Timor Leste verso l’ingresso in ASEAN

Dopo più di dieci anni dalla candidatura, Dili si appresta a diventare l’undicesimo Stato membro del blocco del Sud-Est asiatico

Siglato al termine del 40° ASEAN Summit tenutosi a Phnom Penh, l’accordo in linea di principio ha concesso a Timor Leste lo status di osservatore e la partecipazione a tutte le riunioni dell’ASEAN, comprese le plenarie del vertice. Il Paese sarebbe il primo nuovo membro ASEAN dopo più di due decenni dall’ammissione della Cambogia nel 1999.

L’attesa decisione arriva dopo anni di dibattiti, che includono le iniziali riserve da parte di Singapore. Il Presidente Ramos-Horta presentò la candidatura di Timor Leste per l’adesione all’ASEAN nel 2011, un anno prima di completare il suo primo mandato quinquennale. Allora la richiesta fece emergere non poche resistenze anche in patria, a causa della mancanza di risorse umane ed economiche del Paese per adattarsi ai programmi dell’ASEAN, e soprattutto degli obblighi finanziari che i membri sono tenuti a pagare per gestire l’organizzazione regionale. La decisione è, quindi, un grande traguardo per Ramos-Horta, che vinse il premio Nobel per la pace nel 1996, insieme all’allora vescovo di Dili Carlos Ximenes Belo, per le loro campagne pacifiche a favore dell’indipendenza dall’Indonesia. L’inclusione nel blocco regionale sembrerebbe infatti l’inizio di un mea culpa dell’Indonesia nei confronti della sua ex colonia. 

La storia delle due nazioni è macchiata dalla perdita di migliaia di vite e dai terribili atti di violenza, che hanno segnato i 24 anni di occupazione indonesiana dell’allora Timor orientale. Molti altri sono stati uccisi all’indomani del referendum approvato dalle Nazioni Unite il 30 agosto 1999, quando i timoresi orientali hanno votato per l’indipendenza dall’Indonesia.

Nel dicembre 1975, con la piena approvazione del presidente degli Stati Uniti Gerald Ford e del primo ministro australiano Gough Whitlam, l’allora presidente Suharto invase Timor Est, dopo che fu abbandonato dal Portogallo, controllato dai comunisti. Per più di un ventennio l’Indonesia ha agito come padrona coloniale di Timor Est, che fu nominata ventisettesima provincia della Repubblica. Tuttavia, le Nazioni Unite non hanno mai riconosciuto la sovranità dell’Indonesia su Timor Est, anche grazie alla campagna globale di Ramos-Horta. Nell’ondata di cambiamento che ha portato alla caduta del regime di Suharto, il suo successore BJ Habibie decise di far scegliere al popolo di Timor Est il futuro del loro Paese, tramite un referendum che sancì l’indipendenza dall’Indonesia, con quasi l’80% dei voti. Non potendo accettare una tale sconfitta, l’esercito indonesiano e le sue milizie iniziarono una distruzione senza eguali, costringendo centinaia di migliaia di persone a fuggire. La pace fu ripristinata solo dopo che le Nazioni Unite inviarono truppe multinazionali e l’esercito indonesiano accettò di collaborare. Timor Leste venne scelto come nome ufficiale della nuova Repubblica, che dichiarò la sua piena indipendenza il 30 maggio 2002. 

Timor Leste, che condivide le isole di Nusa Tenggara con l’Indonesia, è ora tra le nazioni più povere del mondo, il motivo principale per cui Singapore si era opposto al suo ingresso nel blocco. In tutti questi anni, è stato il presidente Joko Widodo a spingere i colleghi leader regionali ad accettare Timor Leste come parte del gruppo. Fin dall’inizio Singapore ha messo in dubbio la capacità di Timor Leste di aderire al blocco commerciale, temendo che uno Stato così impoverito diventerebbe solo un onere inutile per l’ASEAN.

Tuttavia, l’ASEAN ha ammesso nuovi membri nonostante le scarse risorse umane ed economiche. Timor Leste rimane un Paese a basso reddito, ma il suo benessere è migliore di quello del Myanmar di oggi. Gode di enormi riserve di petrolio e gas, e nel 2021 il reddito pro-capite è stato pari a 1.400 dollari. 

Aiutare i nuovi Stati membri è una procedura standard per l’ASEAN. La sua storia lo dimostra prima con Laos e Myanmar nel 1997 e poi la Cambogia nel 1999. Ai nuovi membri del blocco è stato anche concesso un trattamento speciale per mettersi al passo con i membri economicamente più forti come Indonesia, Vietnam, Thailandia.  

Nell’attesa di ricevere le stesse agevolazioni, i presupposti sono davanti agli occhi di tutti. L’ingresso in ASEAN darebbe finalmente a Timor Leste condizioni di parità all’interno del gruppo e l’accesso a un enorme mercato, che aiuterebbe il Paese a crescere più velocemente e a far parte dei processi decisionali. L’Indonesia non riuscirà a ripagare il suo debito, ma è pronta a scrivere un nuovo futuro.

Le auto elettriche vietnamite sui mercati UE

Non solo Stati Uniti. Il colosso vietnamita VinFast punta a espandersi anche nel mercato europeo. Con una strategia che appare vincente

Il marchio vietnamita di veicoli elettrici VinFast punta ad espandersi nel mercato europeo. Dopo l’apertura del flagship store a Colonia prevista per novembre 2022, l’azienda ha in programma di aprire nuovi uffici a Francoforte, Parigi, Nizza, Amsterdam, Berlino, Monaco e Amburgo entro la fine dell’anno. L’espansione dell’azienda di EV (electric vehicles) nei paesi dell’Unione Europea prevede una rete di vendita al dettaglio che intende rispondere alle esigenze specifiche del mercato locale, ha dichiarato lunedì la casa automobilistica. Come economia di punta dei paesi del Sud-Est asiatico, il Vietnam continua a trainare la crescita della regione. Al Salone dell’auto di Parigi, che si è tenuto dal 17 al 23 ottobre scorso, la CEO di VinFast Le Thi Thu Thuy ha dichiarato che la sua azienda è orgogliosa di tornare a Salone “per dimostrare che il Vietnam non solo è in grado di produrre automobili, ma sta anche facendo un grande salto verso la rivoluzione elettrificata”. VinFast è il marchio principale del conglomerato vietnamita VinGroup, che si occupa di tecnologia, industria, sviluppo immobiliare, vendita al dettaglio e servizi, e sembra intenzionata ad espandersi il più possibile sui mercati globali. Ha anche annunciato all’inizio dell’anno che lancerà un impianto di assemblaggio da 4 miliardi di dollari sul suolo statunitense. Si tratta di una strategia coerente con il grande successo che VinFast sta acquisendo anche nel mercato interno: tra automobili più economiche e vetture di lusso, la casa automobilistica sta vivendo appieno il “momento d’oro” del settore elettrico vietnamita trainato dalle istanze di sostenibilità. L’impennata nelle vendite registrata nel luglio 2022 è stata limitata solo dalla scarsità di componenti subita nell’agosto successivo. Ma secondo un rapporto del Vietnam Petroleum Institute, se il governo agirà tempestivamente con politiche mirate al sostegno del settore, Hanoi potrà assumere un ruolo di punta per il mercato degli EV nel Sud-Est asiatico e all’estero.

ASEAN, un 2023 tra sfide e opportunità

L’anno che si apre può ulteriormente rafforzare il ruolo economico e diplomatico del blocco dei Paesi Sud-Est asiatico, che potrebbe anche accogliere un nuovo membro

Il 2022 è stato l’anno in cui l’ASEAN e il Sud-Est asiatico hanno dimostrato di essere una piattaforma, anzi “la” piattaforma per eccellenza, della ripartenza economica e diplomatica a livello globale. Non solo una maggiore resistenza alle spinte inflazionistiche, la regione ha fatto segnare ottimi numeri di ripresa economica nonostante tutte le difficoltà legate alla coda della pandemia di Covid-19 e alla guerra in Ucraina. Di più. Il successo dei vari summit multilaterali che si sono svolti nell’area, tra G20 in Indonesia e APEC in Bangkok, conferma la capacità dell’ASEAN di essere considerata un’interlocutrice diplomatica affidabile.  Questo nonostante alcune zone d’ombra e problemi irrisolti, primo fra tutti la crisi in Myanmar sulla quale la presidenza di turno cambogiana, nonostante diversi tentativi, non è riuscita a compiere passi avanti significativi. Nel 2023 le sfide non mancheranno, ma la sensazione è che la presidenza indonesiana farà di tutto per cogliere le opportunità. Dopo aver ospitato il G20 a Bali, la principale economia del blocco si proietta con forza sul suo ruolo di leader regionale. Giacarta mirerà dunque alla creazione di una rete di cooperazione intraregionale che vada dal cambiamento climatico alla difesa informatica, passando per l’economia digitale e la sicurezza alimentare, quest’ultima posta tra le priorità del 2023. Possibile anche che arrivi un impulso decisivo all’ingresso di un undicesimo membro nell’Associazione: Timor Est. C’è chi avanza perplessità sulle diverse condizioni dell’economia di Dili con quella dei Paesi più avanzati del blocco, ma l’ASEAN non supererà mai del tutto la sua intrinseca diversità, che però si sta dimostrando in grado di sfruttare come punto di forza e di orgoglio. L’ASEAN è riuscita a prevenire l’emergere di conflitti tra grandi potenze e guerre regionali dalla fine della guerra fredda, quando le truppe vietnamite si ritirarono dalla Cambogia nel 1989, aprendo la strada agli accordi di pace di Parigi del 1991. Il blocco ha superato la crisi finanziaria asiatica espandendo il commercio intraregionale e promuovendo un regime di cambio comune. Più di recente, il Vertice dell’Asia orientale ha portato con successo al suo tavolo potenze esterne, tra cui Stati Uniti, Cina, Russia, Giappone e Australia, rafforzando il potere diplomatico del blocco. La “third way” dell’ASEAN pare una via da percorrere in maniera sempre più decisa.

L’indonesia alla prova della presidenza ASEAN

Nel corso del 2022, l’Indonesia è passata dalla presidenza del G20 a quella dell’ASEAN. Giacarta ha dimostrato di essere un punto di riferimento per la regione e un interlocutore indispensabile per tutti gli attori interessati nell’Indo-pacifico

Giacarta non è mai stata così centrale nello scenario internazionale. Nel 2022, i diplomatici di tutto il mondo hanno lavorato con il Governo indonesiano per preparare il Summit G20 di Bali. La città è anche la sede del Segretariato dell’ASEAN e, dalla fine del 2022 e per buona parte del 2023, sarà la sede della presidenza di turno dell’ASEAN. Il biennio 2022-2023 è forse un annus mirabilis per Giacarta, una capitale “in scadenza”, dato che sono già iniziati i lavori per spostare il Governo del Paese nella nuova città di Nusantara, nel Borneo orientale. I lavori per la costruzione della nuova capitale procedono però a rilento e saranno necessari ancora degli anni. Il progetto è quasi un simbolo delle ambizioni dell’Indonesia nella regione – e di alcune sue contraddizioni. La volontà di spostare il centro del Paese da Giava a una delle zone più periferiche dell’arcipelago. Le difficoltà amministrative di un progetto mastodontico. L’innalzamento del livello del mare che minaccia la vecchia capitale e il resto della regione. Un nome evocativo di un’ambizione di leadership plurisecolare.

Nusantara viene infatti dall’antico giavanese e significa “isole esterne”. Esterne dalla prospettiva di Giava, il cuore dell’Impero Majapahit, la cui influenza si estendeva, tra il XIII e il XV secolo, su tutto l’arcipelago malese – e infatti il concetto abbraccia non solo i territori che oggi corrispondono all’Indonesia. Il termine fa parte del nation-building indonesiano fin dal celebre giuramento del Palapa pronunciato da Gajah Mada, primo ministro di Majapahit, nel XIV secolo. Il primo ministro giurò di astenersi dal mangiare cibo speziato (palapa) fino a quando non avesse unificato tutta Nusantara sotto l’autorità giavanese. L’idea di unificare l’arcipelago e le popolazioni di lingua Malay sotto un’unica leadership sta alla base della nascita dello Stato indonesiano nel corso del Novecento. Durante il regime di Sukarno, il giovane Paese era arrivato a scontrarsi prima con i Paesi Bassi e poi la Malesia per completare il processo di unificazione della regione – con parziale successo. Già sotto Suharto queste ambizioni cambiarono natura: l’Indonesia doveva guidare Nusantara attraverso la sua influenza politica e la diplomazia e non con la forza. Il Paese segue questa dottrina da allora. Anche il giuramento del palapa rimane parte della retorica nazionale: il primo satellite lanciato dagli indonesiani nel 1976 fu battezzato appunto Palapa a simboleggiare la dedizione della Paese nel progetto.

Tale ruolo di leadership è per certi versi naturale date le dimensioni del Paese. Per popolazione ed economia, l’Indonesia è il più grande membro del blocco ASEAN e l’unico Stato della regione ad essere parte anche del G20. Nel 2022 Giacarta ha ricoperto la presidenza del summit, aprendo un triennio in cui il vertice si svolgerà sempre nel Sud globale: dopo Italia e Indonesia, la presidenza passerà all’India e poi al Brasile. Il Governo guidato da Joko Widodo non aveva un compito semplice, considerate le crescenti tensioni nella politica internazionale. La Russia è un membro del G20 e la membership è divisa tra i Paesi che boicottano Mosca e quelli con una linea più attendista. Nonostante questa contrapposizione, Widodo ha invitato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a intervenire al Summit di Bali. Dopo la conclusione del vertice, il Presidente cinese Xi Jinping si è trattenuto per un incontro bilaterale con Widodo per rafforzare la cooperazione in vari settori – in particolare nello sviluppo delle infrastrutture. Sul piano politico, Giacarta ha espresso la sua adesione al principio di non-interferenza negli affari interni molto caro a Pechino – un dato significativo visto che l’Indonesia è il più grande Paese a maggioranza musulmana del mondo e che la Cina riceve critiche dall’estero in particolare per il trattamento della minoranza musulmana nello Xinjiang. Allo stesso tempo, l’amministrazione Widodo non intende appiattirsi sulle posizioni cinesi, come neanche su quelle americane, rifiutando la logica della “nuova guerra fredda”. Si tratta di una posizione condivisa dalla grande maggioranza dei governi dell’ASEAN e delle economie emergenti del G20. Anche in questo caso, la strategia indonesiana viene da lontano – anche se non da un concetto antico come palapa o Nusantara. Uno dei leader del movimento indipendentista e futuro primo ministro Mohammad Hatta tracciò in un suo discorso del 1948 la rotta della politica estera della nuova nazione: mendayung antara dua karang, ossia “remando tra due scogli” – all’epoca, USA e URSS, a cui oggi forse potremmo aggiungere la Cina.

Anche la presidenza annuale dell’ASEAN, assunta da Giacarta a novembre 2022, porta con sé sfide non di poco conto. Il Governo indonesiano ritiene che l’organizzazione debba affrontare due questioni essenziali: navigare la crescente rivalità tra le grandi potenze e distribuire i frutti della crescita economica ai quasi 700 milioni di cittadini del blocco. La strategia tracciata dall’amministrazione Widodo per risolvere tali sfide si articola in tre punti: attuare lo Statuto dell’ASEAN – in altre parole, condividere certe scelte politiche essenziali, come ad esempio la risoluzione della crisi tuttora in corso in Myanmar –, rafforzare l’ASEAN come istituzione e dotarla di maggiori strumenti per raggiungere la sicurezza energetica e alimentare, l’”indipendenza medica” e la stabilità finanziaria della regione. Tale strategia è stata riassunta nello slogan: “l’ASEAN conta: un epicentro per la crescita”. La presidenza indonesiana sembra dunque intenzionata a rafforzare l’organizzazione e a risolvere al suo interno le già citate questioni politiche che scuotono la regione, ossia la questione birmana e il difficile equilibrio tra USA e Cina. Sul piano economico, l’Indonesia cercherà di attuare la strategia ASEAN Vision 2025, dunque rafforzare gli scambi commerciali infra-regionali e accelerare la transizione tecnologica. Un altro importante dossier è l’ingresso di Timor Est nell’organizzazione.Le aspettative per la presidenza indonesiana sono alte, considerata l’ambizione del Paese e i precedenti storici: due processi fondamentali per l’integrazione regionale – la creazione di una Comunità ASEAN sul modello dell’UE (2007) e l’accordo commerciale RCEP (2020) – sono stati avviati proprio durante due turni di presidenza indonesiana, rispettivamente nel 2003 e nel 2011. Nei mesi a venire potremmo vedere se anche stavolta l’Indonesia riuscirà a tenere uniti – con politica, cooperazione e leadership – i Paesi di Nusantara e del resto del Sud-Est asiatico.

La rivoluzione fintech nel Sud-Est asiatico

A Singapore il mercato digitalesta trasformando il settore bancario, con la recente apertura della città-stato asiatica alle banche digitali che minacciano il monopolio delle banche tradizionali. Una tendenza regionale

Il mercato dei pagamenti digitali nel Sud-Est asiatico in espansione dovrebbe raggiungere un volume di 2.000 miliardi di dollari nel 2030. Secondo un rapporto prodotto da Google, le transazioni entro quella data dovrebbero triplicare rispetto al decennio precedente, grazie alla forza trainante delle fintech e delle banche digitali in crescita nella regione. Questo studio annuale è stato promosso in collaborazione con Temasek Holdings, l’investitore statale di Singapore, insieme ad altre società di consulenza, e osserva l’andamento del mercato digitale in sei Paesi: Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore, Thailandia e Vietnam. Un altro vettore di crescita secondo il report è l’ingente aumento di utenti di Internet, che nel 2022 dovrebbero raggiungere i 460 milioni. Questi numeri sono probabilmente destinati a moltiplicarsi nei prossimi anni, in linea con le dinamiche di sviluppo demografico di tutta la regione del Sud-Est asiatico. Se durante la pandemia l’adozione del digitale ha visto una crescita repentina in tutta l’area, ora la gran parte delle aziende sta rallentando la fase di acquisizione di nuovi clienti per migliorare l’engagement di quelli già raggiunti negli scorsi anni. Ecco perché, secondo il rapporto, la rapida accelerazione registrata negli scorsi anni sta imboccando un processo di normalizzazione, con un modesto totale di 20 milioni di nuovi utenti previsti per il 2022 che rappresentano la metà di quelli raggiunti tra il 2020 e il 2021. A Singapore il mercato digitale sta trasformando il settore bancario, con la recente apertura della città-stato asiatica alle banche digitali che minacciano il monopolio delle banche tradizionali. Secondo Tsubasa Suruga di Nikkei Asia, per il momento i grandi gruppi bancari possono dormire sonni tranquilli: la loro posizione dominante li mantiene comunque in vantaggio, con la loro ampia gamma di servizi e l’ampia base di clienti al seguito. Perché le banche virtuali riescano ad eguagliare la redditività di questi operatori ci vorrà ancora tempo.

I risultati del vertice UE-ASEAN

Editoriale a cura di: Alessandra Schiavo, Vice Direttrice Generale/Direttrice Centrale per i Paesi Asia e Oceania del MAECI

Il 14 dicembre si è tenuto a Bruxelles il I Vertice UE-ASEAN a livello di Capi di Stato e di Governo. L’evento ha celebrato il 45° anniversario del Partenariato di Dialogo tra l’allora CEE e l’ASEAN, nonché il suo progressivo rafforzamento. Dal 1977, il rapporto bi-regionale è cresciuto esponenzialmente, con i rispettivi membri oggi confrontati a molteplici rischi e a un quadro internazionale radicalmente mutato: il cambiamento climatico, la vulnerabilità sanitaria, la ripresa post-Covid, la crisi energetica, la sicurezza alimentare, nonché un’intensa competizione sul fronte politico e securitario.

In questo scenario, l’ASEAN si è affermato come attore chiave per l’Unione Europea, interessata a promuovere i valori del pluralismo e della tolleranza contro le crisi che minano la stabilità, come l’aggressione in Ucraina e l’efferato colpo di Stato in Myanmar.

L’acquisita consapevolezza che solo lavorando insieme è possibile preservare la pace e generare una prosperità condivisa, ha fatto sì che nel 2020 l’UE divenisse Partner Strategico dell’ASEAN, con un sempre più proficuo dialogo in materia securitaria. L’UE è anche il terzo partner commerciale dell’Associazione. A ottobre è stato firmato il Comprehensive Air Transport Agreement UE-ASEAN, primo accordo di trasporto aereo interregionale. In occasione del Summit, è stata presentata la Team Europe Initiative sulla connettività sostenibile con l’ASEAN (cui aderisce per l’Italia CDP); firmati anche i Partnership Comprehensive Agreements con Thailandia e Malesia.

Il Vertice si è concluso con un Comunicato Finale Congiunto, che ha dato rilievo alla cooperazione economica e in materia di connettività, sviluppo sostenibile, transizione verde e digitale, e individuato un punto di consenso su alcuni dei più spinosi temi internazionali. Vi hanno preso parte i Presidenti e i Primi Ministri dei Paesi UE e ASEAN (tranne il Myanmar), oltre ai vertici delle due Organizzazioni regionali. Con la partecipazione del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, l’Italia ha inteso rinnovare la crescente attenzione all’ASEAN, perno della stabilità nell’Indo-Pacifico e di una parte del mondo sempre più essenziale per gli equilibri geostrategici e che ci vede sempre più impegnati. Non a caso, il Vertice è stato anche l’occasione per valorizzare il Partenariato di Sviluppo tra l’Italia e l’ASEAN (nei suoi volet politico-securitario, economico, culturale e di cooperazione allo sviluppo). Un legame che viene coltivato tramite iniziative concrete e di capacity building, e che trova nell’annuale “High Level Dialogue on ASEAN-Italy economic relations” (la cui prossima edizione, nel 2023, sarà ospitata dalla Thailandia) un momento di sintesi cruciale.

Accordi commerciali UE-Paesi ASEAN: a che punto siamo?

A Bruxelles c’è interesse per la conclusione di nuovi accordi di libero scambio, anche se la strada è in salita per i negoziati con i partner ASEAN. Le tensioni internazionali e le preoccupazioni domestiche (da entrambi i lati) rendono i negoziati più complessi. Ma il commercio internazionale rimane vitale per l’economia di entrambi i blocchi.

La Presidenza ceca del Consiglio UE aveva individuato a metà 2022, come sue priorità, la conclusione di nuovi free trade agreement (FTA) ‘in particolare in America Latina e nell’Indo-pacifico (…) con i partner like-minded’. Una priorità condivisa dai membri del Parlamento europeo che, durante le riunioni con i delegati di Praga che durante le prime settimane di Presidenza, hanno espresso l’urgenza di concludere gli accordi con Nuova Zelanda, Messico, Cile, Australia, India e MERCOSUR. In altre parole, a Bruxelles è vivo il desiderio aprirsi a nuovi mercati attraverso accordi bilaterali, ma si guarda ai differenti tavoli negoziali con diversi gradi di ottimismo. I trattati con Paesi ASEAN in discussione al momento – con Indonesia e Filippine – sembrano più difficili da concludere. I negoziati con Malesia e Thailandia sono rimasti bloccati per anni a causa delle vicende politiche interne dei due Paesi – se le trattative con Bangkok stanno ripartendo, quelle con Kuala Lumpur dovranno fare i conti con la crescente instabilità della politica nazionale. Tutto ciò nonostante l’UE abbia conseguito due recenti successi – i FTA con Vietnam e Singapore – proprio in questa regione.

Il negoziato in fase più avanzata è quello con l’Indonesia. Giacarta è un interlocutore essenziale per Bruxelles, e non solo sul piano commerciale. Il Paese è un attore fondamentale nell’ASEAN e anche nel G20, come ha dimostrato durante la sua recente Presidenza del Summit. Entrambi i partner sono interessati a rafforzare i rapporti commerciali, ma ci sono ancora dei nodi da sciogliere – in particolare, la tutela dei diritti di proprietà intellettuale (capitolo che abbraccia anche la protezione delle indicazioni geografiche) e l’annosa questione dell’olio di palma. La guerra russo-ucraina potrebbe incidere su questo punto dato che, da parte europea, la domanda di olii vegetali indonesiani sta crescendo – a causa della necessità di sostituire i fornitori nei Paesi coinvolti nel conflitto. Un altro tassello importante dell’accordo riguarderà gli investimenti. Anche in questo caso, l’opportunità economica si intreccia con quella politica. L’UE – come anche gli USA – si vuole presentare come un partner alternativo alla Cina nei progetti infrastrutturali strategici attraverso la strategia Global Gateway, pensata per rispondere alla Belt and Road Initiative di Pechino. Considerando che i rapporti commerciali Cina-Indonesia si stanno rafforzando anche grazie all’accordo RCEP, la conclusione di un FTA potrebbe aiutare Bruxelles a non perdere terreno rispetto a Pechino.

La tutela della proprietà intellettuale – in particolare quando riguarda il settore farmaceutico – è terreno di confronto anche nelle trattative con le Filippine. La percezione di Manila è che i negoziatori europei diano troppa priorità agli interessi dei detentori dei brevetti a discapito dell’interesse generale di accesso ai medicinali. Negli scorsi anni i negoziati erano andati a rilento anche a causa delle preoccupazioni dei MEP circa il rispetto dei diritti umani nel Paese – durante la campagna dell’ex presidente Rodrigo Duterte contro il traffico di droga avevano fatto scalpore le esecuzioni sommarie perpetrate dalle forze di sicurezza nazionali – e Strasburgo era arrivata a chiedere la sospensione del regime commerciale di favore GSP+. Il rispetto dei diritti umani, civili e politici è un requisito necessario per il proseguimento dell’iter negoziale dal punto di vista dell’UE – a riprova di questo, i negoziati con la Thailandia si erano interrotti nel 2014 a causa del golpe militare.

Anche questioni domestiche meno “sinistre” possono bloccare l’avanzamento delle trattative. Ad esempio, il dialogo con la Malesia si è interrotto a causa dell’incertezza politica nel parlamento di Kuala Lumpur: i recenti governi sono stati tutti sostenuti da maggioranze traballanti e mutevoli. E rimane difficile mettere d’accordo tutti gli stakeholder su temi complessi come i trattati commerciali. Per tornare al tema dell’olio di palma, gli agricoltori del settore sono un gruppo di pressione molto influente in Malesia e guardano con un certo fastidio alle politiche UE sul tema – e infatti i recenti governi nazionali sono stati molto duri verso Bruxelles, sollevando la questione anche in sede WTO, insieme all’Indonesia. D’altronde, anche la società civile europea ho opinioni forti, e di segno opposto, sul tema e influenza in questo senso le Istituzioni europee. I negoziatori europei si trovano a doversi destreggiare tra le richieste dei loro concittadini e quelle delle delegazioni dei partner, a volte anche divise al loro interno – in certi Paesi ASEAN, ministeri dello stesso governo sono in competizione tra loro per far prevalere gli interessi dei gruppi di pressione a cui sono più legati, a discapito di altre porzioni dell’economia o della società. 

Nonostante le difficoltà, proseguire nella liberalizzazione dei rapporti commerciali può portare grandi benefici a entrambi i blocchi, i quali devono all’export buona parte del loro dinamismo economico. La conclusione di accordi bilaterali tra l’UE e i singoli Paesi ASEAN potrebbe facilitare i negoziati per un futuro FTA region-to-region – questa sembra essere l’obiettivo finale di Bruxelles dopo il fallimento dello stesso progetto nel 2009. Superare le difficoltà tecniche e politiche – che abbiamo solamente tratteggiato in questo articolo – rappresenterebbe un segnale positivo in una fase in cui l’unilateralismo sembra diventare la cifra della politica commerciale internazionale.

ASEAN centro della connettività globale

Diversificazione, integrazione regionale e piano di sviluppo resiliente. Ecco i tre strumenti coi quali il Sud-Est asiatico può rafforzare il suo ruolo

Editoriale a cura di Lorenzo Lamperti

Come sappiamo, l’ASEAN è da sempre un caposaldo di una “terza via” della diplomazia globale, basata su neutralità e pacifismo. In un contesto come quello attuale, tra guerra in Ucraina e turbolenze varie che raggiungono anche l’area dell’Asia-Pacifico, diventa ancora più urgente per il Sud-Est asiatico riuscire a rafforzare quella sua politica di “non allineamento”, o meglio di “non confronto”. Magari legando la propria visione con quella di chi ha le stesse esigenze, cioè quelle di evitare il decoupling o un ritorno di un mondo diviso in blocchi. In che modo i Paesi del gruppo ASEAN stanno provando a perseguire questo obiettivo? Il primo strumento, individuato da Xue Gong della Nanyang Technology University di Singapore, è quello della diversificazione. Nel settore della connettività regionale, ad esempio, il Sud-Est asiatico ha cercato più partner per contribuire a soddisfare il bisogno di infrastrutture regionali. Oltre alla Belt and Road cinese e alla Partnership for Quality Infrastructure giapponese, si stanno esplorando anche altre piattaforme per migliorare l’integrazione regionale, come l’agenda per la connettività ASEAN-Europa e il programma ARISE (Asean Regional Integration Support from the EU). Il secondo strumento è quello del rafforzamento dell’integrazione regionale. Mantenendo aperti i dialoghi regionali e facendo leva sul loro valore strategico per ottenere vantaggi economici, gli Stati membri dell’ASEAN sono stati in grado di collaborare con vari attori regionali per rafforzare l’integrazione economica. Un esempio importante è la Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP). L’ultimo strumento, secondo Xue Gong, è la definizione di un piano di sviluppo resiliente. Rispetto al periodo della Guerra Fredda, oggi i Paesi non allineati avrebbero accesso a maggiori risorse grazie all’interconnessione economica. Poiché hanno prosperato grazie all’integrazione regionale, le élite del Sud-Est asiatico comprendono meglio di chiunque altro l’importanza di un’economia regionale aperta che attragga investimenti privati e relazioni commerciali reciprocamente vantaggiose. Un mercato del Sud-Est asiatico forte, attraente e densamente collegato aumenta la partecipazione degli altri Paesi nella regione, compresa quella delle grandi potenze. E nel mondo più globalizzato del XXI secolo, l’ASEAN può davvero elevare il suo status non solo commerciale ma anche diplomatico favorendo l’interazione tra le potenze.

Il vertice commemorativo UE-ASEAN

I leader dei due blocchi si danno appuntamento a Bruxelles per celebrare la partnership e trovare nuovi spazi di cooperazione

Articolo di Chiara Suprani

Il 14 dicembre i capi di Stato e leader nazionali dei Paesi del blocco ASEAN e dell’Unione Europea si incontreranno a Bruxelles per commemorare il 45esimo anniversario della formalizzazione della partnership bilaterale, elevata a “partnership strategica” come ha ricordato l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza Josep Borell in un discorso del 4 agosto. Tutti i capi di Stato saranno presenti, ad esclusione dei leader birmani, mentre si attende ancora la risposta del neo-premier malese. A fronte degli eventi che hanno caratterizzato gli ultimi anni l’occasione, preceduta da due incontri il 13 dicembre, quello del Summit della Gioventù e il decimo Business summit EU-ASEAN, è di grande rilevanza. Dato il clima internazionale, la sicurezza sarà uno dei temi cardine dell’evento. Bruxelles potrebbe cercare di ottenere una posizione più chiara da parte dei Paesi ASEAN sull’invasione russa dell’Ucraina, al fine di ricevere maggiori garanzie sul rispetto delle sanzioni imposte dall’UE alla Russia. L’evento, co-presieduto dalla Cambogia che ha la presidenza di turno ASEAN fino a fine anno, affronterà snodi chiave della relazione bilaterale tra i Paesi ASEAN e quelli europei come commercio e sostenibilità, energia rinnovabile, investimenti e connettività. Alcuni di questi snodi chiave sono già stati preceduti da accordi bilaterali tra Paesi membri come la “Partnership per la Sostenibilità” tra Svezia ed Indonesia. Giacarta, alla quale spetterà la presidenza ASEAN per il 2023,  ha attraversato 11 round di negoziati per la stesura di un accordo di libero scambio con l’UE, che ancora non è stato raggiunto. Secondo The Diplomat, l’UE dovrebbe puntare a raggiungere un compromesso negoziale per la firma indonesiana del trattato, un compromesso simile a quello concesso a Vietnam e Singapore, Paesi con i quali ha chiuso le negoziazioni, abbassando standard di sviluppo ed ecologici. Tuttavia, il 6 dicembre, Bruxelles ha varato una nuova legge per la prevenzione dell’importazione di beni responsabili per la deforestazione. La legge è stata fortemente criticata da Vietnam, Malesia e Indonesia. Tra questi prodotti sono presenti: caffè, soia e olio di palma, colture che nel 2020 hanno registrato un export rispettivamente di 2, 17 e 27 miliardi di dollari americani. Secondo Nikkei Asia, l’UE durante il Summit per il 45esimo anniversario, incoraggerà il Sud-Est asiatico ad incaricarsi di importanti ruoli nelle catene di approvvigionamento globali, seguendo la logica del “friend-shoring”. Il neologismo del “friend-shoring” riprende l’idea dei precedenti on-shoring e off-shoring, legando però la rilocalizzazione in Paesi che sono considerati amici. ASEAN e UE ad ottobre hanno siglato un nuovo livello di cooperazione di connettività con la firma dell’Accordo Comprensivo sui Trasporti Aerei (AE CATA), la prima intesa al mondo di questo tipo. L’accordo beneficia non solo i viaggiatori dell’accesso diretto a nuove destinazioni, ma auspica ad un maggior livello di coordinamento, anche manageriale, tra i Paesi Membri dell’ASEAN. Con il 2023 alle porte, un generale allentamento delle misure di contenimento della pandemia, e con la firma dell’AE CATA, ci sono le premesse per nuove opportunità commerciali per le imprese europee, che garantiscano condizioni di mercato eque e trasparenti. Trovare il giusto canale di comunicazione tra interessi particolari, necessità e standard sostenibili potrebbe essere uno dei punti caldi del dialogo del 14 dicembre. Eppure, tra la pandemia da Covid-19 e la guerra russo-ucraina, tra i rallentamenti delle catene di approvvigionamento, i divieti di esportazione strategici dei singoli Paesi membri atti a prevenire ulteriori crisi economiche sembra che le percezioni sulla relazione bilaterale siano tutto sommato positive. Secondo il sondaggio EU-ASEAN Business Sentiment Survey, la regione del Sud-Est asiatico è prima per migliori opportunità economiche nei prossimi 5 anni. Non solo, in generale tutte le prospettive nei confronti di commercio ed investimenti hanno ottenuto nel sondaggio aspettative di crescita positiva. In conclusione, il 14 Dicembre gli occhi saranno puntati a Bruxelles e al potenziale ancora inesplorato della relazione bilaterale ASEAN-UE.

Acqua bene comune? La privatizzazione a Giacarta e Manila

Per rimediare ai problemi dei sistemi idrici delle due capitali, negli anni novanta le municipalità hanno scelto di concedere la gestione a società private. Nonostante le premesse simili, però, l’esperimento delle due città non si è svolto allo stesso modo

La privatizzazione del servizio pubblico dell’acqua nelle due megalopoli del Sud Est Asiatico risale agli anni ’90 del secolo scorso. In quel periodo, istituzioni di peso come la Banca Mondiale e molti economisti avevano riposto grandi speranze nel ruolo che il libero mercato avrebbe potuto giocare nei paesi in via di sviluppo, e in settori strategici come l’acqua era opinione prevalente che la privatizzazione fosse la strada giusta da percorrere. Ed è stato così che molte aziende di servizi pubblici sono state completamente o parzialmente privatizzate, spesso con il sostegno degli Stati Uniti o di istituzioni multilaterali di sviluppo. 

Fino a quel momento, i sistemi idrici di Giacarta e Manila erano affidati alle rispettive municipalità e versavano in condizioni molto precarie, con un tasso di utenza tra la popolazione molto basso. Il sistema di acquedotti di Giacarta era stato originariamente costruito dagli olandesi all’epoca del loro dominio nel Paese e, ovviamente, non ha tenuto il passo con la rapida crescita dell’area metropolitana, che oggi conta 11 milioni di abitanti. Il sistema idrico e fognario di Manila è ancora più vecchio di quello di Giacarta, creato nel 1878 dai colonialisti spagnoli e progettato per una città di 300.000 abitanti, che invece oggi ne conta più di 14 milioni.

Gli schemi di privatizzazione dei sistemi idrici delle due città, inizialmente, erano molto simili. In entrambe le città infatti, l’area metropolitana era stata divisa in due settori assegnati a società differenti, ed in entrambi i casi la concessione prevedeva una durata iniziale di 25 anni. Furono coinvolte le più grandi aziende idriche internazionali per offrire assistenza tecnica e schemi di finanziamento alle agenzie governative indonesiane e filippine a sostegno dei programmi di privatizzazione, mentre la fornitura di servizi fu assegnata a grossi conglomerati internazionali assieme a gruppi locali di rilievo e politicamente ben collegati, elemento essenziale per ottenere i contratti di privatizzazione. 

La privatizzazione dell’acqua a Manila iniziò quando l’allora presidente delle Filippine, Fidel Ramos, per combattere la crisi idrica che stava colpendo la capitale bandì una gara d’appalto che fu vinta da due società: Maynilad Water Services a Manila Ovest e Manila Water a Manila Est. Nonostante alcune difficoltà iniziali, aggravate dalla crisi finanziaria che aveva colpito l’Asia in quegli anni, le due società hanno raggiunto ad oggi più del 94% di copertura del servizio nella città rispetto al 58% prima della privatizzazione, e le dispersioni idriche sono state ricondotte al 27% rispetto al 67% circa pre-privatizzazione. Per questi motivi, la privatizzazione dell’acqua nelle Filippine è considerata da molti uno dei partenariati pubblico-privati di maggior successo al mondo.

Diversamente è stato, ahimè, per la capitale indonesiana. Qui l’allora presidente Suharto, cercando di rimediare alla scarsa efficienza del sistema di erogazione pubblico dell’acqua a Giacarta, che non consentiva un equo accesso all’acqua per tutti i cittadini, concesse la gestione della rete idrica a due società straniere senza alcuna gara d’appalto. Si trattava della francese Suez Environment, che insieme al gruppo Salim (di proprietà di un magnate fedelissimo al presidente), aveva costituito la PT PAM Lyonnaise Jaya (Palyja). L’altra società, invece, PT Aetra Air Jakarta, era costituita dalla britannica Thames Water assieme al figlio di Suharto. Nei 25 anni di concessione, le due società hanno subito numerose modifiche societarie e cessioni di quote, e hanno fatto ben pochi progressi nell’espansione della copertura del servizio, come anche nell’aumento dell’efficienza ma soprattutto nell’equità in termini di accesso all’acqua tra i diversi strati della popolazione. Secondo il Jakarta Post, dopo quasi due decenni la copertura ha raggiunto solo il 59% degli abitanti della città, nonostante le tariffe medie dell’acqua siano piuttosto simili a quelle di Manila. Nel 2017 dunque, le due società idriche sono state citate in giudizio per il mancato rispetto dei loro obblighi contrattuali e il tribunale si è pronunciato contro di loro, minacciando la fine dell’esperimento di privatizzazione dell’acqua a Giacarta. Tuttavia, è molto probabile che si proseguirà lungo la strada della privatizzazione, mantenendo le due concessioni, seppur riformulando i termini. 

Resta da vedere, però, se la capitale indonesiana riuscirà, seppur con un po’ di ritardo, a replicare l’esempio di successo del modello filippino.

Chi impara va lontano…

Articolo di Cherdkiat Atthakor 

Come si fa ad aiutare gli ultimi in modo significativo? Che cosa si può dare loro per consentirgli di cambiare la traiettoria delle loro vite, per avere un impatto sull’ambiente che li circonda e per far progredire le loro società e i loro Paesi? Si dà loro accesso a un’istruzione di qualità.  

Più e più volte, questo si è dimostrato l’unico elemento di svolta, e anche il più efficace, per moltissime persone che sono nate senza disporre dei mezzi necessari a fare strada nella vita. L’istruzione continua ad essere, di fatto, un vettore sociale quando si tratta di superare sistemi di privilegio e disuguaglianza. Essa apre le porte a coloro che lottano ai margini della nostra società. 

Sua Altezza Reale la Principessa Maha Chakri Sirindhorn ha aperto proprio quelle porte a numerosi bambini indigenti in Thailandia, impegnandosi insieme agli enti interessati per rinnovare l’intero sistema educativo del Paese. 

Il suo unico desiderio era quello di rendere l’istruzione accessibile a tutti, in particolar modo ai bambini più svantaggiati. In Thailandia questo ha significato l’accesso a un’istruzione di qualità per bambini provenienti da aree remote e rurali dello Stato.  Inoltre, ha significato raggiungere coloro che vivono in zone montane in cui l’accesso all’istruzione era quasi impossibile, e anche coloro che vivono in aree confinanti con i Paesi vicini. 

Scuola di polizia di frontiera Lions Mahachak 9, Distretto di  Mae Taeng, nella provincia di  Chiangmai, nel nord della Thailandia, nell’ambito dell’Ufficio di Royal Development Projects Board  (ORDPB) 

Fonte: sito web dell’Ufficio di Royal Development Projects Board (ORDPB). 

Fin da giovane, Sua Altezza Reale ha creduto fermamente nel potere della conoscenza. Lei stessa si è dedicata allo studio e ha messo in pratica le sue conoscenze per migliorare la vita delle persone in Thailandia. La principessa ha promosso l’idea di ‘”istruzione per tutti” attraverso la collaborazione tra gli organi interessati, sia nel governo che nel settore privato, con l’obiettivo finale di creare una rete di condivisione delle conoscenze, di supporto tecnico e di mobilitazione delle risorse, non solo in Thailandia, ma in tutto il mondo.

Abbracciando la sua visione, le istituzioni governative e accademiche hanno iniziato a seguire il suo esempio nel perseguire l’eccellenza accademica e una vita migliore per le future generazioni del Paese. Nel 1979, tale visione si è concretizzata con la Fondazione Principessa Maha Chakri Sirindhorn, che ha iniziato a fornire un sostegno concreto agli studenti bisognosi delle scuole, degli istituti professionali e delle università. Poi, nel 1983, Sua Altezza Reale ha ampliato i suoi sforzi avviando un progetto che avrebbe fornito un migliore accesso a un’istruzione di qualità a bambini che vivono in zone rurali del Paese.

Grazie alle attività svolte nell’ambito di tale progetto, gli insegnanti, in particolare quelli della polizia di frontiera, sono stati formati secondo metodi di insegnamento specifici e in condizioni particolari, con l’obiettivo di ottenere risultati di apprendimento concreti per questi bambini. Inoltre, il progetto ha riservato una particolare attenzione e formazione in termini di miglioramento dell’istruzione per bambini apolidi e appartenenti a minoranze.

Nel corso del suo lavoro, con l’aumentare dei bambini aiutati, Sua Altezza Reale ha iniziato a riconoscere e a dare importanza ad altri fattori che ugualmente influenzano lo sviluppo dei bambini. Tra questi: la garanzia di una buona alimentazione e la lotta alla carenza di iodio, attraverso progetti per il pranzo, l’accesso alla tecnologia per le scuole delle aree rurali e il miglioramento della qualità degli insegnanti attraverso premi e borse di studio.

Nel 1990, la principessa ha avviato il progetto di Deficiency Disorder Control. Grazie alla collaborazione con l’UNICEF e con le aziende produttrici di sale in Thailandia, il tasso di carenza di iodio nei bambini delle scuole elementari si è mantenuto costantemente al di sotto del 5%. 

Nel 1995, Sua Altezza Reale ha avviato il programma IT per le scuole rurali, facente parte del suo progetto IT globale per l’istruzione, per affrontare le disuguaglianze fornendo l’accesso ai computer e alle attrezzature informatiche alle scuole associate. Grazie a questo programma, gli insegnanti e gli studenti delle aree rurali e remote della Thailandia hanno potuto sperimentare e sviluppare le proprie competenze nell’uso della tecnologia.

 Apprendimento online

Fonte: Sito web di “The Information Technology Foundation” nell’ambito dell’iniziativa di Sua Altezza Reale la Principessa Maha Chakri Sirindhorn. 

La dedizione e i contributi di Sua Altezza Reale nel campo dell’istruzione nel corso degli anni hanno ispirato il Consiglio degli insegnanti della Thailandia, all’interno del Ministero dell’Istruzione, a istituire il Premio Principessa Maha Chakri in suo onore, nel 2015. Il premio viene assegnato una volta ogni due anni a 11 insegnanti di spicco degli Stati membri dell’ASEAN e di Timor Est, per onorare gli insegnanti impegnati, promuovere la professione di insegnante e rafforzare le relazioni internazionali nel campo dell’istruzione.

 Fonte: sito web di Princess Maha Chakri Award  

Il lavoro di Sua Altezza Reale è stato riconosciuto anche dalla comunità internazionale e da diverse organizzazioni internazionali. Una di queste è l’UNICEF, che le ha conferito il premio Life-Time Achievement Award per il suo ruolo significativo e per il suo costante impegno per migliorare le vite dei bambini in Thailandia, con una particolare attenzione a quelli provenienti da aree remote e svantaggiate del Paese. 

Nel 1991, la Principessa Maha Chakri Sirindhorn è stata insignita del prestigioso Premio Ramon Magsaysay per il Servizio Pubblico. Istituito nel 1957, il Premio Ramon Magsaysay era ed è ancora considerato la più alta onorificenza in Asia, comparabile al Premio Nobel.

In occasione della cerimonia di consegna del Premio Magsaysay, Sua Altezza Reale ha condiviso con il pubblico uno scorcio sull’ispirazione che l’ha portata a compiere il suo lavoro:

“È un dovere, ma è anche la più alta aspirazione di un thailandese, partecipare a qualsiasi opera volta allo sviluppo e alla prosperità del nostro amato Paese, la Thailandia, e aiutare il nostro vicino meno fortunato ad avere una vita migliore”.  

Indubbiamente, il benessere e la qualità della vita degli individui non possono essere migliorati da una sola persona. Ci vuole uno sforzo collettivo e costante, e ci vuole tempo. Infatti, è necessario che tutti noi facciamo la nostra parte per contribuire al benessere della società, per il futuro dei nostri figli e delle generazioni a venire. Nel mondo in cui viviamo oggi, nessuno è indenne dalla recessione economica globale, dalla povertà, dalla criminalità, dalla disoccupazione e da altri mali della società. Un’istruzione di qualità è ciò che meglio prepara le persone ad affrontare un ambiente in continua evoluzione e le mette in grado di gestire le circostanze frenetiche, dinamiche e imprevedibili del nostro mondo.

Per quanto mi riguarda, credo fermamente nel potere della conoscenza e nel fatto che tutti se imparano possano andare lontano, questo vale soprattutto per coloro che sono più indietro, ai quali dobbiamo i nostri migliori sforzi per crescere.  

* * * * *

Cherdkiat Atthakor è Vicesegretario Permanente per gli Affari Esteri e sovrintendente all’Istituto Devawongse Varopakarn per gli Affari Esteri che si occupa della formazione dei diplomatici thailandesi durante la loro carriera. Ha un’ampia esperienza negli affari esteri: in precedenza è stato portavoce del Ministero degli Esteri, ambasciatore della Thailandia in Kenya, nonché vicedirettore generale del Dipartimento degli Affari dell’Asia Orientale, del Dipartimento degli Affari dell’ASEAN e del Dipartimento delle Organizzazioni Internazionali.

ASEAN, l’amico di cui tutti hanno bisogno

In un momento in cui le turbolenze economiche, commerciali e geopolitiche sono molto diffuse, la regione del Sud-Est asiatico si sta confermando un porto sicuro per gli investimenti.

Editoriale a cura di Alessio Piazza

La coda della pandemia di Covid-19, la crisi energetica globale, l’inflazione galoppante, l’aumento del dollaro, l’indebolimento della domanda cinese. Solo per restare sul versante economico e finanziario. Per non parlare di quello geopolitico, tra guerra in Ucraina e vari altri fronti di tensione. Insomma, il mondo non sta passando un periodo particolarmente sereno. Eppure, c’è una regione che si sta dimostrando più resiliente di altre. Un termine di cui si è forse abusato di recente ma che sembra calzare a pennello per le economie dell’area ASEAN. Le sei maggiori economie del blocco- Indonesia, Thailandia, Filippine, Singapore, Malesia e Vietnam – si stanno rivelando tutt’altro che fragili di fronte agli shock globali degli ultimi mesi e ultimi anni. Singapore sta guadagnando terreno nei servizi finanziari e nell’alta tecnologia, il Vietnam e la Malesia stanno ricevendo maggiori afflussi di investimenti diretti esteri nel settore manifatturiero e l’Indonesia sta ricevendo fondi record per sfruttare le sue risorse minerarie, in particolare il nichel. Non solo. Oltre agli investimenti greenfield, il Sud-Est asiatico è stato il maggior destinatario di fusioni e acquisizioni completate in Asia nella prima metà del 2022, avendo ricevuto addirittura il 56% del totale dei flussi in entrata. Le transazioni in entrata nella sola Indonesia sono state due volte superiori a quelle della Cina continentale, ancora frenata dalle restrizioni anti Covid. È interessante notare come non sia solo l’Occidente a dispiegare più capitali nell’ASEAN, ma anche la Cina, che ha ridotto le operazioni offshore in altre regioni per concentrarsi proprio sul Sud-Est asiatico. L’Associazione di 10 membri e 680 milioni di persone rappresenta già il 3,4% del prodotto interno lordo globale e il 7,7% delle esportazioni mondiali. E la sua centralità è destinata a crescere. Ma anche sul fronte politico, la regione si è rivelata una irrinunciabile piattaforma di dialogo, come dimostrato durante i recenti summit multilaterali tenuti e conclusi con successo tra Cambogia (summit ASEAN), Indonesia (vertice del G20), e Thailandia (summit APEC). Non è un caso che il Financial Times abbia di recente definito l’area ASEAN come “l’amico diplomatico e commerciale di cui tutti hanno bisogno”.

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