questi paesi occupa quote minori del prodotto interno lordo locale. 

I paesi asiatici hanno vari livelli e tipi di esposizione all’economia russa e a quella ucraina, con maggiori criticità date dall’incremento nei prezzi dei settori energetico e alimentare oltre agli shock sulla catena di approvvigionamento manifatturiero che avranno un impatto diverso sui paesi della regione.

La Russia è un importante esportatore di energia, ma l’esposizione diretta dei paesi membri dell’ASEAN a questo riguardo è piuttosto limitata. ING Bank ha emesso un rapporto che stima l’impatto della guerra sulle economie asiatiche con indicatori legati al commercio, alle esportazioni, agli approvvigionamenti di gas e petrolio e all’incremento dei prezzi in ambito alimentare e con una classifica dei paesi asiatici più colpiti che risultano essere in ordine di rilevanza: Vietnam, Tailandia, Giappone e Sud Corea.

Secondo l’Asian Development Bank, l’impatto principale del conflitto sulle economie del Sud-est asiatico non sarà sulla crescita, ma bensì influenzerà il tasso di inflazione. Secondo la Banca Mondiale, i paesi della regione che vedranno la crescita maggiore nel 2022 sono le Filippine (5,7 per cento) la Malesia (5,5 per cento), il Vietnam (5,3 per cento), e l’Indonesia (5,1 per cento).

Il Fondo Monetario Internazionale ha previsto nel suo outlook di aprile un rallentamento dell’economia globale dovuto in primis al conflitto. Il rapporto del FMI prevede per la crescita mondiale una variazione dal +6.1 per cento nel 2021 al + 3.6 per cento nel 2022 con effetti anche sulla regione dell’Asia emergente che passerà da un incremento del 7.3 per cento del 2021 ad una performance 5.4 per cento nel 2022.

L’autore

Lorenzo Riccardi insegna presso Shanghai Jiaotong University ed è managing partner di RsA Asia (rsa-tax.com). Vive in Cina da 15 anni dove segue gli investimenti esteri nel Far East e ha ricoperto ruoli nella governance dei piu grandi gruppi industriali italiani. A gennaio 2020 ha completato un progetto di viaggio in ogni paese del mondo raccogliendo trend e dati economici da Shanghai, in ogni regione, lungo le nuove vie della seta (200-economies.com).

 

 

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