Asean

Accordi commerciali UE-Paesi ASEAN: a che punto siamo?

A Bruxelles c’è interesse per la conclusione di nuovi accordi di libero scambio, anche se la strada è in salita per i negoziati con i partner ASEAN. Le tensioni internazionali e le preoccupazioni domestiche (da entrambi i lati) rendono i negoziati più complessi. Ma il commercio internazionale rimane vitale per l’economia di entrambi i blocchi.

La Presidenza ceca del Consiglio UE aveva individuato a metà 2022, come sue priorità, la conclusione di nuovi free trade agreement (FTA) ‘in particolare in America Latina e nell’Indo-pacifico (…) con i partner like-minded’. Una priorità condivisa dai membri del Parlamento europeo che, durante le riunioni con i delegati di Praga che durante le prime settimane di Presidenza, hanno espresso l’urgenza di concludere gli accordi con Nuova Zelanda, Messico, Cile, Australia, India e MERCOSUR. In altre parole, a Bruxelles è vivo il desiderio aprirsi a nuovi mercati attraverso accordi bilaterali, ma si guarda ai differenti tavoli negoziali con diversi gradi di ottimismo. I trattati con Paesi ASEAN in discussione al momento – con Indonesia e Filippine – sembrano più difficili da concludere. I negoziati con Malesia e Thailandia sono rimasti bloccati per anni a causa delle vicende politiche interne dei due Paesi – se le trattative con Bangkok stanno ripartendo, quelle con Kuala Lumpur dovranno fare i conti con la crescente instabilità della politica nazionale. Tutto ciò nonostante l’UE abbia conseguito due recenti successi – i FTA con Vietnam e Singapore – proprio in questa regione.

Il negoziato in fase più avanzata è quello con l’Indonesia. Giacarta è un interlocutore essenziale per Bruxelles, e non solo sul piano commerciale. Il Paese è un attore fondamentale nell’ASEAN e anche nel G20, come ha dimostrato durante la sua recente Presidenza del Summit. Entrambi i partner sono interessati a rafforzare i rapporti commerciali, ma ci sono ancora dei nodi da sciogliere – in particolare, la tutela dei diritti di proprietà intellettuale (capitolo che abbraccia anche la protezione delle indicazioni geografiche) e l’annosa questione dell’olio di palma. La guerra russo-ucraina potrebbe incidere su questo punto dato che, da parte europea, la domanda di olii vegetali indonesiani sta crescendo – a causa della necessità di sostituire i fornitori nei Paesi coinvolti nel conflitto. Un altro tassello importante dell’accordo riguarderà gli investimenti. Anche in questo caso, l’opportunità economica si intreccia con quella politica. L’UE – come anche gli USA – si vuole presentare come un partner alternativo alla Cina nei progetti infrastrutturali strategici attraverso la strategia Global Gateway, pensata per rispondere alla Belt and Road Initiative di Pechino. Considerando che i rapporti commerciali Cina-Indonesia si stanno rafforzando anche grazie all’accordo RCEP, la conclusione di un FTA potrebbe aiutare Bruxelles a non perdere terreno rispetto a Pechino.

La tutela della proprietà intellettuale – in particolare quando riguarda il settore farmaceutico – è terreno di confronto anche nelle trattative con le Filippine. La percezione di Manila è che i negoziatori europei diano troppa priorità agli interessi dei detentori dei brevetti a discapito dell’interesse generale di accesso ai medicinali. Negli scorsi anni i negoziati erano andati a rilento anche a causa delle preoccupazioni dei MEP circa il rispetto dei diritti umani nel Paese – durante la campagna dell’ex presidente Rodrigo Duterte contro il traffico di droga avevano fatto scalpore le esecuzioni sommarie perpetrate dalle forze di sicurezza nazionali – e Strasburgo era arrivata a chiedere la sospensione del regime commerciale di favore GSP+. Il rispetto dei diritti umani, civili e politici è un requisito necessario per il proseguimento dell’iter negoziale dal punto di vista dell’UE – a riprova di questo, i negoziati con la Thailandia si erano interrotti nel 2014 a causa del golpe militare.

Anche questioni domestiche meno “sinistre” possono bloccare l’avanzamento delle trattative. Ad esempio, il dialogo con la Malesia si è interrotto a causa dell’incertezza politica nel parlamento di Kuala Lumpur: i recenti governi sono stati tutti sostenuti da maggioranze traballanti e mutevoli. E rimane difficile mettere d’accordo tutti gli stakeholder su temi complessi come i trattati commerciali. Per tornare al tema dell’olio di palma, gli agricoltori del settore sono un gruppo di pressione molto influente in Malesia e guardano con un certo fastidio alle politiche UE sul tema – e infatti i recenti governi nazionali sono stati molto duri verso Bruxelles, sollevando la questione anche in sede WTO, insieme all’Indonesia. D’altronde, anche la società civile europea ho opinioni forti, e di segno opposto, sul tema e influenza in questo senso le Istituzioni europee. I negoziatori europei si trovano a doversi destreggiare tra le richieste dei loro concittadini e quelle delle delegazioni dei partner, a volte anche divise al loro interno – in certi Paesi ASEAN, ministeri dello stesso governo sono in competizione tra loro per far prevalere gli interessi dei gruppi di pressione a cui sono più legati, a discapito di altre porzioni dell’economia o della società. 

Nonostante le difficoltà, proseguire nella liberalizzazione dei rapporti commerciali può portare grandi benefici a entrambi i blocchi, i quali devono all’export buona parte del loro dinamismo economico. La conclusione di accordi bilaterali tra l’UE e i singoli Paesi ASEAN potrebbe facilitare i negoziati per un futuro FTA region-to-region – questa sembra essere l’obiettivo finale di Bruxelles dopo il fallimento dello stesso progetto nel 2009. Superare le difficoltà tecniche e politiche – che abbiamo solamente tratteggiato in questo articolo – rappresenterebbe un segnale positivo in una fase in cui l’unilateralismo sembra diventare la cifra della politica commerciale internazionale.

ASEAN centro della connettività globale

Diversificazione, integrazione regionale e piano di sviluppo resiliente. Ecco i tre strumenti coi quali il Sud-Est asiatico può rafforzare il suo ruolo

Editoriale a cura di Lorenzo Lamperti

Come sappiamo, l’ASEAN è da sempre un caposaldo di una “terza via” della diplomazia globale, basata su neutralità e pacifismo. In un contesto come quello attuale, tra guerra in Ucraina e turbolenze varie che raggiungono anche l’area dell’Asia-Pacifico, diventa ancora più urgente per il Sud-Est asiatico riuscire a rafforzare quella sua politica di “non allineamento”, o meglio di “non confronto”. Magari legando la propria visione con quella di chi ha le stesse esigenze, cioè quelle di evitare il decoupling o un ritorno di un mondo diviso in blocchi. In che modo i Paesi del gruppo ASEAN stanno provando a perseguire questo obiettivo? Il primo strumento, individuato da Xue Gong della Nanyang Technology University di Singapore, è quello della diversificazione. Nel settore della connettività regionale, ad esempio, il Sud-Est asiatico ha cercato più partner per contribuire a soddisfare il bisogno di infrastrutture regionali. Oltre alla Belt and Road cinese e alla Partnership for Quality Infrastructure giapponese, si stanno esplorando anche altre piattaforme per migliorare l’integrazione regionale, come l’agenda per la connettività ASEAN-Europa e il programma ARISE (Asean Regional Integration Support from the EU). Il secondo strumento è quello del rafforzamento dell’integrazione regionale. Mantenendo aperti i dialoghi regionali e facendo leva sul loro valore strategico per ottenere vantaggi economici, gli Stati membri dell’ASEAN sono stati in grado di collaborare con vari attori regionali per rafforzare l’integrazione economica. Un esempio importante è la Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP). L’ultimo strumento, secondo Xue Gong, è la definizione di un piano di sviluppo resiliente. Rispetto al periodo della Guerra Fredda, oggi i Paesi non allineati avrebbero accesso a maggiori risorse grazie all’interconnessione economica. Poiché hanno prosperato grazie all’integrazione regionale, le élite del Sud-Est asiatico comprendono meglio di chiunque altro l’importanza di un’economia regionale aperta che attragga investimenti privati e relazioni commerciali reciprocamente vantaggiose. Un mercato del Sud-Est asiatico forte, attraente e densamente collegato aumenta la partecipazione degli altri Paesi nella regione, compresa quella delle grandi potenze. E nel mondo più globalizzato del XXI secolo, l’ASEAN può davvero elevare il suo status non solo commerciale ma anche diplomatico favorendo l’interazione tra le potenze.

Il vertice commemorativo UE-ASEAN

I leader dei due blocchi si danno appuntamento a Bruxelles per celebrare la partnership e trovare nuovi spazi di cooperazione

Articolo di Chiara Suprani

Il 14 dicembre i capi di Stato e leader nazionali dei Paesi del blocco ASEAN e dell’Unione Europea si incontreranno a Bruxelles per commemorare il 45esimo anniversario della formalizzazione della partnership bilaterale, elevata a “partnership strategica” come ha ricordato l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza Josep Borell in un discorso del 4 agosto. Tutti i capi di Stato saranno presenti, ad esclusione dei leader birmani, mentre si attende ancora la risposta del neo-premier malese. A fronte degli eventi che hanno caratterizzato gli ultimi anni l’occasione, preceduta da due incontri il 13 dicembre, quello del Summit della Gioventù e il decimo Business summit EU-ASEAN, è di grande rilevanza. Dato il clima internazionale, la sicurezza sarà uno dei temi cardine dell’evento. Bruxelles potrebbe cercare di ottenere una posizione più chiara da parte dei Paesi ASEAN sull’invasione russa dell’Ucraina, al fine di ricevere maggiori garanzie sul rispetto delle sanzioni imposte dall’UE alla Russia. L’evento, co-presieduto dalla Cambogia che ha la presidenza di turno ASEAN fino a fine anno, affronterà snodi chiave della relazione bilaterale tra i Paesi ASEAN e quelli europei come commercio e sostenibilità, energia rinnovabile, investimenti e connettività. Alcuni di questi snodi chiave sono già stati preceduti da accordi bilaterali tra Paesi membri come la “Partnership per la Sostenibilità” tra Svezia ed Indonesia. Giacarta, alla quale spetterà la presidenza ASEAN per il 2023,  ha attraversato 11 round di negoziati per la stesura di un accordo di libero scambio con l’UE, che ancora non è stato raggiunto. Secondo The Diplomat, l’UE dovrebbe puntare a raggiungere un compromesso negoziale per la firma indonesiana del trattato, un compromesso simile a quello concesso a Vietnam e Singapore, Paesi con i quali ha chiuso le negoziazioni, abbassando standard di sviluppo ed ecologici. Tuttavia, il 6 dicembre, Bruxelles ha varato una nuova legge per la prevenzione dell’importazione di beni responsabili per la deforestazione. La legge è stata fortemente criticata da Vietnam, Malesia e Indonesia. Tra questi prodotti sono presenti: caffè, soia e olio di palma, colture che nel 2020 hanno registrato un export rispettivamente di 2, 17 e 27 miliardi di dollari americani. Secondo Nikkei Asia, l’UE durante il Summit per il 45esimo anniversario, incoraggerà il Sud-Est asiatico ad incaricarsi di importanti ruoli nelle catene di approvvigionamento globali, seguendo la logica del “friend-shoring”. Il neologismo del “friend-shoring” riprende l’idea dei precedenti on-shoring e off-shoring, legando però la rilocalizzazione in Paesi che sono considerati amici. ASEAN e UE ad ottobre hanno siglato un nuovo livello di cooperazione di connettività con la firma dell’Accordo Comprensivo sui Trasporti Aerei (AE CATA), la prima intesa al mondo di questo tipo. L’accordo beneficia non solo i viaggiatori dell’accesso diretto a nuove destinazioni, ma auspica ad un maggior livello di coordinamento, anche manageriale, tra i Paesi Membri dell’ASEAN. Con il 2023 alle porte, un generale allentamento delle misure di contenimento della pandemia, e con la firma dell’AE CATA, ci sono le premesse per nuove opportunità commerciali per le imprese europee, che garantiscano condizioni di mercato eque e trasparenti. Trovare il giusto canale di comunicazione tra interessi particolari, necessità e standard sostenibili potrebbe essere uno dei punti caldi del dialogo del 14 dicembre. Eppure, tra la pandemia da Covid-19 e la guerra russo-ucraina, tra i rallentamenti delle catene di approvvigionamento, i divieti di esportazione strategici dei singoli Paesi membri atti a prevenire ulteriori crisi economiche sembra che le percezioni sulla relazione bilaterale siano tutto sommato positive. Secondo il sondaggio EU-ASEAN Business Sentiment Survey, la regione del Sud-Est asiatico è prima per migliori opportunità economiche nei prossimi 5 anni. Non solo, in generale tutte le prospettive nei confronti di commercio ed investimenti hanno ottenuto nel sondaggio aspettative di crescita positiva. In conclusione, il 14 Dicembre gli occhi saranno puntati a Bruxelles e al potenziale ancora inesplorato della relazione bilaterale ASEAN-UE.

ASEAN, l’amico di cui tutti hanno bisogno

In un momento in cui le turbolenze economiche, commerciali e geopolitiche sono molto diffuse, la regione del Sud-Est asiatico si sta confermando un porto sicuro per gli investimenti.

Editoriale a cura di Alessio Piazza

La coda della pandemia di Covid-19, la crisi energetica globale, l’inflazione galoppante, l’aumento del dollaro, l’indebolimento della domanda cinese. Solo per restare sul versante economico e finanziario. Per non parlare di quello geopolitico, tra guerra in Ucraina e vari altri fronti di tensione. Insomma, il mondo non sta passando un periodo particolarmente sereno. Eppure, c’è una regione che si sta dimostrando più resiliente di altre. Un termine di cui si è forse abusato di recente ma che sembra calzare a pennello per le economie dell’area ASEAN. Le sei maggiori economie del blocco- Indonesia, Thailandia, Filippine, Singapore, Malesia e Vietnam – si stanno rivelando tutt’altro che fragili di fronte agli shock globali degli ultimi mesi e ultimi anni. Singapore sta guadagnando terreno nei servizi finanziari e nell’alta tecnologia, il Vietnam e la Malesia stanno ricevendo maggiori afflussi di investimenti diretti esteri nel settore manifatturiero e l’Indonesia sta ricevendo fondi record per sfruttare le sue risorse minerarie, in particolare il nichel. Non solo. Oltre agli investimenti greenfield, il Sud-Est asiatico è stato il maggior destinatario di fusioni e acquisizioni completate in Asia nella prima metà del 2022, avendo ricevuto addirittura il 56% del totale dei flussi in entrata. Le transazioni in entrata nella sola Indonesia sono state due volte superiori a quelle della Cina continentale, ancora frenata dalle restrizioni anti Covid. È interessante notare come non sia solo l’Occidente a dispiegare più capitali nell’ASEAN, ma anche la Cina, che ha ridotto le operazioni offshore in altre regioni per concentrarsi proprio sul Sud-Est asiatico. L’Associazione di 10 membri e 680 milioni di persone rappresenta già il 3,4% del prodotto interno lordo globale e il 7,7% delle esportazioni mondiali. E la sua centralità è destinata a crescere. Ma anche sul fronte politico, la regione si è rivelata una irrinunciabile piattaforma di dialogo, come dimostrato durante i recenti summit multilaterali tenuti e conclusi con successo tra Cambogia (summit ASEAN), Indonesia (vertice del G20), e Thailandia (summit APEC). Non è un caso che il Financial Times abbia di recente definito l’area ASEAN come “l’amico diplomatico e commerciale di cui tutti hanno bisogno”.

Il dialogo globale riparte dall’ASEAN

Cambogia, Indonesia e Thailandia i tre punti cardinali dei vertici multilaterali che hanno segnato il ritorno della diplomazia in coda a un anno a dir poco turbolento

La difficile ripresa dalla pandemia di Covid-19, l’aumento a ritmo record dell’inflazione, la guerra in Ucraina, le tensioni tra Stati Uniti e Cina. Insomma, c’erano tutti gli ingredienti per un enorme buco nell’acqua. E invece le due settimane di vertici multilaterali nel Sud-Est asiatico si sono chiuse con ottimi risultati. La Cambogia può tirare un sospiro di sollievo dopo aver ospitato il summit dell’ASEAN senza intoppi. Le preoccupazioni per l’economia globale, le minacce di recessione e la sicurezza alimentare ed energetica sono state messe in primo piano rispetto all’impasse del conflitto tra Russia e Ucraina e al problema del Myanmar. Non solo: i 10 membri dell’ASEAN sono riusciti a prendere alcune decisioni difficili su questioni di vecchia data. A partire dall’annuncio del blocco di aver accettato “in linea di principio” Timor Est come 11° membro del blocco, dopo oltre 10 anni di riflessione. Mentre per l’eventuale adesione a pieno titolo sarà necessaria una “road map basata su criteri”, Timor Est potrà partecipare a tutte le riunioni in qualità di membro osservatore, anche se senza diritti decisionali. I rapporti con Stati Uniti e India sono stati elevati a Partenariati Strategici Complessivi dell’ASEAN, diventando così il terzo e il quarto partner di dialogo a cui viene riconosciuto questo status, dopo la Cina e l’Australia. Phnom Penh ha dimostrato la sua abilità nel gestire la rivalità tra grandi potenze. Ha partecipato e co-presieduto due vertici con gli Stati Uniti, nonostante le scarse relazioni bilaterali, mostrando la capacità di gestire situazioni difficili. Stesso risultato ottenuto da Indonesia e Thailandia, che hanno ottenuto una dichiarazione congiunta finale con cui è stata condannata la guerra in Ucraina ma con un testo equilibrato accettato come “costruttivo” anche dalla controparte russa. Soprattutto, i summit di G20 e APEC sono serviti come trampolino di un dialogo ritrovato tra Washington e Pechino, con l’importante faccia a faccia tra Joe Biden e Xi Jinping di Bali. Incontro a cui ha fatto seguito un’intensa attività diplomatica dove Occidente, Asia e Pacifico sono sembrati volenterosi nel costruire ponti nelle relazioni. Per il Sud-Est asiatico e l’ASEAN una prova di maturità superata a pieni voti.

I risultati del summit dell’APEC a Bangkok

Il vertice dei leader APEC 2022 a Bangkok si è chiuso con una dichiarazione congiunta, risultato inaspettato all’apertura degli incontri. Per la Thailandia è un successo. Il resoconto di quello che è accaduto dal punto di vista diplomatico (con Cina e Stati Uniti protagonisti) e i risultati del summit

Articolo di Francesco Mattogno

Si sono visti tempi migliori, questo è certo. Ma il vertice annuale della Cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC), in scena a Bangkok dal 14 al 19 novembre, è filato meglio del previsto e si è chiuso con una dichiarazione congiunta dei leader delle 21 economie del gruppo. Risultato non banale: il fallimento annunciato è stato a lungo dietro l’angolo. Con un sospiro di sollievo finale, il primo ministro thailandese Prayut Chan-o-cha (a cui spettava la presidenza 2022 del forum economico) ha definito il summit “un successo”.

Venerdì, poche ore prima dell’apertura ufficiale delle riunioni tra i leader – che erano attesi negli ultimi due giorni di meeting APEC –, è arrivata in Thailandia la notizia del lancio di un missile balistico intercontinentale da parte della Corea del Nord. La vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris, presente in supplenza del presidente Joe Biden, ha convocato una riunione di emergenza con i numeri uno di Giappone, Corea del Sud, Australia, Canada e Nuova Zelanda per “condannare fermamente” le azioni di Pyongyang.

Per tre giorni, Xi Jinping è stato protagonista indiscusso a Bangkok. Reduce da un vertice G20 carico di impegni e colloqui bilaterali, Xi ha confermato il proprio ritorno sulla scena diplomatica mondiale facendo altrettanto in Thailandia. “L’Asia-Pacifico non è il cortile di nessuno e non dovrebbe diventare un’arena per la competizione tra grandi potenze”, ha esordito con una lettera presentata alla riunione tra i rappresentanti dei paesi APEC. Ribadendo il no a una nuova “guerra fredda”, Xi ha rassicurato i partner sulla volontà della Cina nel perseguire la “cooperazione economica” e rigettato il “protezionismo” e la “politicizzazione delle relazioni commerciali”. Poi è passato ai faccia a faccia.

Il più significativo, anche se non il più importante in termini di contenuti, è stato quello (breve) di sabato con Kamala Harris. È servito per confermare quanto detto con Biden a Bali: Cina e USA devono “mantenere aperte le linee di comunicazione”. Più denso invece l’incontro con il premier giapponese Fumio Kishida. Al di là dei convenevoli diplomatici, durante il loro primo colloquio di persona i due leader hanno discusso di sicurezza e delle preoccupazioni di Tokyo riguardo il mar Cinese meridionale, le isole Senkaku (che la Cina rivendica come proprie chiamandole Diaoyu) e Taiwan. Se Kishida ha ribadito l’importanza di mantenere la “pace” sullo stretto, Xi ha confermato che la Cina non accetta “ingerenze esterne”.

Le stesse preoccupazioni dell’omologo giapponese le ha sollevate anche la premier della Nuova Zelanda, Jacinda Ardern, nel suo colloquio con il leader cinese. Sul tema Taiwan interessante lo scambio di battute che Xi Jinping ha avuto con il rappresentante di Taipei al vertice, il fondatore di TSMC Morris Chang. Una conversazione lampo ma “piacevole ed educata”, ha dichiarato Chang in conferenza stampa. Oltre che con il padrone di casa Prayut, Xi si è poi intrattenuto per parlare di “affari” con i primi ministri di Singapore (Lee Hsien Loong) e Papua Nuova Guinea (James Marape), e con i presidenti di Cile e Filippine, rispettivamente Gabriel Boric e Ferdinand Marcos Jr.

Le Filippine sono uno dei paesi con i quali la Cina ha delle contese aperte sul mar Cinese meridionale. Il segretario generale del Pcc ha chiesto a Marcos di “non schierarsi” e di non scegliere tra Washington e Pechino, ma su questo fronte Harris ha segnato un punto. A seguito del vertice APEC, la vice di Biden è partita per Manila. Lì ha messo in programma degli incontri con Marcos Jr. e la sua vicepresidente, Sara Duterte, prima di viaggiare martedì 22 nella provincia di Palawan, proprio a ridosso della zona di mar Cinese meridionale contesa con Pechino. 

Durante i due giorni a Bangkok, Harris ha cercato di sfidare Xi sia sul piano della diplomazia (tanti i bilaterali anche per lei, che ha parlato di semiconduttori con lo stesso Morris Chang) che della retorica. “Gli Stati Uniti sono un’orgogliosa potenza del Pacifico”, ha dichiarato al summit, “e hanno un impegno economico duraturo con la regione”. Insomma: siamo qui per restare. La numero due americana è stata accompagnata dalla rappresentante per il commercio Katherine Tai – che ha parlato con i ministri omologhi di Corea del Sud e Cina – e dal segretario di stato Antony Blinken.

Dopo aver ricevuto da Prayut il testimone della presidenza APEC (il prossimo vertice si terrà a San Francisco nel 2023), Harris ha impegnato gli USA nello sviluppo del nucleare thailandese. “I nostri investimenti sono trasparenti, rispettosi del clima” e non “indebitano” i paesi, ha detto con chiara allusione alla Cina.

Nonostante gli inviti alla cooperazione e alla liberalizzazione commerciale, il sottotesto sembra sempre essere quindi quello del confronto/scontro Washington-Pechino. Per il presidente francese Emmanuel Macron, ospite esterno del summit, evitare questo tipo di “scelta tra le due superpotenze” è fondamentale per garantire lo sviluppo economico della regione. Ed è anche quanto emerge dalla dichiarazione congiunta finale dei leader.

Non era il rafforzamento dei legami commerciali, però, il motivo per il quale si è rischiato di non produrre il documento conclusivo del vertice. A fare da ago della bilancia restavano i disaccordi sulla guerra in Ucraina, risolti con un compromesso in linea con quello già raggiunto al G20. Pur “riconoscendo che l’APEC non è il forum [adatto] per i problemi di sicurezza, i problemi di sicurezza possono avere conseguenze significative per l’economia globale”, si legge nella dichiarazione. Ecco quindi che si è deciso di inserire che “la maggior parte dei membri ha condannato fermamente la guerra in Ucraina”, fermo restando che esistono “altri punti di vista” sul conflitto.

Un equilibrismo linguistico che ha permesso alla Thailandia di portare a casa la dichiarazione, e dunque di far condividere anche dalle altre 20 economie del gruppo la propria agenda. I leader hanno approvato un piano di lavoro per un futuro accordo di libero scambio regionale – che si basi sui già esistenti RCEP e CPTPP – e per l’agevolazione dei viaggi transfrontalieri, resi più complicati dal covid. Soprattutto, con la dichiarazione i paesi APEC hanno di fatto adottato il progetto Bio-Circolare-Verde (BCG) di Bangkok, con il quale i membri si impegnano a investire in attività economiche che tutelano la sostenibilità ambientale. Quelle sull’effettiva sostenibilità dei progetti APEC e l’integrazione economica regionale saranno tutte questioni delegate al futuro. Si è visto qualche segno di disgelo, ma le divisioni tra Cina e USA restano, sul commercio e sulla guerra in Ucraina: in generale, sul destino dell’attuale sistema internazionale. Probabilmente, solo l’assenza di un profilo veramente di peso a rappresentare la Russia a Bangkok (c’era il vice primo ministro Andrei Belousov) ha permesso di evitare il fallimento del vertice. Di questi tempi, un successo.

Il successo del G20 indonesiano

Il summit di Bali si è concluso con una dichiarazione congiunta in cui si esprime il disagio di fronte alla guerra in Ucraina. E ha mostrato i primi segnali di disgelo tra Occidente e Cina

Ora lo si può dire. Il summit del G20 di Bali è stato un successo. La presidenza di turno indonesiana di turno ha dovuto fare i conti con l’anno più complicato dei tempi recenti. Con il mondo ancora alle prese con la coda della pandemia di Covid-19, la guerra in Ucraina ha ulteriormente complicato i piani delle economie mondiali. Non solo, ha anche esacerbato il clima tra Russia e Occidente, ma anche tra Stati Uniti e Cina. Con queste premesse, il rischio che il vertice si rivelasse un flop era alto. E invece non è stato così. Vero che la discussione è stata ampiamente dominata dal conflitto, ma è altrettanto vero che tutti i presenti si sono dimostrati pronti e disponibili al dialogo. Dopo il preambolo del bilaterale tra Joe Biden e Xi Jinping, è un po’ tutto venuto a cascata, col Presidente cinese che ha incontrato tutti i vari leader europei. La presidenza di turno indonesiana ha ottenuto la firma di una dichiarazione congiunta in cui i leader delle principali economie auspicano cooperazione per affrontare le varie sfide poste dalla pandemia di Covid-19 e aggravate dalla guerra in Ucraina, impegnandosi a fornire il necessario sostegno ai Paesi più vulnerabili del mondo. Giacarta ha celebrato tre “risultati concreti” del vertice. Il primo: la creazione di un fondo sanitario, che aiuterà i Paesi a prepararsi a future pandemie. Il fondo ha ricevuto promesse per un totale di 1,5 miliardi di dollari dai Paesi membri e dalle organizzazioni internazionali. Il secondo, salutato con favore da tutto il blocco ASEAN: la creazione di un fondo fiduciario per aiutare i Paesi a basso reddito, i piccoli Stati e i Paesi a medio reddito vulnerabili ad affrontare i problemi macroeconomici, compresi quelli causati dalla pandemia e dal cambiamento climatico. Il terzo, più interno: l’impegno di 20 miliardi di dollari di finanziamenti pubblici e privati da parte di Stati Uniti e Giappone nei prossimi 5 anni per aiutare l’Indonesia ad accelerare la transizione verso le energie rinnovabili. La dichiarazione finale segna un passo importante di cooperazione di tutto il G20, comprese Cina e India, e apre forse uno spiraglio di dialogo con la Russia, che ha accolto favorevolmente “l’equilibrio” delle conclusioni del summit. Il Sud-Est asiatico si conferma come una piattaforma irrinunciabile per far avanzare la diplomazia globale.

Non solo G20, grande attesa anche per il summit APEC

A Bangkok si ritroveranno le 21 economie dell’Asia-Pacifico venerdì e sabato per un altro appuntamento cruciale a livello multilaterale

Articolo di Francesco Mattogno

Sud-Est asiatico: secondo round. Terminato il summit ASEAN a Phnom Penh, il mese di appuntamenti diplomatici nella regione entra nel vivo. Ad aprire e chiudere la seconda settimana di vertici sarà il meeting dei leader della Cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC) che si terrà a Bangkok, in Thailandia, dal 14 al 19 novembre. Una serie di incontri che per due giorni coincideranno con il G20 in Indonesia (15-16 novembre).

In una Bangkok blindata, i grandi del mondo proveranno a lasciare da parte la politica per concentrarsi su commercio e investimenti “liberi e aperti”. Ovvero il collante che tiene insieme le 21 economie dell’APEC, di cui fanno parte, tra le altre, quelle di Cina, Stati Uniti e Russia. Tutti i membri aggregati tra loro valgono circa il 60% del PIL e il 50% del commercio mondiale.

Che la politica resti fuori dal vertice, però, non è realistico. I bei propositi per l’integrazione e la cooperazione economica regionale reciprocamente vantaggiosa (ai quali si deve la nascita dell’APEC nel 1989) scricchiolano ormai da tempo, incrinati principalmente dalle minacce di decoupling tra Washington e Pechino. La guerra in Ucraina rischia solo di dargli il colpo di grazia. A risentirne è stata soprattutto la presidenza 2022 della Thailandia, partita all’insegna di slogan d’apertura e connessione su un modello economico Bio-Circolare-Verde (BCG), e finita col ridimensionarsi inevitabilmente già dal 24 febbraio scorso. Quando Mosca ha invaso Kiev.

Nel vertice APEC di maggio tra ministri del commercio, i rappresentanti di Stati Uniti, Giappone, Australia, Canada e Nuova Zelanda hanno abbandonato la sala per protesta una volta che ha preso la parola il ministro dell’economia russo Maxim Reshetnikov. L’incontro si è concluso senza una dichiarazione congiunta e la stessa sorte è toccata alla riunione tra ministri delle finanze di ottobre. Al termine dei vertici i 5 paesi – a cui si sono aggiunti Corea del Sud e Cile – hanno espresso “gravi preoccupazioni per la guerra in Ucraina”.

Il linguaggio politico, inusuale per un vertice economico, ha provocato un certo disagio interno al gruppo. Il primo ministro thailandese Prayut Chan-o-cha ha parlato di “giuntura critica” per l’APEC, non a torto. Ai focus su catena di approvvigionamento, ripresa dei viaggi interregionali post covid e sicurezza alimentare su cui voleva puntare Bangkok, si sono aggiunti, e in cima alla lista, i pressanti temi dell’inflazione e della sicurezza energetica.

Tanto che tra gli invitati esterni al vertice (oltre a Macron, per esempio) figura anche Mohammad bin Salman, principe ereditario dell’Arabia Saudita. La sua presenza rende probabile il rafforzamento dei legami petroliferi tra Sud-Est asiatico e Riyadh, con buona pace di BCG e sostenibilità ambientale. Per quanto riguarda gli ospiti principali, invece, 7 delle 21 economie APEC non saranno rappresentate dai propri leader. E due sono le assenze particolarmente vistose.

Sia il presidente americano Joe Biden che quello russo, Vladimir Putin, hanno scelto di saltare il vertice. Ma se Putin è impegnato in una guerra che non sta andando come si sarebbe immaginato, Biden volerà dal G20 di Bali direttamente alla Casa Bianca per il matrimonio di sua nipote. Una spiegazione che ha messo un po’ in imbarazzo sia la Thailandia che gli stessi Stati Uniti, che manderanno al suo posto la vicepresidente Kamala Harris. Mancheranno anche i numeri uno di Messico, Malesia, Corea del Sud e Taiwan (per cui presenzierà il fondatore della TSMC, Morris Chang). Taipei, così come Hong Kong, può fare parte dell’APEC senza irritare Pechino proprio perché il gruppo racchiude “economie” e non “stati”.

Del vuoto lasciato da Biden è pronto ad approfittarne il presidente cinese Xi Jinping, in visita in Thailandia dal 17 al 19 novembre. L’assenza di un contrappeso americano gli garantirà un’accoglienza esclusiva. Secondo il Bangkok Post, Prayut ha cambiato il programma dell’evento solo per fissare tra i due una cena ufficiale e permettere a Xi di partecipare all’udienza reale dei leader. Dal punto di vista pratico, probabilmente il segretario generale del Pcc rassicurerà i partner commerciali sul fatto che la Repubblica popolare è ancora aperta agli affari – come ribadito durante un forum a Pechino il 2 novembre -, provando a scacciare le preoccupazioni dovute al basso tasso di crescita dell’economia cinese. Possibile anche un faccia a faccia con il primo ministro giapponese Fumio Kishida.

Ci si chiede allora quanto potrà incidere Kamala Harris. Alla volontà di “approfondire i legami con i paesi APEC”, espressa da Biden al summit 2021, sono seguiti il lancio a maggio dell’iniziativa economica per l’Indo-Pacifico (IPEF, criticata per la sua vaghezza) e l’annuncio che saranno gli USA a detenere la presidenza APEC 2023. A ottobre il vice-segretario del tesoro americano, Wally Adeyemo, ha incontrato alcuni dei Ministri delle finanze del gruppo allo scopo di dimostrare che l’area rappresenta davvero una “priorità assoluta” per Washington. Ma sono sforzi che rischiano di rivelarsi poco efficaci. L’assenza dal vertice del presidente, da sola, potrebbe bastare per ritenere l’impegno economico americano nell’area ancora insufficiente.

Per Bangkok, colpita anche da una serie di turbolenze politiche interne legate a Prayut (speculazioni dicono che alla fine del summit possa essere sciolto il parlamento), bilanciare le differenze e allentare le tensioni non sarà semplice. L’obiettivo minimo è che non si ripetano i fatti di maggio e che si arrivi a una dichiarazione finale congiunta: dunque, evitare il fallimento del vertice. Poi la Thailandia passerà la palla dell’APEC agli Stati Uniti, calando il sipario sul mese che ha messo il Sud-Est asiatico al centro delle relazioni internazionali.

Concorso per un premio di laurea su argomenti legati all’ASEAN

Bando di concorso per l’attribuzione di un (1) premio di laurea su argomento legato all’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN) ed ai suoi Paesi membri.

L’Associazione Italia-ASEAN, nell’ambito delle sue iniziative atte a favorire lo sviluppo ed approfondimento dei rapporti e delle relazioni tra l’Italia e i Paesi facenti parte dell’ASEAN nei settori economici, politici, culturali, scientifici ed artistici, promuove e finanzia l’istituzione del primo premio di laurea su tematiche legate all’Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico (ASEAN) ed ai suoi paesi membri.

Requisiti per la partecipazione al concorso:

Sono ammessi a partecipare al concorso laureati dei corsi di laurea magistrale di istituzioni universitarie italiane, statali e non statali legalmente riconosciute, che nell’anno accademico 2021-2022 abbiano discusso una tesi di laurea su tematiche economiche, giuridiche, sociali o culturali relative all’ASEAN o ai suoi Paesi membri, conseguendo una votazione non inferiore a 105/110.

I candidati dovranno aver conseguito il titolo di studio entro il 31 maggio del 2023. La tesi presentata dovrà essere un lavoro originale inedito. Non sono ammesse tesi che siano già state pubblicate integralmente o parzialmente in forma cartacea o digitale.

Termini e modalità di presentazione della domanda:

La domanda di partecipazione dovrà essere inviata entro e non oltre il 31 maggio 2023 all’indirizzo di posta elettronica info@itasean.org indicando nell’oggetto “premio di laurea sui paesi ASEAN”.

I partecipanti dovranno allegare alla domanda di partecipazione i seguenti documenti:

• Copia della tesi di laurea magistrale;

• Copia del certificato di laurea magistrale;

• Sintesi del lavoro (max 2 cartelle);

• Autocertificazione con la quale si dichiara che la documentazione presentata in copia è conforme all’originale;

• Curriculum vitae;

• Autorizzazione per il trattamento dei dati personali;

• Copia di un documento di identità personale.

Importo del premio:

L’Associazione Italia-ASEAN per il premio di laurea oggetto di questo bando prevede l’assegnazione di una somma pari ad euro 5000 (cinquemila) per una tesi di laurea magistrale.

Commissione di valutazione:

L’attribuzione del premio avverrà sulla base della valutazione di una Commissione appositamente designata dall’Associazione, con membri scelti tra i componenti del Comitato Scientifico della Associazione Italia-ASEAN che, dopo aver verificato la conformità della domanda ai requisiti e termini previsti, procederà alla valutazione delle domande ammesse.

Il giudizio della Commissione è inappellabile.

Conferimento del premio:

L’Associazione Italia-ASEAN, vista la valutazione della Commissione, provvederà a designare il vincitore.

Con la comunicazione del conferimento del premio, l’Associazione Italia-ASEAN provvederà a comunicare al vincitore luogo e data per la cerimonia di premiazione.

Il premio verrà accreditato attraverso bonifico bancario sul conto corrente del vincitore.

ASEAN centro della diplomazia globale

Dal summit del blocco in Cambogia ai vertici del G20 in Indonesia e APEC in Thailandia. Con sullo sfondo le elezioni in Malesia. Agenda fittissima col Sud-Est asiatico al centro

Editoriale a cura di Alessio Piazza

Mai si avrà dimostrazione più evidente come in queste settimane di come l’ASEAN e la regione del Sud-Est asiatico siano ormai al centro del mondo.  Un novembre in cui non solo i leader regionali ma quelli di tutto il mondo si danno appuntamento nell’area. Tra Phnom Penh, Giacarta e Bangkok una rapida e fondamentale successione di appuntamenti e vertici che possono delineare scenari diplomatici di importanza globale. In un momento in cui il mondo guarda con apprensione alla guerra in Ucraina e alle tensioni in Asia orientale, nonché all’aumento dell’inflazione e all’inasprirsi della competizione tra potenze, il Sud-Est asiatico può diventare la piattaforma da cui ripartire con prospettive più confortanti per il futuro. Il fitto programma di eventi comprende gli incontri in seno all’ASEAN, tra cui il vertice dell’Asia orientale in programma dall’8 al 13 novembre a Phnom Penh, con la Cambogia che detiene una Presidenza di turno e che nel 2023 passerà all’Indonesia. Proprio in Indonesia, per l’esattezza a Bali, si svolge il summit del G20 del 15 e 16 novembre. Solo due giorni dopo apre invece i battenti il forum della Cooperazione Economica Asia-Pacifico (APEC), in programma a Bangkok il 18 e 19 novembre. Questi incontri attireranno i leader di Stati Uniti, Cina, Giappone, Russia, India e tanti altri Paesi importanti a livello regionale e globale. Italia compresa. È raro che nello stesso mese siano in programma così tanti consessi internazionali di questo livello nella stessa regione. C’è grande attesa per il possibile bilaterale tra Joe Biden e Xi Jinping a margine del G20. Mentre gli incontri del G20 e dell’APEC si concentreranno sulla cooperazione economica, i vertici dell’ASEAN si occuperanno anche di politica e sicurezza, ovvero dell’Ucraina e delle tensioni nel Mar Cinese Orientale e Mar Cinese Meridionale. Il Presidente indonesiano Joko Widodo mira a raggiungere risultati anche sul fronte dell’impennata dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari, che stanno ostacolando la ripresa economica globale dopo lo stop causato dalla pandemia di Covid-19. Parola chiave: multilateralismo. ASEAN e Sud-Est asiatico possono diventare il motore propulsore di una ripartenza non solo economica ma anche diplomatica.

Il summit a Phnom Penh apre il mese del Sud-Est

Fino al 13 novembre in Cambogia va in scena il vertice annuale dell’ASEAN. È il primo dei tre grandi appuntamenti di novembre, insieme ad APEC e G20, che vedranno l’area al centro della scena politica internazionale. Tra divisioni e grandi temi, ecco l’agenda del summit del blocco regionale

Articolo di Francesco Mattogno

Un mese al centro della diplomazia mondiale. Sede di tre grandi eventi internazionali, per buona parte di novembre il Sud-Est asiatico è una tappa obbligata nelle agende dei leader delle grandi potenze. Il primo appuntamento è il 40° e 41° vertice annuale dell’Associazione del Sud-Est Asiatico (ASEAN) che si svolge a Phnom Penh, capitale della Cambogia, fino al 13 novembre. Il termine “vertice” è riduttivo. Sono sei giorni di incontri bilaterali e multilaterali senza sosta, dal summit sul Business e gli Investimenti (ABIS) al 25° vertice ASEAN-Cina e 10° ASEAN-USA. Tanti anche gli ospiti che hanno scelto di unirsi ai capi di stato o di governo dei Paesi membri dell’Associazione, tra cui figurano anche alti funzionari internazionali, come il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres e il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel.

Per quanto riguarda i paesi ASEAN, non è presente Min Aung Hlaing. È il secondo anno consecutivo che il generale e primo ministro golpista del Myanmar non è stato invitato al vertice, conseguenza della guerra civile scatenata a seguito del colpo di stato militare del 1° febbraio 2021. Per quanto riguarda la Cina, niente trasferta in Cambogia per Xi Jinping: al suo posto il premier cinese Li Keqiang. Li è arrivato in anticipo per incontrare sia il re cambogiano Norodom Sihamoni che il primo ministro Hun Sen. Joe Biden dovrebbe invece presenziare agli incontri del 12 e 13 novembre. Si tratta del primo viaggio in Cambogia di un Presidente statunitense dal 2012, quando Barack Obama visitò il Paese proprio in occasione dell’ultimo summit ASEAN presieduto da Hun Sen prima di questo.  

Le non-decisioni sul Myanmar hanno evidenziato le lacune nel processo decisionale dell’ASEAN e riacceso il dibattito sul superamento del “principio del consenso”, per il quale ogni stato membro deve essere d’accordo al momento di una risoluzione. Tutto materiale per il vertice di Phnom Penh, nel quale temi come ambiente, energia e ripresa post-covid faranno probabilmente solo da cornice alle questioni su politica e sicurezza. Tanto che lo stesso Hun Sen aveva cercato, senza successo, di rendere il vertice la sede di colloqui di pace tra Russia e Ucraina. 

E sempre la politica è al centro della presenza americana e cinese al summit. La Cina ha strizzato l’occhio all’ASEAN concludendo, a pochi giorni dal vertice, una serie di accordi con Vietnam e Singapore (il segretario generale del Partito comunista vietnamita, Nguyen Phu Trong, è stato il primo a incontrare Xi Jinping dopo il 20° Congresso). Il 26 ottobre il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha inoltre ricevuto i diplomatici ASEAN a Pechino, dicendosi speranzoso che l’Associazione possa mantenersi “indipendente” anche in futuro.

A sua volta Biden aveva invitato i leader del blocco a Washington lo scorso maggio, inaugurando una “nuova era” delle relazioni tra Stati Uniti e ASEAN. Per questo il Presidente statunitense potrebbe concentrarsi sul sottolineare i vantaggi della cooperazione in ambito di sviluppo economico, digitale e ambientale, cercando di mostrarsi come un’alternativa alla Repubblica Popolare. USA e ASEAN potrebbero infatti stabilire un Partenariato Strategico Globale, lo stesso firmato al summit dello scorso anno tra l’Associazione e il suo principale partner commerciale: la Cina. È un po’ la condizione di normalità del Sud-Est asiatico, tirato da una parte e dall’altra. Lo scopo della regione è quello di rimanere in equilibrio tra le grandi potenze, proprio mentre tutte bussano alla sua porta.

Che cosa aspettarsi dal summit del G20 di Bali

L’obiettivo dichiarato della presidenza indonesiana era quello di riportare l’attenzione verso i Paesi emergenti e in via di sviluppo, ma purtroppo si sono messe di mezzo la geopolitica e la guerra in Ucraina

Articolo di Ilaria Zolia

L’Indonesia sta finalizzando i preparativi per ospitare il summit G20 del 15-16 novembre a Bali. Joko Widodo, Presidente indonesiano e Presidente di turno del G20, ha visitato Kiev e Mosca a fine giugno per incontrare Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin, diventando il primo leader asiatico ad incontrare entrambi i capi di Stato dall’inizio della guerra. La visita di Widodo, ha sottolineato il Ministro degli Esteri indonesiano Retno Marsudi, “sottolinea la preoccupazione per le questioni umanitarie, nel tentativo di contribuire a risolvere la crisi alimentare causata dalla guerra, così come le sue conseguenze”. In diversi forum a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Marsudi ha ripetuto lo stesso mantra: “In qualità di nazione ospitante, l’Indonesia è intenzionata a far progredire il multilateralismo e a promuovere la crescita economica post-pandemia”. 

All’alba della presidenza di turno del G20 e raccogliendo il testimone dall’Italia, Widodo aveva affermato che l’Indonesia, durante la sua presidenza, sperava di offrire una piattaforma per partenariati globali e finanziamenti internazionali per sostenere la transizione energetica verso fonti rinnovabili più pulite. Giacarta conosce bene le difficoltà delle economie emergenti davanti alle trasformazioni che la transizione energetica richiede. Quella che viene considerata una delle principali soluzioni sul tavolo è, per i Paesi in via di sviluppo, una sfida che richiede innanzitutto l’accesso universale all’energia elettrica di qualità. La sola Indonesia ha la sovranità su 17,500 isole e una capitale che sta sprofondando, mentre la politica economica è profondamente radicata intorno alle fonti fossili. I progetti sono tanti e ambiziosi, come un parco solare a Java che verrà completato entro la fine del 2022 e sarà, con i suoi 145 Megawatt, il più grande del Paese. 

L’obiettivo dichiarato della presidenza indonesiana era quello di riportare l’attenzione verso i Paesi emergenti e in via di sviluppo, ma purtroppo si sono messe di mezzo la geopolitica e la guerra. La gran parte delle discussioni nei mesi prima del summit si è concentrata sulla presenza di Vladimir Putin, Xi Jinping e Joe Biden e sugli eventuali incontri bilaterali fra i tre leader di Russia, Cina e Stati Uniti. Nelle sue osservazioni al Global Governance Group Forum tenutosi a New York, Marsudi ha sottolineato la necessità del vertice del G20 di produrre risultati che vadano a beneficio di tutti, senza lasciarsi sovrastare dalle questioni geopolitiche attuali. L’ex leader indonesiano Susilo Bambang Yudhoyono ha invitato il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden a incontrare gli omologhi russo e cinese Vladimir Putin e Xi Jinping al vertice del G20 di Bali il mese prossimo per scongiurare la “reale possibilità di una terza guerra mondiale”. Si tratterebbe del primo incontro di Biden con entrambi i leader di Mosca e Pechino dall’inizio della guerra in Ucraina. “L’Europa e l’Asia orientale potrebbero tirare un sospiro di sollievo” se il summit di Bali fosse un successo, dice Yudhoyono.

In questo scenario di tensioni, la presidenza indonesiana del G20 sta da tempo camminando sul filo del rasoio per difendere la sua posizione neutrale circa la guerra in Ucraina. Le rivalità tra l’Occidente e il Cremlino rappresenteranno una sfida per il Paese ospitante del summit, il quale non si è mai schierato apertamente mantenendo la linea della “terza via” dell’ASEAN basata su neutralità e pacifismo. Nonostante le pressioni, l’Indonesia ha finora “gestito con successo le pressioni”, secondo Ina Hagniningtyas Krisnamurthi, Ambasciatore indonesiano in India. “Speriamo di avere un comunicato congiunto… e speriamo di essere un buon ospite per tutti coloro che verranno a Bali”, ha dichiarato al quotidiano indiano The Economic Times

Per Giacarta il G20 rappresenta ancora un forum che ha come fulcro lo sviluppo economico che dia impulso alla cooperazione tra economie emergenti e potenze globali. Secondo Teuku Rezasyah, esperto di relazioni internazionali dell’Università di Padjadjaran a Giava Ovest, è probabile che il vertice si concluda senza un comunicato congiunto a causa delle accese tensioni tra i membri, il che sarebbe lo stesso risultato dell’incontro preparatorio al Vertice dei Ministri degli Affari Esteri che si è tenuta dal 7 all’8 luglio a Bali. “Se non c’è un comunicato congiunto, ci dovrebbe essere una dichiarazione del Presidente che illustri le questioni contestate dai membri del G20, in modo da poter vedere quali membri violano i principi del G20 e quali li sostengono”, ha aggiunto. Infatti, alla riunione i Ministri degli Esteri dei Paesi del G20 partecipanti non sono riusciti a trovare un punto di incontro sulla guerra in Ucraina e sul suo impatto globale. Alla riunione era presente anche il Ministro Russo Sergei Lavrov, il quale ha lasciato la sessione ministeriale mentre la sua omologa tedesca Annalena Baerbock stava criticando Mosca per la guerra in Ucraina. Widodo ha sempre sottolineato l’importanza della partecipazione di tutti i leader. In un’intervista rilasciata a Bloomberg il 19 agosto, ha dichiarato: “Stiamo attraversando una crisi alimentare e una crisi energetica. L’Indonesia vuole essere amica di tutti i Paesi, non abbiamo problemi con nessuno. Quello che vogliamo è che questa regione sia stabile, pacifica, in modo da poter costruire una crescita economica. E penso che non solo l’Indonesia, ma anche i Paesi asiatici vogliono la stessa cosa”, ha concluso. Durante la sua presidenza del G20, l’Indonesia ha elaborato un’agenda che riflette gli interessi dei Paesi in via di sviluppo in materia di architettura sanitaria globale, trasformazione dell’economia digitale e transizione energetica. Giacarta spera che in qualche modo la sua agenda non venga del tutto cancellata dalla geopolitica.