Disabilità e modelli di business inclusivi per un contesto più favorevole

Articolo di Piroon Laismit

Ho condotto molti gruppi di visitatori alla nostra “fabbrica di cioccolato” gestita completamente da persone con disabilità.  Le espressioni di stupore e meraviglia sui volti dei miei ospiti mi scalda ogni volta il cuore. Basta entrare nel nostro centro di formazione per vedere, sulla sinistra, uno staff composto da non vedenti che confeziona meticolosamente barrette di cioccolato, con una grande precisione dovuta all’elevato senso del tatto e dello spazio di queste persone. Basta girarsi a destra per osservare dipendenti non udenti che mescolano e versano diverse miscele di cioccolato all’interno di stampi, che monitorano gli stampi mentre sono nel forno, e che poi li tirano fuori dal forno per svolgere ulteriori procedimenti. Ogni volta che li osservo, impegnati a lavorare e a spiegare agli ospiti le varie fasi di lavorazione del cioccolato, mi sento orgoglioso, non solo per i loro risultati, ma anche per come continuino a ispirare gli altri. Ogni sede di 60+ Plus Bakery and Café è stata istituita  con lo scopo di fornire uno spazio per apprendisti con disabilità e di plasmare un modello per caffè o ristoranti gestiti con successo da persone con disabilità. 

60+ Plus Bakery & Chocolate Café e i suoi prodotti

Fonte: Pagina Facebook di APCD 60+ Plus Bakery & Café 

Nel corso degli anni, ho assistito alla potenza e all’impatto di riunirsi insieme per creare nuove opportunità per la gente – opportunità che permettono a tutti di realizzare pienamente il proprio potenziale,  e di vivere in modo indipendente e con dignità. Noi dell’ Asia Pacific Development Centre on Disability (APCD) ci auspichiamo proprio questo quando progettiamo corsi di formazione e riflettiamo su opportunità di carriera per persone con disabilità, spesso persone non vedenti, non udenti o affette da autismo.  Attraverso i nostri 60+ Plus Bakery and Café gestiti interamente da questi ultimi, abbiamo dimostrato che sono pienamente capaci di contribuire all’industria alimentare. In particolare, il Caffè, insieme alla nostra “fabbrica di cioccolato” rappresentano un caso riuscito che mi piace sempre condividere con gli altri e in cui sono stato coinvolto in prima persona. 

60+ Plus Bakery and Café di Yamazaki è un progetto collaborativo tra il Ministero dello Sviluppo Sociale e della Sicurezza Umana in Thailandia, l’Ambasciata del Giappone, Thai-Yamazaki Co. Ltd, e l’APCD. È un progetto nato sotto il patronato reale di S.A.R. la principessa Maha Chakri Sirindhorn, istituito per commemorare  proprio il sessantesimo compleanno di Sua Maestà nel 2015.  Dopo pochissimo tempo, grazie al suo immenso successo, l’iniziativa del Caffè è stata ampliata con una sede alla Casa del Governo Thailandese e  con un ristorante gestito interamente da persone con disabilità.

Nel 2019, abbiamo avuto l’onore di produrre cioccolato per i leader del mondo durante la Presidenza dell’ASEAN della Thailandia e nel 2022, anno in cui la Thailandia è stata ospite ufficiale del vertice APEC. È stata un’ opportunità speciale per mostrare le capacità e il talento delle persone diversamente abili ai politici di tutto il mondo, ed è stato motivo di grande orgoglio per gli uomini e le donne che hanno lavorato dietro al progetto 60 Plus Cafè.  Attraverso ogni nuovo progetto o attività, quello che spero è  di continuare ad ispirare le persone ad andare oltre i propri limiti e a contribuire come possono alla società. 

 L’importanza di un futuro che sia favorevole e inclusivo per  le disabilità

Essendo un centro regionale di sviluppo sulle disabilità, ci impegniamo nel comunicare l’importanza e la necessità di lavorare per un futuro che sia favorevole e includa le disabilità. 

Negli anni settanta, si stimava che il 10% della popolazione mondiale fosse diversamente abile. Circa 40 anni dopo, nel 2011, il primo report congiunto sulla disabilità redatto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dalla Banca Mondiale (BM) indicava che tale numero era pari al 15%, ovvero circa un miliardo di persone che vivevano con una qualche forma di disabilità. Alla fine del 2022, si parlava di 1,3 miliardi di persone. In Thailandia attualmente il 3,19% della popolazione, ovvero all’incirca 2,1 milioni di persone,  è affetto da disabilità. 

Da tali statistiche si può concludere sicuramente che la disabilità è un dato di fatto e una realtà. Che sia causata dall’aumento delle malattie croniche, o dall’invecchiamento della popolazione, o, purtroppo, da guerre e conflitti, la disabilità è qualcosa che non possiamo “sradicare”.  Inoltre, è possibile concludere che la percentuale di persone che vivono con forme di disabilità non è ridotta, anzi è un numero che dovrebbe spingerci a fare qualcosa. 

E fare qualcosa significa innanzitutto avere il giusto atteggiamento nei confronti delle persone con disabilità, e comprenderle. Dobbiamo continuare a trovare modi per mettere queste persone nelle condizioni di essere indipendenti e di dare un contributo alle loro comunità. Questo conta non soltanto per la popolazione disabile, ma per tutta la società, riducendo le disuguaglianze che ci impediscono di sprigionare tutto il nostro potenziale.

 Il Viaggio della Thailandia nella Creazione di un Ambiente Propizio: dallo Stato Sociale alla Cooperazione per lo Sviluppo

In Thailandia, la creazione di un ambiente favorevole  per persone con disabilità è iniziata molto prima del 2015 e della nascita del  60+ Plus Bakery and Café di Yamazaki. Infatti, è iniziato tutto decenni prima, nel 1954, quando è stata istituita la Fondazione per il Benessere dei Disabili sotto il patronato reale di S.A.R., madre della principessa (S.A.R. la principessa Princess Somdet Phra Srinagarindra Boromarajajonani). L’iniziativa è stata subito seguita dall’istituzione, nel 1961, di un centro e una scuola dedicati a bambini e ragazzi disabili,  la “Sri Sangwan School”. 

Nei decenni a seguire,  si è sviluppata una rete sempre più ampia di fondazioni e organizzazioni con lo scopo di supportare le disabilità,  passando a volte anche per le mani del patronato reale thailandese.  La Fondazione per Non Vedenti e la Fondazione per Non Udenti in Thailandia nascono nell’ambito del patronato reale di Sua Maestà la regina Sirikit rispettivamente nel 1959 e nel 1964, mentre la Fondazione Cristiana per Non Vedenti ha ricevuto il patrocinio di Sua Maestà il re Bhumibol nel 1978, mentre nel 1980 ha preso vita la Fondazione Thailandia-Caulfield per i Non Vedenti sotto il patronato di Sua Altezza Reale Maha Chakri Sirindhorn. 

A mio parere, l’aspetto così particolare e cruciale del patronato reale dietro queste fondazioni è che ha dato a queste organizzazioni la visibilità e il sostegno di cui avevano bisogno, migliorando l’accesso a finanziamenti critici e alla collaborazione con altre agenzie. Questo, a sua volta, ha migliorato l’accesso per le persone con disabilità a infrastrutture e servizi pubblici. È stata la scintilla che ha acceso il motore di un robusto macchinario che ha avviato un lavoro di vitale importanza in questo settore.

Fonte: pagina Facebook Princess Mother’s Medical Volunteers 

Appena le fondazioni hanno consolidato il loro sostegno alla popolazione disabile in Thailandia, alcune di queste hanno persino ampliato il raggio d’azione ad altri Paesi, specialmente a quelli in via di sviluppo in Africa e nel Sud Pacifico, fornendo un memorandum positivo alla cooperazione per lo sviluppo in Thailandia.  Merita particolare attenzione la Prostheses Foundation di Sua Maestà la principessa madre. Istituita ufficialmente nel 1992, la fondazione ha inizialmente collaborato con la Princess Mother’s Medical Volunteers (PMMV), le cui squadre mobili di medici e infermieri sono  operative dal 1996 con l’obiettivo di raggiungere i malati e le persone con disabilità nelle aree più remote. Fin dal principio, l’obiettivo primario della fondazione è stato quello di utilizzare materiali di provenienza locale per la produzione di protesi per gli arti inferiori, specialmente per ridurre i costi, basandosi sul principio di autosufficienza.  Nel corso degli anni e attraverso il sostegno e lo status conferiti dal patronato reale, la fondazione ha potuto collaborare con il mondo accademico e con il settore privato nella produzione, nella progettazione, nella distribuzione e nell’applicazione pratica dei dispositivi artificiali.  

 Verso uno Sviluppo Sostenibile attraverso la Formazione e la Condivisione di Conoscenze

Nel 2007,  la Prostheses Foundation ha avviato nuovi progetti in collaborazione con gli ospedali per offrire un servizio completo ai portatori di protesi, includendo anche le riparazioni, il rimontaggio di parti di ricambio e la formazione sulla produzione di protesi. E proprio a questo punto che la condivisione di idee assume una dimensione internazionale, grazie all’estensione della formazione a Paesi come Vietnam,  Papua Nuova Guinea e Indonesia. Alcuni anni dopo, l’Agenzia di Cooperazione Internazionale della Thailandia (TICA) ha dato inizio ad una cooperazione con Burundi e Senegal. In quegli anni, la Prostheses Foundation aveva già realizzato protesi per arti inferiori per più di 3000 persone, ed era diventata una delle fondazioni più prolifiche nel Sud-est asiatico. 

Fonte: TICA, Ministero degli Affari Esteri

Nel Settembre del 2013, ho avuto l’opportunità di partecipare alla cerimonia di donazione per arti artificiali al  R.J. Grast Memorial Hall a Dacca, in Bangladesh, e di vedere con i miei occhi l’effetto incredibile che tutto questo ha ottenuto. La donazione è avvenuta per volere del Primo Ministro del Bangladesh, e il Governo Reale Thailandese, rappresentato dalla TICA, in collaborazione con la Prostheses Foundation di S.A.R. la principessa madre, ha donato cento arti artificiali alle vittime del crollo del Rana Plaza a Dacca, che ospitava cinque fabbriche tessili. Il suo crollo,nell’ aprile del 2013, ha provocato almeno 1.132 vittime e 2.500 feriti. La nostra donazione di arti artificiali dalla Thailandia ha donato a questi operai bangladesi una nuova vita e tanta speranza. 

Cooperazione Thailandia-Senegal sui servizi per protesi

Fonte: sito web del Ministero degli Affari Esteri

In Africa l’ Ambasciata Reale Thailandese a Dakar, in collaborazione con la TICA, ha esteso l’expertise della Prostheses Foundation al Burundi e al Senegal attraverso scambi periodici, così come attraverso l’offerta di formazione sulla produzione e sulla gestione di servizi inerenti alle protesi. Tale collaborazione è servita anche a rafforzare relazioni bilaterali, in cui la Thailandia,ad esempio, ha contribuito alla costruzione di centri per protesi in un ospedale militare a Dakar. Alcuni funzionari hanno anche fatto visita in Thailandia per motivi di studio e formazione.

Nel 2016, la Prostheses Foundation ha trovato nuovi grandi collaboratori. Questa volta si parla di aziende leader nei settori della scienza dei materiali e del design. Dow Thailand Group, SCG Chemicals e Rubber Soul Company  hanno aggiunto nuovo valore alle protesi fornendo uretano speciale, polipropilene, elastomeri e un design ergonomico per un migliore comfort e una migliore durata.

Nel tempo, la Fondazione ha fatto molta strada: ha iniziato ottenendo il patronato reale per assistere i disabili nelle campagne remote della Thailandia ed è arrivata a offrire un supporto completo all’apprendimento alle comunità e ai villaggi di altri Paesi.

Istituzionalizzare l’inclusione della disabilità

Gli sforzi per migliorare il benessere delle persone con disabilità richiedono attenzione e impegno costanti. Per sostenere progetti di questo tipo c’è bisogno di un’infrastruttura consolidata di agenzie pubbliche e fondazioni, e di una grande collaborazione con il settore privato. E questa collaborazione, come abbiamo visto in questo approfondimento, non deve necessariamente limitarsi all’ambito nazionale. Radicate nella filosofia dell’autosufficienza e nel principio dello sviluppo sostenibile, le varie fondazioni in Thailandia, che hanno come missione il potenziamento delle persone con disabilità,  attualmente operano con una visione che punta all’autosufficienza, all’apprendimento olistico e alla collaborazione con il settore privato per la creazione di imprese inclusive per le persone con disabilità, oltre che alla cooperazione per lo sviluppo con altri Paesi.

Dobbiamo riconoscere che la disabilità, dopo tutto, non è inabilità.  Piuttosto, le persone con disabilità sono diversamente abili, con i loro  punti di forza unici, che possono essere potenziati attraverso politiche di inclusione, di cui potrebbe giovare tutta la società. 

Lasciatemi concludere con una delle mie citazioni preferite, a cui ricorro sempre, pronunciata dal defunto Re Bhumibol il Grande nel suo discorso alla Foundation for the Welfare of the Disabled sotto il patronato reale di S.A.R. la principessa madre il 22 marzo 1984: “Aiutare le persone con disabilità è un compito molto importante… perché non hanno voluto essere disabili, ma avrebbero preferito essere in grado di aiutarsi da soli… Quindi, è nostro compito, nostra responsabilità, garantire che le nostre politiche consentano loro di aiutarsi da soli, in modo che possano contribuire alla società”.

* * * * *

Piroon Laismit è il direttore esecutivo dell’Asia-Pacific Centre on Disability (APCD) e vanta una vasta esperienza nel campo dell’empowerment delle persone con disabilità attraverso programmi di capacity building. Prima di entrare a far parte dell’APCD, Laismit ha diretto i progetti di cooperazione allo sviluppo della Thailandia come direttore generale dell’Agenzia di cooperazione internazionale della Thailandia (TICA), Ministero degli Affari Esteri, ed è stato anche ambasciatore della Thailandia presso lo Stato del Qatar.

Più cooperazione tra UE e ASEAN

Dal commercio alle politiche green, i due blocchi sono destinati ad approfondire la cooperazione nel 2023

Accordi di libero scambio, commercio e investimenti, transizione energetica e politiche green. Sono tanti i punti sui quali l’Unione Europea e l’ASEAN si muovono nella direzione di un ulteriore rafforzamento dei rapporti. L’Indonesia, Presidente di turno del blocco delle nazioni del Sud-Est asiatico per quest’anno, ha già dimostrato la ferma intenzione di impegnarsi a fondo per implementare o favorire nuovi accordi di natura commerciale con l’Europa. La prima intenzione è quella di completare l’Accordo di partenariato economico globale Indonesia-UE (IEU CEPA). Data la completezza e l’alto livello di ambizione dello IEU CEPA, che copre 16 aree di negoziazione, si tratta di un compito arduo ma su cui Giacarta punta molto. Il tredicesimo ciclo di negoziati, convocato dal 6 al 10 febbraio, è stato un primo banco di prova per verificare le prospettive di completare l’accordo entro la fine del 2023. E la sensazione è che si farà di tutto per farcela. Singapore e Vietnam hanno già attuato accordi commerciali con l’UE. Una conclusione positiva dello IEU CEPA stimolerebbe la Thailandia, la Malesia e le Filippine a riprendere i negoziati per accordi simili. Come sottolineato da The Diplomat, gli accordi di libero scambio bilaterali tra l’UE e i Paesi ASEAN fungeranno poi da tasselli per un futuro accordo UE-ASEAN, che farà ingranare una marcia ancora più alta nei rapporti tra i due blocchi. C’è poi il capitolo delle politiche ambientali. Il Green Deal europeo è considerato tra le principali priorità dell’Unione Europea nella strategia 2023 sull’ASEAN e sull’Indonesia. I Paesi del Sud-Est asiatico stanno facendo sul serio sugli obiettivi della transizione energetica, ma restano alcuni ostacoli da superare. In particolare le regole dell’UE sull’assenza di deforestazione, accolte negativamente da Indonesia e Malesia, i due maggiori produttori mondiali di olio di palma, che le hanno giudicate “discriminatorie” nei confronti dei Paesi in via di sviluppo. L’UE ha però rassicurato che è determinata a risolvere la questione diplomaticamente, complimentandosi anzi con Giacarta per i progressi: “I risultati ottenuti dall’Indonesia per fermare la deforestazione sono notevoli. La data limite è stata fissata al dicembre 2022 e non sono previste sanzioni per quanto accaduto in passato”, ha dichiarato recentemente l’Ambasciatore dell’UE a Giacarta, Vincent Piket. Tutte le parti sembrano intenzionate a risolvere qualsiasi dubbio per rafforzare ancora di più la cooperazione tra i due blocchi. A tutti i livelli.

Lego punta sul Vietnam come nuovo hub di produzione a emissioni zero

La Lego ha scelto il Vietnam per la costruzione della sua prima fabbrica a emissioni zero. Nel tentativo di minimizzare l’impatto della competizione commerciale tra Cina e Stati Uniti, diverse multinazionali stanno puntando a diversificare le catene di approvvigionamento prendendo le distanze da quella che per decenni è stata considerata la fabbrica del mondo.

Lego, prima produttrice di giocattoli al mondo per fatturato, ha dato avvio alla costruzione di un nuovo impianto nella provincia vietnamita di Binh Duong, circa 50 chilometri a nord di Ho Chi Minh. Sarà la sesta base produttiva dell’azienda danese e la seconda in Asia, dopo quella di Jiaxing in Cina, attiva dal 2015.

Lo stabilimento, la cui apertura è prevista per l’anno prossimo, avrà un’estensione di 44 ettari, sarà alimentato principalmente da energia solare e potrà contare su tecnologie all’avanguardia per la produzione degli iconici mattoncini in plastica. La decisione comporterà la creazione di 4.000 posti di lavoro nei prossimi 15 anni, nonché l’iniezione di oltre un miliardo di dollari di investimenti nella zona, che già ospita i più grandi complessi industriali e vanta il titolo di regione più ricca del Paese. Si tratta del più grande investimento da parte di un’azienda danese in Vietnam.

La vicenda riflette una tendenza più ampia che negli ultimi cinque anni ha visto il Vietnam spiccare tra le destinazioni preferite dagli investitori stranieri in fuga dall’ex fabbrica del mondo, nel tentativo di eludere i dazi statunitensi sulle merci importate dalla Cina.

Anche su spinta della corsa alla delocalizzazione innescata dallo scoppio della guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti, le autorità vietnamite hanno elaborato un piano per attirare proattivamente gli investimenti stranieri, dando priorità ai progetti ad alto valore aggiunto e promotori di tecnologie avanzate e pulite. 

Secondo Bruno Jaspaert, amministratore delegato di Deep C Industrial Zones, uno dei maggiori sviluppatori di zone industriali del Vietnam, concentrando i propri sforzi sui temi pressanti per gli investitori internazionali, come la sostenibilità così come declinata dagli obiettivi di sviluppo delle Nazioni Unite, il Paese “potrebbe avere la ricetta per il successo”.

Con l’emanazione della Risoluzione 50 nel 2019, il Partito Comunista del Vietnam ha rimarcato la centralità del ruolo che gli attori economici stranieri e gli investimenti esteri giocano nel perseguimento di una strategia di sviluppo di lungo periodo, sottolineando la necessità di attrarre tecnologie verdi e hi-tech che aggiungano al processo produttivo.

In effetti, già nel 2018 gli IDE erano aumentati del 9,1% rispetto all’anno precedente, raggiungendo i 19,1 miliardi di dollari, e registrando successivamente un ulteriore aumento del 6,7% a 20,38 miliardi di dollari nel 2019. Dopo una prima fase di stallo nel 2020 a causa dello scoppio della pandemia, sono tornati a crescere significativamente nel 2021, anche sulla scia delle massicce chiusure degli impianti industriali causate dalla strategia “zero Covid” portata avanti da Pechino, fino a raggiungere i 38,85 miliardi.

Lo stesso Carsten Rasmussen, direttore operativo di Lego, ha dichiarato a dicembre 2021 che l’impegno del governo vietnamita per espandere le infrastrutture per la produzione di energia rinnovabile e l’approccio collaborativo con le aziende straniere hanno contribuito alla decisione del Gruppo di aprire una nuova base produttiva nel paese.

Tuttavia, secondo gli esperti esistono dei fattori strutturali che rendono pressoché impossibile che queste nuove attraenti destinazioni per gli investitori stranieri, come il Vietnam e la più ampia regione del Sud-Est asiatico, si trasformino in vere alternative al completo ecosistema di produzione cinese e mettano realmente in discussione lo status di Pechino come hub manifatturiero globale, nel breve periodo.

Zhang Monan, vicedirettore dell’Istituto di Studi Americani ed Europei presso il Centro Cinese per gli Scambi Economici Internazionali di Pechino, ha affermato che la mancanza di un sistema industriale completo e di un grande mercato interno rappresenta un importante svantaggio per il Vietnam. Finchè i semilavorati continueranno ad essere forniti principalmente dalla Cina e i prodotti finiti esportati principalmente negli Stati Uniti, lo sviluppo industriale del paese non potrà mai emanciparsi dalla sua dipendenza esterna.

Inoltre, il Vietnam soffre ancora la carenza di manodopera qualificata, oltre che l’enorme disparità di scala demografica se paragonata all’enorme vicino. Secondo i dati ufficiali vietnamiti, solo l’11% dei 51,4 milioni di lavoratori del Paese è considerato altamente qualificato, contro gli oltre 200 milioni dichiarati dalle autorità cinesi (circa il 26% della forza lavoro totale).”Con il 7% della popolazione cinese, [il Vietnam] non sarà in grado di spostare più di una piccola frazione delle esportazioni cinesi”, ha dichiarato David Dapice, economista senior dei programmi Vietnam e Myanmar presso l’Ash Centre for Democratic Governance and Innovation dell’Università di Harvard.

Il Laos e i milioni di ordigni inesplosi

Gli ordigni inesplosi (UXO) sono una delle realtà del Laos e, nonostante la popolazione abbia trovato soluzioni per adattarsi alla situazione, gli UXO restano un problema di difficile risoluzione per il Paese

Il Laos detiene uno dei più critici primati del mondo: è il Paese con il maggior numero pro capite di ordigni inesplosi (UXO) avendo circa 80 milioni di UXO ancora sparsi sul territorio nazionale. Secondo il Ministero degli Esteri giapponese, più di due milioni di tonnellate  di bombe sono state sganciate sul Laos durante gli intensi raid aerei nel periodo della guerra in Vietnam. Per la precisione, si stima che tra il 1964 e il 1973 l’aviazione militare statunitense abbia sganciato 270 milioni di bombe a grappolo sul Laos. L’obiettivo degli americani era quello di impedire agli alleati dei comunisti vietnamiti di vincere la guerra civile nel Laos e di bloccare i rifornimenti provenienti dal Laos e diretti verso il Vietnam. Secondo alcune stime, in Laos per nove anni di fila, ci sono stati bombardamenti ogni otto minuti, 24 ore su 24. 

Di queste bombe circa il 30% è ancora inesploso rappresentando un grave pericolo per i cittadini del Laos. Infatti, nel paese, le vittime di questi ordigni inesplosi sono numerose ogni anno. Anche se il governo ha iniziato a tener nota delle morti causate dalle UXO solo dal 2008, il sito “Legacies of war” stima che nel Laos dalla fine della guerra, più di 20mila persone siano rimaste uccise o ferite dagli ordigni inesplosi. Molte volte le UXO esplodono perché vengono dissotterrate accidentalmente da contadini che coltivano i campi oppure in occasioni di normali momenti di vita quotidiana, come per esempio cucinando all’aperto nelle vicinanze di un ordigno.

Circa il 40% delle vittime degli UXO, tra l’altro, risultano essere bambini. Per esempio, nel 2021 un ordigno inesploso ferì Soupha, un bambino di 9 anni, e uccise due suoi amici. I bambini avevano iniziato a giocare con l’ordigno credendo fosse un pallone. Difatti, ciascuna bomba a grappolo infatti è usualmente composta da 200 sotto-munizioni. Questo implica che molte volte questi ordigni inesplosi hanno le dimensioni modeste di una pallina di tennis e per questo possono sembrare innocui, soprattutto agli occhi dei bambini. 

Anche nei centri urbani i cittadini del Laos sono abituati a fare i conti con gli ordigni inesplosi. Per esempio, pochi giorni dopo l’inizio del 2023, alcuni specialisti dell’esercito laotiano hanno individuato ordigni inesplosi (UXO) nel centro della città settentrionale di Kasi. La squadra di artificieri ha dovuto isolare tutta la zona circostante per rimuovere la bomba a grappolo ritrovata. 

La popolazione, quindi, ha dovuto imparare a convivere con queste bombe e mine inesplose, cercando in alcuni casi anche di trarne vantaggio. Per esempio, alcuni come Kommaly Chanthavong, fondatrice di una cooperativa che produce seta, hanno cercato di insegnare ai propri connazionali come disinnescare le bombe per coltivare in sicurezza i campi e piantare il gelso per nutrire i bachi da seta. Altri, usano questi ordigni inesplosi come se fossero una materia prima. La lok Phengparkdee, un ragazzo di 23 anni, raccoglie bombe inesplose (UXO) e ne ricava cucchiai. Il ragazzo rivela che questo strano mestiere gli è stato insegnato dal padre, che fin dal 1978 aveva iniziato a disinnescare e raccogliere bombe per trasformarle in cucchiai. In questo contesto si inserisce anche un’associazione italiana: la “No war factory”. Questa associazione acquista direttamente gioielli artigianali prodotti attraverso scarti bellici da alcune famiglie del Laos. Una volta che questi gioielli vengono importati in Italia in alcuni casi sono arricchiti di pietre e poi venduti. In questo modo l’associazione aiuta l’economia laotiana donando una parte dei profitti all’associazione MAG (Mines Advisory Group), che si occupa della rimozione degli ordigni nel Laos, sin dal 1994. 

Purtroppo, nonostante gli sforzi che la popolazione ha fatto negli anni per adattarsi a questa situazione, gli ordigni inesplosi restano un problema di difficile risoluzione per uno dei paesi più poveri del mondo in cui le persone spesso vivono con meno di 1,25 dollari al giorno. Infatti, il 70% della popolazione vive nelle aree rurali dove molte volte intere aree importanti per la coltivazione sono rese inutilizzabili dalla presenza di decine di milioni di bombe inesplose. Inoltre, nonostante l’assistenza di Paesi come Giappone, Stati Uniti ed altri, il governo non ha abbastanza introiti per dar vita a una continua ed efficace campagna di rimozione delle UXO.

Indonesia e India capofila del Sud globale

Nel 2023 Giacarta e Nuova Delhi presiedono ASEAN e G20. Rafforzando i rapporti possono promuovere la visione di una parte di mondo in costante ascesa

Tra i tanti ambiziosi obiettivi della presidenza di turno indonesiana dell’ASEAN, c’è anche quello di rafforzare il ruolo di Giacarta e del blocco del Sud-Est asiatico all’interno del Sud globale. E a sua volta sostenere il ruolo del Sud globale negli affari mondiali. L’intenzione è stata esplicitata da Sri Mulyani Indrawati, Ministra delle Finanze dell’Indonesia, in una rilevante intervista a Nikkei Asia. “Lavoreremo a stretto contatto con l’India”, ha dichiarato Indrawati. “L’India e l’Indonesia sono tra i pochi grandi Paesi emergenti che stanno ottenendo ottimi risultati economici, quindi questo rapporto ci garantisce più influenza e più rispetto a livello globale”. D’altronde, Giacarta e Nuova Delhi sono accomunate da una prospettiva comune sugli affari internazionali e dai cruciali impegni diplomatici di questi anni. Nel 2023 l’India ha ereditato la presidenza di turno del G20 proprio dall’Indonesia, che a sua volta appunto detiene quella dell’ASEAN. I Paesi del Sud globale tendono alla neutralità politica ed evitano di schierarsi durante i conflitti. Nonostante le tensioni, molti considerano il vertice del G20 di Bali di novembre un successo, con la pubblicazione di una dichiarazione dei leader che condanna l’aggressione della Russia in Ucraina. Pur proponendo una soluzione pacifica che tuteli non solo la sicurezza ma anche la tenuta di commercio e globalizzazione. Una prospettiva che sarà sostenuta anche dall’India. “Il G7 sta ammettendo di aver bisogno di una controparte che possa fornire una visione equilibrata… fornendo una maggiore inclusività e diversità all’interno della comunità globale, il che è salutare, credo”, ha detto Indrawati, la quale sostiene che i Paesi del Sud globale stanno “contribuendo in modo costruttivo all’agenda globale”, ha dichiarato. “Sono anche diventati una fonte di soluzione per molti problemi mondiali in termini di cambiamento climatico, crisi finanziaria, pandemia o anche ora economia globale”. Proprio per questo i 10 Paesi dell’ASEAN possono svolgere un “ruolo molto importante”, non solo dal punto di vista economico, ma anche politico e in termini di sicurezza regionale “a causa delle tensioni tra Stati Uniti e Cina”. E approfondire la cooperazione con un altro attore regionale come l’India non può far altro, secondo la visione di Giacarta, che rafforzare il ruolo di una parte di mondo in ascesa sotto tutti i punti di vista.

Una strategia “rinnovabile”: la sfida ASEAN per il 2023

Tra il 2025 e il 2029, il Sud-Est asiatico diventerà importatore netto di gas naturali e carbone, quindi dalla sua strategia climatica futura dipenderà non solo una parte importante della produzione mondiale di energia, ma anche la sorte dell’Accordo di Parigi sul clima

Articolo di Chiara Suprani

Se numerose sono le previsioni degli analisti che vedrebbero il Sud-Est asiatico diventare la prossima centrale elettrica mondiale, allora la strategia che il blocco ASEAN deciderà di adottare per il suo sviluppo energetico futuro sarà decisiva. Quarto per consumo energetico al mondo, il gruppo dei dieci Paesi del Sud-Est asiatico soddisfa ancora oggi l’83% del suo fabbisogno energetico con combustibili fossili. Secondo un report pubblicato al Settimo ASEAN Energy Outlook (AEO7) tra il 2025 e il 2029, il Sud-Est asiatico diventerà importatore netto di gas naturali e carbone, quindi dalla sua strategia climatica futura dipenderà non solo una parte importante della produzione mondiale di energia, ma anche la sorte dell’Accordo di Parigi sul clima. La maggior parte dei Paesi ASEAN hanno aderito all’Accordo, che prevede zero emissioni entro il 2050, ad eccezione delle Filippine, mentre l’Indonesia ha optato come scadenza il 2060. Al fine di sostenere la transizione del Paese di Joko Widodo, il G20 del 2022 si è concluso con il lancio del Just Energy Transition Partnership (JETP) un programma da 20 miliardi di dollari americani per la decarbonizzazione del sistema energetico indonesiano. L’accordo tra Indonesia e i suoi partner internazionali prevede la decarbonizzazione del 34% di produzione energetica indonesiana entro il 2030. Una formula di mix di prestiti agevolati, prestiti di mercato, sovvenzioni, garanzie e investimenti privati da parte di enti pubblici e privati: questo sta alla base del JETP. Formula che è stata accolta positivamente perché elaborata sulle necessità di ogni Paese. Gli investitori del mondo dei combustibili fossili sono però molto combattivi. Infatti, al COP27 di novembre 2022 il numero di rappresentanti dell’olio e del gas  è aumentato rispetto a quello del COP26 da 503 a 636, superando la rappresentanza al summit di ogni singolo Paese.

Per capitalizzare sulle energie rinnovabili occorre che le strategie nazionali posino su un terreno fertile di cambiamento: riadattare le abitudini dei cittadini in maniera incrementale e carpire le potenzialità energetiche di ogni Paese sono la chiave per creare un clima favorevole agli investimenti. I segnali sono graduali ma si vedono. Molteplici sono i casi di querele e denunce di cittadini nei confronti di governi o soggetti privati per inadempienza ai diritti o insufficienza di impegno a, per esempio, favorire aria pulita o dimezzare le emissioni. Sfruttando il potenziale energetico di ogni Paese, in Indonesia, la cui capacità geotermica è seconda solo agli Stati Uniti, è stato costruito l’impianto geotermico di Muara Laboh nel Sumatra occidentale. Mentre sull’Isola di Jurong a sud-est di Singapore, è stato realizzato il più grande impianto energetico del Sud-Est asiatico, che punta a coprire il 3% di fabbisogno annuo di energia di 300 mila abitazioni. Dal momento che la regione si sta affidando sempre più all’energia rinnovabile, dall’ASEAN Centre of Energy arrivano alcune raccomandazioni. I nuovi progetti energetici nei Paesi ASEAN procureranno un ulteriore stress alla rete elettrica nazionale, che è soggetta ancora oggi a numerosi blackout. Ai Paesi che mancheranno di formulare una strategia flessibile, diversificata e resistente si potrebbe presentare una situazione di sviluppo “boom and bust”, espansione e contrazione, come quella che ha colpito il Vietnam nel 2019. Scovare il catalizzatore per la transizione energetica dell’ASEAN è perciò un obiettivo chiave del 2023.

Un film riapre il tema della giustizia di genere in Indonesia

Sri Asih è il riadattamento cinematografico del primo supereroe dei fumetti indonesiani. Celebra un personaggio femminile, reincarnazione della dea della giustizia. Ma il messaggio di emancipazione contrasta con le restrizioni dei diritti delle donne e delle comunità LGBTQ+ 

L’eruzione di un vulcano dà vita ad Alana, una vera forza della natura, reincarnazione della dea guerriera protagonista del film indonesiano Sri Asih. Uscito al cinema a novembre, il film diretto da Upi Avianto racconta la storia del primo supereroe della storia dei fumetti in Indonesia: una giovane combattente che cresce senza genitori, è appassionata di kickboxing e ben presto scopre di essere stata scelta per esercitare sulla Terra la volontà di Dewi Asih, la dea della giustizia, e riportare l’equilibrio nel mondo. Il tempismo di questo successo cinematografico, che adatta il celebre fumetto degli anni ‘50, ripropone un personaggio molto amato della cultura pop indonesiana, proprio in una delle congiunture storiche più difficili per le donne e per la comunità LGBTQ+ in Indonesia.

Il film fa parte della serie di blockbuster di supereroi del Bumilangit Cinematic Universe ed è inserito nella lineup dell’International Film Festival di Rotterdam che si tiene dal 25 gennaio al 5 febbraio 2023. Si tratta di un prodotto che mescola l’action tipico degli universi Marvel e DC con i riferimenti culturali del Sud-Est asiatico – dalle arti marziali a tutto l’immaginario legato al misticismo locale, con demoni e spiriti benigni che si scontrano in sfide all’ultimo sangue. Un film d’azione a tema supereroi che non ha niente da invidiare alle più celebri saghe statunitensi.

“Sono rimasta sorpresa e stupita nell’apprendere che il primo supereroe in assoluto in un Paese con una cultura così fortemente patriarcale all’epoca fosse una donna”, ha detto la regista e sceneggiatrice Upi Avianto a Nikkei Asia. La storia era già stata il soggetto di un film uscito nel 1954, le cui bobine sono andate perdute. Ma la celebrazione dell’emancipazione femminile di Sri Asih si scontra con l’attuale, progressivo esacerbarsi del conservatorismo religioso nel Paese. 

Il controllo ancora stringente del ruolo delle donne nella società indonesiana si declina nel progressivo aumento delle leggi nazionali e regionali sull’uso obbligatorio dello hijiab in varie province, e in alcuni passaggi del nuovo codice penale che punisce il sesso fuori dal matrimonio. La nuova legge, approvata all’unanimità dal parlamento e frutto di un difficile compromesso politico, entrerà in vigore entro tre anni. Il nuovo documento “contiene disposizioni che violano i diritti delle donne e delle ragazze a un’educazione e informazione complete e inclusive sulla salute sessuale e riproduttiva”, ha affermato Andreas Harsono di Human Rights Watch. Punendo le relazioni extraconiugali, il nuovo codice rischia di colpire in modo sproporzionato le coppie omosessuali alle quali è interdetto il matrimonio. 

“Più di ogni altra cosa, questo è uno scontro tra tradizione e modernismo – e sul fatto che la propria famiglia accetti le proprie scelte sessuali”, ha affermato un manifestante intervistato dal Guardian, “c’è la clausola secondo cui [il sesso extraconiugale] è considerato un atto criminale solo se denunciato da un parente stretto – genitori, coniuge, figli – e non da qualsiasi parte offesa a caso”. La comunità transgender indonesiana potrebbe subire più di tutte le conseguenze della revisione del codice, poiché persone LGBTQ+ “hanno maggiori probabilità di essere denunciate dalle famiglie per relazioni che disapprovano”, ha affermato di recente Human Rights Watch. 

Le nuove disposizioni hanno provocato manifestazioni pubbliche e proteste contro l’imposizione di valori morali conservatori sulla sessualità. Le sorti della giustizia di genere in Indonesia sembrano molto incerte e la situazione è ancora lontana dal combaciare con il messaggio liberatorio raccontato nel riadattamento cinematografico delle vicende della supereroina Sri Asih. 

Il 2023 visto dai cittadini dell’ASEAN

Economia, lavoro e ambiente sono le prime preoccupazioni delle popolazioni del Sud-Est asiatico, che approvano la “ASEAN WAY” in diplomazia

Disoccupazione, inflazione, mancanza di materie prime, cambiamento climatico, eventi meteorologici sempre più intensi, aumento del divario socio-economico e disparità di reddito. Sono queste le principali preoccupazioni dei cittadini dei dieci Paesi membri dell’ASEAN. Il dato emerge dall’atteso report annuale The State of South-east Asia a cura dell’ISEAS – Yusof Ishak Institute di Singapore. I risultati del sondaggio annuale, utile per capire che cosa si aspettano i cittadini del Sud-Est asiatico dall’anno appena cominciato, indicano che il 59,5% dei 1.308 intervistati nei 10 Paesi dell’ASEAN ha classificato la disoccupazione e la recessione economica come una preoccupazione più urgente del cambiamento climatico, che è al secondo posto con il 57,1%. L’aumento dei divari socio-economici e la crescente disparità di reddito si sono piazzati al terzo posto, mentre solo dopo sono state citate le crescenti tensioni geopolitiche di cui parlano tutti i media internazionali in riferimento alle manovre contrapposte in Asia-Pacifico. Il 73% degli intervistati ha in effetti espresso il timore che l’ASEAN stia diventando un’arena di competizione geopolitica, altro segnale che la classica “terza via” di neutralità e pacifismo adottato dal blocco convince i cittadini della regione. La Cina continua a essere considerata la potenza economica più influente nella regione, seguita dagli Stati Uniti. La Cina è stata anche classificata come la potenza più influente e strategica nel Sud-Est asiatico. Anche in questo caso gli Stati Uniti seguono al secondo posto. A testimonianza del fatto che i cittadini del blocco approvano il tentativo dei loro governo di tenere aperte le porte a tutti senza mettersi però contro nessuno. Alla resa dei conti, gli intervistati del Sud-Est asiatico hanno continuato a preferire l’opzione di rafforzare la fiducia e l’unità dell’ASEAN per respingere le pressioni degli Stati Uniti e della Cina in un contesto di tensione tra le due potenze. La tradizionale opzione secondo cui l’ASEAN non si schiera né con la Cina né con gli Stati Uniti, ha visto un maggiore sostegno quest’anno rispetto al 2022, mentre una terza opzione in crescita di gradimento prevede che l’ASEAN cerchi di approfondire i rapporti con “terze parti” come il Giappone o l’India per aumentare il suo spazio strategico.

La corsa di Hanoi alle rinnovabili è (anche) una strategia di sviluppo economico

Oggi il Vietnam non è solo una delle economie più promettenti del blocco ASEAN, ma offre uno sguardo sulle opportunità di sviluppo grazie alle rinnovabili. Una panoramica di cosa significa l’allontanamento dalle fossili per Hanoi

Transizione energetica cercasi: a dicembre 2022 il Vietnam ha finalizzato una Just Energy Transition Partnership (JETP) con l’International Partners Group (IPG) composto da Unione Europea, Regno Unito, Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Italia, Canada, Danimarca e Norvegia. Si tratta di un programma di finanziamenti dedicato ai paesi in via di sviluppo per facilitarne la crescita sostenibile in campo energetico, che nel caso di Hanoi prevede 15,5 miliardi di dollari per ridurre la dipendenza del paese dalle fonti fossili. Con la firma della JETP, per usare le parole del presidente statunitense Joe Biden, “il Vietnam ha dimostrato di essere un paese leader nel tracciare un’ambiziosa transizione energetica pulita che contribuirà alla sicurezza energetica nel lungo termine”.

Con un comparto idroelettrico che già copriva il 40% del mix energetico nel 2013 e una capacità di produzione energetica dal fotovoltaico aumentata di 25 volte in un anno, oggi il Vietnam è già uno dei paesi più promettenti della regione nel campo delle energie rinnovabili. Dal 2010 Hanoi ha iniziato a formulare il suo primo piano per lo sviluppo di nuove infrastrutture energetiche “pulite”, una roadmap che ha fornito le basi per la più ambiziosa Strategia nazionale per lo sviluppo energetico rinnovabile 2016-2030. Il piano punta, inoltre, alla riduzione delle fonti fossili del 25% entro il 2030 e del 45% entro il 2050.

Più crescita, più domanda

A trainare le ambizioni energetiche del Vietnam è la rapida crescita economica, una delle più promettenti nell’area. Secondo gli ultimi dati dell’Ufficio di statistica nazionale il 2022 è stato l’anno dei record, con un aumento del Pil pari all’8,02%, il più alto dal 1997 – anno della crisi finanziaria asiatica. Il cambio di passo economico sottintende un’evoluzione significativa del mercato domestico, accompagnato da importanti investimenti nei compartimenti produttivi che contribuiscono a fare del Vietnam un importante hub manifatturiero.

L’Agenzia per gli investimenti diretti esteri (IDE) del ministero degli Esteri vietnamita prevede tra i 36 e i 38 miliardi di dollari di IDE entro la fine del 2023, buona parte dei quali indirizzati verso progetti high tech e sostenibilità. Ciò non arriva senza la collaborazione di Hanoi, che dagli anni delle prime riforme di mercato ha cercato di attirare più capitali e talenti stranieri in settori ancora poco esplorati e sviluppati. A rafforzare questa visione, anche la ratificazione dell’accordo sulla protezione degli investimenti nel quadro dello EU-Vietnam Free Trade Agreement (EVFTA) del 2020 e l’entrata in vigore della Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) del 2022. Nel frattempo, l’aumento della qualità della vita sta accelerando anche la domanda energetica dei cittadini vietnamiti, che insieme alla spinta industriale continuerà a crescere del 10% su base annuale fino al 2030.

Boom solare

Il governo vietnamita ha avanzato diverse strategie per incentivare aziende e cittadini a scegliere la via delle fonti energetiche “pulite”. Il cambio di passo nella produzione di energia solare, per esempio, è stato ottenuto attraverso un generoso tasso di vendita per l’energia immessa nella rete dai pannelli installati sulla propria abitazione: circa 0,09 euro per Kilowattora, poi fissato a 0,08 fino al 2030. Diverso il discorso per impianti finalizzati alla produzione e alla vendita totale dell’energia prodotta, dove la cosiddetta feed-in-tariff (FiT) è inferiore ma comunque più conveniente rispetto a quella dedicata alle centrali a carbone e idroelettriche. 

I risultati non si sono fatti attendere: lo schema ha portato il Vietnam in cima alla classifica dei Paesi ASEAN che investono nel fotovoltaico, raggiungendo una capacità produttiva di 17,6 Gigawatt. Non ancora ai livelli dei 92 Gigawatt prodotti dagli impianti statunitensi, ma che segnala la velocità con cui il processo di transizione energetica vietnamita sta recuperando sui partner occidentali. Un percorso iniziato solo nel 2014 con la prima centrale a energia solare nella provincia di Ninh Thuan.

Dal 2018 sono iniziate anche nuove forme di sperimentazione per portare i parchi eolici laddove non mancano i terreni. Il fotovoltaico galleggiante, per esempio, è oggi visto come un’opzione interessante per sfruttare il potenziale delle dighe vietnamite: ce ne sono oltre 7 mila di varie dimensioni e potenza in tutto il paese, e ciascuna di loro può ospitare dei pannelli galleggianti facilmente agganciabili alla rete preesistente. 

I primi passi con l’eolico

Tra tutte le tecnologie rinnovabili adottate da Hanoi, l’eolico rimane uno dei settori meno esplorati. Secondo gli esperti del Global Wind Energy Council il Vietnam è uno dei paesi con il più alto potenziale eolico del Sud-Est asiatico e, con una corretta pianificazione, potrebbe presto passare dagli attuali 3,5 Gigawatt a oltre 30 Gigawatt di elettricità prodotta. 

Tra le aree strategiche rientrano le coste, dove è possibile tentare la strada dell’eolico galleggiante. Ma anche nelle province settentrionali e nel centro sono in costruzione alcune delle centrali più grandi della regione. Tra queste, per esempio, la centrale eolica galleggiante nella provincia di Bac Lieu, la prima del suo genere costruita nel delta del Mekong.

Le sfide della transizione

Come accade per altri paesi dell’area, la crescita economica non basta per dare inizio a una transizione energetica efficace e coerente. Le proposte di nuovi progetti continuano ad aumentare, ma manca una solida rete elettrica capace di sostenere eventuali picchi della domanda e dell’offerta. Gli investimenti sono ancora insufficienti: per Vietnam Electricity (VE), la maggiore azienda energetica del paese, i capitali investiti nel settore dovrebbero toccare i 150 miliardi per raggiungere i target fissati dalla leadership vietnamita. Sempre VE detiene ancora il monopolio del mercato energetico, e solo dal 2022 è stato avviato un progetto-pilota biennale per testare dei contratti di vendita e acquisto di energia elettrica direttamente dai produttori delle centrali. L’obiettivo? Snellire le procedure e incentivare gli investitori con la prospettiva di agire più liberamente sul mercato.

Alle sfide amministrative e finanziarie si aggiungono quelle strutturali, che vanno dal dilemma dello stoccaggio dell’energia prodotta dalle rinnovabili all’impatto ambientale dei nuovi progetti. Se gli impianti galleggianti offrono un’alternativa all’occupazione di terreni da destinare ad altri scopi, dall’altro lato ostacolano l’accesso alle risorse idriche e ittiche da parte della popolazione locale. Così come in passato non si è prestata troppa attenzione ai danni ambientali causati dall’eccessiva costruzione di dighe e centrali idroelettriche, ora diventa problematico testare le criticità degli investimenti nei nuovi parchi solari o eolici laddove potrebbero impattare gravemente sull’ecosistema.

Non meno importante rischia di risultare il debito – finanziario o “politico” – contratto con i Paesi che investono in Vietnam. Gli incentivi per investire nelle rinnovabili sono solo una delle numerose strategie adottate da Hanoi per aumentare l’ingresso di capitali stranieri nel paese e spingere la crescita economica alleggerendo il debito pubblico. Una scommessa necessaria e con diverse ricadute positive sull’economia, ma con un futuro ancora incerto. Tra le perplessità dei partner europei durante la firma dell’accordo di libero scambio rimane la situazione dei diritti umani in Vietnam – elemento che potrebbe rivoltarsi contro Hanoi come accaduto con il congelamento dell’accordo sugli investimenti tra UE e Cina. Il Memorandum of understanding con gli Usa, invece, promette importanti aiuti per la transizione energetica vietnamita, ma allo stesso tempo vincola il Paese alle importazioni di gas liquefatto naturale. Cina, Corea del Sud, Singapore e Giappone corrono a loro volta per massimizzare i benefici promessi da Hanoi in questo settore: ci saranno risorse sufficienti per monitorare la situazione?

Omnibus Law e il settore finanziario in Indonesia

Approvata l’attesa riforma del settore finanziario, che Giacarta cercava da molto tempo. Ecco che cosa cambierà

Articolo di Aniello Iannone

Dopo quasi 3 anni di trattative, il 15 dicembre 2022 la Camera dei Rappresentanti indonesiana ha approvato la riforma  sullo sviluppo e il rafforzamento del settore finanziario (UU PPSK). La riforma che andrà a modificare le norme in materia di diritto finanziario in particolar modo per il settore riguardante gli investimenti, sarà amministrata tramite una omnibus law, tipologia già usata per la riforma sul lavoro nel 2020 e nel 2021 sulle riforme riguardanti le armonizzazioni  delle normative fiscali. Le norme per lo sviluppo e il rafforzamento del settore finanziario (PPSK), composto da 27 capitoli e 341 articoli, vedono grandi cambiamenti suddivisi in 17 articoli.

La nuova riforma diventerà la norma principale per la regolarizzazione business quali attività come capitale di rischio, mercato del carbonio e il mercato delle criptovalute, ma toccherà  anche istituzioni finanziarie quali banche e centri assicurativi e la banca dell’oro. Inoltre la nuova legge riformula competenze e poteri della Banca Centrale Indonesia (Bank Indonesia o BI), dell’autorità per i servizi finanziari (Otoritas Jasa Keuangan o OJK) e della Società di assicurazione dei depositi  (Lembaga Penjamin Simpanan o LPS).

Secondo la nuova legge, infatti, la Bank Indonesia potrà comprare titoli di Stato a lunga scadenza sul mercato primario.  In pratica la banca centrale potrà stampare  denaro per finanziare la spesa del governo, nel caso eventualmente anche di crisi finanziarie che potrebbero mettere a rischio l’economia nazionale. Prima la BI comprava le obbligazioni del Paese sul mercato primario con un livello di interesse, diventando un acquirente in standby nel caso che gli investitori non fossero riusciti a riassorbire i titoli di stato, comprando obbligazioni nazionali anche con un tasso di interesse dello 0%. Questa azione, tecnicamente detta burden sharing, è stata praticata durante la crisi sanitaria del Covid-19 perché le entrate statali del governo hanno risentito della pandemia. L’azione di burden sharing dovrebbe essere usata sola quando serve. Ma con la nuova riforma diventa una vera e propria non stop policy in caso di stato crisi economica. Non è ben specificato, però, nella riforma in cosa consista lo stato di crisi, in tal senso la riforma potrebbe diventare un mezzo nel caso in cui il governo abbia bisogno di introiti  fiscali a basso costo. 

Un ruolo importante invece è dato alla OJK, che viene riformata strutturalmente. I membri del Consiglio dei Commissari dell’OJK passano da 9 a 11. Vengono istituiti il ruolo di Capo Esecutivo della Supervisione delle Istituzioni Finanziarie Società di Capitali di rischio ed Istituti di Microfinanza e il ruolo di Sovrintendente capo per l’innovazione tecnologica del settore finanziario per gli  asset finanziari digitali e le attività cripto. La nuova legge impone all’OJK di controllare e gestire le attività legate al fintech e alla finanza digitale compreso il mercato cripto. Proprio le attività legate alle criptovalute, (prima gestite dal BAPPEBTI, cioè l’ agenzia di vigilanza sul commercio dei futures delle materie prime), rientrano nell ITSK, quali nuove forme tecnologiche nel settore finanziario devono essere regolamentate e controllate e sarà l’OJK a doverle gestire da questo momento. Oltre al OJK e alla BI anche la LPS ha visto cambiamenti nei suoi ruoli. Inizialmente uno dei compiti principali della LPS era garante dei depositi pubblici nelle banche. L’omnibus law finanziaria invece incarica la LPS di garantire le polizze assicurative.

Conclusione 

Una riforma del settore finanziario era attesa in Indonesia da tempo. La riforma mira a migliorare, mettere in sicurezza  e velocizzare un settore che in Indonesia, come ha notato il Ministro delle Finanze Sri Mulyani Indrawati, usa norme ormai non al passo coi tempi. Come le altre riforme, anche questa non manca di alcune lacune. Per esempio non è ben chiaro da chi saranno scelti i direttori delle tre autorità finanziarie primarie, BI, OJK e LPS. Nella legge è chiaro che non possono essere dirigenti attivi di partiti politici, però non è presente un vero e proprio meccanismo per tutelare questo principio. 

L’ASEAN resta unita sul Myanmar

La questione birmana continua a essere una complicata sfida per i Paesi del Sud-Est asiatico. Il blocco prova a mostrare comunione di intenti

Unità. Questo il concetto citato più volte al summit dei Ministri degli Esteri dei governi dei Paesi dell’ASEAN, svoltosi a Giacarta lo scorso fine settimana. Il vertice ha rappresentato l’avvio ufficiale della presidenza di turno dell’Indonesia per il 2023. E l’amministrazione del Presidente Joko Widodo si è subito mostrata risoluta nel tentativo di compattare i ranghi sulla questione più spinosa a livello politico e diplomatico: la crisi in Myanmar. Dopo due anni dal golpe militare, la situazione è ancora ben lontana dall’essere risolta. La recente decisione dell’esercito birmano di prolungare di sei mesi lo stato di emergenza nazionale ha suscitato polemiche in patria e condanne all’estero, in quanto la mossa è stata percepita come un segnale che le elezioni generali promesse per la prossima estate saranno rinviate. La transizione del Paese verso un governo civile appare dunque allontanarsi, mentre il consenso in cinque punti raggiunto tra la giunta militare e l’ASEAN resta in larga parte inapplicato. Al termine del summit, la Ministra degli Esteri indonesiana Retno Marsudi ha dichiarato che Giacarta ha proposto ai Paesi membri un piano di pace attuativo del consenso in cinque punti, che chiedeva innanzitutto la fine delle violenze e il dialogo tra militari e ribelli. Secondo Marsudi, tutti i rappresentanti dei governi regionali hanno accettato la proposta. Un segnale positivo per l’Indonesia, la cui presidenza di turno si preannuncia come molto proattiva sulla questione. “Questo piano è molto importante come guida per affrontare la situazione in Myanmar in modo unitario”, sostiene il governo indonesiano. Dall’esterno e dall’interno dell’area del Sud-Est asiatico arrivano peraltro richieste all’ASEAN di adottare una postura più decisa e compiere dunque un salto di qualità di fronte a una delle sfide più complesse che il blocco ha dovuto affrontare in tempi recenti. L’Indonesia sembra disposta a favorire questo processo, ma allo stesso tempo il Presidente Widodo ha avvisato le grandi potenze di non utilizzare il Sud-Est asiatico come proprio campo di sfida. A conferma che l’ASEAN non è intenzionato a prendere parte a contese o a contribuire al ritorno di una logica da blocchi contrapposti. 

Membri attivi di recente
Foto del profilo di Alessio
Foto del profilo di Monika
Foto del profilo di Gabriel
Foto del profilo di Elena
Foto del profilo di Lorenzo
Foto del profilo di Alessandro
Foto del profilo di Cristina
Foto del profilo di Rocco
Foto del profilo di Clara Lomonaco
Foto del profilo di Redazione
Foto del profilo di Davide Gugliuzza
Foto del profilo di Anna Affranio
Foto del profilo di Ilaria Canali
Foto del profilo di Nicolò
Foto del profilo di Angelo Cangero
Chi è Online
Al momento non ci sono utenti online
Membri
  • Foto del profilo di Alessio
    Attivo 1 giorno, 20 ore fa
  • Foto del profilo di Monika
    Attivo 3 giorni, 4 ore fa
  • Foto del profilo di Gabriel
    Attivo 3 settimane, 4 giorni fa
  • Foto del profilo di Elena
    Attivo 1 anno, 4 mesi fa
  • Foto del profilo di Lorenzo
    Attivo 2 anni, 6 mesi fa